Ossuarium – Living Tomb

Per gli Ossuarium, Living Tomb rappresenta un primo passo su lunga distanza di grande efficacia e che evidenzia come un’espressione stilistica apparentemente dai pochi margini di manovra possa essere, sempre e comunque, resa in maniera convincete e soprattutto coinvolgente.

Arriva da Portland, Oregon, questa nuova realtà dedita ai un death metal dai consistenti rimandi doom.

Se tutto questo può risultare poco stuzzicante in virtù di una quasi certa adesione a consolidati schemi stilistici, va detto a beneficio di chi ci si voglia accostare che raramente al primo tentativo si riscontrano opere così ben focalizzate e di simile spessore. La band statunitense infatti maneggia questa insidiosa materia con grande perizia: il sound non assume mai ritmiche troppo veloci attestandosi su tempi cadenzati sui quali vengono spesso inseriti passaggi più rarefatti o efficaci parti di chitarra solista.
In Living Tomb l’immaginario putrido e catacombale non è fine a se stesso perché l’approccio degli Ossuarium è del tutto adeguato alla bisogna, con il valore aggiunto di una bontà esecutiva che non lascia dubbi, così come la produzione.
I nostri sanno coinvolgere pur con il loro sound per nulla ammiccante, grazie a spunti melodici che vengono inseriti nel contesto con grande fluidità e che. ovviamente. corrispondono per lo più ai momenti in cui l’anima doom viene messa in primo piano (emblematica l’ottima Corrosive Hallucinations), un aspetto questo che si manifesta maggiormente nella seconda metà del lavoro.
Per gli Ossuarium, Living Tomb rappresenta un primo passo su lunga distanza di grande efficacia e che evidenzia come un’espressione stilistica apparentemente dai pochi margini di manovra possa essere, sempre e comunque, resa in maniera convincete e soprattutto coinvolgente.

Tracklist:
1. Intro
2. Blaze Of Bodies
3. Vomiting Black Death
4. Corrosive Hallucinations
5. Writhing In Emptiness
6. End Of Life Dreams And Visions Pt. 1
7. Malicious Equivalence
8. End Of Life Dreams And Visions Pt. 2

Line-up:
Ryan Koger – Drums
Daniel Kelley – Vocals, Guitar
Jeff Roman – Bass
Nate McCleary – Guitars (lead)

https://www.facebook.com/ossuariumdeath

Carved – Thanatos

Superato il già bellissimo precedente lavoro, i Carved confermano le enormi potenzialità dimostrate con un album emozionante, estremo ed elegante, imperdibile per chi ama queste sonorità.

La scena italiana in ambito metallico sta attraversando un ottimo momento e le prime uscite del nuovo anno ribadiscono il valore del metal made In Italy in tutte le sue sfumature.

Una scena che da un po’ di anni vede gli artisti collaborare tra loro in maniera più continua contribuendo ad opere già di per sé notevoli come Thanatos, ultimo lavoro dei Carved, combo ligure di cui vi avevamo parlato all’indomani dell’uscita del precedente bellissimo lavoro intitolato Kyrie Eleison, licenziato un paio di anni fa.
E’ sempre la Revalve a prendersi cura del gruppo e del suo nuovo album, che in parte si discosta dal melodic death metal più diretto e sinfonico che ne aveva caratterizzato il sound, per abbracciare ancor più quelle atmosfere progressive che ne determinano una maggiore eleganza, sommate a momenti folk metal molto suggestivi ed epici.
Una buona fetta del meglio delle voci che il metal underground tricolore possa vantare in termini di cantanti li ritroviamo in veste di ospiti nelle varie tracce che formano la tracklist di Thanatos, oltre a Simone Mularoni che ha registrato, mixato e masterizzato l’album ai Domination Studio e ha prestato la sua chitarra sul brano Skal, Federico Mecozzi alla viola e violino e Marco Mantovani al pianoforte.
Claudio Coassin, Michele Guaitoli, Roberto Tiranti, Marco Pastorino, Gabriele Gozzi, Sara Squadrani e Anna Giusto, sono gli splendidi interpreti che valorizzano il gran lavoro del gruppo, impreziosendo e rendendo varia tutta la musica che i Carved hanno creato per il nuovo album che vive, come scritto, di melodic death metal, come di prog e folk in un sali e scendi emotivo e di tensione perfettamente bilanciato da un songwriting di altissima qualità.
Quindi, oltre a brani più in linea con quanto fatto in passato (Sons Of Eagle, Spider), i Carved ci regalano brani come Elsie (An Afterlife Suite), Hagakure, La Ballata Degli Impiccati e Octopus dove oltre ai soliti Dark Tranquillity, spuntano splendidi echi di Amorphis e Borknagar a rendere Thanatos un clamoroso ritorno.
Superato il già bellissimo precedente lavoro, i Carved confermano le enormi potenzialità dimostrate con un album emozionante, estremo ed elegante, imperdibile per chi ama queste sonorità.

Tracklist
01. Sons of Eagle
02. Octopus
03. Skal
04. Path
05. Rain Servant
06. Hagakure
07. La ballata degli impiccati
08. NeveroddoreveN
09. The Time Traveller
10. Spider
11. The Gulf
12. Come with Me
13. Elsie (An Afterlife Suite)

Line-up
Lorenzo Nicoli – Bass, Vocals (backing)
Giulio Assente – Drums
Damiano Terzoni – Guitars
Alex Ross – Guitars
Cristian Guzzon – Vocals

CARVED – Facebook

TESTOSTERUINS

Il video di Fuck Sharafuck!, dall’ep Suffering Masculinity, in uscita a marzo.

