The Big Blue House – Binne My

Binne My è un ottimo ritorno per il gruppo toscano, che replica l’alta qualità della musica contenuta nel debutto dello scorso anno, candidandosi come realtà da seguire con passione da parte degli amanti del rock blues classico.

Capita sempre più spesso (fortunatamente) di occuparci di blues rock, padre di una buona fetta dei generi trattati dalla nostra webzine, e con Binne My ritroviamo una band nostrana, i The Big Blue House dei quali vi avevamo presentato Do It, debutto uscito lo scorso anno.

La band toscana torna dunque a riempire di note le giornate fredde e uggiose di questo primo scorcio del nuovo anno con otto nuovi brani di splendido blues rock, sanguigno e viscerale, elegante ma allo stesso tempo ruvido e maschio: si riaprono le porte della grande casa blu, dove a darci il benvenuto con Liar (scelta dal gruppo come singolo e video) troviamo Danilo Staglianò (voce, chitarra), Luca Bernetti (basso), Sandro Scarselli (tastiere, hammond) e Andrea Berti (batteria).
Blues d’autore ed elettricità rock confluiscono nelle vene e nel sangue di chi ascolta e i temi sono quelli cari alla band: amore con tutti i suoi annessi e connessi già ampiamente sviluppati nel primo lavoro, rifiutare facili compromessi e affrontare le difficoltà e le sconfitte anche con l’aiuto della musica.
Si gira per le stanze della grande casa blu incontrando personaggi e musicisti che sono le ispirazioni del quartetto, con porte che si aprono sulle note di Moments Of Rain, con in evidenza i tasti d’avorio di Sandro Scarselli che sanguinano blues rock, o l’emozionante Black Eyes, ballatona dal lento incedere che lascia spazio al talento di uno Staglianò sulle orme di Gary Moore e Steve Ray Vaughan.
Play This Tune è creata su  un tappeto ritmico coinvolgente, così come The Middle Of Passage torna alle radici del genere e i nostri piedi sono bagnati dall’acqua del grande fiume.
Difficile poi non emozionarsi sulle note tragiche di To Leave This World o su quelle semiacustiche della title track, brano che ricorda i migliori episodi del Clapton solista.
Binne My è un ottimo ritorno per il gruppo toscano, che replica l’alta qualità della musica contenuta nel debutto dello scorso anno, candidandosi come realtà da seguire con passione da parte degli amanti del rock blues classico.

Tracklist
1.Liar
2.Moments Of Rain
3.Black Eyes
4.Playing This Tune
5.The Middle Passage
6.Binne My
7.I’m Not On Sale
8.To Leave This World

Line-up
Danilo Staglianò – Guitar, Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards, Hammond
Andrea Berti – Drums

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://youtu.be/JHam2ha-Kmo

Trevor And The Wolves – Road To Nowhere

Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere.

Album solista per Trevor, il cantante dei Sadist. Trevor And The Wolves è un progetto musicale nato fra le montagne dell’appennino ligure, luoghi al quale Trevor è molto legato.

Lo stile musicale è quello dell’hard rock classico, con incursioni nel blues e qualche intarsio folk. Ascoltandolo si potrebbe dire che assomigli molto alle prime cose degli Ac/Dc, gruppo molto amato dal frontman dei Sadist, ma qui c’è molto di più. Come uno spirito che non veda l’ora di farsi conoscere e di interagire con il mondo, questo Road To Nowhere esplode con forza sotto il nostro sederino, sa di neve, terra fresca e cieli lividi, il tutto condito dalla classe di Trevor e dei musicisti che ha scelto, come si può vedere nel magnifico video diretto da Matteo Siri. Il disco è molto aderente all’ultimo periodo di vita di Trevor, che passa più tempo nei boschi che nelle città, ma questo non è un chiudersi, anzi è un aprirsi alla propria natura. Lungo tutto l’album si percepisce una forza molto possente ma totalmente calma, ed il motivo potrebbe essere la totale sincerità di un lavoro che mostra Trevor per quello che è, senza molte pose o necessità di apparire diverso. Si assapora un gusto di musica vera e sentita, un divertimento nell’essere sé stessi, anche omaggiando un paese lontano ma vicino come la Scozia. La voce di Trevor è in gran forma e fa vedere di cosa sia capace, complice la grande esperienza e la grande forza che ha. La produzione è del sempre magistrale Tommy Talamanca, quindi semplicemente perfetta, facendo risaltare tutto il bouquet del disco. Sentimenti, durezza, amicizia e voglia di prendere la vita dal verso giusto, anche se ciò non è mai semplice. Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere. Alcuni ritornelli sono clamorosi, ma tutto l’album regge davvero molto bene.

Tracklist
1. FROM HELL TO HEAVEN ICE
2. BURN AT SUNRISE
3. RED BEER
4. BLACK FOREST
5. BATH NUMBER 666
6. SPIRITUAL LEADER
7. ROADSIDE MOTEL
8. WINGS OF FIRE
9. LAKE SLEEPING DRAGON
10.UNFORGIVABLE MISTAKE

Line-up
Trevor Sadist – Voice
Francesco Martini – Lead Guitars
Alberto Laiolo – Rhythm Guitars
Aluigi Antonio – Bass
Emanuele Peccorini – Drums

TREVOR – Facebook

The Raz – The Raz

The Ratz centrano il bersaglio al primo colpo , uscendosene con un album hard blues da incorniciare.

La Rockshots  fa il botto con l’esordio di questa straordinaria band statunitense chiamata The Ratz.

I quattro rockers di Columbia centrano il bersaglio al primo colpo , uscendosene con un album hard blues da incorniciare, sanguigno, magico, pregno di quell’attitudine blues che ti avvolge tra le sue spire e come un serpente ti incanta prima di darti l’ultima stretta mortale.
Adam Shealy (batteria), David Scott Mcbee (voce), Nick “Kuma” Meehan (chitarra), Dale “Raz” Raszewski (basso), non inventano nulla, semplicemente prendono in mano gli strumenti e fanno rock come nella migliore tradizione settantiana, ineducato, cattivo, sensuale e sporcato dal blues che fa sanguinare il lettore mentre il dischetto ottico gira impazzito e Black Garden dà inizio alle danze.
Vintage, sicuramente adatta a chi di blues e di hard rock vive già da un po’, è da maneggiare con cura perché questa è la musica del diavolo, quell’insieme di note che fa spogliare fanciulle, svuotare bottiglie di whiskey, lasciare tutto e partire per il mondo accompagnati dalla splendida Different Colored Leaves, o dal riff colmodi groove di Since I Lost You.
Il blues scorre nel corpo di  David Scott Mcbeeed ed esce dalle corde vocal trasformato in urlo animalesco, un ruggito che diventa una tragica e sentita interpretazione nel blues che richiama il miglior Bonamassa di 13 Years, mentre riff zeppeliniani nascono dalla sei corde di Nick “Kuma” Meehan ed il groove si impossessa della sezione ritmica.
My Woman vi tiene per il colletto fino a che Mystery non travolga con una cascata di riff da fare invidia a Led Zeppelin, Bad Company e ai più giovani Black Country Communion.
Il blues in crescendo di What’s Real conclude un album perfetto, nel genere un’autentica sorpresa, suonato e prodotto benissimo, ma cosa molto più importante caratterizzato da una serie di canzoni di livello superiore.

