Not Yet Fallen – Homebound ep

Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico.

Energia positiva, passione e melodia per la nuova fatica in formato ep dei padovani Not Yet Fallen.

I ragazzi hanno distillato il meglio dai loro ascolti e hanno tratto il meglio dal metalcore e dall’hardcore per farne una miscela originale e che funziona bene. I Not Yet Fallen sono in giro dal 2008 e sono uno dei gruppi migliori che abbiamo in Italia. Nel mare magnum del metalcore con inclinazioni hardcore ci sono miriadi di dischi anche piacevoli, alcuni notevoli, ma se volete risparmiarvi ascolti inutili puntate dritto su Homebound ep perché vi lascerà di sicuro soddisfatti. La produzione è molto accurata e fa rendere il tutto al meglio, poi il gruppo ci mette del suo con questo suono molto caldo, melodico al punto giusto che fa sembrare che i Not Yet Fallen siano proprio quello che volevate ascoltare. Melodie, cori da dito puntato in alto, voli giù dal palco, musica suonata da appassionati per altri appassionati, perché da questo non si ricava la sussistenza ma tante emozioni, voglia di sudare sotto il peso dei decibel, e quella solidarietà ed amicizia che i n altri generi se la sognano di notte. Per esempio la canzone Survivalist è una manifestazione di ciò che sanno fare questi ragazzi, ma Homebound è alla fine una canzone unica, un corpus musicale da ascoltare tutto assieme, perché è uno sguardo composto da tanti battiti di ciglia. Spesso si ha bisogno di essere avvolti da un certo tipo di musica che provochi in noi determinate emozioni, e questo è proprio il posto giusto. Non è affatto facile mettere assieme il metalcore e il meglio hardcore in maniera credibile e godibile, e i Not Yet Fallen lo fanno alla perfezione, perché non hanno pose ma voglia di fondersi con il loro pubblico. Il formato ep è sicuramente giusto, però il giramento di coglioni quando termina il disco è elevato, un po’ come lo svegliarsi da un bel sogno. Bel disco, senza se e senza ma, uno di quei rari momenti di allineamento totale fra il metalcore, te stesso e l’universo circostante.

Tracklist
1.Lone Walker (Foreword)
2.The Lesser Evil (With Regard To Anxiety)
3.Survivalist (About A Wreck)
4.Countless Steps (Concerning Change)
5.A Catharsis pt. I (Detachment)
6.A Catharsis pt. II (The Comeback Chronicles)

Line-up
Francesco – vocals
Luigi – guitar
Emmanuel – guitar
Andrea – bass
Davide – drums

NOT YET FALLEN – Facebook

Insonus – The Will to Nothingness

Gli Insonus esibiscono una vena fondamentalmente atmosferica, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.

Gli Insonus sono una nuova realtà black metal italiana, nata per volere di due musicisti abruzzesi, R. e A., quest’ultimo nome che chi frequenta il genere conoscerà quanto meno per il suo progetto L.A..C.K., uno dei migliori esempi nazionali di depressive.

Il duo, che si fa aiutare da altri due corregionali come HK (Eyelessight – drums editing) e Fulguriator (Selvans – chitarra acustica) esibisce una vena fondamentalmente atmosferica, come già fatto molto bene due anni fa con l’ep Nemo Optavit Vivere, racchiusa in un sound cupo e al contempo melodico, nel quale il disperato abbandono del depressive lascia spazio ad una rabbia che diviene l’altra faccia di una stessa medaglia nel modo di elaborare il male di vivere.
L’ovvio riferimento alla scena scandinava (nell’ambito della quale continuo a trovare in più di un caso gli Arckanum quale accostamento più attendibile, non fosse altro che per la comune capacità di esibire marcati tratti melodici senza perdere nulla in ruvidità e robustezza del sound) non rende affatto The Will to Nothingness un lavoro impersonale, perché i brani sono tutti molto solidi e dal potente impatto, contribuendo così a rendere la proposta sicuramente ben focalizzata ed avvincente.
Se le tracce I e II sono senz’altro due ottimi esempi di interpretazione del genere nell’ambito della tradizione, III si propone quale manifesto dell’album, con la sua ripresa della confessione di Antonius Block (dal capolavoro bergmaniano Il Settimo Sigillo) culminante nel momento in cui la Morte offre la logica soluzione ai tormenti del protagonista pronunciando la glaciale frase “non credi che sarebbe meglio morire “? Il tappeto sonoro che ne consegue e quello dal più elevato contenuto drammatico del lavoro, in grado di avvincere pur nella sua inusuale lunghezza di quasi dieci minuti.
Il resto di The Will to Nothingness continua a regalare un black metal di grande qualità e tensione (splendida e relativamente orecchiabile la traccia IV e molto varia e dal notevole crescendo la lunga e conclusiva VI) che si lega alla perfezione con testi che, ovviamente, non seguono l’abusato filone lirico satanista o antireligioso per dare spazio invece all’esplicito e doloroso disagio derivante dall’incapacità di trovare un senso logico e compiuto all’esistenza.
L’unione di una struttura musicale piuttosto legata alla tradizione, ma pervasa da un senso melodico spiccato, ad un comparto lirico di classica matrice depressive conduce ad un risultato davvero ottimo, confermando quello degli Insonus come uno dei nomi più interessanti in ambito nazionale.

