Black Cult – Cathedral of the Black Cult

Satanismo schietto e sincero, brado e allo stato puro, senza troppi fronzoli evocativi

Un full length firmato col sangue dal duo croato, composto da undici tracce, tecnicamente perfette.

Dai tempi dei Rotting Christ, l’Europa ha riscattato nell’area mediterranea la scena black e death, in risposta alla matrice scandinava. Le prime tracce danno solamente l’idea vaga di quanto ci aspetta per un’ora. Godibile, tuttavia, e di facile ascolto, la sequenza dei brani crea un’amalgama sonora che fa da collante tra un brano e l’altro. Insanus (Czaar) e Morbid (Gorthaur’s Wrath) danno vita a questo progetto nel 2013 con un demo ed oggi si apprestano a perfezionarsi con l’aggiunta di nuovi membri alla line up. Mayhem, Emperor e Satyricon fanno da padrini in qualità alle scelte stilistiche della realizzazione, resa peculiare dai riff e dagli assoli mai banali, e dai contrasti tra voce pulita e growling intimidatori. L’uscita della clip di The Witches Dance conferma nel tutto la loro posizione: satanismo schietto e sincero, brado e allo stato puro, senza troppi fronzoli evocativi. Siamo nei meandri infernali di un dogma che non ha ancora fine, prendendo per buono che a lungo andare diventerà una propaganda fatta a suon di musica.
Dieci tracce da urlo che danno filo spinato e nodi da torcere con momenti prog alternati a puro raw e a passaggi melodici. Kingdom of the Worm fa felici tutti i fans dei Motorhead a scapito di una versione ancora più inscatolata e affilata dal taglio grim. La Croazia, insomma, come ci piace immaginarla: una miniera ancora florida che fa da contraltare alla Norvegia.

TRACKLIST
1 Black Cathedral
2 Worship the Beast
3 Dark Matter
4 Untill the Devil takes Us
5 The Witches Dance
6 Hyerophant
7 Undeath
8 Gaze the insanity
9 Ego te Absolvo
10 Kingdom of the Worm

LINE-UP
Morbid – voce,
Insanus – batteria,
The Fallen – chitarra solo,
Azaghal – chitarra ritmica,
Lesovik – basso

BLACK CULT – Facebook

Havukruunu – Rautaa Ta Julta

Rutaa Ta Julta è un disco magnifico e magnificente, e i boschi finlandesi sanguinano ancora.

Quando arriva del metal dalla Finlandia difficilmente non è buono, e questo disco ne è la conferma.

Acciaio e fuoco, questa è la traduzione italiana del titolo, che rappresenta alla perfezione ciò che vuole dire il disco. Questo duo inanella un canzone clamorosa dietro l’altra parte, usando vari stili soprattutto il black metal, ma riuscendo a trasmettere veramente lo spirito del nero metallo. Ogni traccia è notevole, ogni giro di chitarra è buttato in faccia a chi ascolta, la batteria miete vittime, ma poi come estranei nelle radure ecco un lento giro di morte che si avvicina, per poi riprendere velocità.
Questo disco è il luna park per gli amanti del black, almeno per quelli con una mentalità vogliosa di assorbire vibrazioni leggermente differenti dalle solite. Rautaa Ta Julta è un disco magnifico e magnificente, e i boschi finlandesi sanguinano ancora.

TRACKLIST
1.Pakkanen
2.Rautaa ja Tulta
3.Musta Yö
4.Ne Salaperäiset
5.Valhallan Portit
6.Verta ja Tuhkaa
7.Maat Mennyttä Soi
8.Surmatuli
9.Joka Puun Takaa
10.Maan Alainen

LINE-UP
Humö – Voice, Bass Guitar.
Stefan – Voice, Guitars & Percussion

HAVUKRUUNU – Facebook

Lebensnacht – A Raging Storm of Apocalypse

Se mai Mike Oldfield componesse un disco black metal, ecco come sarebbe il risultato

L’idea base è quella della fine di un viaggio per mare, visto che la copertina, assieme all’ intro Dark clouds gather, provocano un funesto sentire nel quale perdersi è l’unico modo per sopravvivere.

Grim alternato a stacchi puramente cascadian, riempiono la sorte di chi non soddisfatto continua l’ascolto con la seconda traccia The End is Near e, finalmente sceso dalla zattera , si accinge incerto a muovere i primi passi in questa foresta desolata . Lebensnacht ricorda Morgul nella scelta dei testi e quindi le tonalità aperte, per quanto semplici all’ascolto, che hanno un nucleo freddo e pronto a spiazzare in ogni momento. Tralasciando la terza traccia, che ha comunque un suo fascino, lascerei cadere l’accento su quanto segue, From fire to ice, il vero concept probabilmente dell’intero disco, per struttura e composizione del brano che mostra un interesse sibillino per il mutamento alchemico. Anche accendere un fuoco da naufraghi può riportare a lidi ben distanti dall’isola alla quale siamo approdati, meno tropicale, più siderale. Gli elementi sono due finora, quindi: acqua e fuoco. E cosa ci aspetteremo se non aria e terra? Decisamente scontato, al buio possiamo solo contemplare cosa c è attorno a noi, e dal basso. Il vuoto stellare fatto di piccoli insignificanti puntini che tornano sublimi ad una seconda occhiata, quando appunto il fuoco è diventato cenere e quindi ghiaccio. Il rituale è quasi concluso, con l’invocazione avvenuta in The Gate has opened, di lovecraftiana memoria, dove le tastiere evocano qualcosa di estremamente tragico e non reversibile. Into the cosmic eternity chiude a lutto la disperazione che celava forse l’unica possibilità ciclica di speranza, in un viaggio che, come scritto nell’inciso, non ha null’altro che memoria ciclica. Trionfale, seppure con qualche ascolto in più, ma per essere il quarto opus della serie, A Raging Storm of Apocalypse vince quanto di medio passa oggigiorno. Consigliato l’ascolto durante l’estate, nonostante la produzione sia figlia di un inverno ormai passato.