Il video di Fuck Sharafuck!, dall’ep Suffering Masculinity, in uscita a marzo.

https://youtu.be/Z1C2DqOkqk0

African Death Metal duo from both edges of the continent: Jo Marie Smit on vocals (South Africa) Heny Maatar on instruments (Tunisia).
Based in Lund, Sweden and active since January 2018, Testosteruins plays a blend of massive grooves and solemn melodies while writing iconoclastic lyrics and stand against the persistent plague of patriarchy.
Jo Marie grew up as a metal raging soul and turned to be an extreme metal vocal authority within the South African and African scene of the genre.
In 2015, she joined Cape Town’s full-female thrash metal band Junkyard Lipstick and as an avid deathster she introduced growling to the band. She also fronted the tribute band Bloodbarf, homophonically named after Swedish death metal monsters Bloodbath.
In 2018 she joins forces with Tunisian producer and multi-instrumentalist Heny Maatar, mostly known for his electrock/experimental project Fusam with which he toured in countries like Lebanon, Germany and Sweden.
Heny started as a drummer at an early age and thrived on extreme metal genres before forming ShallIShine [progressive metal] in 2008 with teenhood friends then Testosteruins in January 2018.
Today, he works with film scoring, sound design and music production.

testosteruins.bandcamp.com

Manente / Alonzo / Du Bose – M.A.D.

Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Matheus Manente è un compositore, musicista e produttore brasiliano che, insieme a Jon Du Bose (Fervent Send, Domestic Violence) e Jesus Alonzo (Salem Rust, Espejismo), ha dato vita a questo power trio al debutto con M.A.D., licenziato in regime di autoproduzione.

L’album è composto da nove brani scritti da Du Bose, di matrice statunitense e ispirate tanto dall’U.S. metal, quanto dal metal progressivo.
La sua durata che non supera i quaranta minuti è perfetta, i brani risultano così diretti e prepotenti, classicamente oscuri come da tradizione americana ed ispirati da tematiche horror, anche se non mancano critiche verso la società odierna.
Diviso tra Brasile e States, M.A.D. evidenzia un buon songwriting così come una vena progressiva che si potenzia di sonorità power e progressive: suonato e prodotto professionalmente, l’album vive di picchi atmosferici e strumentali che lo rendono un ascolto consigliato ai fans dei primi Queensryche, Fates Warning e Metal Church.
Evocativo, metallico, oscuro e a tratti raffinato, l’album non ha cali di tensione e regala almeno un trio di tracce davvero ispirate come Shades Of I, To Travel Beyond e Surveillance State.
Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Twelve Gates
2.Reinventing Life
3.Shades Of I
4.Portals
5.Thief Profane
6.To Travel Beyond
7.Yemanja
8.Surveillance State
9.Die As You Will

Line-up
Matheus Manente – Drums, lead guitars, percussion, sound effects, keyboards, Portuguese vocals on “Thief Profane”
Jesus Alonzo – Lead vocals, lyrics, acoustic guitars, lead guitars, rhythm guitar on “Portals” and “Yemanja”
Jon Du Bose – Rhythm guitar, bass guitar and first lead guitar on “Die As You Will”

A Sad Bada / Infame / Goethya / Aura Hiemis – 4 Ways To Die

4 Ways To Die si rivela uno spaccato attendibile dello stato di salute di una scena che si conferma in grande fermento e ricca di band dal potenziale probabilmente ancora inespresso.

L’etichetta cilena Australis Records sta facendo un gradissimo lavoro begli ultimi tempi, volto a portare alla luce il maggior numero possibile di band che affollano il sottobosco underground delle nazione sudamericana che possiede la scena più attiva in ambito metal estremo.

Il genere trattato in questo 4 Ways To Die è il doom, radicato con forza in un paese che ha dato i natali a realtà seminali quali Ppema Arcanus e Mar de Grises, ad altre affermate come i Procession o in grande ascesa come Mourning Sun e Lapsus Dei, con la proposta che vede raggruppate quattro band capaci di offrire il genere nelle sue diverse sfumature.
Si parte quindi con due brani degli A Sad Bada, con It’s Just My Blood,breve traccia inedita a base di un urticante e pesantissimo sludge, e You Must Know, singolo uscito nel 2017 e qui riproposto nei suoi dodici minuti all’interno dei quali diviene preponderante un’anima post metal sempre opportunamente sporcata da fangosi riff.
Gli Infame appaiono molto più grezzi e meno predisposti ad aperture pseudo melodiche, infatti Putrido Reflejo e Planicies de Locura vengono letteralmente ingerite e poi vomitate da questo duo di Antofagasta che offre il meglio nel secondo dei due brani, in virtù di un sound più avvolgente e rallentato.
Dei Goethya nulla si sa, salvo che il brano proposto è una incompromissoria tranvata di oltre un quarto d’ora il cui titolo (Bilis Negra Sofocante) lascia poco spazio all’immaginazione, anche se non mancano momenti di discontinuità rispetto ad un sound che oscilla tra death e doom ma che nella fase centrale della traccia regala incisivi e reiterati passaggi di chitarra solista.
I più noti del quartetto di band incluse in 4 Ways To Die sono comqune gli Aura Hiemis, alla luce di quindici anni di attività che hanno fruttato quattro full length e del fatto che il leader V. ha fatto parte per un certo periodo dei citati Mar De Grises; quello offerto in questo caso è un più classico ed organico death doom, decisamente meglio prodotto e in generale più curato rispetto ai brani ascoltati in precedenza
Visceral Laments Pt II è un traccia notevole per intensità, varietà ed interpretazione vocale, e lo stesso si può dire anche per Broken Roots; insomma, il livello si alza notevolmente forse anche perché le sfumature del genere si prestano maggiormente ad un sound più organico e ben focalizzato.
Detto ciò, 4 Ways To Die si rivela uno spaccato attendibile dello stato di salute di una scena che si conferma in grande fermento e ricca di band dal potenziale probabilmente ancora inespresso.