Tracklist:
1.The Will To Nothingness I
2.The Will To Nothingness II
3.The Will To Nothingness III
4.The Will To Nothingness IV
5.The Will To Nothingness V
6.The Will To Nothingness VI

Line-up:
R. (Raven) – Lead and Rythm Guitars
A. (Acheron) – Vocals,Guitars,Bass,Programming,Mixing

Drums editing by HK
Acoustic guitars by Fulguriator

INSONUS – Facebook

Semiramis – Frazz Live

Grande ritorno da parte di una band storica del nostro progressive rock, ancora una volta Dedicato a Frazz.

Nel lontano ma glorioso 1973, i Semiramis – giovanissimo quintetto romano, capitanato dai fratelli Zarrillo (Michele chitarra e voce, Maurizio tastiere) – pubblicarono per la Trident quello che rimane uno dei migliori dischi del nostro progressive rock.

Un esordio allora assai promettente, che, purtroppo, non ebbe mai un seguito. Oggi, tre quinti della formazione originale, coadiuvati da altri 4 musicisti, rispolverano il nome Semiramis e tornano a calcare i palcoscenici con un ottimo live, uscito solo un anno fa solo du DVD ed oggi ristampato da Black Widow, in doppio formato CD+DVD. Si tratta di una splendida performance, tenuta a LaClaque di Genova il 22 aprile 2017. I Semiramis riannodano con eleganza e maestria i fili con il proprio passato, riproponendo con efficacia i classici – tali sono, ormai – del loro album di debutto. Possiamo pertanto riapprezzare interessanti intrecci strumentali e trascinanti dialoghi fra chitarra e tastiere, con liriche davvero suggestive e pregevoli. La bottega del rigattiere, Luna Park e Zoo di vetro, in particolare, risplendono ancora in tutta la loro bellezza, con intensi assoli ed aperture prog a trama concept – non senza, quindi, la giusta dose di enfasi teatrale – omogenei e privi di qualsivoglia punto debole. Lo stesso vale per gli altri pezzi, eseguiti in maniera tanto ottima quanto convincente. Il live è dedicato alla memoria di Maurizio Zarrillo, che purtroppo ci ha nel frattempo lasciati.

Track list
1 Quattro fili
2 La bottega del rigattiere
3 Fragile involucro
4 Luna Park
5 Ombre di ritorno
6 Zoo di vetro
7 Foglio bianco
8 Per una strada affollata
9 Il silenzio e i bambini
10 Dietro una porta di carta
11 La verità non serve
12 Frazz
13 Circo Universo
14 Clown
15 La fine non esiste
16 Morire per guarire
17 Mille universi

Line up
Pino Amato – Piano / Synth / Programming
Maurizio Zarrillo – Keyboards / Eminent / Synthesizer
Vito Ardito – Lead Vocals / Acoustic Guitar
Giampiero Artegiani – Guitars
Antonio Trapani – Guitars
Ivo Mileto – Bass
Paolo Faenza – Drums

SEMIRAMIS – Facebook

Rhapsody Of Fire – The Eight Mountain

L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.

Una delle più importanti band italiane di sempre, e sicuramente la più conosciuta all’estero (se si parla di symphonic power metal), torna con un nuovo album a dare lustro a questo inizio anno, almeno per quanto riguarda il genere.

La storica band, accantonati i due assi Alex Turilli e Fabio Lione, si ripresenta con un Giacomo Voli in più, vero mattatore di questo ultimo lavoro, ed un songwriting che mantiene una buona qualità, anche se la formula è più che collaudata e il gruppo ne esce comunque alla grande, aiutato dal talento e dal mestiere dei protagonisti.
The Eight Mountain per i fans del gruppo nostrano risulta ancora una volta un’opera imperdibile: i Rhapsody Of Fire non deludono e chi li aspettava al varco si metta tranquillamente l’anima in pace perché Staropoli ed i suoi fidi scudieri sono ancora ben stabili sul trono del symphonic power metal.
La Bulgarian National Symphony Orchestra di Sofia, un coro con più di venti cantanti, l’uso di strumenti medievali, la produzione di Staropoli, più il mix e mastering lasciato a Sebastian “Seeb” Levermann (Orden Ogan) sono i dettagli che fanno di questo lavoro un nuovo importante tassello, nonché primo capitolo di una nuova saga (Nephilim’s Empire Saga) e sorta quindi di un nuovo inizio per la storica band tricolore.
Non riconoscere ai Rhapsody Of Fire l’importanza avuta sulla scena metal italiana e lo status di gruppo internazionale (alla pari con i Lacuna Coil) sarebbe ingiusto; la popolarità e, quindi, l’aspettativa creata da una nuova uscita della band è pari alla sua reputazione e la formula, anche se rimane pressoché inalterata, è assolutamente marchio di fabbrica del gruppo.
L’album è bellissimo, esaltante ed epico, del resto Staropoli questo tipo di sonorità le ha portate alla fama oltre vent’anni fa e si sente, con il sound 100% Rhapsody Of Fire che si sviluppa in un’ora di fughe velocissime, magniloquenti sinfonie epiche, atmosfere cinematografiche e cori che arrivano fino al cielo.
Voli fa il bello e cattivo tempo, risultando il perfetto cantore della nuova saga targata Rhapsody Of Fire, ed il consiglio è di lasciarvi conquistare da una tracklist che non trova ostacoli e che ha in Seven Heroic Deeds, nella folk ballad Warrior Heart, in March Against The Tyrant e nella conclusiva Tales Of A Hero’s Fate i brani più significativi.

