Stone Machine Electric – Darkness Dimensions Disillusion

Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore.

Gli Stone Machine Electric sono un duo texano dall’approccio poco convenzionale alla musica, creando sonorità molto eteree che portano l’ascoltatore molto in alto.

I due sono qui al nono lavoro in studio, dando prova di una gioiosa bulimia musicale che li porta a giocare con gli strumenti e a trovare sempre nuove melodie, molto minimali ma assai ricche di chitarra e batteria. Come è facile da notare frequentando i lidi della musica alternativa, i duo chitarra e batteria abbondano, specialmente in ambito heavy blues, ma quelli validi non sono molti. Gli Stone Machine Electric risiedono decisamente nei gruppi validi, avendo un tocco che tocca molti generi senza mai andare a fossilizzarsi, ricercando sempre la distorsione perfetta, il giro di chitarra e batteria che ti piove addosso, in quelle jam che si spostano veloci come nuvole ventose in cielo, senza mai lasciare il tempo di trovare una coordinata musicale e di genere. Fughe, stop e riprese, il tutto per un lavoro intenso che non lascia mai nulla al caso, creativo e stimolante senza essere onanistico come altre produzioni di questo genere. Il tutto è irrobustito da una dose costante di psichedelia pesante che potenzia l’opera dei Stone Machine Electric. Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore. La loro produzione è fitta, e questo episodio non è forse il migliore, ma è sicuramente una summa molto precisa di cosa sia questa band texana.

Tracklist
1.Sum of Man
2.SAND
3.Circle
4.Purgatory
Line-up
Dub – Guitar/Vocals
Kitchens – Drums/Vocals/Theremin

https://www.facebook.com/StoneMachineElectric/

Six Feet Deeper – Passion Play

Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.

I paesi scandinavi si stanno imponendo sempre più come patria dell’hard rock di tradizione settantiana, venato di ispirazioni blues, sanguigno ed oltremodo letale.

Svezia e Norvegia sono infatti ormai da considerare come nuove patrie del sound che fece la fortuna di Led Zeppelin e Bad Company con gruppi che hanno nelle sirene blues dietro al microfono l’arma vincente per scardinare i cuori degli amanti del genere.
Un altra band si affaccia sul mercato con il primo full length, dopo un ep di cui noi di Metaleyes ci eravamo occupati un paio di anni fa, i Six Feet Deeper, quartetto di Stoccolma capitanato dalla bravissima Sara Lindberg, singer dal buon talento interpretativo.
La Norvegia chiama e la Svezia non tarda a rispondere, in un duello a colpi di riff che faranno la gioia degli amanti di queste sonorità che hanno natali ed antenati illustri.
L’angelo della Swan Song (la label fondata dai Led Zeppelin) come un cupido lancia frecce sugli ascoltatori, mentre la Lindberg valorizza splendidi brani come l’opener In March The Clowns, Illuminate, la coppia The Flow/Diggin’ Down The Hole ed il singolo I Can’t Quit You, spettacolari hard rock blues che confermano l’intesa tra i vari musicisti, nonché una sagacia compositiva che permette ai Six Feet Deeper di uscire dall’anonimato di un genere che ovviamente non può certo puntare sull’originalità.
Una brava cantante ed ottime canzoni sono una scorciatoia più che valida per essere apprezzati da un pubblico numeroso, virtù assolutamente nelle corde del gruppo svedese e ben percepibili in questo ottimo Passion Play.

Tracklist
SIDE A:
1. In March The Clowns
2. Let My Spirit Go
3. Make It Right
4. You And Your Hand
5. Illuminate

SIDE B:
1. The Flow
2. Diggin’ Down The Hole
3. I Can’t Quit You
4. Passion Play

Line-up
Sara Lindberg – Vocals
Patrik Andersson – Guitar & Vocals
Emil Mickols – Drums, Keyboards & Percussion
Erik Arkö – Bass, Acoustic Guitar on track 5 & Vocals

SIX FEET DEEPER – Facebook

Tenebra – Gen Nero

Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie.

I Tenebra da Bologna sono composti da Claudio al basso, Emilio alla chitarra e Mesca alla batteria, elementi dalla scena hardcore e post-hardcore cittadina (Settlefish, Ed, Gravesite, Assumption) che gravitava intorno allo spazio Atlantide Occupata, un vero posto per la cultura e tanto altro, chiuso dalla mano bieca del capitalismo.