Tracklist
1.Black Garden
2.No One to Blame
3.Different Colored Leaves
4.Since I Lost You
5.13 Years
6.My Woman
7.Mystery
8.No Surprise
9.What’s Real

Line-up
Raz – Bass & Vocals
Nick Meehan – Guitar & Vocals
Adam Shealy – Drums & Vocals
David Scott McBee – Lead Vocals

THE RAZ – Facebook

Drive By Wire – Spellbound

La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e questo disco è un fantastico biglietto da visita.

Tornano gli olandesi Drive By Wire al loro decimo anno di attività, festeggiato con la ristampa su Argonauta Records del loro disco The Whole Shebang.

Il nuovo Spellbound ci mostra il gruppo nel suo massimo splendore, con un suono che è un felice incrocio di desert rock, stoner e molto blues, soprattutto nell’attitudine e nell’incedere. I Drive By Wire fanno molto bene e con più ruvidezza ciò che i Blue Pills hanno portato alla ribalta con il loro suono, e anche gli olandesi hanno una splendida voce femminile a guidarli, quella di Simone Holsbeek, bravissima a coprire una moltitudine di registri, versatile e calda. Il gruppo ci guida nel suo mondo, fatto di mistero, blues e note ruvide, con una voce calda e sognante che ci porta a seguirla sotto la luce della luna, benedicendo il femmineo. Si viene trascinati in questo sabba desertico da una musica che si fonde benissimo con la voce di Simone, e che raggiunge vette che pochi gruppi nel genere hanno saputo toccare. La qualità media del disco è molto alta, le tracce sono legate l’una all’altra non tanto da un concept, quanto da una comune visione che si esplica in una musica fortemente influenzata dal blues. Proprio quest’ultimo è il mojo principale di questo disco e la sua presenza è fortissima, sia nella composizione che nello spirito dell’album. Il coinvolgimento dello spettatore è una delle peculiarità maggiori degli olandesi, riescono a stimolare la tua curiosità e ti portano con un groove ipnotico. I riferimenti ci sono ma è tutto molto personale ed originale. I Drive By Wire riescono inoltre a dare una propria personale versione del desert rock che è una delle migliori in assoluto in giro, e questo disco è da primi dieci ascolti desertici da fare. La maturità compositiva è fuori discussione, il gruppo è già da tempo pronto per essere conosciuto dal grande pubblico e Spellbound è un fantastico biglietto da visita.

Tracklist
1. Glider
2. Where Have You Been
3. Mammoth
4. Apollo
5. Blood Red Moon
6. Superoverdrive
7. Van Plan
8. Lost Tribes
9. Devil’s Fool
10. Lifted Spirit
11. Spellbound

Line-up
Simone Holsbeek
Alwin Wubben
Jerome Miedendorp de Bie
Marcel Zerb
Rene Rutten

DRIVE BY WIRE – Facebook

Enrico Sarzi – Drive Through

Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle nei primi anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici.

Buone nuove dalla Burning Minds, questa volta affiancata dalla Street Symphonies con la quale licenzia il primo lavoro solista di Enrico Sarzi, cantante dei rockers Midnight Sun con cui ha registrato due album.

Impegnato come ospite su due opere notevoli come l’album omonimo degli Shining Line e Moonstone Project, il musicista nostrano ha avuto l’occasione di suonare insieme a musicisti storici o autentiche leggende della scena hard rock internazionale come Glenn Hughes, Ian Paice e Robin Beck, esperienze importanti prima che la sua avventura solista diventasse il suo presente musicale.
Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle all’inizio degli anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici, prima che l’elettrica torni a ruggire tra lo spartito che si sporca di blues.
Un album sentito, Drive Through, pregno di magiche atmosfere che ci portano tra malinconiche strade secondarie, tra fattorie che il tempo ha dimenticato mentre in noi si fa sempre il ricordo di un brano come Rooster degli Alice in Chains.
Non privo di ottimi inserti di fiati, solos dal taglio rock ed hard rock sempre in bilico tra grunge e hard rock settantiano, l’album vive di questa altalena di umori, mentre Sarzi passa agevolmente da toni cantautorali a parti nelle quali rivive lo spirito del miglior Cantrell (Nothing To Live For, The Repentant, la title track).
Le ballad come detto non mancano e sono tutte valorizzate da atmosfere e sfumature mai banali, piacevolmente intimiste raggiungono, con Strange Freedom a rappresentare il punto più alto, attraversata dal suono di un malinconico sax che lascia spazio all’assolo più bello di tutto l’album.
Drive Through rivisita il rock americano in un paio delle sue migliori vesti e conferma il talento, anche compositivo, di Enrico Sarzi.

Tracklist
01. Shameless
02. Afraid To Be Myself
03. Nothing To Live For
04. S.O.S. To God
05. Strange Freedom
06. The Repentant
07. Inferno
08. Let Me Go
09. Drive Through
10. Sex Perfume
11. Cielo

Line-up
Enrico Sarzi – Vocals, Acoustic Guitars
Cristiano Vicini – Electric Guitars
Marco Nicoli – Bass
Marco Micolo – Keyboards
Alessandro Mori – Drums

Special Guests:
Stefano Avanzi – Sax
Alberto Valli – Piano
Luciana Buttazzo – Vocals

ENRICO SARZI – Facebook

Obese – Anamnesis

Una delle tante sensazioni suscitate da questo disco è il piacere di ascoltate qualcosa di veramente originale che troppo spesso ci viene negato da un’eccessiva standardizzazione.

Gli Obese sono un gruppo di blues, solo che il loro blues è pesantissimo e tocca tanti altri generi.