Tracklist
01 – Abyss Of Pain
02 – Seven Heroic Deeds
03 – Master Of Peace
04 – Rain Of Fury
05 – White Wizard
06 – Warrior Heart
07 – The Courage To Forgive
08 – March Against The Tyrant
09 – Clash Of Times
10 – The Legend Goes On
11 -The Wind, The Rain And The Moon
12 – Tales Of A Hero’s Fate

Line-up
Giacomo Voli – Vocals
Alex Staropoli – Keyboards
Roby De Micheli – Guitars
Alessandro Sala – Bass
Manu Lottner – Drums

RHAPSODY OF FIRE – Facebook

London Underground – Four

Ottimo ritorno della space prog band italiana, sempre abilissima nel riportarci sul finire degli anni Sessanta, quando tutto o quasi cominciò.

Sottobosco londinese. Con questo nome – da oltre vent’anni, oramai – il gruppo fiorentino è di certo tra i protagonisti di quel retrorock – come oggi lo si chiama, con un termine forse non felice – che si rivolge alla grande tradizione analogica, vintage e valvolare del progressive britannico di fine anni Sessanta e primissimi Settanta (Traffic, Pink Floyd, Argent e Atomic Rooster), accentuandone, sotto tutti i punti di vista, la componente spaziale e psichedelica.

Caldo ed avvolgente, il loro sound resta inconfondibile e, se i tardi Sixties – con tutto quanto ciò comporta, anche a livello lirico, visuale ed iconografico – sono da un po’ di tempo tornati in auge, lo dobbiamo certamente anche e soprattutto ai London Underground, tra i primi in assoluto (il loro esordio data, infatti, 2000) a far sì che il prog sia opportunamente ritornato sui propri passi. Questo quarto lavoro della band di Firenze, che segue a otto anni di distanza il predecessore, Honey Drops, conferma tutto quanto di buono fatto sin a oggi dai London Underground. Anzi, Four è con tutta probabilità il loro capolavoro, l’opera della piena e felicemente raggiunta maturità artistico-musicale. Le dieci tracce di questo nuovo lavoro sono assai liquide e compatte, nel medesimo tempo, ispirate ad astronomia e astrologia, con la lunga e cosmica improvvisazione di jam che supera abbondantemente i sette minuti. Un vero manifesto di pensiero e di integrità esecutiva. Il fatto che chitarra, viola (vagamente alla Velvet Underground) e sax (molto vandergraafiano) siano strumenti suonati da ospiti rafforza poi un’identità di trio per tastiera, basso e batteria che tanto ha dato alla musica progressiva inglese durante la sua golden age.

Track list
1 Billy Silver
2 Ray Ban
3 At Home
4 The Comete
5 What I Say
6 Three Men Job
7 Tropic of Capricorn
8 Jam
9 Mercy Mercy Mercy
10 Bumpin’ on Sunset

Line up
Gianluca Gerlini – Keyboards / Piano / Mellotron / Moog
Alessandro Gimignani – Drums
Stefano Gabbiani – Bass

LONDON UNDERGROUND – Facebook

Breathe Atlantis – Soulmade

I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata.

Lavoro di metal moderno super melodico per i Breathe Atlantis, uno dei gruppi di punta del nuovo alternative metal molto contiguo al rock.

Il suono di questi tedeschi di Essen è la summa di ciò che ha più successo nelle frange più giovani degli ascoltatori, non fra quelli italiani. Fuori dai nostri confini i giovani sanno andare oltre la trap ed il rap, e soprattutto nel nordeuropa stanno venendo fuori gruppi che sanno coniugare molto bene la modernità con la melodia. I Breathe Atlantis hanno davvero poco o nulla di metal, il loro suono è qualcosa di vicino all’alternative rock post hardcore, con una forte spruzzata di rock. Molte canzoni sono scritte come se scorressero nell’alveo metalcore, ma in realtà sono molto più morbide. Nel loro ambito i Breathe Atlantis sono molto bravi e colgono sicuramente nel segno, dato che hanno un bel tiro e sanno dove andare. Infatti una delle cose più encomiabili della band è che è concentrata su un suono ben preciso, senza disperdere energie in mille rivoli. Il gruppo conosce bene le proprie possibilità, sa ciò che può dare e prova a migliorarsi in quella direzione, raggiungendo buoni risultati. Infatti il pubblico ha dato loro ragione, dato che hanno molti seguaci appassionati e in costante aumento. Agli ascoltatori più maturi non potrà sfuggire la ricerca musicale molto vicina ad alcune delle cose hard rock fine anni novanta, anche se qui tutto è molto moderno. Questa musica può essere fraintesa da chi ha più di venti primavere sulle spalle, e non si può davvero parlare di purezza o di imitazione, perché qui come altrove il codice musicale è qualcosa di nuovo per i quarantenni. I Breathe Atlantis giocano in un campionato che solo fino a qualche anno fa non esisteva, questo tipo di alternative è un’invenzione recente e merita di essere ascoltata ed analizzata. Può piacere come no, ma è un qualcosa di ben presente e vivo, ha molti elementi positivi e non può essere giudicato tramite vecchi e superati parametri. Nel loro campo i Breathe Atlantis sono fra i migliori e puntano apertamente a provarlo.

Tracklist
1. My Supernova
2. Cold
3. Don’t Need You Now
4. Fall
5. Spirit
6. I Think It Isn’t Fair
7. Soulmade
8. Savage
9. At Night
10. Addiction To The Worst
11. Everyone Else

Line-up
Nico Schiesewitz – Vocals
Joschka Basteck – Guitars
Jan Euler – Bass
Markus Harazim – Drums

BREATHE ATLANTIS – Facebook

SHOCKIN’HEAD

Il video di Falling In Reverse, dall’album Xxmiles (Volcano Records).