La cantante Silvia è la più giovane del gruppo e con la sua voce ci porta per mano in una nuova stagione dell’amore occulto. Il loro disco d’esordio è composto da una buona miscela di hard blues, psych e fuzz con momenti molto stoner. La forza della loro proposta sta nel grande vigore musicale e nella bellezza di jam che sono diventate canzoni. Il disco è in download ad offerta libera sul loro sito, e come affermato molto correttamente da loro fotografa la forma che il gruppo aveva nel febbraio 2018, poiché ora è sicuramente altro. In teoria i dischi dovrebbero essere proprio questo, foto di un preciso momento di un gruppo, ma non dovrebbero essere nulla di pienamente caratterizzante, perché già dalla seduta successiva in sala prove potrebbe essere già tutto diverso e mutato radicalmente. Gen Nero è un bella dichiarazione musicale di amore per la musica pesante con l’animo blues, di cui vi sono molti esempi ma pochi possiedono la profondità dei Tenebra, che possono anche vantare una voce davvero adeguata al tutto. Ciò che colpisce è il grande senso del ritmo e della sinuosità che ha questa band, che riesce a rendere interessante ognuna della sei tracce di questo esordio. Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie. Molto forte è il lato occulto ed oscuro di un lavoro che si rifà apertamente all’alchimia, in una maniera molto intelligente ed adeguata. Un esordio molto positivo, aspettando la prossima mutazione.

Tracklist
1.In Tenebra
2.Cornered
3.Nostalgia
4.Scarlet Woman
5.Solve Et Coagula
6.Ex Tenebra

Line-up
Silvia: vocals
Emilio: guitar
Claudio: bass
Mesca: drums

TENEBRA – Facebook

The Mustangs – Watertown

Watertown non è il “solito” album blues, ma un’opera rock che di queste sonorità si nutre, rivelandosi un disco d’autore, fuori dalle solite sonorità alle quali siamo normalmente abituati, ma che certamente ognuno troverà straordinarie.

Che splendida realtà i britannici The Mustangs: la loro storia nel mondo del rock blues inizia nel 2001 e due anni dopo esce Let It Roll, primo di una serie di album uno più bello dell’altro.

Siamo arrivati al decimo lavoro, il secondo creato come un concept, dopo il precedente Just Passing Through uscito un paio d’anni fa, questa volta incentrato sull’inquinamento ambientale, ma è la musica di livello altissimo che si prende la scena, divisa in undici brani che racchiudono l’essenza del blues pur contaminandolo con altri generi, dal progressive al rock, dal folk al country.
I The Mustangs, capitanati dal cantante e chitarrista Adam Norsworthy, colorano di note blues rock il cielo del paese immaginario di Watertown, e nello spartito delle varie King Of The Green Fields e Kings Of Light accolgono splendide trame country, accenni al new prog inglese e di quel blues animato da sfumature folk che tanto sa di Waterboys del guru Mike Scott.
Watertown, come avrete capito, non è il “solito” album blues, ma un’opera rock che di queste sonorità si nutre, rivelandosi un disco d’autore, fuori dalle solite sonorità alle quali siamo normalmente abituati, ma che certamente ognuno troverà straordinarie.
Quando poi il rock blues puro prende il sopravvento, ecco che in un attimo l’aria si fa elettrica, l’armonica urla tra le chitarre rock’n’roll di Swimming With The Devil, lasciando poi spazio alla conclusiva beatlesiana Looking For Old England, e l’album, nel suo genere un piccolo capolavoro, vola verso vette ai più irraggiungibili.

Tracklist
01 – King Of The Green Fields
02 – Field And Factory
03 – An Easy Place
04 – Love Will Pass You By
05 – Going Into Town
06 – Inter-Machine
07 – Kings Of Light
08 – Watertown
09 – She Didn’t Get Into The Water
10 – Swimming With The Devil
11 – Looking For Old England

Line-up
Adam Norsworthy – Lead Guitar, Vocals
Derek Kingaby – Blues Harp
Jon Bartley – Drums, Backing Vocals
Ben McKeown – Bass, Backing Vocals

THE MUSTANGS – Facebook

Geezer – Spiral Fires

Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Il trio statunitense Geezer è uno di quei gruppi che ad ogni nuova pubblicazione alza lo standard del proprio genere, in questo caso lo stoner con forti influenze blues e psych.