TRACKLIST
1.Dark Clouds Gather
2.The End Is Near
3.The Storm
4.From Fire To Ice
5.Frostbitten Ashlands
6.The Gate Has Opened
7.Into Cosmic Eternity

LINE-UP
Robert Brockmann – chitarra, tastiere, voce, suoni digitali
Martin “Lord Skull” Krell – batteria

LEBENSNACHT – facebook

Morth – Towards the Endless Path

Lungo ed epico viaggio nel black metal dal taglio melodico, l’album si sviluppa per più di un’ora immerso nel leggendario mondo di una terra di mezzo raccontata attraverso lunghi mid tempo tastieristici

Morth è il monicker di questa one man band attiva dal 2002 proveniente dalla Bulgaria e fondata dal polistrumentista Erilyne, musicista attivo in molte band della scena estrema del suo paese.

Towards The Endless Path è il primo full length e segue il demo uscito un paio di anni fa e che ha dato il via alla discografia di Morth.
Lungo ed epico viaggio nel black metal dal taglio melodico, l’album si sviluppa per più di un’ora immerso nel leggendario mondo di una terra di mezzo raccontata attraverso lunghi mid tempo tastieristici, con la gracchiante voce di questo menestrello del male ed accompagnata da un’aura epica.
Il musicista bulgaro se la cava sia con gli strumenti che con un songwriting che pur essendo prolisso mantiene una buona tensione e non stanca.
Qualche lacuna in fase di produzione non inficia la riuscita globale dell’album che alterna black, heavy e dark metal con buona ispirazione.
Orchi, maghi e stregoni ci attendono tra le montagne incantate di questa terra di fantasia, tra valli verdeggianti e cime innevate, il mood dell’album riporta alla mente opere come Il Signore Degli Anelli o Il Trono Di Spade, mondi di guerre, magia e lotte secolari tra il bene ed il male.
La sei corde richiama l’heavy metal classico, qualche rallentamento atmosferico il dark metal, mentre le sempre presenti armonie tastieristiche danno al sound un taglio epico ed oscuro.
I brani superano per gran parte i dieci minuti di durata, perciò l’ascolto necessita di concentrazione e l’album più giri nel lettore per essere fatto proprio, ma il risultato è soddisfacente, specialmente per gli amanti del genere.
Mortiis, Summonning ed Immortal sono i gruppi che maggiormente escono dai solchi di brani dalla riuscite atmosfere epic fantasy come Dark Dawn Arise, Shadows from Ancient Battles e Towards the Endless Path of War; non fatevi spaventare dalla durata dell’opera e provate ad immergervi nel mondo di Morth.

TRACKLIST
1. Cold Moonlight Mysticism
2. Dark Dawn Arise
3. Echoes of Ancient Winds
4. Shadows from Ancient Battles
5. The Black Fog of Times
6. Towards the Endless Path of War

LINE-UP
Erilyne – All instruments, Vocals

MORTH – Facebook

Mesarthim – Isolate

Isolate è un’opera senz’altro leggera ma, nonostante questa sua levità, i Mesarthim riescono per lo più a non rifugiarsi in soluzioni melodiche troppo banali

Il duo australiano denominato Mesarthim, con questo primo album contraddistinto da un sound atmosferico spruzzato di black metal, offre uno spaccato musicale invero molto gradevole.

Lo screaming in sottofondo ed una base ritmica accelerata non varranno certo ad ottenere i favori dei blacksters più puri, ma resta inconfutabile il fatto che le melodie prodotte in Isolate siano davvero belle, per quanto semplici nel loro reiterarsi all’interno dei pezzi.
I titolo dei brani e la stessa copertina offrono l’idea di armonie dal respiro cosmico e Interstellar ne costituisce l’emblema in quanto esempio meglio riuscito, laddove la linea melodica resta impressa non solo per la sua linearità ma, anche e soprattutto, per il suo fluido integrarsi con le asprezze metalliche, che comunque restano sempre in secondo piano.
L’unico rischio di una simile operazione, però, è quello di spingere questo incedere soave delle note fino ai pericolosi confini delle melensaggine, andando a lambire talvolta i territori del neoclassicismo formato “famiglia del Mulino Bianco” in stile Allevi, nonostante le asprezze ritmiche e vocali.
Isolate è un’opera senz’altro leggera ma, nonostante questa sua levità, i Mesarthim riescono per lo più a non rifugiarsi in soluzioni melodiche troppo banali, portando l’ascoltatore ad armonizzarsi con un mondo circostante che, per chi è stato dotato suo malgrado da madre natura di una sensibilità superiore alla media, si dimostra un involucro sempre meno accogliente.