Il video di Falling In Reverse, dall’album Xxmiles (Volcano Records).

The Shockin’Head rise from the ashes of the Chupacabras, R.A.V.E.D, Estremo Ponente, historical bands of the extreme western Liguria. The alchemy and the natural feeling born from the collaboration of this group of friends has created a granite sound alternating pure power moments with melodic moments.

“XXXmiles” tracklist:
1. All In
2. Falling in Reverse
3. Ejaaa!!!
4. Winners in the Desert
5. Soul Destruction
6. Trip in the Hell
7. Xxmiles
8. Blame Game
Running Time: 39’58”

SHOCKIN’HEAD Line Up
Daniele Sedda – Voices
Black Ale – Bass
Zac Vanders – Guitar
Frederic Volante – Drum

More information at:
BAND: https://www.facebook.com/shockheavymetal/
LABEL: http://www.volcanopromotion.com

Mind’s Doors – The Edge Of The World

The Edge Of The World risulta un lavoro molto ispirato, il quintetto mostra le varie anime e personalità che compongono la propria visione di musica progressiva, in un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture di quel progressive che nel nuovo millennio sta trovando una buona fetta di ammiratori.

Le nuove leve del progressive rock stanno regalando grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente a chi ha tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato alla mentalità conservatrice che attanaglia molti fans del genere e ha liberato la voglia di nuova musica, senza dimenticare ovviamente chi di queste sonorità ha fatto la storia.

Dalla Scandinavia, passando per l’Europa ed attraversando oceani e catene montuose per arrivare in tutto il mondo, la musica progressiva ha trovato nuova linfa in quelle band che stanno contribuendo con la loro freschezza e talento a riportare all’attenzione degli ascoltatori il genere, amalgamando con sagacia il progressive tradizionale con la sua anima metallica e quella più moderna.
Esempio di questa riuscita commistione di atmosfere è il bellissimo lavoro intitolato The Edge Of The World, il secondo per i Mind’s Doors, band spagnola proveniente da Alicante e fresca di firma con la Wormholedeath.
L’album é stato registrato e mixato da Wahoomi Corvi and Cristian Coruzzi al Realsound Studios di Parma, mentre il master é stato completato da Mika Jussila agli storici Finnvox di Helsinki, tanto per chiarire che siamo al cospetto di un’opera con tutte le carte in regola per far innamorare i progsters di tutto il mondo.
The Edge Of The World risulta infatti un lavoro molto ispirato: il quintetto mostra le varie anime e personalità che ne compongono la visione di musica progressiva, con un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture progressive.
Tra gli otto brani medio-lunghi le due suite che aprono e chiudono l’album (A Warm Nest e la title track) rappresentano i momenti più intensi di una tracklist di altissima qualità, fatta di piccoli gioielli compositivi in cui la parte strumentale la fa da padrone e che hanno nei Dream Theater, così come negli Haken, nei Rush e nei Leprous, una parte delle tante anime musicali che compongono questo bellissimo ed imperdibile The Edge Of The World.

Tracklist
1. A Warm Nest
2. Hollow Days
3. Koma
4. Sweet Dreams
5. The Light
6. Endless Nights
7. Victoria
8. The Edge of the World

Line-up
César Alcaraz Argüeso
Eloy Romero Esteve
Alberto Abeledo Sánchez
Marcos Beviá Cantó
Jose Francisco Bernabeu Briones

MIND’S DOORS – Facebook

Dictator – Dysangelist

Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, è una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.

Ed eccoci arrivare anche dalla soleggiata isola di Cipro un esempio di cupo metal estremo degno di una provenienza da lande ben piu desolate e meno vivibili.

Del resto abbiamo ormai imparato che la necessità di esimere un certo disgusto esistenziale è indipendente dal punto del pianeta in cui il fato ha deciso di farci nascere, anche se non c’è dubbio che almeno statisticamente chi vive in luoghi freddi è in qualche modo più portato a sviluppare una certa indole depressiva o misantropica (il fatto che sia il black che il funeral doom abbiano avuto la loro genesi nell’estremo nord europeo qualcosa vorrà pur dire).
Il nostro Dictator, nonostante non viva per gran parte dell’anno tra neve e ghiaccio e neppure sia costretto a provare l’alienazione chi risiede nelle grandi metropoli, ci investe con un’ora e un quarto di musica di difficile assimilazione che, se ha il funeral doom quale base di appoggio, conserva molto del depressive black a livello di approccio: questo letale mix va a formare Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.
Dissonanze urla, cori gregoriani si susseguono all’interno di una ritmica sempre uguale ed incessante, andando a creare un quadro di inascoltabilità per gran parte di chi si dovesse incautamente avvicinare all’opera senza essere in possesso dei necessari anticorpi; chi, invece, è aduso alla frequentazione di queste desolate lande psichiche, troverà in questa opportuna riedizione di quello che è rimasto l’unico full length marchiato Dictator il fascino irresistibile che può rivestire una così cruda e devastante rappresentazione di disagio esistenziale.

Tracklist:
1. Dysangelist
2. Sanctus
3. Monolithos
4. Phantom Cenotaphium

Line-up:
Dictator – Everything

Onset – Unstructured Dissemination

Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Gli Onset sono un duo proveniente da Singapore autore di un doom metal strumentale di buonissima fattura.