Tracklist:
1. A Sad Bada – It’s Just My Blood
2. A Sad Bada – You Must Know
3. Infame – Putrido reflejo
4. Infame – Planicies de locura
5. Goethya – Bilis negra sofocante
6. Aura Hiemis – Visceral Laments Pt II
7. Aura Hiemis – Broken Roots

Line-up:
A Sad Bada
Gastón Cariola – Guitars
Fernando Figueroa – Guitars, Vocals
Roberto Toledo – Bass
Alejandro Ossandon – Drums

Infame
D.A. – Guitars, Drums, Vocals
I.M. – Guitars, Vocals

Aura Hiemis
V. – Bass, Keyboards, Drum programming, Vocals, Guitars

A SAD BADA – Facebook
INFAME – Facebook
AURA HIEMIS – Facebook

Eyes Of The Living – War On Dead

War on Dead è il debutto degli Eyes Of The Living, quartetto originario della Pennsylvania che fa centro al primo colpo, mirando ad altezza d’uomo e spazzando via tutto con una serie di mitragliate di thrash metal tra tradizione ed ispirazioni moderne.

Per gli amanti del thrash metal che seguono la nostra webzine ecco un album che si rischiava di perdere tra la valanga di uscite che travolgono un mercato saturo come quello odierno.

War on Dead è il debutto degli Eyes Of The Living, quartetto originario della Pennsylvania che fa centro al primo colpo, mirando ad altezza d’uomo e spazzando via tutto con una serie di mitragliate di thrash metal tra tradizione ed ispirazioni moderne.
Un’ora di fuoco e fiamme, incedi appiccati su uno spartito in cui convivono diverse anime ed influenze, il tutto sapientemente amalgamato dal gruppo che manipola il genere come meglio crede e se ne esce con un gioiellino metallico, davvero ben congeniato.
La band ha creato un concept oscuro e lo sviluppa con un sound che fa proprie le lezioni dei gruppi storici del thrash metal come Anthrax e Megadeth e lo rende ancora più potente e catchy ispirandosi ai Pantera e White Zombie, con quel tocco di drammatica teatralità dark di marca Iced Earth.
La durata non inficia l’ascolto, i vari interludi e l’uso di tastiere e synth che creano l’atmosfera giusta prima dell’esplosione delle varie tracce rendono vivo l’interesse che suscitano brani dal buon appeal come Infected, Pull The Trigger e la title track death/thrash song orchestrata a meraviglia dal gruppo.
Segnatevi questo nome, andate a cercarvi l’album ed aspettate buone nuove, gli Eyes Of The Living promettono scintille.

Tracklist
1.Count the Days
2.Run for Your Life
3.Infected
4.Hell on Earth
5.Interlude (Aftermath)
6.Chemical Bath
7.Stench of Death
8.Pull the Trigger
9.Interlude (They Got Rick)
10.I Am Alone
11.War on Dead
12.What Is Left for the Dead
13.Survival
14.Outro (Contamination)

Line-up
Tim Swisher – Vocals and Guitar
Chris Moore – Bass
Mike Straiton – Lead Guitar
Cliff Fritts – Drums

EYES OF THE LIVING – Facebook

Luciano Onetti – Sonno profondo / Francesca

Fantastico lavoro di dark prog cinematografico, per chi ama le colonne sonore di film gialli, thriller e horror vecchia scuola.

I Tangerine Dream nel 1977, naturalmente i Goblin (per Dario Argento, e non solo), più di recente l’americano Steve Moore, degli Zombi: tutti nomi grandi ed importanti, nell’universo delle colonne sonore per pellicole dell’orrore e dintorni.