Il secondo disco degli olandesi Obese riesce a migliorare il primo e già ottimo Kali Yuga, uscito su Argonauta Records nel 2015. Gli Obese sono un gruppo di una potenza incredibile, riescono a rendere fisica la loro musica, dandole un peso specifico che va in tutte le direzioni, le canzoni si sviluppano in maniere inconsuete, si accomodano dentro di noi come un liquido che occupa un solido. Anamnesis è un disco che non si ascoltava da tempo nell’ambito della musica pesante, proprio perché è un assalto totale e improntato al groove, scavallando il discorso dei generi. Un grande contributo è stato sicuramente portato dal nuovo cantante Vladimir Stevic, che ha una voce da misurare in megatoni, tanta è la sua potenza ed ampiezza. Le canzoni sono battaglie di note e distorsioni, e si viene sballottati come dentro ad un bidone che cade giù da un dirupo. Ci sono momenti in cui, come in una strada immersa nella nebbia, non si sa cosa venga dopo, ma ciò che segue è sempre qualcosa di bellissimo. Una delle tante sensazioni suscitate da questo disco è il piacere di ascoltate qualcosa di veramente originale che troppo spesso ci viene negato da un’eccessiva standardizzazione. Anche la produzione fa una parte importante perché riesce a cogliere al meglio questo suono fortemente originale ed abrasivo. Psichedelia, blues, stoner, psot metal, rock, e tanto tantissimo altro, ma soprattutto un qualcosa di fortemente strutturato e nuovo. Un disco che è un’esperienza sonora vera e propria.

Tracklist
1. Agony
2. Dunderhead
3. Mother Nurture
4. Anthropoid
5. Human Abstract
6. Ymir
7. Behexed
8. Psychic Secretion

OBESE – Facebook

Monkey Onecanobey – Moco

Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Il giovane duo spoletino dei Monkey Onecanobey è un qualcosa che non avete mia visto né sentito.

Sav e Phil sono amici fin dall’asilo, il primo suona la chitarra e canta, il secondo è un magistrale beatboxer, sì proprio quei moderni menestrelli che fanno il ritmo della batteria con la bocca: insieme fanno un blues così blues che parte dal cuore ed arriva fino al cervello. La formula sonora è pressoché inedita, e se ci pensa è un qualcosa di davvero atavico e semplice, ma farlo bene non è così facile. I due sono arrivati a suonare insieme dopo aver percorso sentieri differenti nella musica, e non si divertivano nemmeno tanto: poi Phil ha conosciuto l’opera del beatboxer inglese Dave Crowe, e da lì è partita questa fantastica avventura, Strange Days canterebbero i Doors. La voce di Sav è molto calda e ti entra dentro, inoltre con le sue vibrazioni riesce a fare diversi registri stilistici, anche se qui il blues, nel suo senso auemtico,  permea il tutto. Ascoltando questo caldo impasto sonoro si viaggia in diversi posti, dal deserto grazie a linee di chitarra e a suggestioni care a Kyuss e compagnia varia, a cose più particolari come i White Stripes più blues, o i primi Black Keys, anche se qui l’atmosfera generale è più psichedelica e potente, come un sogno che si trasforma in trip o viceversa. Si viene trasportati dalla forte carica di questo particolare incrocio musicale, e la nostra mente viaggia dolce. Il beatbox è fatto benissimo, ed è una delle cose che grondano più blues che possiate incontrare. Il risultato è un disco con parecchi elementi innovatori e soprattutto una cifra stilistica unica ed originale. Questo è il debutto di qualcosa che potrebbe essere di grande importanza per la musica italiana del sottobosco, ma che intanto è un piacere da ascoltare e da godere.

Tracklist
1. Evolution PlayStation
2. Philled Lungs
3. Grinning in your face
4. Route66
5. I know
6. Traintears
7. Lose your mind
8. Personal Jesus

Line-up
Filippo Lombardelli – Beatbox
Saverio Baiocco – Voce/Chitarra

MONKEY ONECANOBEY – Facebook

Big Wolf Band – A Rebel’s Story

Portato in alto dai Big Wolf Band da Birmingham (Inghilterra), monicker scritto in bella mostra sull’artwork ispirato alla vecchia scuola, il blues è come chi lo suona, fiero come il grande Lupo, famelico di carne e sangue.

Signore e signori, stasera sul palco virtuale di MetalEyes IYE si suona rock blues, di quello che farebbe smuovere il fondoschiena di un elefante, sanguigno e prepotente come lo sguardo lascivo di una matura “signora” incontrata in quei locali dove la musica accompagna le effusioni ambigue degli astanti, tra l’odore di whiskey e tabacco.

Portato in alto dai Big Wolf Band da Birmingham (Inghilterra), monicker scritto in bella mostra sull’artwork ispirato alla vecchia scuola, il blues è come chi lo suona, fiero come il grande lupo, famelico di carne e sangue.
Attiva dal 2014 e nata per volere del chitarrista cantante Jonathan Earp, la band debutta con un album entusiasmante, blues che si allea con il rock per viaggiare tra l’inghilterra e gli States dove tutto nasce, un’ora di musica tra il diavolo e Mephisto, persi nella penombra, prima che le magiche note che escono a fiumi dagli strumenti di questo fenomenale chitarrista e dai suoi compari che rispondono ai nomi di Tim Jones (batteria), Mick Jeynes (basso) e Paul Brambani alle tastiere, ci faccia alzare e sbattere ciondolanti tra i tavoli, trovando un appiglio sicuro nei seni della signora dai lineamenti solcati da troppi anni di vita.
Chitarra che parla, urla, sbraita e fa le coccole, tasti d’avorio che partono come treni verso il nulla per tornare come tappeti dove basso e batteria inventano tempi e dettano regole.
Ma queste sono storie di ribelli e allora anche la sei corde taglia le corde che la legano ad uno spartito per farci sognare, mentre la voce di Earp racconta, per mezzo di un lotto di brani bellissimi come l’opener Heaven’s Got The Blues e Done Wrong By You, inizio bruciante di A Rebel’s Story.
Hot Blooded Woman è un rock adrenalinico che il blues rivolta come un calzino, mentre Earp fa il fenomeno con la sei corde, per poi regalare tragiche ed intimiste emozioni con la soffusa Darkest Of My Days.
Long Time Mary è un irresistibile blues/soul dove le pazzie sono da attribuire al piano di Brambani e l’album viaggia che è un piacere, alternando un sound vicino a Bonamassa ad un’emozionante musica nera in arrivo da strade polverose che portano alla perdizione.
Rolling With Thunder, One More Time, Love That Hurts riempiono la stanza di sapori metallici, classici quando l’odore del sangue si mischia con manici di chitarre sudate e il grande lupo ci regala ancora emozioni, prima di guardarci negli occhi un’ultima volta ed allontanarsi, ci sono territori da conquistare e ribelli a cui raccontare le proprie storie con l’aiuto del blues.