L’estrazione esotica della band non deve trarre in inganno perché qui abbiano a che fare con musicisti esperti come Shamtos e Calvin, con quest’ultimo che è anche il proprietario della notevole etichetta Pulverised Records.
A chiudere questo cerchio di matrice asiatica, va detto che questo ep d’esordio degli Onset esce per Weird Truth, label a sua volta gestita da una figura storica del doom giapponese come Makoto Fujishima.
I due lunghi brani offerti dal duo si snodano lungo coordinate oscillanti tra il funeral ed il post metal, un qualcosa che a tratti può anche rimandare ai primi Monolithe, scremato però di buona parte della loro aura cosmica a favore di un maggiore impatto melodico.
La chitarra di Calvin tesse sovente buone linee melodiche e bisogna dire che quando si arriva alla fine del lavoro, dopo circa venticinque minuti, il fatto di non aver mai ascoltato l’intervento di una voce è una constatazione del tutto marginale, visto che il sound si regge ampiamente da solo anche grazie ad una lunghezza complessiva non eccessiva.
Le due tracce, ovviamente, seguono coordinate comuni anche se Permeation: The Ordeal ha un incedere più canonicamente funeral rimarcato da dolenti linee di chitarra solista, mette Pestis: The Suppressing & Recurrence mostra caratteristiche più robuste ed ossessive.
Il giudizio finale rappresenta la media del valore di queste due tracce, con la prima davvero splendida e coinvolgente in ogni suo momento e la seconda decisamente buona ma, in qualche modo, più ordinaria e comunque meno ricca delle brillanti intuizioni e dell’impatto emotivo esibito in Permeation.
Unstructured Dissemination è una prova davvero convincente e la sensazione è quella che gli Onset siano tranquillamente in grado di reggere un lavoro su più lunga distanza, nonostante la loro natura di progetto esclusivamente strumentale.

Tracklist:
1.Permeation: The Ordeal
2.Pestis: The Suppressing & Recurrence

Line-up:
Shamtos – Drums / Bass
Calvin – Guitars

ONSET – Facebook

New Mecanica – Vehement

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, si rivela una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.

L’arrabbiatissimo “kong” che campeggia in copertina rende bene l’idea di cosa andrete ad ascoltare quando premerete il tasto play del vostro lettore.

Vehement, terzo album dei portoghesi New Mecanica, risulta infatti una bella e potente mazzata alternative, di quelle che al rock aggiungono irruenza metal lasciando che si allei con la melodia per quarantacinque minuti di metal statunitense moderno suonato ottimamente.
Lo zampino della Wormholedath, con cui la band di Barreiro ha firmato un contratto per la distribuzione dell’album, è la classica ciliegina sulla torta preparata dal quintetto e composta da dieci brani potenzialmente inarrestabili, per potenza ritmica, grande uso delle voci (una più ruvida e metal, l’altra invece dall’appeal alternative rock) ed un songwriting che permette ai New Mecanica di contare su un lotto di canzoni che formano un album da cui difficilmente si riesce a staccarsi.
Dall’opener A Second, infatti, il gruppo sfoga irruenza metal ed attitudine rock, come se il nostro amico in copertina si fosse liberato dalle catene e, salito sul grattacielo più alto della città, sfogasse tutta la sua voglia di libertà al suono delle varie Chronophobia, Lost Paradise e Reflect.
Metal di ispirazione thrash (i Metallica del Black Album) e l’alternative rock (Alter Bridge) si uniscono al sound di Soil e Black Label Society (Written) ed esplodono in tutta la loro potenza in questo ottimo lavoro, da non perdere se siete amanti di queste sonorità.

Tracklist
1. A Second
2. Chronophobia
3. Lost Paradise
4. Two Worlds
5. Reflect
6. Written
7. Clouded
8. Vehement
9. Never Fade
10. Journey

Line-up
Dinho – vocals
André – Guitar
Pepe – Guitar
PH – Bass
Bunny – Drums

NEW MECANICA – Facebook

MASS INSANITY

Il video di Supported Pathology, dall’album Maveth di prossima uscita (More Hate Productions).

Il video di Supported Pathology, dall’album Maveth di prossima uscita (More Hate Productions).

https://www.youtube.com/watch?v=zb0UO_kFw7Y&feature=youtu.be&fbclid=IwAR2ewt4g2HiAPBPMeN053RL7woj1KuvucNV1cOVqAGBBEJRLXpf2IlmDNgo

Album: Maveth
Releases: 2019 via More Hate Productions
Genre: Death Metal
Location: Chojnice, Poland
Facebook: https://www.facebook.com/massinsanity
Twitter: https://twitter.com/massinsanity666
Bandcamp: https://massinsanity.bandcamp.com

Mixed & Mastered by Michał Grabowski @ BlackTeamMedia
Music & Lyrics by Mass Insanity
Video produced by Ola Fryca

More Hate Productions:
http://www.morehate.com
https://morehate.bandcamp.com

Usurper – Lords Of The Permafrost

Lords Of The Permafrost è dunque avaro di sorprese e da una band come gli Usurper non ci si aspettano sicuramente drastici cambiamenti, ma il solito massacro old school che fin dal primo brano viene assolutamente assicurato.

E’ dal lontano 1993 che gli Usurper danno libero sfogo alla loro attitudine estrema, ferma dal quattordici anni ma protagonista nel decennio tra il 1995 ed il 2005, periodo che ha visto il gruppo di Chicago licenziare un considerevole numero di lavori tra full length, split ep e compilation.