La genovese Black Widow, da sempre attentissima a tale nesso, strettamente instauratosi sin dagli anni Settanta, tra musica e cinema, pubblica ora due lavori di Luciano Onetti, insieme regista e musicista: Sonno profondo e Francesca sono, infatti, due film indipendenti, scritti e diretti da Onetti. Le locandine, che vanno a comporre la grafica dei dischi – nel CD li troviamo abbinati – poggiano in maniera intenzionale su una grafica che pare direttamente uscire dalla prima metà degli anni Settanta italiani. Spirito underground, amore per le tinte forti nel dominio giallo-horror (prima che si iniziasse a parlare di thriller movies), suoni analogici, melodie e ritmi serrati: tutto questo accompagna l’immagine in movimento. E tutto questo si ritrova nei pezzi di queste due soundtracks: barocchi ed eleganti, progressivi e oscuri, senza mai perdere di vista quel che è e deve essere l’impatto rock di fondo. Efficacissimo, in merito, l’interplay chitarra-tastiere, con Korg PA600 e Yamaha psr s710 sugli scudi. Luciano Onetti, come John Carpenter, è dunque autore completo: compone in funzione dell’immagine e quest’ultima, a sua volta, trae linfa e forza – come ci ha insegnato l’immenso Ennio Morricone, sin dalle sue colonne sonore per le prime tre pellicole di Dario Argento (1970-1971) – dal contributo musicale stesso. Che è, in questo senso, apporto; non soltanto mero supporto. D’altra parte, come diceva Gilles Deleuze, la musica è suono in movimento e il cinema immagine in movimento. Con Onetti l’interscambio tra i due è fortissimo, con opportuni tocchi gotici ed elettronici, sempre e comunque di ascendenza Seventies (leggasi al riguardo Fabio Frizzi, altro maestro). Grandiosamente inquietante: una autentica sinfonia nera, magistrale pure nei suoni, sovente sperimentali e talvolta spaziali.

Tracklist
1- Mamma
2- Nel profondo
3- Sonno profondo
4- Nero
5- Assassino
6- Soddisfazione
7- Ricordare
8- Finale
9- Francesca
10- La bambola di Francesca
11- Caronte senza tregua
12- Inferno 8
13- Motus Tenebrae
14- Demonio guardiano
15- Una moneta sugli occhi
16- Canto III
17- Guanti rossi
18- Canto dell’Inferno
19- Jazz psicopatico
20- Paolo e Francesca
21- Canto V
22- Città dolente

Line up
Luciano Onetti – Guitars / Bass / Drums / Electronic Drums / Keyboards / Synthesizers / Effects / Piano

LUCIANO ONETTI – Facebook

Acajou – Under The Skin

Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita.

Tornano dopo molti anni i padovani Acajou, con il loro secondo disco Under The Skin.

Il gruppo fu incluso nella mitica raccolta Stone Deaf Forever, in compagnia di The Atomic Bitchwax, Beaver, Ufomammut, Spirit Caravan, Unida ed altri. Nati a cavallo dell’epoca grunge con quella stoner, i padovani sono tornati e sono molto meglio di prima. Il loro disco di esordio era un quattro pezzi del 1998 intitolato Hidden From All Eyes ed era piuttosto stoner grunge, mentre quello attuale è un lavoro maturo a basi di blues, rock, grunge, funky e tanta classe. Si rimane sinceramente stupiti dalla fluidità e dalla quieta bellezza di un disco composto e suonato in totale libertà. Ascoltando Under The Skin i suoni caldi, sinuosi e potenti degli Acajou in breve tempo conquisteranno l’ascoltatore che in seguito non ne potrà più fare a meno. Davvero peculiare un ritorno dopo così tanto tempo di un gruppo che ha suonato ere musicali fa, e per di più di così grande impatto poi. Definire un genere è difficile per questo album, perché si spazia in molti lidi musicali, ma si può dire che il sentimento generale sia blues rock, e c’è anche del ritmo funky in una miscela che raramente troviamo alle nostre latitudini. Questo lavoro è la dimostrazione che talento, sicurezza e possibilità di non dover dimostrare nulla possono portare a fare ottime cose, e Under The Skin è una di quelle piccole che rendono migliore la vita. La voce di Marco Tamburini scalda il cuore e lo scartavetra un po’, con il suo timbro blues ma adatto anche a molto altro. Un disco molto piacevole da ascoltare, che libera l’anima e predispone bene senza negare che la vita sia un casino, ma se mettiamo i piedi per terra qualcosa sarà.

Tracklist
01 La Ferrari
02 We’ve Never Met
03 Old Home Boy
04 Under The Skin
05 In The Waves
06 Sometimes
07 Jeez (in The Mood For Love)
08 Dim Noise

Line-up
Filippo Ferrarretto – basso
Nicola Tomas Moro – chitarra
Simone Ruffato – batteria
Marco Tamburini – voce e synth

ACAJOU – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EhdIePuVll8)

Black Therapy – Echoes Of Dying Memories

La potenza del death abbinata ad un talento melodico di prim’ordine fanno di questo nuovo magnifico album un gioiello di rara intensità, paragonabile proprio alle atmosfere malinconiche e sofferte del doom ma portate in un ambito più aggressivo.

Che i deathsters romani Black Therapy avessero tutte le carte in regola per diventare una delle migliori realtà nel panorama melodic death a livello europeo si era capito già dal primo album, quel Symptoms of a Common Sickness che ne diede il via, in maniera importante, alla carriera, seguito dal bellissimo ep The Final Outcome dell’anno successivo e, soprattutto, dall’ultimo lavoro, In the Embrace of Sorrow, I Smile, uscito tre anni fa e che diede loro l’occasione di accompagnare sul palco leggende del death melodico come Dark Tranquillity, Wintersun, Equilibrium ed Arch Enemy, tra gli altri.