Tracklist
1.Heaven’s Got The Blues
2.Done Wrong By You
3.Hot Blooded Woman
4.Darkest Of My Days
5.Long Time Mary
6.Rolling With Thunder
7.One More Time
8.A Rebel’s Story
9.Been Here Too Long
10.Love That Hurts
11.I Don’t Love You
12.Love Isn’t free
13.If I Ever Loved Another Woman

Line-up
Jonathan Earp—Guitar / Vocals
Tim Jones—Drums
Mick Jeynes— Bass
Paul Brambani— Keyboards

BIG WOLF BAND – Facebook

T-Roosters – Another Blues To Shout

Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing.

Ai lettori della nostra webzine non facciamo mancare niente, partendo dal presupposto che, oltre allo zoccolo duro di metallari dai gusti estremi o classici, ci sia pure (come è nel nostro spirito) chi ama la buona musica a prescindere dagli stili che formano la grande famiglia del rock.

E non può mancare il blues, capostipite di tutto quello che si ascolta ai nostri giorni, specialmente ora che, come negli anni settanta, il rock ha ripreso la strada della frontiera che porta al delta del grande fiume, là dove tutto è nata tra il profumo del tabacco ed il tintinnio delle catene.
Quello che non sapete è che i protagonisti di questo viaggio/sogno tra le rive del Mississippi sono i T-Roosters, band di bluesmen italiani giunti al loro al quarto album in circa un decennio di attività.
Another Blues To Shout è composto da tredici splendide canzoni, tredici composizioni dove le note del delta prendono vita, tra il blues classico e lo swing: poco rock dunque, ma un affascinate percorso musicale nel blues delle origini, dove l’armonica diventa a tratti l’assoluta protagonista di sanguigne e ribelli boogie woogie songs e il ritmo instancabile ricorda le lunghe serate fuori dalle povere case degli schiavi, che esorcizzavano la fatica di lunghe giornate nei campi con interminabili e straordinarie jam.
Scritto a due mani da Paolo Cagnoni e Tiziano Galli (testi, musiche e produzione), Another Blues To Shout conferma l’ottima reputazione del gruppo nella scena del genere, non solo nel nostro paese visto l’exploit dello scorso anno quando i T-Rooster hanno strappato una posizione di tutto rispetto al Blues Contest “IBC”, concorso di blues internazionale tenutosi a Memphis.
L’opener Lost And Gone, i brividi suscitati dall’atmosfera accaldata e rustica della splendida Morning’ Rain Blues, lo swing protagonista di Naked Born Blues e il rock’n’roll dei pionieri nella straordinaria Livin’ On Titanic, sono solo una parte del tesoro musicale che scoprirete ascoltando Another Blues To Shout, un album passionale come solo questo genere sa essere.

Tracklist
1 Lost And Gone
2 Morning Rain Blues
3 I Wanna Achieve The Aim
4 On This Life Train
5 Naked Born Blues
6 Sugar Lines
7 Beale Street Bound
8 Livin’On Titanic
9 Black Star Blues
10 Still Walkin’ Down South
11 Missing Bones
12 The Way I Wanna Live
13 I’m Rolling’ Down Again

Line-up
Tiziano “Rooster Tiz” Galli – Voce e Chitarre
Giancarlo “Silver Head” Cova – Batteria e Background Vocal
Luigi “Lillo” Rogati – Basso, Contrabbasso e Background Vocal
Marcus “Bold Sound” Tondo – Armoniche e Background Vocal

T-ROOSTERS – Facebook

MaidaVale – Tales Of The Wicked West

Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia-

Ora che i suoni vintage, nel metal e nell’hard rock, sono la nuova via per piacere agli ascoltatori, i gruppi dediti a queste sonorità spuntano come i funghi, un male se pensiamo ad un ennesima inflazione del mercato, un bene per i fans dei suoni nati nella seconda metà del secolo scorso.

Nell’ underground non mancano nuove realtà che arrivano all’esordio prendendo come esempio le nuove new sensation dell’hard rock dai rimandi blues e psichedelici come i Blues Pills.
Dalla Svezia (e non è un caso, visto la tradizione per i suoni settantiani nel paese scandinavo) arrivano dunque le MaidaVale, gruppo tutto al femminile che tramite la Sign Records esordisce con Tales Of The Wicked West, bellissimo esempio di hard rock psichedelico e blues, ipnotico come una danza sotto la luna splendente sui boschi delle foreste nordiche.
Le quattro sacerdotesse di Fårösund, senza cercare di stupire a tutti i costi, svolgono il compito prefissato nel migliore dei modi, ed il loro album ne esce alla grande, vintage fino al midollo, suggestivo e pregno di atmosfere stregate dal blues e dalla psichedelia, con quel tocco sabbathiano che avvicina il sound agli hard rockers dai gusti vintage.
Blues e psichedelia sono un binomio più pericoloso di quello che si possa pensare, esaltato dalla voce di Matilda Roth in (If You Want The Smoke) Be The Fire o Restless Wanderer, con una Find What You Love And Let It Kill You che trasforma il verde della natura svedese nel color sabbia del deserto americano, in un trip che la voce femminile accentua facendo sognare dentro ad un caleidoscopio di musica rock sopra le righe.
Finirà questo fiume in piena che porta a valle tanta musica vintage e come sempre rimarranno solo i migliori, e le MaidaVale sono candidate a restare, non perdetevele.

TRACKLIST
01. (If You Want the Smoke) Be The Fire
02. Colour Blind
03. The Greatest Story Ever Told
04. Truth/Lies 05. Dirty War
06. Restless Wanderer
07. Standby Swing
08. Wish I’d Been Born At Sea
09. Find What You Love And Let It Kill You

LINE-UP
Johanna Hansson – Drums
Matilda Roth – Vocals
Linn Johannesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

MAIDAVALE – Facebook

The Mustangs – Just Passing Through

Just Passing Through, nuovo album dei The Mustangs, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Si vola sulle ali del blues con il nuovo album di una band britannica molto apprezzata nella scena, i The Mustangs.