Tracklist:
1. Osteopenia
2. Declaration
3. Interstellar
4. Abyss
5. Floating
6. Isolate

MESARTHIM – Facebook

Wisdom Of Shadows – Sciah Vosieni

Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità, che forse potrebbero aumentare numericamente se la proposta venisse leggermente differenziata

Il duo bielorusso Wisdom Of Shadows si è affacciato sulla scena con una certa decisione all’inizio del 2015, praticamente con un’uscita al mese fino a maggio: Sciah Vosieni è, tra queste, la seconda su lunga distanza, almeno nominalmente vista la durata di entrambe di poco superiore alla mezz’ora.

Detto questo, l’atmospheric black proposto da questa coppia di musicisti è tutt’altro che trascurabile: belle orchestrazioni, un sound a tratti epico, a volte maestoso, ma sempre con una punta di algida malinconia; Sciah Vosieni non rappresenta qualcosa di nuovo ma neppure di così troppo scontato, e per di più viene eseguito con una buona proprietà e sufficiente personalità.
L’album, anche se tecnicamente non lo sarebbe, di fatto possiede un impronta prevalentemente strumentale, visto che le vocals di Deni Dark restano troppo in sottofondo, rivelandosi un minaccioso rantolo in lontananza che integra senza disturbare l’incedere delle belle melodie prodotte da Erebor.
D’altra parte, la lunghezza più appropriata a quella di un ep si traduce in un vantaggio, stante un pizzico di ripetitività dei temi portanti, che si traduce in un peccato solo veniale grazie alla loro efficacia ed evocatività.
Personalmente questa è una soluzione che apprezzo molto, catalogabile come una forma meno introspettiva della musica ambient, con la quale ha in comune una sua collocazione ideale in sottofondo, alla luce di sonorità suadenti ma non banali, pur se memorizzabili.
Sciah Vosieni è un lavoro tutto sommato affascinante, con diversi picchi di intensità che, forse, potrebbero incrementarsi se la proposta venisse leggermente differenziata e gli Wisdom Of Shaodws la rendessero meno dispersiva, raggruppando il materiale composto in poche e mirate uscite.

Tracklist:
1. U Abdymkach Sonca (Intro) (In Embrace of Sun)
2. Sciah Vosieni (Flag Of Fall)
3. Razvitannie z Zimoj (Farewell to Winter)
4. Piesnia Viatrou (Song Of Winds)
5. Pa-Za…(Outro) (Outside)

Line-up:
Erebor
Deni Dark

WISDOM OF SHADOWS – recensione

Wildernessking – Mystical Future

Mystical Future è molto vicino allo stato dell’arte dell’atmospheric/post black attuale, e il fatto che tutto ciò provenga da una nazione al di fuori della consueta cerchia, è un’ulteriore conferma dell’universalità della musica, in ogni sua forma e stile.

L’allargamento geografico del metal e di tutti i suoi sottogeneri è un fatto consolidato, ma fino ad oggi il Sudafrica, nonostante gli ovvii e pesati influssi culturali provenienti dall’Europa, non aveva ancora prodotto realtà davvero significative, almeno in ambito più estremo.

I giovani Wildernessking arrivano a spezzare questo trend con un album di grande spessore, pressoché perfetti nel loro rielaborare la materia black metal addomesticandola a pulsioni melodiche e malinconiche.
Dopo un già apprezzato album d’esordio datato 2012, il quartetto di Città del Capo ritorna in questi primi giorni dell’anno nuovo con Mystical Future, offerto al pubblico anche in una accattivante versione in vinile a tiratura limitata (500 copie a< cura della Sick Man Getting Sick Records), oltre che nell’immarcescibile formato in musicassetta (Monotonstudio Records) ed il più canonico cd (Les Acteurs de l'Ombre Productions) Il disco presenta circa tre quarti d’ora di musica spalmata su 5 brani nei quali, il virtuale isolamento dei nostri rispetto alle scene principali, pare aver consentito loro di sviluppare una forma del tutto personale nell’approcciare la materia, per quanto l’etichetta post black alla fine le calzi a pennello. In fondo un ascoltatore distratto potrebbe sostenere che in Mystical Future non c’è nulla di più oltre ad una sapiente alternanza tra sfuriate black ed ariose e liquide aperture melodiche, ma in realtà la differenza i Wildernessking, rispetto a molte altre band dedite al genere, riescono a farla riducendo al minimo i passaggi interlocutori, quelli che spesso si rivelano solo uno stratagemma per allungare il brodo fino a riempire il piatto fino all’orlo.
Così, Wild Horses e I Will Go To Your Tomb si snodano nel loro andamento oscillante tra pulsioni oniriche e repentine iniezioni di vetriolo, mentre To Trascend è placida come una superficie lacustre, increspata di tanto in tanto da minacciose voci in sottofondo.
Il lato B del vinile presenta With Arms Like Wands, il brano che i Wildernessking hanno scelto come singolo e che, come spesso accade, è il più canonico del lotto, senza che ciò significhi che non sia all’altezza della situazione, e la lunga If You Leave, conclusivo manifesto musicale della band sudafricana, in cui una prima parte contraddistinta da una soave voce femminile viene progressivamente sovrastata da una robusta progressione melodica, per poi cambiare ulteriormente e poi ancora, in un saliscendi emotivo che definisce ampiamente il livello raggiunto da questi quattro ragazzi.
Mystical Future è molto vicino allo stato dell’arte dell’atmospheric/post black attuale, e il fatto che tutto ciò provenga da una nazione al di fuori della consueta cerchia, è un’ulteriore conferma dell’universalità della musica, in ogni sua forma e stile.