Il nuovo anno porta un’altra splendida opera targata Black Therapy: Echoes Of Dying Memories, licenziato dalla Black Lion Records, mixato e masterizzato da Stefano Morabito presso i 16th Cellar Studio ed accompagnato dalla bellissima copertina creata da Gogo Melone (artista e leader degli Aeonian Sorrow, nonché ospite fissa negli ultimi lavori degli immensi Clouds).
Archiviati i due ospiti che impreziosiscono le due tracce finali (Asim Searah degli Wintersun, su Scars, e Sami El Kadi degli Adimiron, sulla conclusiva Ruins), passiamo a descrivere in poche righe questo monumento al melodic death metal, così emozionante da far restare senza fiato, tragico, drammatico e melanconico nei tanti passaggi strumentali in cui le chitarre sanguinano melodie suggestive.
La potenza del death abbinata ad un talento melodico di prim’ordine fanno di questo nuovo magnifico album un gioiello di rara intensità, paragonabile proprio alle atmosfere malinconiche e sofferte del doom ma portate in un ambito più aggressivo.
Sarebbe troppo facile menzionare la struggente traccia The Winter Of Your Suffering, un brano strumentale in cui il pianoforte scandisce note di una bellezza disarmante, perché Echoes Of Dying Memories è principalmente un album melodic death metal nel quale la graffiante spinta estrema del death si sposa con le melodie che le chitarre di Andrea Mataloni e Davide Celletti creano in un’apoteosi di solos che strappano carni, entrano nell’anima come coltelli nel burro, sorrette da ritmiche possenti ma mai invadenti, che dimostrano la perfetta alchimia di Lorenzo Carlini (basso) e Luca Marini (batteria).
Il cantore di queste nove perle nere è Giuseppe Di Giorgio, insieme a Carlini anima storica di questo fenomenale gruppo che si è davvero superato con Echoes Of Dying Memories, un album che già fin d’ora si può prefigurare tra quelli occuperanno le zone alte delle classifiche di fine anno, non solo per quanto riguarda il metal nazionale.

Tracklist
1. Phoenix Rising
2. Ideal
3. Echoes Of Dying Memories
4. Dreaming
5. Rejecting Me
6. The Winter Of Your Suffering
7. Burning Abyss
8. Scars (feat. Asim Searah from Wintersun)
9. Ruins (feat. Sami El Kadi from Adimiron)

Line-up
Giuseppe Di Giorgio- Vocals
Lorenzo Carlini- Bass Guitar
Andrea Mataloni- Guitar
Davide Celletti – Guitar
Luca Marini- Drums

BLACK THERAPY – Facebook

Blood Feast – Chopped, Diced and Sliced

La band continua a proporre quello che i suoi fans vogliono, ovvero thrash metal diretto potenziato da iniezioni di speed metal e rivitalizzato da uno spirito hardcore tipico dell’epoca, ovviamente rigorosamente underground.

Per gli amanti del metal underground degli anni ottanta, tutto jeans stretti, chiodo e toppe in bella mostra, tornano i Blood Feast, gruppo nato nel New Jersey nella seconda metà del decennio storico per la nostra musica preferita e tornato dopo anni di silenzio, in questo periodo che vede molti protagonisti dell’epoca, magari meno fortunati, ripresentarsi con nuovi lavori.

I Blood Feast il loro ritorno lo avevano firmato già lo scorso anno con il full length The Future State of Wicked, nuovo album dopo ventotto anni da Chopping Block Blues e trenta dal primo e più famoso Kill for Pleasure.
Ovviamente la band continua a proporre quello che i suoi fans vogliono, ovvero thrash metal diretto potenziato da iniezioni di speed metal e rivitalizzato da uno spirito hardcore tipico dell’epoca, ovviamente rigorosamente underground.
Per gli amanti del genere i sei brani che compongono Chopped, Diced and Sliced risultano una vera goduria, roba da spararsi a volume altissimo spaccandosi la fronte contro la parete di casa o quella di un locale in cui il quintetto di storici thrashers dà via al massacro.
Le varie Concubine, Hunted Stalked and Slain e Darkside sono un efferato esempio di metal primordiale, un sound che sicuramente non deluderà i fans del thrash metal più grezzo ed underground ai quali è essenzialmente rivolta questa proposta.

Tracklist
1.Concubine
2.Hunted Stalked and Slain
3.Darkside
4.Chopping Block Blues
5.Chemically Imbalanced
6.By the Slice [live in Osaka]

Line-up
Adam Tranquilli – Guitars
Tom Lorenzo – Bass
Chris Natalini – Vocals
CJ Scioscia – Guitars
Adam Kieffer – Drums

BLOOD FEAST – Facebook

Djevelkult / Kyy / Nihil Kaos – Kult Of Kaos Serpent

La qualità media è molto alta, dato che i tre gruppi coinvolti sono fra i migliori alfieri del nero metallo apparsi negli ultimi anni, e questa scelta di riunirli assieme della Saturnal Records è davvero azzeccata.

Immondo demone a tre teste, risultato dell’unione di tre grandi gruppi di black metal, i norvegesi Djevelkult, i finlandesi Kvy e i turchi Nihil Kaos.