Attivo dal 2001, il gruppo proveniente dall’Hampshire arriva quest’anno al traguardo della doppia cifra in quanto a lavori pubblicati, confermando tutto il valore espresso fino ad oggi e l’ottima reputazione che si è costruito negli anni tra gli amanti del genere e gli addetti ai lavori.
Blues rock d’autore, dunque, anche per questo nuovo Just Passing Through, licenziato dalla Trapeze Music con cui la band collabora da tempo: l’album è formato da un lotto di brani che seguono la tradizione del british blues, alternandolo con bellissimi camei d’ oltreoceano, quindi nella musica del gruppo inglese si rincorrono le due principali anime del genere, che si incontrano e si allontanano come amanti brucianti di passione.
E’ questa la caratteristica principale del sound dei The Mustangs, che confezionano un lavoro vario e piacevole,con la chitarra di Adam Norsworthy a ricamare armonie campestri ed il profumo dell’erba bagnata dalle pioggia del nord si mescola con quello del fieno nelle pianure a sud del nuovo continente.
L’album parte con il freno a mano tirato e i primi brani, fin da Hiding From the Rain, risultano attraversati da un mood cantautorale, con il sound a scivolare sulla chitarra del leader, ma da Just The Way It Is il sole fa capolino tra le nuvole, la temperatura si alza non poco tra le armonie di Because It’s Time ed i cori a cappella di Cry No More e la febbre che si alza nella Saturday Night dei The Mustangs.
Il blues della passionale e sanguigna Save My Soul e la straordinaria From Somewhere To Nowhere alzano non poco il valore di questo lavoro che, come suggerisce la copertina, è un viaggio tra le anime del blues contemporaneo degno dei più grandi interpreti americani e del Regno Unito.

Tracklist
1.One Way Ticket
2.Hiding From The Rain
3.Fingerprints
4.Beautiful Sleeper
5.Just The Way It Is
6.Because it’s Time
7.Cry No More
8.Saturday Night
9.What Lies Within
10.Vinegar Fly
11.Save My Soul
12.From Somewhere To Nowhere
13.How Short

Line-up
Adam Norsworthy – Lead Guitar, Vocals
Derek Kingaby – Blues Harp
Jon Bartley – Drums, Backing Vocals
Ben McKeown -Bass, Backing Vocals

THE MUSTANGS – Facebook

42 Decibel – Overloaded

I 42 Decibel a differenza di molti loro colleghi usano la carta del blues e fanno bene: la loro proposta si ferma a Let There Be Rock, lasciando ad altri la parte più hard rock e commerciale del sound dei fratelli Young.

Non saranno certo gli argentini 42 Decibel a cambiare le sorti del rock, ma se la nostalgia per quel sound grezzo e potente che gli Ac/Dc amalgamavano con dosi illegali di blues, negli anni in cui dietro al microfono si cimentava Bon Scott, allora il nuovo Overloaded è l’album giusto per tornare a trastullarvi come ai tempi di Whole Lotta Rosie e Let There Be Rock.

Passate direttamente alla quarta traccia (Roadkiller) e ditemi se la più famosa e lasciva The Jack del quintetto australiano non torna prepotentemente ad importunarvi, nelle serate in cui l’alcool esce dai pori della vostra pelle, sudata dal caldo estivo e dalla passione per la chica che dorme serenamente al vostro fianco.
Ma facciamo un passo indietro e presentiamo i 42 Decibel, band di Buenos Aires al terzo album dopo il debutto del 2010 intitolato Hard Rock ‘n’ Roll, ed il seguente Rolling In Town licenziato un paio di anni fa.
Il gruppo di rockers capitanato dal batterista Nicko Cambiasso torna dunque con il suo personale tributo alla più famosa band della storia del rock in arrivo dalla terra dei canguri, un monumento al genere che continua a fare proseliti, pur arrancando in sede live, dopo più di quarant’anni sul groppone.
I 42 Decibel a differenza di molti loro colleghi usano la carta del blues e fanno bene, la loro proposta si ferma a Let There Be Rock, lasciando ad altri la parte più hard rock e commerciale del sound dei fratelli Young, così da sporcare di irriverenza e attitudine alcolica la loro musica proprio come avrebbe fatto il buon Scott.
Ne esce una piacevole rivisitazione del sound settantiano del gruppo australiano, cattivo e maleducato perché nato nei locali fumosi e perversi, tra una bevuta ed un lavoretto nei bagni, tanto per fare arrotondare lo stipendio alla cameriera, mentre la chitarra accompagna il tono rauco e perdente di un Junior Figueroa, impossessato dal demone che una volta abitò nel corpo del più famoso e alcolico cantante.
Dangerous Mess, la già citata Roadkiller, la divertentissima Lost Case e Double Itch Blues spiccano, ma è tutto l’album che non risparmia emozioni e sfumature provenienti dal perdente ma tremendamente affascinate mondo del rock blues alla Ac/Dc, anzi … alla 42 Decibel.

TRACKLIST
1. Whiskey Joint
2. Dangerous Mess
3. Brawler
4. Roadkiller
5. Hot Shot
6. Half Face Dead
7. Lost Case
8. Cause Damage
9. Double Itch Blues
10. Cannon Fodder

LINE-UP
Junior Figueroa – Vocals, Guitar
Nicko Cambiasso- Drums
Billy Bob Riley – Rhythm & Slide Guitar
Matt Fraga – Bass

42 DECIBEL – Facebook

Avatarium – Hurricanes And Halos

Sin dal primo pezzo si capisce che questo disco è qualcosa di diverso, le immagini messe in musica sono forti e suscitano emozioni nell’ascoltatore.

Gli Avatarium sono un gruppo dai diversi punti forti, hanno una grande potenza e sanno bilanciare molto bene con un suono contaminato dagli anni 70 .

Il gruppo svedese ha saputo sviluppare una propria poetica molto appropriata nel trattare il doom classico, ma non c’è soltanto questo bensì una moltitudine di sensazioni e di musiche diverse, che entrano nel cuore dell’ascoltatore attraverso canzoni che lasciano il segno.
Questo disco è sicuramente un lavoro da sentire con molta cura e molta curiosità, perché nel panorama odierno l’offerta di questo tipo di musica non manca, ma la qualità degli Avatarium è assai difficile da trovare in giro. Sin dal primo pezzo si capisce che questo disco è qualcosa di diverso, le immagini messe in musica sono forti e suscitano emozioni nell’ascoltatore, la voce femminile di Jeannie-Ann Smith riesce a toccare vette molto alte, soprattutto nella drammatizzazione della musica. Una cosa che può sembrare ovvia, ma non lo è affatto, è la corretta e ottima pronuncia inglese della cantante che, a differenza di quanto accade in molti altri gruppi, riesce ad essere davvero credibile. Un altro elemento molto importante della musica degli Avatarium è l’organo, che dà un tocco di anni 70 sempre molto elegante ed incisivo, riesce a coinvolgere e trasforma le canzoni in qualcosa di unico. Troviamo anche nelle canzoni un pizzico di magia metal, nel senso di epicità della canzone, e momenti con melodie molto aperte ed epiche. Dentro questo gruppo convivono molti generi ma soprattutto il punto di forza degli Avatarium è il riuscire a fare un disco originale con elementi che non lo sono, ma che per essere proposti al meglio necessitano di un’ottima rielaborazione. Questo lavoro può essere ascoltato da persone con gusti differenti, perché una musica così può mettere tutti facilmente d’accordo, e il risultato è una vera e propria altalena di emozioni. Per rendersi conto della grandezza di questo disco basta ascoltare la traccia che dà il titolo al disco, Hurricanes And Halos, un manuale di cosa si può fare di veramente originale in un genere che dà possibilità, a chi ne ha il talento e la capacità, di creare determinate atmosfere. Questo disco è consigliabile a tutti quelli che vogliono sentire qualcosa di ben fatto e composto, non tanto per la tecnica ma quanto per il sentire, perché le sensazioni che offre sono quelle che ci fanno amare questo tipo di musica, sia esso doom o metal o blues, basta che questa fiamma bruci ancora.