Tracklist
Side A
1. White Horses
2. I Will Go to Your Tomb
3. To Transcend
Side B
4. With Arms like Wands
5. If You Leave

Line-up:
Dylan Viljoen – Guitars
Jason Jardim – Drums
Jesse Navarre Vos – Guitars
Keenan Nathan Oakes – Bass, Vocals

WILDERNESSKING – Facebook

Chiral – Night Sky

La musica di Chiral penetra nell’anima principalmente in virtù della sua grande forza evocativa.

Ho avuto la fortuna di conoscere questo splendido progetto denominato Chiral fin dai suoi primi passi e, forse anche per questo, l’ascolto di ogni nuova uscita avviene con un approccio meno asettico di quanto possa accadere con altre produzioni.

Di certo quest’attenzione è del tutto meritata: dopo l’esordio su lunga distanza “Abisso”, che metteva subito il luce le gradi potenzialità di Chiral, lo split album con HaatE confermava quanto di buoni era stato detto in precedenza, grazie ad un brano magnifico come “Everblack Fields of Nightside”.
Un certo estremismo black affiorato nel successivo split “Sed Auis” poteva far pensare ad un progressivo indurimento del suono mentre ciò che avviene è esattamente il contrario: Night Sky costituisce un passo avanti decisivo, con il quale il musicista piacentino esibisce senza più remore e con minori retaggi estremi le proprie malinconiche e melodiche pulsioni.
My Temple of Isolation profuma intensamente di Agalloch, ed è un bell’effluvio visto che parliamo di una band unica che, proprio per questa sua peculiarità , raramente viene omaggiata con la stessa proprietà qui esibita: nei dieci minuti tondi del brano, l’impronta folk – post metal della band statunitense viene rielaborata con competenza e, soprattutto, con la giusta componente emotiva.
La successiva Nightside I: Everblack Fields è di fatto una nuova versione del brano presente nel già citato split “Where Mountains Pierce The Nightsky”, con il tema portante che riprende peraltro il brano di apertura di Abisso, “Atto I: Disceso Nel Buio”: se la riproposizione di frammenti utilizzati in precedenti occasioni potrebbe sembrare una carenza di ispirazione, denota invece la volontà di Chiral di rendere tutti i propri lavori un continuum in costante evoluzione, un corpo unico capace di espandersi mantenendo ben saldi i canoni stilistici che l’hanno ispirato.
Dopo esser stati cullati per quasi venti minuti da una musica a tratti sognante, Nightside II: Sky Wonder non giunge certo ad interrompere bruscamente la piacevole attività onirica: un’altra linea melodica apparentemente semplice rapisce e conquista per un ulteriore quarto d’ora.
Il breve strumentale acustico The Morning Passage introduce la conclusiva Beneath the Snow and the Fallen Leaves, traccia dalle atmosfere maggiormente inquiete e meno immediate, più orientate a sonorità vicine ai Wolves In The Throne Room che non ai Lustre, altro importante punto di riferimento per Chiral rinvenibile nelle due Nightside. Con questo brano veniamo così strappati ai suoni più morbidi che ci hanno cullato nella parte iniziale del lavoro, quasi a ricordarci la matrice black del progetto, pur con tutte le sue molteplici sfaccettature.
Questa recensione esce nello stesso giorno di quella, sempre scritta da me, riguardante l’ultimo album dei TesseracT: laddove troviamo l’attenzione spasmodica per i  particolari, la ricerca ossessiva del tecnicismo e della pulizia del suono, qui invece abbiamo una musica che penetra nell’anima principalmente in virtù della sua forza evocativa, e le sue piccole imperfezioni formali si rivelano del tutto insignificanti se considerate nell’intero contesto.
Superfluo aggiungere quale preferisca tra questi due modi di intendere e di vivere la musica ….

Tracklist:
1. My Temple of Isolation
2. Nightside I: Everblack Fields
3. Nightside II: Sky Wonder
4. The Morning Passage
5. Beneath the Snow and the Fallen Leaves

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

Old Graves – This Ruin Beneath Snowfall

“This Ruin Beneath Snowfall” è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico.

Breve Ep d’esordio per Old Graves, ennesimo progetto solista dedito al black metal atmosferico.