In questo nuovo ep la band fa quello che le riesce meglio, ovvero musica pesante con un groove importante. La miscela sonica dei Geezer raccoglie vari elementi dagli ultimi cinquant’anni di musica psichedelica americana, a partire dalle visioni sonore degli anni sessanta e settanta, arrivando ad un certo doom degli anni ottanta, scarno e molto vicino al blues. Tutto ciò ed altro ancora lo possiamo ritrovare in questo disco, che nasconde molte sorprese. Spiral Fires ha degli uncini che vi trascineranno lontano, le distorsioni sono tutte al loro posto e hanno un gran bell’effetto sulle nostre menti assetate di viaggi psichedelici. Non a caso questo disco esce per Kozmik Artifactz, un’etichetta che ha sempre prodotto psichedelia pesante in molte declinazioni diverse. Rispetto all’ultimo disco del 2017, Psycchoriffadelia, le atmosfere sono simili ma c’è una presenza inferiore della componente blues, anche se mantengono sempre una struttura musicale fortemente debitrice al suono del delta del Mississipi. Le frequenze dei Geezer non appartengono tutte a questa dimensione e vi porteranno oltre i vostri sensi. Nell’ambito underground i Geezer rappresentano una sicurezza, un gruppo che non sbaglia mai un disco, essendo animati da sincera passione per la musica ma anche baciati da una capacità di composizione non comune. Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Tracklist
1.Spiral Fires Part 1
2.Spiral Fires Part 2
3.Darkworld
4.Charley Reefer

Line-up
Richie
Turco
Pat

GEEZER – Facebook

Brant Bjork – Jacoozzi

Jacoozzi è un insieme di tracce inedite registrate in una session del 2010 e mai pubblicate in nessun disco solista di Brant Bjork, l’ex batterista dei Kyuss, da anni soggetto di un’ottima carriera solista.

Jacoozzi è un insieme di tracce inedite registrate in una session del 2010 e mai pubblicate in nessun disco solista di Brant Bjork, l’ex batterista dei Kyuss, da anni protagonista di un’ottima carriera solista.

Queste canzoni furono messe su cassetta, ma non videro mai la luce. Ecco quindi la pubblicazione dopo l’ultimo disco solista Mankind Woman. I pezzi sono vere e proprie jam, dove Brant ed amici si divertono e ci divertono con pezzi che si sa quando iniziano ma non quando e come finiscano. Il caldo suono analogico è l’habitat adatto per questi pezzi che si inseriscono nella tradizione del desert rock, della psichedelia stoneriana, ma sono molto più minimali rispetto alla normale e conosciuta produzione di Brant. Innanzitutto c’è una grande presenza del funk e del blues, infatti questo disco potrebbe benissimo essere uscito nei tardi anni settanta e nessuno potrebbe averne da eccepire. Le composizioni sono quasi tutte di ampio respiro e regalano molti spunti soprattutto grazie alla bulimica capacità compositiva dell’ex membro dei Kyuss che si conferma un grande autore. In questo album, o meglio in questo concentrato di jam, hanno un grande spazio le percussioni che sono sempre inserite in maniera adeguata e piacevole, regalando un ottimo effetto. Certamente Jacoozzi non concorre ad essere il disco migliore della carriera di Bjork ma è un qualcosa di interessante che ci mostra un lato diverso di un musicista fra i più interessanti della sua leva. Le distorsioni sono presenti in minor misura rispetto ai suoi altri lavori, ma è sempre percepibile la grande attenzione per le linee ritmiche e per la progressione delle canzoni. Un disco interessante che piacerà sia ai fans hardcore di Brant Bjork sia a chi vuole viaggiarsela un po’.

Tracklist
1. Can’t Out Run The Sun
2. Guerrilla Funk
3. Mexico City Blues
4. Five Hundred Thousand Dollars
5. Black & White Wonderland
6. Oui
7. Mixed Nuts
8. Lost Pin Race
9. Polarized
10. Do You Love The World?

BRANT BJORK – Facebook

Pristine – Road Back To Ruin

I Pristine hanno scritto il loro capolavoro, una nuova splendida opera che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.

La sensazione che i Pristine non fossero una band comune era già forte all’indomani dell’uscita del terzo lavoro, Reboot, album che ha permesso alla musica del gruppo della monumentale cantante e songwriter Heidi Solheim di oltrepassare i confini della Norvegia e dare inizio alla conquista del mondo del rock di matrice hard blues o vintage (come si usa definirlo oggigiorno).