TRACKLIST
01. Into The Fire / Into The Storm
02. The Starless Sleep
03. Road To Jerusalem
04. Medusa Child
05. The Sky At The Bottom Of The Sea
06. When Breath Turns To Air
07. A Kiss (From The End Of The World)
08. Hurricanes And Halos

LINE-UP
Jennie-Ann Smith: Vocals
Marcus Jidell: Guitar
Lars Sköld: Drums
Mats Rydström: Bass
Rickard Nilsson: Organ

AVATARIUM – Facebook

Dead Man’s Blues Fucker – Phase II

Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi.

E’ tempo di lasciare i facili sentieri di una vita casa – lavoro – famiglia, e rispolverare il vecchio giubbotto di pelle e la bandana di ordinanza, buttare in una scarpata lo scooter e lucidare la vecchia moto, perché quello che promette questo album non vorrete solo sognarlo tramite la musica, ma viverlo ancora una volta sulla vostra pelle troppo profumata per essere quella di un vecchio rockers.

E Phase II, primo lavoro dei Dead Man’s Blues Fucker, è l’album giusto per ritrovare il vecchio spirito, soffocato da una pila di scartoffie che vi aspettano in ufficio tutte le mattine.
Se poi non avete mai smesso di vivere la vostra vita come un’avventura sperduti nella frontiera, allora la nuova band del polistrumentista Diego Potron è quanto di meglio possiate ascoltare tra la polvere del deserto in questa prima metà dell’anno.
Dieci anni di solo project, prima di unire le forze con il batterista Christian Amen Amendolara, in questa nuova realtà che lascia senza fiato per intensità ed impatto, un muro sonoro, stonerizzato, psichedelico e spettacolarmente southern.
Dimenticatevi dunque i facili viaggetti coast to coast, qui si cerca l’estremo in una lunga jam stonata, tra il bruciore dell’asfalto, il caldo delle marmitte sollecitate dal motore a pieni giri, persi in un deserto sconfinato dove i miraggi sono tenuti lontani dagli incubi.
Un sound grezzo, una produzione volutamente sporca come un carburatore insabbiato ed un’attitudine stoner/psichedelica pervadono dieci brani bellissimi, in un’atmosfera opprimente come la testa che scoppia tra il caldo e i postumi di una sbornia nel locale della frontiera americana, che esce prepotentemente diabolica dal blues violento di The Power Of Your Love, dallo stoner/southern di Birthday Cake, o dalla più rilassata The Cornfields Queen Brotherhood.
Un album affascinante, ricco di sfumature, vario e dannatamente coinvolgente, pur rimando fortemente ancorato all’underground, in una parola … bellissimo.

TRACKLIST
01. Blind Sister’s Home
02. The Power Of Your Love
03. Black Woman
04. Birthday Cake
05. The Cornfields Queen Brotherhood
06. One Kind Favor
07. Bad Awakening
08. Crow Jane
09. Song For Mr. Occhio
10. The Place For You

LINE-UP
Diego DeadMan Potron – guitar, bass, organ,vocals
Christian Amen Amendolara – drums

DEAD MAN’S BLUES FUCKERS – Facebook

The Big Blue House – Do It

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.

Quali note se non quelle del blues si rivelano più adatte a descrivere in musica l’amore, essendo per sua natura viscerale, sanguigno e, spesso, perdente (perché nell’amore c’è quasi sempre un vincitore ed un vinto).

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.
I tasti d’avorio passano dai suoni classici dell’ hammond di scuola rock, a quelli jazzati del pianoforte, con Sandro Scarselli che si dimostra musicista dotato di feeling, così come Danilo Staglianò, con una chitarra che sanguina passione ed una voce che racconta di amori, illusione e ricerca della felicità.
Luca Bernetti (basso) e Andrea Berti (batteria) accompagnano semplicemente, ma con classe, la musica che i due compagni estraggono dai loro strumenti lungo otto brani piacevoli, nei quali si alternano l’energia rock della sei corde e lascive armonie tastieristiche.
Un blues che trova la sua natura malinconica nelle note della splendida Now I Can Call Your Name, il suo spirito rock’n’roll nella coppia iniziale formata dalla title track e da Blue Sky, che raggiunge la perfetta armonia ed attitudine nella clamorosa He’s A Fucking Bluesman e strappando, infine, applausi nella disperata e sentita interpretazione che la band offre nella conclusiva This Is How Feel.
Un album godibilissimo per gli amanti del rock blues di scuola classica e in cui spicca una forte personalità che costituisce, ovviamente, un fondamentale valore aggiunto.

TRACKLIST
1.Do It
2.Blue Sky
3.Now I Can Call Your Name
4.He’s A Fucking Bluesman
5.Sweet Thing Bad Thing
6.I Knew A Story About
7.Everything’s Rollin’
8.This Is How I Feel

LINE-UP
Danilo Staglianò – Guitar/Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards/ Hammond
Andrea Berti – Drum

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CF4t94TZhRs

The C.Zek Band – Set You Free

Fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi.

Sui vari gruppi di Facebook ai quali, ahimè, mi hanno iscritto e che riguardano la musica (dal rock al metal), le domande più frequenti che gli iscritti pongono all’attenzione degli altri riguardano il genere che un gruppo specifico suona o meno, come se la musica e le emozioni ad essa legate passassero in secondo piano rispetto alla gabbia in cui vengono imprigionate le note.