Colby Hink è canadese e, tutto sommato, nella sua musica confluiscono in maniera sensibile le emozioni ed il senso di sgomento che gli splendidi scenari paesaggistici offerti del suo paese riescono ad indurre, in chiunque sia conscio della propria sostanza infinitesimale rispetto alla maestosità della natura.
Se il sound porta con sé una brezza tenue ma gelida, d’altra parte possiede anche un respiro più ampio che conduce la mente in spazi sterminati in cui l’uomo è (non sempre gradito) ospite.
Il lavoro è molto breve ma fa intuire l’innata predisposizione di Colby nel produrre atmosfere malinconicamente evocative, pur nella loro semplice struttura. In particolare brilla, baciata da una linea melodica davvero splendida, Hang My Remains from the Crescent Moon, ma Dawn Treader e la title track non sono in fondo da meno, andando a costituire un quadro dall’impatto emotivo non sempre riscontrabile in simili occasioni.
Lo screaming è nella norma ma ha il pregio di non risultare fastidioso, anche se in fase di produzione è stato come da copione del genere seppellito dagli altri strumenti, specialmente quando tutti si muovono all’unisono nell’edificare un muro sonoro avvolgente.
Il musicista nordamericano dimostra buon gusto e talento anche nelle parti acustiche e più riflessive, nelle quali la componente ambient viene sempre e comunque asservita ad un costruzione melodica logica e lineare, che include la presenza di assoli chitarristici di buon pregio.

This Ruin Beneath Snowfall è una delle cose migliori ascoltate quest’anno in ambito black atmosferico: di solito con gli Ep tendo a non sbilanciarmi con le valutazioni ma, in questo caso, mi sento di scommettere senza alcuna remora su una qualità compositiva che non può essere né casuale né transitoria.

Tracklist:
1. Kestrel
2. Dawn Treader
3. Hang My Remains from the Crescent Moon
4. This Ruin Beneath Snowfall

Line-up:
Colby Hink – All instruments

OLD GRAVES – Facebook</>

HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook

Solitvdo – Immerso In Un Bosco Di Querce

Un lavoro capace di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore

Dopo aver parlato nei mesi scorsi di due ottime uscite in ambito estremo provenienti dalla Sardegna, Infamous e VIII, oggi è il turno di un altro musicista isolano, Daniil (accreditato nel lavoro come DM), con il suo progetto Solitvdo.

A differenza di quello dalle sfumature depressive dei primi oppure virato verso sonorità death dei secondi, qui il black metal si accompagna ad atmosfere più melanconiche e, a tratti, ambient, raggiungendo vette di lirismo per certi versi sorprendenti.
L’utilizzo della lingua italiana e la solennità che ne pervade diversi passaggi, rendono il lavoro dei Solitvdo parzialmente accostabile a quello degli Abbas Taeter di Mancan ma, indubbiamente, rispetto all’opera del musicista lucano, prevale un’aura maggiormente introspettiva.
Immerso In Un Bosco Di Querce possiede, tra le sue peculiarità, liriche redatte in uno stile elegiaco che contribuisce ad ammantare di un fascino antico tracce dalle eccellenti linee melodiche: il risultato è un lavoro privo di sbavature (se escludiamo la registrazione della voce che poteva essere messa maggiormente in evidenza) e capace di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore grazie a una scrittura mai scontata da parte dell’ottimo Daniil.
L’incipit sinfonico di Alba… introduce ad un brano come …Rivolta! che mostra senza indugi le doti del musicista sardo, un classico mid-tempo che si apre nella sua fase centrale in una parte strumentale di rara bellezza, per poi chiudersi con una sezione chitarristica di matrice classica.
La title-track è, invece, l’istantanea in grado di rappresentare al meglio la sensibilità compositiva di Daniil, riversata in una decina di minuti nei quali vengono condensate le coordinate musicali e filosofiche dell’intero lavoro, tra accelerazioni, momenti acustici e dolenti melodie, a fungere da tappeto per i poetici testi declamati con uno screaming non troppo aspro e sufficientemente intelligibile.
Altvm Silentivm è un elegante interludio ambient folk che porta alle due tracce conclusive (Al Tramonto Il Cielo In Fiamme e Nella Solitudine Il Divino), le quali, nonostante i 25 minuti complessivi di durata, non mostrano cali qualitativi evidenziando, al contrario, passaggi di rara bellezza, rivelandosi così la degna conclusione di un lavoro che, per il momento, è stato pubblicato in sole 48 copie dalla Eremita Produzioni nel formato tape, ma per il quale è prevista a dicembre l’uscita in digipack sotto l’egida della Naturmacht.
Solitvdo, in fondo, non rappresenta solo il monicker scelto per il progetto ma definisce anche un modus operandi sempre più in auge, che vede musicisti dediti a svariati generi scegliere di operare in totale autonomia, perdendo forse qualcosa, rispetto alle band classiche, a livello di reciproco scambio di idee e di ricchezza a livello strumentale, ma guadagnando altrettanto in libertà artistica e consentendo una più efficace focalizzazione degli obiettivi che si intendono raggiungere.
Un’opera come Immerso In Un Bosco Di Querce mette in luce i lati positivi di questa scelta senza alcuna controindicazione; fate vostro questo lavoro, nel formato che più vi aggrada, ne vale davvero la pena.