La qualità media è molto alta, dato che i tre gruppi coinvolti sono fra i migliori alfieri del nero metallo apparsi negli ultimi anni, e questa scelta di riunirli assieme della Saturnal Records è davvero azzeccata. Si comincia con i norvegesi Djevelkult ed il loro assalto in stile classico, con molte influenze dalla seconda ondata black metal scandinava, con la potenza in primo piano: il tutto è ben bilanciato, con un ottimo lavoro delle chitarre e degli altri strumenti. Il loro suono è chiaramente scandinavo, molto potente, con voce a metà fra pulito e growl e gli stacchi sono imperiosi. A seguire ecco i finlandesi Kyy con il loro raw black metal, veloce, impetuoso e molto potente, cantato in growl, marcio ed aggressivo. Queste peculiarità sono completate da un gran senso della melodia che permette di arricchire ulteriormente il loro suono. Rispetto ai norvegesi Djevelkult sono maggiormente veloci e debitori della prima ondata black metal, ed il loro suono è un altro notevole esempio di black metal. Chiudono lo split i turchi Nihil Kaos, il gruppo meno conosciuto ma forse più interessante del lotto. Il loro black metal è un qualcosa di empio che satura lo spazio tempo, essendo suonato in maniera vigorosa e con grande conoscenza dei canoni del genere: la loro velocità è quasi ipnotica, ed il cantato riesce a far andare lontano l’ascoltatore. La cattiveria sonora di questi turchi è molto trascinante e coinvolgente, e le tematiche trattate sono quelle più vicine all’occulto fra questi tre gruppi. Serpent Kult Kaos è uno split molto ben riuscito, con un’ottima produzione ed una qualità molto alta, presentando tre gruppi molto validi, ognuno volto ad esplorare un lato diverso del black metal, anche se la visione totale è abbastanza ortodossa e vicina alla concezione classica del genere. La tradizione della condivisione di un disco continua nella scena black metal, e questo ne è uno degli esempi più fulgidi. Non scamperete all’orda che adora il Serpente.

Tracklist
1.Djevelkult – Skapt Av Helvetesild
2.Djevelkult – Life Devoid
3.Djevelkult – Den Svarte Død
4.Kyy – Ingress: Womb of Lilith
5.Kyy – Congress: Unearthly Realms
6.Kyy – Progress: Leaping Beyond God
7.Nihil Kaos – Artifex Erroris
8.Nihil Kaos – Claws of the Tempter

Mortanius – Till Death Do Us Part

I Mortanius danno vita ad un buon esempio di power/progressive metal.

Accompagnato da una copertina che ricorda più un vecchio album heavy/thrash trovato in qualche baule chiuso dagli anni ottanta piuttosto che il genere che si andrà effettivamente ad ascoltare, arriva il primo full length del duo statunitense Mortanius, composto dal chitarrista e cantante Lucas Fiocco (ex-Outlander) e dal bassista Jesse Shaw (ex-Beyond Black Skies).

I due musicisti della Pennsylvania, aiutati dai sessions Ollie Bernstein e AJ Larsen, danno vita ad un buon esempio di power/progressive metal che si sviluppa in appena quattro lunghi brani, più la cover di Last Christmas degli Wham.
Dream Theater, Rush, qualche accenno ai Symphony X e via verso un paradiso di scale neoclassiche, lunghe cavalcate dalle ritmiche power, ed atmosfere metalliche raffinate, con in primo piano un gran lavoro strumentale e la voce di Fiocco che si fa preferire nei toni leggermente più maschi.
Diciamo che avrei preferito un singer alla Russell Allen, ma sono dettagli, perché Till Death Do Us Part non mancherà di sorprendere gli amanti dei gruppi citati e del genere suonato, grazie ad una buona padronanza strumentale ed un songwriting che non stanca, anche nei diciassette minuti della title track, cuore pulsante di sangue progressivo dell’intero lavoro, un gioiellino che vale da solo l’acquisto di quest’opera.
Avvicinatevi a Till Death Do Us Part ma solo se siete fans del metal neoclassico e progressivo, un genere non facile da proporre in modo convincente come fanno i Mortanius.

Tracklist
1.Facing the Truth
2.Disengage
3.Jaded
4.Till Death Do Us Part
5.Last Christmas (Wham! cover)

Line-up
Lucas Flocco – Vocals
Jesse Shaw – Bass

Ollie Bernstein – Lead Guitars
AJ Larsen – Rhythm Guitars

MORTANIUS – Facebook

STORMWOLF

Il video di “Lightcrusher”, dall’album “Howling Wrath” (Red Cat).

Il video di “Lightcrusher”, dall’album “Howling Wrath” (Red Cat).

Gli STORMWOLF, reduci dagli ottimi feedback da parte di pubblico e critica per il loro debut album “Howling Wrath”, lanciano il nuovo videoclip “Lightcrusher”, presentato in anteprima sulle pagine di METAL.IT

“Ad un’intro “hard blues” fa seguito un riff heavy “Saxon style” che evolve in un bridge diafano e sexy per esplodere infine sull’incendiario ritornello. Tutto mescolato con folgoranti assoli di chitarra, batterie potenti e cadenzate e caratterizzato dalla rovente&profonda voce della cantante.”

CONTATTI BAND:
www.facebook.com/pg/Stormwolf.it

Liya – Listen Ep

Questa prova , per quanto breve, mette in luce un potenziale notevole da parte di Liya.

La nostra periodica incursione nei territori dell’electro dark non ci porta questa volta nelle lande del centro-nord Europa, bensì nella più calda e mediterranea Israele.