Forse sono persone che cercano un approvazione su quel gruppo o album, forse è il timore di non ascoltare qualcosa di cool, non so, fatto sta che mai come di questi tempi la nostra musica preferita è sempre più divisa e confinata in antipatici compartimenti stagni.
Fortunatamente c’è chi fa spallucce e supporta gruppi di ogni genere, passando dal metal classico all’hard rock, dal progressive al metal estremo, fino al blues, il genere padre di tutta la musica moderna.
Ed allora mi ritrovo tra le mani Set You Free, bellissimo esempio di rock blues, licenziato dalla The C.Zek Band tramite Andromeda Relix: un viaggio nel rock americano, in partenza da Verona ed in arrivo, un giorno, nelle terre paludose dove il grande fiume americano trova finalmente il suo meritato riposo.
Set You Free regala blues d’autore, contaminato da una leggera brezza soul, cantato con sanguigna eleganza e raffinata malinconia, suonato come se Christian Zecchin (alias C.Zek) ed i suoi compagni fossero impegnati in una lunga jam su uno dei battelli che galleggiano stanchi sul letto del padre Mississippi.
Il cantato sontuoso ma mai invadente della bravissima Roberta Dalla Valle, a tratti lascia spazio a quello del chitarrista, il gruppo unito riporta l’ascoltatore a respirare note che dal blues passano al funk, mentre la sei corde intona note hendrixiane, gli Stones presenziano alla cerimonia con la cover (bellissima) di Gimme Shelter e l’hammond tiene legato il sound con umori settantiani, mentre una lieve nebbia southern si alza sul fiume nella lunga ed umida notte (The Allman Brothers).
Così fatevi elettrizzare e a tratti cullare dal blues suonato con maestria da questo gruppo nostrano, bravo nel saper dosare grinta rock e liquida eleganza soul, contrasti che animano un lotto di brani bellissimi come l’opener John Corn, il capolavoro dell’album Tell Me, con l’hammond e la voce che scaldano la notte sul fiume, la title track, omaggio al miglior Slowhand, e la conclusiva Drink With Me che, con i suoi sette minuti abbondanti, ci accompagna fino all’alba.
C’è comunque tanto di The C.Zek Band su questo lavoro, quindi non solo brani influenzati dai grandi nomi, ma musica ispirata e riportata con personalità e talento su uno spartito del nuovo millennio.

TRACKLIST
1.John Corn
2.I’m So Happy
3.Tell Me
4.Kissed Love
5.Set You Free
6.Gimme Shelter
7.Boring Day
8.It Doesn’t Work Like This
9.Drink with Me

LINE-UP
Christian Zecchin Guitars & Voice
Roberta Dalla Valle – Voice
Matteo Bertaiola – Rhodes&Hammond
Nicola Rossin – Bass
Andrea Bertassello – Drums

THE C.ZEK BAND – Facebook

Danzig – Black Laden Crown

E’ apprezzabile da parte di Danzig la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, e qualche brano riuscito rende Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Glenn Danzig rappresenta un bel pezzo di storia del rock/metal contemporaneo e, in quanto tale, la gratitudine per quanto fatto con i Misfits prima e con la band che porta il suo nome in seguito, è doverosa ma non può influenzare le sensazioni derivanti dall’ascolto di questo nuovo album di inediti, pubblicato ben sette anni dopo l’ultimo Death Red Sabaoth.

Il tempo trascorre inesorabile per tutti, e se già un certo calo della voce di Danzig era emerso nei primi lavori del nuovo millennio, Black Laden Crown segna in questo senso un punto di probabile non ritorno.
Infatti, non sono stati pochi i vocalist che, ad un certo punto della loro carriera, non sembravano più in grado di ripetersi ai livelli del passato salvo poi riuscire a tornare su registri accettabili, ma questo non sembra proprio il caso del nostro che, quanto meno, pare accettare il tutto cercando di adeguare il sound alle sue attuali potenzialità, optando anche per una produzione ovattata che di certo, però, non aiuta a valorizzare il lavoro chitarristico del buon Tommy Victor.
Inevitabilmente tutto ciò finisce per penalizzare un album che a livello compositivo non dispiace nemmeno troppo, pur non avvicinandosi alle migliori opere del passato: la peculiare commistione tra heavy/doom metal e rock/blues che aveva reso sfolgoranti i primi quattro lavori usciti a nome Danzig, con due capolavori assoluti come Lucifuge e How The Gods Kill, ogni tanto fa capolino tra le atmosfere di Black Laden Crown, ma senza l’apporto decisivo di quella voce che riusciva ad essere sia profonda che stentorea.
Così qualche spunto brillante lo si riscontra ancora nella notevole But A Nightmare o nella blueseggiante Last Ride, mentre riguardo ad un brano come Devil On Hwy 9 non si può fare a meno di notare come il Danzig d’annata avrebbe potuto esaltarne al massimo il buon potenziale, anche commerciale, e lo stesso discorso lo si può fare anche per la conclusiva Pull the Sun.
Resta comunque apprezzabile, da parte del musicista americano, la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, ed i buoni episodi citati all’interno della tracklist rendono alla fine Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Tracklist:
1. Black Laden Crown
2. Eyes Ripping Fire
3. Devil On Hwy 9
4. Last Ride
5. The Witching Hour
6. But a Nightmare
7. Skulls & Daisies
8. Blackness Falls
9. Pull the Sun

Line-up:
Glenn Danzig – lead vocals, rhythm guitar
Tommy Victor – lead guitar, bass guitar
Joey Castillo – drums, percussion
Johnny Kelly – drums, percussion
Karl Rockfist – drums, percussion
Dirk Verbeuren – drums, percussion

DANZIG – Facebook

The Blind Catfish – Folkolors

Ci hanno provato e ci sono riusciti i The Blind Catfish, non solo a rinverdire e rendere fresche canzoni cantate più di un secolo fa, ma anche a perseguire la loro idea di collegare il mondo attorno al nostro grande fiume con quello del suo omologo americano.

Torna il pesce gatto più irriverente e rock che il grande fiume abbia mai avuto tra i suoi abitanti, dal Piemonte fino al Mare Adriatico.