Tracklist:
1.Alba…
2…Rivolta!
3.Immerso In Un Bosco Di querce
4.Altvm Silentivm
5.Al Tramonto Il Cielo In Fiamme
6.Nella Solitudine Il Divino

SOLITVDO – Facebook

Chiral – Abisso

Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Chiral è un giovane musicista piacentino che, con Abisso, mostra senza indugi il suo intento di proporre musica in grado di coniugare le ruvidezze e le ritmiche del black, la disperazione del depressive ed il malinconico gusto melodico di un progressive dai tratti ovviamente piuttosto cupi.

Abisso è un EP che arriva ad un anno di distanza dal demo “Winter Eternal” e, considerando che il progetto Chiral è di nascita recente, stupisce ancor di più la qualità messa in mostra in questa occasione.
Il lavoro è un breve concept incentrato sulle reazioni di una persona messa di fronte alla cruda realtà di dover affrontare la tragedia di una malattia incurabile e sulle nefaste conseguenze che ciò provoca anche a livello psichico, fino all’approssimarsi dell’atto conclusivo.
In questo senso le tematiche trattate non sono una novità (al riguardo vi invito a riscoprire il magnifico “The Incurable Tragedy” degli Into Eternity) ma spicca fin da subito l’abilità di Chiral nel tratteggiare i singoli momenti del racconto, alternando momenti di rabbia, dolore e disperazione ben rappresentati dalle diverse sfumature stilistiche esibite nelle diverse circostanze.
Abisso è diviso in due atti: il primo introduce in maniera efficace l’ascoltatore in questo riuscito melange emozionale con Disceso Nel Buio e Oblio, prima che la title-track apra il secondo ergendosi a brano guida ed autentica perla, nella quale le accelerazioni del black lasciano ancor più spazio a momenti di grande pathos creati dal lavoro chitarristico di Chiral, che privilegia l’impatto e l’intensità rispetto al puro sfoggio di tecnica: mai come in questo caso l’etichetta progressive affibbiata al nostro si rivela agli antipodi di una sterile e solo formale vena sperimentale.
Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Tracklist:
1. Atto I: Disceso Nel Buio
2. Atto I: Oblio
3. Atto II: Abisso
4. Atto II: In Assenza

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

The Committee – Power Through Unity

Al netto delle tematiche trattate, quest’esordio dei The Committee è uno dei migliori che mi sia capitato di ascoltare in questa prima metà del 2014 e, alla fine, questo è ciò che più conta.

Una copertina a dir poco sospetta e molti altri particolari inerenti questa band potrebbero scoraggiare l’ascolto da parte di chi cerca di tenersi alla larga da dischi che possano, in qualche modo, mostrare un preciso schieramento degli autori a livello ideologico.

Passando al vaglio tutti gli aspetti, dalla grafica ai testi, istintivamente verrebbe da collocare questa band, che ha la propria base operativa in Belgio, piuttosto a destra ma, al riguardo, i The Committee dichiarano di essere apolitici, essendo il loro unico intento quello di dare una voce ai morti, in particolare a quelli che, nelle diverse guerre che hanno insanguinato l’Europa negli ultimi cent’anni, si sono trovati dalla parte degli sconfitti. A questo punto devo necessariamente fidarmi del russo Igor Mortis e soci (tutti provenienti da nazioni differenti), perché, fortunatamente, per farmi ricredere mettono sul piatto un argomento potentissimo quale è la musica, che giunge a spazzare via buona parte delle remore nell’avvicinamento a questo disco. Power Through Unity, infatti, è uno splendido album a base di un black doom dai toni perennemente drammatici e solenni, come impone del resto la scelta lirica della band che verte essenzialmente su una rilettura dei momenti più tragici della storia russa dalla rivoluzione in poi. Una produzione impastata il giusto, che forse toglie limpidezza ai suoni rendendoli nel contempo ancora più cupi, una scelta stilistica che predilige ritmi medi o rallentati, e brani che mantengono sempre alta una certa tensione emotiva, sono le caratteristiche peculiari di un lavoro che, indubbiamente, si rivela una piacevole sorpresa, presentando al suo interno due episodi formidabili per intensità quali By My Bare Hands e The Last Goodbye, entrambi pesantemente influenzati dal doom, ma senza che per questo il resto della tracklist sia trascurabile: Not Our Revolution e The Man of Steel sono due mid-tempo di grande spessore, nei quali i The Committee si muovono come una sorta di versione raffinata degli Immortal, con le chitarre a tessere con il caratteristico tremolo linee melodiche di sicuro coinvolgimento. Non da meno neppure Katherine’s Chant, che nella parte finale riprende la melodia dell’omonimo e notissimo canto popolare sovietico, mentre Power Through Unity costituisce l’emblema dell’auspicata coesione tra i popoli russi e germanici, riuscendo a inserire in maniera efficace i temi portanti dei due inni nazionali all’interno della canonica struttura black. Il tema della riscrittura della storia a seconda di chi sia il detentore del potere è sicuramente sempre attuale (e noi italiani lo sappiamo molto bene), così come è altrettanto evidente che i punti di vista possano cambiare, a seconda del vissuto delle popolazioni coinvolte e, in ogni caso, penso che nessuno possa avere qualcosa da eccepire sulla condanna delle atrocità subite dai deportati nei gulag o sulla commiserazione delle vittime delle guerre; detto questo, ribadisco che questo album d’esordio dei The Committee, al netto delle tematiche trattate, è comunque uno dei migliori che mi sia capitato di ascoltare in questa prima metà del 2014 e, alla fine, questo è ciò che più conta.