Infatti questo ep intitolato Listen è opera della musicista di Tel Aviv Liya Trebitch, la quale si è già fatta un certo nome nell’ambiente, nonostante sia ancora relativamente molto giovane, grazie ad un attività live piuttosto intensa anche in Europa.
L’ep consta di quattro brani intrisi di un synth dark pop di ottima fattura , dai tratti ballabili, con i primi due Holding On e No Meaning più diretti e provvisti di un chorus decisamente orecchiabile, mentre Always About You è una canzone stupenda con il suo incedere più rilassato ed un afflato melodicamente oscuro in grado di fare vittime già al primo ascolto; chiude la notevole title track, altra traccia dall’enorme potenziale commerciale.
Questa prova , per quanto breve, mette in luce un potenziale notevole da parte di Liya: la sua timbrica quasi adolescenziale è ammaliante e ovviamente a livello di riferimenti non si possono che citare le realtà appartenenti ad una cerchia musicale affine con voce femminile, quindi The Birtday Massacre, come opportunamente citato nelle note biografiche, ai quali si possono aggiungere anche gli imprescindibili Kirlian Camera.

Tracklist:
1.Holding On
2.No Meaning
3.Always About You
4.Listen

Line-up:
Liya Trebitch

LIYA – Facebook

Cloak Of Shadows – Where Do I Hide (Pregabalin Hex)

Thy Haunted Kingdom e Where Do I Hide sono due canzoni che vanno ascoltate come se fossero tracce rimaste fuori dalla scaletta di un qualsiasi album uscito in terra albionica all’inizio degli anni ottanta: tale riesumazione resta qualcosa di assolutamente piacevole, ma nulla più.

Where Do I Hide è la prima uscita targata Cloak Of Shadows, duo inglese che offre un doom dai tratti quanto mai vintage e che di certo non verrà ricordato per la propria spinta innovativa.

I due brani che si aggirano sui 6/7 minuti di durata saccheggiano abbondantemente tutti i nomi più noti del genere nella sua veste più tradizionale, quindi è abbastanza superfluo andare a scomodarli, basti solo sapere che il vocalist Craig come nome d’arte ha scelto Osbourne, e qui direi che il cerchio si chiude abbondantemente.
Il buon Dave Gilbert offre un contributo strumentale diretto ed essenziale su cui il cantante, che rispetto al suo modello ha una voce se possibile anche più nasale oltre che effettata, fa comunque degnamente il suo maledetto e sporco lavoro.
Thy Haunted Kingdom e Where Do I Hide sono due canzoni che vanno ascoltate come se fossero tracce rimaste fuori dalla scaletta di un qualsiasi album uscito in terra albionica all’inizio degli anni ottanta: tale riesumazione resta qualcosa di assolutamente piacevole, ma nulla più, ed è improbabile che un’eventuale prossima uscita dal minutaggio più corposo possa essere foriera di particolari scostamenti rispetto a questo ep.

Tracklist:
1. Thy Haunted Kingdom
2. Where Do I Hide (Pregabalin Hex)

Line-up:
Dave Gilbert – All instruments
Craig Osbourne – Vocals

 

Vacant Body – Vacant Body

Le sensazioni lasciate da questo breve assaggio sono più che confortanti e l’impressione è che un eventuale lavoro su lunga distanza dei Vacant Body possa ritagliarsi in futuro un suo spazio privilegiato.

Vacant Body è un nome del quale ben poco si sa se non la provenienza australiana, per cui il compito di descriverne l’essenza è demandato del tutto a questo demo contenente tre brani per un totale complessivo inferiore ai dieci minuti di musica.

Poco per farsi un’idea più esaustiva delle potenzialità di questo che, a occhio e croce, dovrebbe essere un progetto solista, ma abbastanza per rinvenire in due brani come Spiralling Altar e Light That Never Prevails (l’iniziale Infinite Leash è una breve intro strunentale) le stimmate di un black death di buona qualità, prodotto e registrato in maniera soddisfacente (qui sappiamo che il mastering è stato curato da Magnus Andersson dei Marduk), tutt’altro che banale a livello ritmico e ben interpretato a livello vocale.
Le sensazioni lasciate da questo breve assaggio sono più che confortanti e l’impressione è che un eventuale lavoro su lunga distanza dei Vacant Body possa ritagliarsi in futuro un suo spazio privilegiato, perché il sound mantiene costantemente elevata una tensione e una capacità di coinvolgimento non così scontata, rispetto alla quale l’unica riserva è, appunto quella di verificare se ciò possa avvenire anche in presenza di una durata ben più consistente.

Tracklist:
1.Infinite Leash
2.Spiralling Altar
3.Light That Never Prevails

INVICTOR

Il video di “An Infinite Second”.

Il video di “An Infinite Second”.

Dopo un lungo periodo di lavoro, Damián Agurto, chitarrista dei Crisálida, ha appena fatto il suo debutto da solista con il suo progetto INVICTOR, dove esplora il lato oscuro del suo suono in un formato strumentale. Il suo primo singolo è intitolato “An Infinite Second”, dove il musicista rappresenta un concetto che si oppone: il tema segna l’inizio della sua carriera da solista, ma allo stesso tempo è un punto fermo. Segnato dalla morte di suo padre, nel gennaio 2018, Damián canalizza la sua passione per le sei corde attraverso Invictor per completare la fase più difficile della sua vita. “Dopo quello che è successo con mio padre, volevo tornare alla mia vita normale, suonare le mie canzoni e iniziare il processo della mia carriera da solista”, dice. “Il singolo segna la chiusura di un’epoca e l’inizio di un’altra”.