Il ritorno dopo il lungo silenzio si chiama Lords Of The Permafrost, album che rinverdisce i fasti dei lavori storici del quartetto (Skeletal Season e Necronemesis su tutti) e non deluderà i fans che da tanto tempo aspettavano buone nuove dagli Usurper, coì come non riuscirà a trovarne di nuovi, questo va detto, visto il clima old school che regna in questa raccolta di brani che uniscono thrash metal, death primordiale ed attitudine heavy.
Il batterista Joe Warlord ed il chitarrista e cantante Rick Scythe sono accompagnati in questo nuovo inizio dal cantante Dan Tyrantor e dal bassista Scott Maelstrom: l’album è stato registrato e prodotto presso l’Electrical Audio di Chicago dalla band con l’aiuto di Taylor Hales, mentre l’artwork è stato realizzato da Juha Vuorma.
Lords Of The Permafrost è dunque avaro di sorprese e da una band come gli Usurper non ci si aspettano sicuramente drastici cambiamenti, ma il solito massacro old school che fin dall’opener Skull Splitter è assolutamente assicurato.
Una quarantina di minuti scarsi per dar battaglia come ai bei tempi, questo è il tempo a disposizione della band di Chicago che non cambia di una virgola il suo impatto tra rasoiate thrash, potenza death e cavalcate heavy metal.
Brani come Cemetery Wolf e Gargoyle testimoniano l’ancora intatta voglia di far male degli Usurper, tornati in uno stato di forma convincente, almeno per i loro fans, che non rimarranno certo delusi dal nuovo agognato lavoro.

Tracklist
1.Skull Splitter
2.Beyond The Walls Of Ice
3.Lords Of The Permafrost
4.Cemetery Wolf
5.Warlock Moon
6.Gargoyle
7.Black Tide Rising
8.Mutants Of The Iron Age

Line-up
Joe Warlord – Drums
Rick Scythe – Guitars, B.Vocals
Dan Tyrantor – Vocals
Scott Maelstrom – Bass

USURPER – Facebokk

Prehistoric Pigs – Dai

Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Piacevolissimo terzo disco di questo trio composto da due fratelli ed un cugino che, con molta semplicità, suonano da anni musica strumentale dal potente potere evocativo.

I Prehistoric Pigs possono sembrare un gruppo come tanti, ma appena si mette su il disco si ascoltano cose per nulla comuni. Il loro nucleo musicale è uno stoner psych strumentale con una forte influenza desert. Il trio fa sostanzialmente musica libera da schemi ed è un gran piacere da ascoltare. Slegati da ogni laccio di appartenenza ad una qualche scena musicale i Prehistoric Pigs vagano liberi e compongono bellissimi racconti di viaggio musicale e non solo. Nella loro proposta sonora ci sono molte reminiscenze hendrixiane e della psichedelia anni sessanta e settanta, con il fondamentale tocco del krautrock che è uno strato importantissimo. Ma poi che importa dei generi quando si è lanciati nello spazio a folle velocità ? Una delle cose che impressiona maggiormente di questo gruppo è la totale naturalezza delle loro composizioni, tutto ciò che succede dentro queste canzoni è bello e godibile, non ci sono pezzi noiosi, e anche gli assoli di chitarra sono piacevoli e nel contesto di totale libertà. Il viaggio è composto da musica caleidoscopica ma al contempo con quella ruvidezza e pesantezza che piace davvero molto. Tutto ciò è frutto del grande lavoro che compie il trio, con un basso notevolissimo, la chitarra che ricama senza mai fermarsi ed una batteria che compie evoluzioni su evoluzioni, e tutti contribuiscono a rendere pazzesco il tutto. Di gruppi strumentali in giro ce ne sono, ma nessuno ha questa scioltezza, questa esatta consequenzialità di scelte sonore e questa godibilità sonora. L’unico difetto di questo disco è che dovrebbe essere un doppio, e pure un triplo, ma se mettete la ripetizione passerete delle belle ore in compagnia di questo trio. Ascoltare per godere dovrebbe essere scontato ma non lo è affatto in questi tempi plastici, e Dai è un massaggio per orecchie e mente, un luogo dove si sta bene per davvero.

Tracklist
1 Hasenjio
2 Pest
3 Geppetto M24
4 Soft-Shell Grab
5 No Means No

PREHISTORIC PIGS – Facebook

Fabio Gremo – Don’t Be Scared of Trying

Lavoro d’esordio del musicista che si è fatto brillantemente conoscere con Il Tempio delle Clessidre.

Una delle anime del Tempio delle Clessidre, parafrasando il bel titolo di questo disco, non si perita di osare: Don’t Be Scared of Trying è infatti il disco solista del nostro Fabio Gremo, che qui, oltre a cantare, suona chitarra classica, basso ed altri strumenti, accompagnato da vari amici e musicisti in veste di ospiti (al piano, alle percussioni, agli archi e fiati, al mellotron, alla steel guitar).

Fabio, dal suo gruppo-madre, si porta dietro per questa riuscita avventura un po’ dei toni foschi e scuri che han fatto grande il Tempio e contribuito alla sua edificazione: malinconia, atmosfere brumose, sapore di maestosa decadenza (realmente ben orchestrata da queste dieci composizioni), umori ancestrali. In altre parole, l’ascendenza dark prog non si dissolve di certo. Tuttavia, abbiamo anche altri elementi: sound talora più rarefatti, intimismo canoro, ricerca di introspezione musicale, echi cantautorali ed a tratti quasi folk (reso palese dall’uso delle parti acustiche), un sobrio e misurato classicismo. Quello che ne viene fuori è quindi, in definitiva, l’autoritratto di un artista a tutto tondo, dei suoi umori ed amori musicali. Una silloge di belle canzoni, sfuggenti e presenti insieme.

