Riti Occulti – Tetragrammaton

La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (anche a chi non vuole sentire) che in Italia l’arte gravitante attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo.

Il terzo album dei Riti Occulti è la dimostrazione, per la band romana, di un’impressionante coerenza nei confronti del monicker prescelto, cosa non sempre scontata.

Chi si avvicinasse all’opera del gruppo laziale, infatti, si sorprenderebbe solo per la qualità musicale esibita, perché le sonorità non lasciano spazio a dubbi riguardo alla sincerità e alla competenza con la quale la materia occulta viene maneggiata.
E’ altresì vero che l’approccio dei Riti Occulti non possiede le connotazioni orrorifiche di molti che si cimentano in territori contigui e, del resto, anche la conformazione strumentale prescelta fornisce indizi di grande discontinuità: la rinuncia alla chitarra e l’utilizzo di due voci femminili, una affidata alle tonalità stentoree di Elisabetta Marchetti e l’altra allo spietato growl di Serena Mastracco (che ben conosciamo per la sua militanza nei Consummatum Est e nei Vidharr), costituiscono un indizio eloquente su quanto la band si muova con traiettorie oblique che attraversano le diverse sfumature della musica più oscura.
Non a caso mi trovo in seria difficoltà nel definire od avvicinare Tetragrammaton ad uno stile musicale ben preciso: probabilmente la base predominante è il doom, ma l’indole progressive e l’elemento psichedelico mescolano costantemente le carte in tavola, sicché l’album finisce per essere, come desiderato dai propri autori, un costante flusso sonoro in cui il basso martellante diviene un minaccioso rombo che, assieme a tastiere dal sapore antico e ad un drumming molto asciutto, funge da sottofondo alle evoluzioni delle due cantanti.
Tetragrammaton trova il suo fulcro nella quarta parte di Adonai, dove in avvio il basso di Niccolò Tricarico ricorda non poco quello di Waters nel finale di Echoes, e nell’intensità spasmodica della conclusiva Yetzirah, essendo i due brani che maggiormente colpiscono, pur essendo tutt’altro che di semplice fruibilità.
Il lavoro, infatti, costringe l’ascoltatore a non abbassare mai la soglia dell’attenzione, perché anche nei rari momenti in cui l’album pare assumere uno schema compositivo più tradizionale, avvicinandosi al doom con voce femminile in stile Jex Thoth, aleggia sempre un sottofondo sonoro che non lascia respiro, tra dissonanze ritmiche e atmosfere cariche di tensione che trova sublimazione nell’efferato growl della Mastracco.
La prestazione dei Riti Occulti è superba e mi costringe a ripetere (non che mi dispiaccia, ma ho sempre più netta la sensazione che sia fatica sprecata) che in Italia l’arte che gravita attorno alla scena metal è più che mai viva e ricca di musicisti ricchi di ispirazione e piglio innovativo. Poi sarò smentito, e ne sarò felice, ma sono sicuro che fuori dai nostri confini una band come questa si è già guadagnata una buona fetta di estimatori, mentre dalle nostre parti lo si può solo sperare .…

Tracklist:
01 – Invocation of the Protective Angels
02 – Adonai I
03 – Adonai II
04 – Adonai III
05 – Adonai IV
06 – Atziluth
07 – Beri’Ah
08 – Yetzirah
09 – Assiah

Line-up:
Serena Mastracco: Harsh Vocals
Elisabetta Marchetti: Clean Vocals
Niccolò Tricarico: Bass
Francesco Romano: Drums
Giulio Valeri: Synthesizers

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