Tracklist:
1. Not Our Revolution
2. The Man of Steel
3. By My Bare Hands
4. The Last Goodbye
5. Katherine’s Chant
6. Power Through Unity

Line-up:
Marc Abre – Bass, Backing Vocals
William Auruman – Drums, Percussion
Aristo Crassade – Guitars, Backing Vocals
Igor Mortis – Vocals, Guitars

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Árstíðir Lífsins – Þættir úr sǫgu norðrs

Ciò che maggiormente colpisce, in “Þættir úr sǫgu norðrs”, è la profondità della musica proposta, capace di riprodurre con rara efficacia il carattere ancestrale di poemi composti in epoche così lontane dalla nostra.

Abbiamo fatto la conoscenza di questa ottima band nel 2012 in occasione dello split album con gli Helrunar, Fragments: A mythological Excavation.

Dopo qualche tempo senza dare notizie e con una formazione ridotta a trio, che vede i tedeschi Stefán (Kerbenok) e Marsél (Helrunar) e l’islandese Árni (Dysthymia), dopo la fuoriuscita di un membro storico quale Georg, l’interessante combo si ripresenta con questo mini cd che trae ispirazione da due diversi poemi islandesi risalenti al decimo secolo. Come è facilmente intuibile, il black degli Árstíðir Lífsins possiede un marcato tratto epico e certamente l’utilizzo di testi cantati nell’antico idioma isolano ne accentua tale caratteristica.
Nel contempo, la componente tedesca della formazione indubbiamente caratterizza a modo suo il sound della band conferendogli quindi anche una particolare aura di algida solennità.
I due primi brani sono di fatto contigui oltre che ispirati allo stesso poema, mentre del tutto diversa è la terza traccia, molto teatrale e caratterizzata da parti corali e sinfoniche, sicuramente lontana da qualsiasi sfumatura estrema.
Il lavoro è piuttosto breve, poco più di 25 minuti, ma è fuori discussione che l’accoppiata iniziale costituisca un qualcosa che non è ascoltabile tutti i giorni per intensità e coinvolgimento emotivo (anche se su piani stilistici leggermente differenti, siamo molto vicini ai migliori Lunar Aurora, mentre Hrafns þáttr réttláta è un brano per iniziati che esula decisamente dal contesto introdotto dalle due parti di Þórsdrápa.
Ciò che maggiormente colpisce, in Þættir úr sǫgu norðrs, è la profondità della musica proposta, capace di riprodurre con rara efficacia il carattere ancestrale di poemi composti in epoche così lontane dalla nostra.
Per una band che è ormai garanzia di elevata qualità una splendida prova, capace di lenire l’attesa per un nuovo album che, si spera, non si faccia attendere ancora per troppo tempo.

Tracklist:
1. Þórsdrápa I
3. Þórsdrápa II
3. Hrafns þáttr réttláta

Line-up :
Stefán: Guitars, bass, vocals & choirs
Árni: Drums, double bass, viola, vocals & choirs
Marsél: Storyteller, vocals & choirs

Guests;
Sveinn: Horn, keyboards & effects
Bjartur: Viola

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Helrunar / Árstíðir Lífsins – Fragments: A Mythological Excavation

“Fragments: A Mythological Excavation” è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Fragments: A Mythological Excavation è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Parliamo degli Helrunar, senz’altro più noti anche perché attivi da ben oltre un decennio, anch’essi tedeschi, e degli Árstíðir Lífsins, combo dalla formazione recente che racchiude musicisti provenienti da diverse nazioni del nord Europa: li accomuna, oltre il genere suonato, anche una passione e una conoscenza tutt’altro che superficiale della mitologia nordica (e non solo, come vedremo).
Entrambe dedite a una forma di black epico, atmosferico e dalla forte componente etnica, le due band colgono questo occasione per presentare ognuna un lungo brano che ne ribadisce una volta di più le capacità già espresse in passato.
Lo split si apre con Wein Fur Polyphem degli Helrunar, i quali , attraverso il proprio leader Skald Draugir, spostano la loro attenzione verso la mitologia mediterranea, affrontando quello che probabilmente ne è il poema più conosciuto, l’Odissea. Il brano è un perfetto esempio di musica colta ed evocativa a 360 gradi: nel suo quarto d’ora si alternano parti corali, passaggi di enorme impatto caratterizzati da riff, ora chirurgici, ora capaci di evocare il fascino mai sopito delle gesta di Ulisse e dei suoi compagni di avventura.
Gli Árstíðir Lífsins, se come già detto si possono considerare in qualche maniera appartenenti allo stesso filone dei propri compagni di split, in realtà spostano ancora più l’asticella verso il lato maggiormente malinconico e sinfonico del genere; intendiamoci, qui non abbiamo a che fare con tastiere bombastiche bensì con strumenti classici che si integrano alla perfezione con le sfuriate di matrice black. Ammetto colpevolmente di non conoscere quanto composto in passato da questa magnifica band, ma il livello compositivo di Vindsvalarmál è tale da indurmi a pensare d’essermi perso qualcosa di importante.
In questi venti minuti la band condotta dal polistrumentista Stefan ci conduce per mano nel mondo dei miti norreni e il tutto avviene con la competenza e la cognizione di causa che proviene solo da uno studio approfondito della materia (lo stesso vale anche per Skald Draugir): tutto ciò trova nella musica il suo naturale sbocco rendendo questo brano una vera e propria perla, superiore al già di per sé notevole contributo degli Helrunar.
Devo dire che ho sempre considerato gli split album alla stregua di opere minori e dal carattere un po’ dispersivo, ma non posso che approvare al 100% quest’operazione, che ci consegna mezz’ora abbondante di ottima musica, oltre ad aumentare l’attesa per le prossime uscite su lunga distanza delle due band.