Tracklist
1 Breeze
2 Over the Rainbow
3 By the Fire
4 Dance of Hope
5 Ballad of the Good Ones
6 Hypersailor
7 Lullabite
8 Odd Boy
9 Don’t Be Scared of Trying

FABIO GREMO – Facebook

SVIRNATH

Il lyric video di ALl’Ombra delle Fronde, dall’album Dalle Rive del Curone (Naturmacht Productions).

Il lyric video di ALl’Ombra delle Fronde, dall’album Dalle Rive del Curone (Naturmacht Productions).

Svirnath Releasing “Dalle rive del Curone”
Svirnath is back with their second album, dedicated to the Curone creek and river, the land where the project was born.

Melodic, atmospheric and with extended use of acoustic guitars, hailing Mother Nature “Dalle rive del Curone” is the perfect Naturmacht release.

Tracklist:
Vir Naturae
All’ombra delle fronde
L’etereo bagliore
Dalle rive del Curone
Quando soffia il Maestrale
L’abete

Eddie Bunker – Diffidia

Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Hardcore in quota mathcore e blackened da Vicenza: gli Eddie Bunker sono in giro da poco, ma con questo debutto si fanno notare molto bene.

Il loro incedere ricorda gruppi che in Italia hanno dato molto, come i La Crisi e tutto quell’hc anni novanta e primi duemila che sembrava dovesse diventare devastanti e invece ha poi balbettato. Colmano questo vuoto questi giovani ragazzi che hanno molte idee e tutte chiare, su cosa si deve fare per incendiare un palco o le nostre orecchie. Il cantato in italiano rende molto bene, con testi che sono importanti e che danno l’idea di cosa sia questo gruppo, in primis una gran bella sorpresa. Scorrendo il disco non ci sono solo assalti all’arma bianca, anzi, i ragazzi preferiscono ricamare belle melodie pesanti, dando la precedenza all’intensità ma anche importanza ad una certa ricerca sia musicale che tecnica. Il disco inizia con il botto, con un pezzo come Il Gioco Perfetto, che è una traccia paradigmatica per conoscere gli Eddie Bunker. Era da tempo che non si sentiva un gruppo hardcore così completo cantare in italiano. Le trame musicali sono sinuose e non lasciano tregua all’ascoltatore, sono credibili e non diventano mai noiose. Certamente l’esempio portato da gruppi come Converge e tutta quella genia hardcore tinta di nero è stata fondamentale per i vicentini, ma quel suono ha radici profonde nel loro territorio con gruppi come gli Strange Corner, che uscirono su Vacation House nel 1998 con Schism, un disco che può essere considerato come uno dei parenti di Diffidia, anche se quest’ultimo è differente, più maturo e ben strutturato. Alienazione, difficoltà di comprendere questa società assetata di sangue, voglia di pensare in maniera diversa e capire le cose a fondo, grazie ad un mezzo formidabile come l’hardcore, che è molto più di una valvola di sfogo, un genere iperrealista che dipinge cose importanti in mano di chi lo sa fare. Il debutto degli Eddie Bunker è scaricabile ad offerta libera sul loro bandcamp ed è un’opera notevole, che li pone sulla mappa e apre nuove prospettive all’hc italiano che non vuole morire e che scorre sempre sotterraneo.

Tracklist
1.Il Gioco Perfetto
2.Trauma
3.Polonia
4.Interlude
5.Pandora
6.Tarantola

Line-up
Michele – vocals
Alberto – guitar
Jacopo – guitar
francesco – bass
Marco – drums

EDDIE BUNKER – Facebook

Majestic Downfall – Waters Of Fate

Waters Of Fate è un’opera densa, rocciosa e al contempo piuttosto ricca di aperture melodiche che si alternano senza soluzione di continuità a robusti riff e al growl di Jacobo che, talvolta, assume sembianze più disperate e strazianti.

Giusto dieci anni fa l’album Temple Of Guilt mise in luce il nome di Jacobo Córdova, al passo d’esordio su lunga distanza con il suo progetto Majestic Downfall.

In questo lasso di tempo il musicista messicano ha consolidato la propria fama all’interno della scena doom d’oltreoceano e oggi giunge, con Waters Of Fate, al proprio quinto full length, un traguardo che normalmente viene raggiunto da chi ha realmente il talento e la continuità necessaria per mantenere viva la fiamma della passione musicale.
Il nuovo album non delude le giuste aspettative di chi ha imparato a conoscere questo interessante progetto nel corso degli anni, e l’opener Veins è il miglior viatico possibile in quanto ci mostra subito il volto più efficace dei Majestic Downfall, quello capace di unire con grande disinvoltura passaggi di grande robustezza ad ampie aperture melodiche, mantenendo il tutto nell’alveo dei death doom melodico più tradizionale.
Nonostante una traccia come questa offra diversi e stimolanti cambi di scenario nel corso dei propri tredici minuti, ci sarà sempre qualcuno che non perderà l’occasione di ricordarci come in tali occasioni il tutto appaia già sentito: un parere lecito e spesso fondato, ma al riguardo il mio consiglio è di farsi un’idea propria, perché chi considera il doom estremo alla stregua di altri generi continuando a battere su questo tasto (a meno che, ovviamente, non ci si trovi di fronte ad un vero e proprio plagio) significa che non ne ha colto né l’essenza né la sua vera natura.
Waters Of Fate è in realtà un’opera densa, rocciosa e al contempo piuttosto ricca di aperture melodiche che si alternano senza soluzione di continuità a robusti riff e al growl di Jacobo che, talvolta, assume sembianze più disperate e strazianti: i quattro lunghi brani portanti sono esemplari per quanto riguarda l’interpretazione ottimale del genere e, come sempre, per poterne assimilare al meglio i contenuti sono necessari diversi ascolti; d’altra parte qui il dolore non viene esibito in maniera esplicita tramite passaggi dall’irresistibile potenziale evocativo, bensì va ricercato all’interno delle pieghe di un sound che, forse mai come in quest’occasione, trae linfa dai maestri Evoken, rielaborandone la lezione in maniera meno ottundente ed asfissiante e dando maggiore spazio a soluzioni acustiche e soliste, sia di chitarra che di basso.
Forse nei brani contenuti nello split con i The Slow Death del 21014 l’impatto emozionale era apparso ai massimi livelli, ma quest’ultimo lavoro esibisce una struttura solida e priva di cedimenti, frutto evidente di un lavoro compositivo ed esecutivo di grande maturità.