Il primo album è stato prodotto da INVICTOR e Pepe Lastarria (Kuervos Sud, All Tomorrows) e registrato con il batterista Christopher Orozco (Octopus), il bassista Braulio Aspe (Chrysalis) e il tastierista Mauricio Olivares negli studi Lastarria, CO Drumlab e Santuario Suono tra agosto e novembre 2018. “Mi piace quello che Pepe ha prodotto, perché è molto attento nella definizione di tutti gli strumenti e anche degli arrangiamenti. Ha una visione molto panoramica della musica e mi ha aiutato a modernizzare l’album “, dice Damián. Le influenze di Invictor vanno dall’oscurità della Katatonia al post rock di God is An Astronaut e al sound del chitarrista Plini.

“An Infinite Second” è disponibile su tutte le piattaforme digitali ed è il primo di una serie di singoli che verranno pubblicati prima dell’uscita dell’album INVICTOR, in programma per il secondo semestre di quest’anno.

Kadinja – Super 90′

Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

La musica progressiva negli ultimi anni si è evoluta ed ha scovato altri sbocchi per emozionare l’ascoltatore come nel passato, trovando terreno fertile nel metal, soprattutto in quello estremo.

La scena nordica in primis sta andando oltre le più rosee aspettative, con una fucina di artisti sopra la media sia a livello strumentale che nella creazione di musica coinvolgente.
Il discorso è opposto per la scena djent core, colma di gruppi tecnicamente ineccepibili ma purtroppo poveri di contenuti e dalle emozioni difficilmente reperibili in opere ad uso e consumo di addetti ai lavori o di chi si bea della tecnica fine a sé stessa.
Album come Super 90′, dei francesi Kadinja, ne abbiamo sentito tanti, tutti prodotti in maniera impeccabile e impreziositi da una tecnica strumentale superiore, tutti che come rettili si avvolgono su sé stessi fino a mordersi la coda con intricate e pesantissime parti ritmiche solo in parte addolcite da momenti post rock con tanto di clean vocals.
Tra technical core, modern metal, djent e post rock, di progressivo su questo lavoro c’è davvero poco, travolto da una tempesta di note e di ritmiche sincopate in una matassa difficile da sbrogliare.
Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

Tracklist
1. Empire
2. From The Inside
3. The Modern Rage
4. Icon
5. The Right Escape
6. Véronique
7. Episteme
8. Strive
9. Muted Rain
10. House Of Cards
11. Avec tout mon Amour

Line-up
Philippe Charny – Vocals
Pierre Danel – Guitars
Quentin Godet – Guitars
Steve Treguier – Bass
Morgan Berthet – Drums

KADINJA – Facebook

Paolo Siani & Nuova Idea – The Leprechaun’s Pot of Gold

Nuovo capitolo della intrigante collaborazione di Paolo Siani con i Nuova Idea, nomi veramente storici del nostro prog.

Dopo il disco Castles, Wings, Stories and Dream (2010), il Live Anthology (2010) su DVD e Faces With No Traces (2016, con ex membri dei Prodigy) tornano a incidere Paolo Siani e i Nuova Idea, al terzo capitolo della trilogia The Leprechaun’s Pot of Gold.

Si tratta di otto magnifici pezzi, con – in più – la registrazione di una storica esibizione dal vivo presso la Rai nel 1971: un vero documento d’epoca. Le atmosfere di questo nuovo album si muovono nel solco del pro tradizionale, con tocchi di stampo blues e inflessioni floydiane, con in aggiunta belle liriche di taglio esistenziale. Le tracce sono assai incisive, malgrado una solo apparente morbidezza. Chi ama il calore delle produzioni di impronta vintage rimarrà di certo conquistato da questo lavoro, moderatamente sinfonico e ricco di ospiti di pregio. Tra questi, segnaliamo almeno Martin Grice al sax ed al flauto, Giorgio Usai alle tastiere, Roberto Tiranti e Guido Guglielminetti al basso e Marco Biggi alla batteria. La presenza di uno strumento come il theremin dona poi un tocco volutamente ‘antico’ a tutto il lavoro, già di per sé impregnato di atmosfere old fashioned. Il livello delle composizioni, assai omogenee, è assai alto e su tutte forse si staglia il decadentismo sonoro del pezzo dedicato a Georges Brummel, tra i padri del dandismo (come ebbe a rimarcare già il grande Barbey d’Aurevilly).

Tracklist
1- Standing Alone I / II
2- Inflate Your Veins
3- The Leprechaun’s Pot of Gold
4- Statue of Wax
5- Lord Brummel
6- Walking on the Limit
7- Time to Play
8- We’re Going Wrong

Line up
Paolo Siani / Marco Biggi – Drums
Anthony Brosco / Paul Gordon Manners – Vocals
Roberto Tiranti / Guido Guglielminetti – Bass
Martin Grice – Reeds
Ivana Gatti – Theremin
Nick Carraro – Guitars
Giorgio Usai – Hammond Organ
Giangiusto Mattiucci – Fender Rhodes

PAOLO SIANI – Facebook

https://www.facebook.com/malaproduction87/videos/paolo-siani-feat-nuova-idea-three-things-official-video/1032381440155444/

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