Tracklist :
1. Helrunar – Wein für Polyphem
2. Árstíðir Lífsins – Vindsvalarmál

Line-up :
Helrunar:
Skald Draugir – Vocals
Alsvartr – Drums, Bass
Discordius – Guitars, Vocals

Árstíðir Lífsins:
Stefán – Guitars, bass, vocals & choirs
Árni – Drums, viola, double bass, vocals & choirs
Georg – Vocals & choirs
Marsél – Vocals & choirs
Sveinn – Piano, keyboards & effects
Kristófr – Percussions & choirs
Tómas – Choirs
Teresa – Vocals
Kristín – Organ

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Lord Agheros – Demiurgo

Lord Agheros si muove su terreni contigui al black metal nella sua versione più atmosferica, ma va detto che l’etichetta BM applicata a questo progetto può essere fuorviante considerato che i momenti dall’andamento più impetuoso sono in netta minoranza rispetto alla componente ambient

Quello di Lord Agheros è un nome in circolazione ormai da un lustro, nel corso del quale il musicista catanese Gerassimos Evangelou, unico titolare del progetto, ha prodotto quattro album, ultimo dei quali l’appena pubblicato Demiurgo, oggetto di questa recensione.

Il nostro si muove su terreni contigui al black metal nella sua versione più atmosferica, ma va detto che l’etichetta BM applicata a questo progetto può essere fuorviante considerato che i momenti dall’andamento più impetuoso sono in netta minoranza rispetto alla componente ambient, che si rivela predominante, in particolare, nella seconda metà del disco. A livello lirico, Demiurgo è un concept dedicato alla nota figura platonica descritta come “artefice e padre dell’universo”; nell’intento di seguire in maniera coerente il filo conduttore del racconto, Lord Agheros rappresenta la contrapposizione tra bene e male, tra notte infernale e notte terrena, suddividendo l’opera in due parti ben distinte dal punto di vista stilistico. Se nella prima, che va da Prologue a Erebo sono maggiormente presenti elementi di matrice black quali blast beats e uno screaming velenoso, nella seconda parte, che prende vita con Nyx, il suono pare acquietarsi assumendo le vere e proprie sembianze di una colonna sonora in stile dark ambient. Per gusto personale ho molto apprezzato il disco proprio nella sua prima parte, almeno fino a Lyssa, grazie alla riuscita amalgama tra le sonorità estreme e le melodie oniriche create da Gerassimos; dalla successiva Letum, traccia che resterà comunque l’ultimo episodio dai tratti parzialmente aggressivi, il lavoro purtroppo perde un po’ della brillantezza mostrata nella sua prima mezz’ora. Detto questo, è innegabile che Demiurgo sia comunque un buon disco, nel quale il musicista siciliano dimostra di saper comporre con padronanza atmosfere sognanti e malinconiche, e costituisce senz’altro un ulteriore passo avanti rispetto al predecessore Of Beauty And Sadness. Ciò che non convince del tutto è proprio, nel caso specifico, il lento ma progressivo affievolirsi dell’impatto sonoro, sia pure in ossequio al tema del concept. Continuo a pensare che la formula adottata nei primi brani dove, come detto, vengono amalgamate con successo le componenti black, sia pure in proporzione ridotta, e ambient, dovrebbe essere quella da perseguire con maggior convinzione; migliorando anche la resa sonora della parte vocale, con uno screaming spesso in secondo piano rispetto agli altri strumenti, un progetto come Lord Agheros potrebbe ambire a raggiungere quell’eccellenza che, in Demiurgo, viene raggiunta solo a tratti.

Track-list :
1.Prologue
2.Eris
3.Styx
4.Thanatos
5.Moros
6.Nemesi
7.Lyssa
8.Letum
9.Erebo
10.Nyx
11.Oizys
12.Emera
13.Geras
14.Lysimele
15.Ker
16.Apate
17.Etere

Line-up :
Gerassimos Evangelou – All Instruments, Vocals