Tracklist:
1. Veins
2. Waters of Fate
3. Contagious Symmetry
4. Spore
5. Collapse Pitch Black

Line-up:
Jacobo Córdova – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Drums
Alfonso Sánchez – Drums

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Instorm – Taming The Chaos

L’album non mostra lacune e spinge forte sull’appeal melodico del genere, risultando magari derivativo in certe parti, ma pervaso in generale da una certa personalità e per questo assolutamente consigliato.

Quando ci si imbatte in una band proveniente dalla madre Russia, terra di grande rispetto per l’arte delle sette note e ancora da esplorare a fondo nel suo sempre più ricco underground metallico, le sorprese sono sempre dietro l’angolo

Gli Instorm con il loro secondo lavoro non tradiscono questa piacevole abitudine: il terzetto composto da Roman Nemtsev (voce e chitarra), Marina Nemsteva (chitarra) e Alexander Petrov (chitarra) è attivo dal 2011, con il debutto datato 2013 (Madness Inside) che fa da preludio a questo nuovo lavoro intitolato Taming The Chaos.
Il sound è un melodic death metal di scuola scandinava reso a suo modo originale da molti interventi chitarristici di stampo neoclassico ed atmosfere power/epic folk che collocano la band moscovita nel calderone dei gruppi che seguono pedissequamente il sound degli storici gruppi svedesi e finlandesi, ma con una marcia in più.
Infatti, è davvero bello questo lavoro in diversi frangenti , ricco com’è di cavalcate chitarristiche tecnicamente lodevoli, di melodie accattivanti e dai rimandi epici che creano un alone fantasy molto suggestivo.
Ascoltare per credere le spettacolari Another Reflection, Quest For Light e Lifeless, brani che uniscono in un sol colpo Children Of Bodom, Omnium Gatherum, Norther, Wintersun e sua maestà Yngwie Malmsteen.
L’album non mostra lacune e spinge forte sull’appeal melodico del genere, risultando magari derivativo in certe parti, ma pervaso in generale da una certa personalità e per questo assolutamente consigliato.

Tracklist
1. The Origin of Chaos
2. Day`Night
3. Another Reflection
4. Lethal Winter
5. Quest for the Light
6. Reach for the Sky
7. Serenity
8. Wisdom of Insanity
9. Lifeless
10. Faith Path
11. The Light

Line-up
Roman Nemstev – Guitars, Vocals
Marina Nemsteva – Guitars
Alexander Petrov – Bass

INSTORM – Facebook

Angeles – Time of Truth

We’re No Angels cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto, tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.

Tornano gli Angeles, veterani della scena hair/street metal degli anni ottanta, che di Los Angels sono originari e che bazzicavano sul Sunset Boulevard in compagnia di Quiet Riot, Motley Crue, Ratt, Guns’n’Roses ma non solo: all’epoca furono visti sul palco insieme a Metallica e Ronnie James Dio, Jefferson Starship, Robbie Krieger dei Doors, Jack Russell “Great White”, The Tubes, Foghat, Y & T, Michael Schenker e Dokken, solo per citare alcune delle leggende del con le quali il quartetto andava a spasso per gli States.

Gli Angeles non fecero mai il botto commerciale, ma i loro album (una decina in totale) sono un vero spasso per chi ama queste sonorità: street metal, blues, rock’n’roll, glam, nel sound del gruppo ci si ritrovano tutte le varie anime che compongono il genere più irriverente della storia, tornato a risplendere in questo nuovo album intitolato Time of Truth.
1977/2018: più di quarant’anni vengono riassunti in questi undici brani dove troverete tutto, ma proprio tutto quello che negli anni ottanta fece innamorare molti della scena losangelina, un’attitudine che si riassume in un impatto ancora esplosivo come ai vecchi tempi e tanto rock’n’roll.
We’re No Angels, cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.
Pain, Hollywood, Trouble e tutte le altre sorelline in calze a rete e mascara sono pronte a donarsi in cambio di un prezioso pass per entrare nel mondo sporco, perverso e cattivo del rock’n’roll, ancora una volta, anche se quando si accenderanno le luci tutto svanirà e a noi non resterà che premere di nuovo il tasto play.

Tracklist
1. Pain
2. Not Here to Play
3. Hollywood
4. Trouble
5. Goodbye
6. We’re No Angels
7. Are You Ready For Your Sins
8. Lonely Road
9. Band Plays On
10. Shiver Me Timbers
11. God, Country and King

Line-up
Demon Dale aka Dale Lytle – Guitar
Daniel Ferreira -Vocals
Cal Shelton – Bass Guitar
Danny Basulto – Drums

ANGELES – Facebook

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