Il grande fiume è ovviamente il Po, anche se lo strano animale acquatico sogna la terra paludosa dei fondali del Mississippi, dove la musica a cui lui si ispira è nata ed ancora oggi si rigenera.
Torna la band carpigiana dei The Blind Catfish, che all’enorme abitante delle acque dolci si ispira e che nel rock blues trova la sua armonia musicale, anche se in Folkolors molto è cambiato a livello di sound dal bellissimo esordio The King Of The River, uscito un paio di anni fa.
La band ha pescato tra i canti della tradizione americana, gospel, spiritual e canti corali di prigionia, provenienti dagli stati del sud e, reinterpretandoli, ha dato vita ad un’opera affascinante, ovviamente strutturata sul blues ma ricolma del dolore di un intero popolo, tra funky e soul.
Rivivono così brani in origine solo cantati, autentiche perle a cui la band nostrana dona una nuova veste nel rispetto della tradizione, con la voce di Marco “Franky” Maretti che si colora di sfumature black, mentre, chiudendo gli occhi, si ha la sensazione di essere tra le piantagioni di cotone, quando dopo una giornata di interminabile ed inumano lavoro gli uomini e le donne intonano canti mentre tornano alle baracche.
Ed è lì che i The Blind Catfish ci portano, tra le note di Jesus And The Mainline, della drammatica e sentita Join The Revelator o di People Get Ready, dall’andamento soul che trascina come il letto del fiume, fluida come l’acqua del grande fratello in movimento perpetuo, testimone silenzioso del dramma e della stupidità degli uomini, della più ritmicamente bluesy Rosie e di Trouble Of The World, che la band interpreta come farebbe il migliore Sting.
Ci hanno provato e ci sono riusciti i The Blind Catfish, non solo a rinverdire e rendere fresche canzoni cantate più di un secolo fa, ma anche a perseguire la loro idea di collegare il mondo attorno al nostro grande fiume con quello del suo omologo americano.
Un album molto diverso dal primo lavoro, più incentrato su southern e blues rock, ma sicuramente maturo ed intenso.

TRACKLIST
1.Sometimes I Feel Like a Motherless Child
2.John the Revelator
3.People Get Ready
4.Jesus on the Mainline
5.How Long
6.Trouble So Hard
7.Rosie
8.Trouble of the World

LINE-UP
Marco Maretti
Luca Fragomeni
Francesco Zucchi
Federico Bocchi

THE BLIND CATFISH – Facebook

Rainbow Bridge – Dirty Sunday

I Rainbow Bridge sono un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.

Un giorno tre musicisti si persero tra le strade arse dal sole nel bel mezzo della loro terra natia, la Puglia.

Il caldo soffocante, la terra che bruciava sotto i piedi e la loro predisposizione per l’immaginario rock blues li fece fermare davanti ad un crocicchio, che agli occhi dei tre apparve come uno dei famosi incroci nelle terre del sud del nuovo continente ,dove i bluesman incontrano il loro signore, un omino diabolico che in cambio dell’anima offre le chiavi del successo per molti, ma per altri il segreto di suonare la sua musica.
Davanti ai loro occhi, Robert Johnson, Jimi Hendrix ed Alvin Lee, come i fantasmi dei cavalieri Jedi nella famosa saga di Star Wars, si presentarono e posarono le loro mani sui tre musicisti che si risvegliarono al tramonto con nella testa le note che compongono Dirty Sunday il loro nuovo lavoro, una fantastica jam strumentale, divisa in cinque capitoli di blues rock, stonerizzato, ipnotico e coinvolgente.
Loro sono i Rainbow Bridge, un trio di bluesmen pugliesi che, per anni, ha portato in giro la musica del grande Jimi Hendrix e oggi sono pronti a conquistarvi con il loro rock strumentale.
Attenzione però, perché in Dirty Sunday troverete sicuramente un po’ di ispirazioni dal musicista di Seattle, ma non solo, perché appunto, Giuseppe Jimi Ray Piazzolla (chitarra), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria), in quel crocicchio vennero effettivamente toccati dalla sacra triade e cosi la loro jam di trasforma in un notevole tributo ad un pezzo importantissimo della storia della musica moderna tra hard rock, blues e stoner della Sky Valley, che tra una trentina d’anni, quando ormai il sottoscritto lo troverete a fumarsi qualcosa con Jimi, sarà considerato il genere più influente dei decenni tra il 1990 ed i primi sussulti del nuovo millennio, ovviamente parlando di rock.
L’opener Dusty, la stupenda Hot Wheels e la zeppeliniana Rainbow Bridge ( ah, ci sono anche loro ovviamente) le componi solo se i tuoi angeli custodi rappresentano la storia dei chitarristi blues rock.
Bellissimo

TRACKLIST
1. Dusty
2. Dirty Sunday
3. Maharishi suite
4. Hot Wheels
5. Rainbow Bridge

LINE-UP
Giuseppe Jimi Ray Piazzolla – guitar
Fabio Chiarazzo – bass, guitar
Paolo Ormas – drums

RAINBOW BRIDGE -Facebook

The Picturebooks – Home Is A Heartache

I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

Se volete ascoltare qualcosa di davvero intenso ed affascinate, un rock capace di contenere nelle sue note diverse anime ed atmosfere come la psichedelia, il blues, lo stoner e l’ alternative, ma scarno ed essenziale, crudo e diretto anche perché suonato solo con chitarra e percussioni, allora Home is a Heartache, nuovo album del duo tedesco dei The Picturebooks, dovrebbe essere il vostro prossimo acquisto.

Il duo tedesco è formato da Fynn Claus Grabke (voce e chitarra) e Philipp Mirtschink (batteria), suona un rock alternativo influenzato dal blues acido e come già detto ingloba varie atmosfere per un viaggio tra il deserto americano tra la polvere lasciata dalle gomme delle moto (altra passione del duo) ed il sole che accieca, stordisce alla pari di sostanze di dubbia provenienza e legalità e ci scaraventa in un mondo di streghe, tra pozioni ricavate dalle sacche velenifere di mortali crotali ed incantesimi sabbatici.
Una lunga jam dove i colpi mortali delle percussioni danno il tempo alla sei corde di torturarci con riff ora dai rimandi alternative, ora ultra heavy, avvolti in un atmosfera southern stoner metal a tratti disturbante.
I The Picturebooks, che voleranno a Londra, dove faranno compagnia ai grandi Samsara Blues Experiment nel Desert Fest in programma ad Aprile, sono arrivati già al quarto lavoro e il trip non accenna a diminuire, scandito dalle ritmiche che fecero da contorno ai riti tribali di vecchi stregoni pellerossa e lunghe marce bluesy, in cui la psichedelia è signora e padrona del sound di questo duo sciamanico.
I titoli sono solo un proforma, un modo per dare un senso di inizio e di fine ai deliri contenuti i questo Home Is A Heartache, che non lascia scampo e si insinua come un serpente sotto la coperta.

TRACKLIST
01. Seen Those Days
02. Wardance
03. Home Is A Heartache
04. Fire Keeps Burning
05. On These Roads I’ll Die
06. I Need That Oooh
07. The Murderer
08. Zero Fucks Given
09. Cactus
10. I Came A Long Way For You
11. Get Gone
12. Bad Habits Die Hard
13. Heathen Love
14. Inner Demons

LINE-UP
Fynn Claus Grabke – Vocals, guitars
Philipp Mirtschink – Drums

THE PICTUREBOOKS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=U_6tc9vkh1