Pensées Nocturnes – Grotesque

Nuovi stili musicali, nuove avanguardie, influenzano positivamente o inquinano irrimediabilmente il black metal? Un quesito per tutti coloro che approcciano album come Grotesque, della one-man band francese Pensées Nocturnes. A voi l’estrema decisione.

Quello che non manca sicuramente alla one-man band francese dei Pensées Nocturnes è il coraggio.

Al giorno d’oggi, le mille sfumature che ha assunto il black metal, hanno reso il genere sicuramente più accessibile; molti – probabilmente – che in passato aborrivano questa lato estremo del metal, hanno iniziato ad avvicinarsi al genere, anche grazie alla moltitudine di album di sottogeneri, che oggi invadono gli scaffali dei negozi di dischi (o meglio i siti internet, vista la repentina e triste scomparsa del classico negozietto sotto casa).
In Grotesque, album uscito nel 2010 e riedito in vinile quest’anno da Les Acteurs de l’Ombre Productions, oggetto di questa recensione, il genere proposto da Vaerohn si potrebbe definire avantgarde post black metal con sfumature barocco/neoclassiche(!), cantato in francese.
Ma andiamo per gradi. Il primo pezzo Vulgum Pecus, dopo un desolante inizio da marcia funebre, procede senza che, in alcun modo, qualcuno possa identificarne una band black metal. Pezzi orchestrali maestosi, pomposi, legni, ottoni ed archi che sostituiscono i più “tradizionali” strumenti del genere, quali chitarre zanzarose e bassi distorti, in assenza totale di drumming ritmico (blast beat) e parti vocali (scream). La parte terminale accoglie persino un sottofondo di applausi stile Scala di Milano, quasi a voler sottolineare che ciò che andremo ad ascoltare non sarà un semplice album, bensì un vero e proprio concerto sinfonico.
Se non fosse per la durata del pezzo (più di tre minuti) avrei pensato ad un (bellissimo) intro. A questo punto, cresce l’attesa e la curiosità, per il secondo pezzo, Paria, che, dopo alcuni secondi di cacofonica introduzione di batteria e basso, mostra il suo vero intento: struggere l’ascoltatore, deprimerlo sino a condurlo al suicido, annichilendolo al punto da renderlo completamente abulico ed indolente. Un lamento angosciante, costruito su accelerazioni scoordinate e momenti soporiferi, scanditi da batteria e piatti, e da sprazzi di gorgheggi vocali più accostabili ad un tenore, intervallati da urla strazianti (tra lo scream e il growl). Senza soluzione di continuità tra gli strumenti (quasi sempre si ha l’impressione che le basi ritmiche facciano a pugni e che tutto sia improvvisato), il genere proposto da Vaerohn, vacilla tra uno stile che vuole essere estremo, ma che non lo è almeno nel senso letterale del termine, ed un’opera sinfonica, un funeral depressive doom di matrice classica, sostenuto da una base quasi jazzata (ma nel senso disarmonico del termine). Come nella successiva Rahu che, addirittura, sotto ad un vero cantato scream (finalmente) quasi trascende, nelle sue seppur brevi accelerazioni, uno speed metal, inaspettato, e forse mai ascoltato prima. Malinconici arpeggi, accompagnati da violoncelli, fagotti, clavicembali – e chi più ne ha più ne metta – da orchestra barocca, sempre quasi sembrando in disaccordo tra loro, con una voce in bilico tra un lamentoso clean e uno straziante scream/growl , sono ciò che ci si può aspettare, acquistando questo album. Eros è un pezzo più shoegaze inglese che metal vero e proprio, che non fa altro che acutizzare la ferita oramai aperta, per chi si aspettava un album black, o estasiare chi invece era alla ricerca di nuove sperimentazioni sonore. Anche in questa traccia, dopo il classico riff monocorde tipico del genere, diciamo in drone style, si percepisce l’amore smisurato del francese per la musica classica (la parte terminale è un trionfo di trombe e tromboni). Monosis, è il momento più funebre dell’album. Una voce sempre tra il clean, nella sua espressione più lirica, e uno scream strozzato e straziante, che mostra quanto il nostro, più che cantare, voglia esternarci la sua disperazione per la vita terrena. Suoni più da Bladerunner danno un tocco sci-fi al pezzo, subito seguiti da una parentesi folkeggiante – quasi gypsy – da festa di Santa Sara (patrona di tutti i Gitani), che sfocia poi irrimediabilmente nel caos sonoro di ritmiche sparate alla velocità della luce, in completa disarmonia tra loro.
Se qualcuno avesse ancora dubbi sul fatto che Mr.Vaerohn volesse sconvolgerci in qualche modo, ecco che arrivano Hel e la successiva Thokk (depressive cacophonic classic black metal?) emblematici esempi di ciò che abbiamo ascoltato sinora; in Hel qualche inserto di xilofono da film dell’orrore ci ottenebra la mente, ci vaporizza quel poco di luce interiore che ancora ci era rimasta, mentre l’organo da chiesa di Thokk, fa piazza pulita di quel che ci resta di ancora umano.
L’ultima track (un teatralmente tragico pezzo di pianoforte) è Suivante (Seguente), che chiude un drammatico capitolo musicale, quasi sicuramente capolavoro per chi ama la sperimentazione sonora e queste nuove forme artistiche, un deludente (ed inquinante) nuovo approccio al black, per i tradizionalisti.
Il voto 6, deriva dalla media tra 7, per il coraggio e la ricerca di nuovi suoni, e 5 per l’aver voluto inserire la parola black in questo contesto.
Ultima nota di colore, tanto per prenderci ancor più alla sprovvista: face painting d’ordinanza per il nostro, ma più che Abbath pare un misto tra Pennywise e il Joker … Bambini, paura!

Tracklist
1.Vulgum Pecus
2.Paria
3.Râhu
4.Eros
5.Monosis
6.Hel
7.Thokk
8.Suivant

Line-up
Vaerohn – Vocals, all instruments, songwriting, lyrics

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