I primi due lavori, bellissimi ma poco conosciuti (Detoxing del 2012 e No Regret dell’anno successivo), hanno dato il via ad un crescendo qualitativo che ha portato i quattro rockers scandinavi (oltre alla Solheim la band è formata da Espen Elverum Jacobsen alla chitarra, Gustav Eidsvik al basso e Ottar Tøllefsen alla batteria) alla pubblicazione dello splendido Ninja un paio di anni fa, primo lavoro per il colosso Nuclear Blast, ed ora a superrsi con Road Back To Ruin, straordinaria raccolta di brani che, se porta qualche novità in seno ad un sound collaudatissimo, accomoda per un bel po’ la band sul trono del genere.
I Pristine non sono più il gruppo di una ragazza con un talento fuori dal comune nello scrivere e cantare canzoni rock, ma un gruppo di musicisti che dopo quattro ottimi album hanno prodotto il loro capolavoro, ovvero uno dei dischi più belli degli ultimi dieci anni di rock blues.
Una band moderna, senza paura di mettersi in gioco, capace di emozionare tanto quanto divertire, ora non solo in mano alla sua musa, ma animata da un gioco di squadra che mette in evidenza il gran lavoro di un chitarrista capace di far sanguinare la sua chitarra con una prestazione sontuosa, tra riff zeppeliniani e groove a potenziare brani mai così pregni di forza hard rock.
Sono l’opener Sinnerman, irresistibile brano rock’n’roll, la possente title track dai rimandi sabbathiani, la splendida Bluebird, l’emozionante ballad Aurora Sky, il capolavoro Blind Spot fino a Cause And Effect, blues da pellicole noir con l’orchestra d’archi The Arctic Philharmonic, ad accompagnare la Solheim verso l’immortalità.
I Pristine hanno scritto una nuova splendida opera potente, graffiante, sanguigna, raffinata ed elegante, che consacra la band norvegese come massima esponente del rock classico, con buona pace dei pur ottimi gruppi apparsi sulla scena negli ultimi vent’anni.

Tracklist
1. Sinnerman
2. Road Back To Ruin
3. Bluebird
4. Landslide
5. Aurora Skies
6. Pioneer
7. Blind Spot
8. The Sober
9. Cause and Effect
10. Your Song
11. Dead End

Line-up
Heidi Solheim – Vocals
Espen Elverum Jacobsen – Guitar
Gustav Eidsvik – Bass
Ottar Tøllefsen – Drums

PRISTINE – Facebook

Yearnin’ – Take A Look

Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche.

Dalla provincia di Livorno arrivano gli Yearnin’, progetto di tre amici che cominciano nel 2015 a fare un suono che non si sente spesso in Italia e non solo.

Al centro di tutto c’è il blues, vero e proprio cardine del progetto, declinato in forme non tradizionali e molto efficaci. Ma non c’è solo il blues, ad esempio la penultima traccia, Rescue Me, è un pezzo che sembra dei migliori Alice In Chains, non è affatto derivativo ed è bellissimo. Si respira un’aria molto fresca in questo disco, un entusiasmo di fare musica e non un peso, una voglia di macinare note distorte e cavalcate ritmiche. Oltre al blues e al grunge qui possiamo trovare anche del garage fatto molto bene e del rock bruciante, quasi southern. I riff sono taglienti, la voce ci porta per mano in un mondo più vero e vizioso, su strade polverose di campagna, che posso essere nel delta del Mississipi come in provincia di Livorno. I tre ragazzi hanno trovato una bilanciatura perfetta, vanno come dei treni e non c’è mai un momento di noia o di stanchezza. Rielaborare in questa maniera il blues non è cosa facile, eppure loro lo fanno molto bene riuscendo anche a portare elementi innovativi, in un suono nel quale è già stato detto tutto e solo i più bravi riescono ad aggiungere qualcosa. Il disco è davvero una goduria così come lo deve essere uno loro spettacolo dal vivo. Il suono è rustico, credibile e ben strutturato, figlio di tante jam in saletta, che è poi il luogo dove tutto nasce. La produzione fa risaltare tutta la loro bravura e, inoltre, gli Yearnin’ sanno usare diversi registri, dalle cose più veloci a quelle più lente e sensuali, sempre con un accento originale. Take A Look è un disco che fa godere e allevia un po’ le nostre sofferenze quotidiane, il che non è poco.

Tracklist
1.Take a Look
2.The One You Want
3.Poor Boy
4.No Man’s Land
5.Back for More
6.Her Walking
7.If I’m Nothing (Why Are You Knocking At My Door?)
8.No Soul
9.Rescue Me
10.Grave

Line-up
Lorenzo Rossi – Batteria
Gabriele Taddei – Voce, Chitarra
Gianluca Valentini – Voce, Basso

YEARNIN’ – Facebook

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Robben Ford – Purple House

Robben Ford da vita ad un lavoro vario, benedetto da un’alternanza di generi che vanno dal southern al blues, dal rock alla fusion in un caleidoscopio di sgargianti colori di musica che ha nella chitarra sempre ispirata di Ford la bacchetta magica per ammaliare per l’ennesima volta i fans del genere.

Per gli amanti del rock a stelle e strisce di matrice blues, southern e fusion un nuovo album del guitar hero Robben Ford è un appuntamento imperdibile.

Lo storico chitarrista statunitense in oltre mezzo secolo di carriera ha collaborato con i più grandi artisti della storia del rock: da Miles Davis, a George Harrison, da Joni Mitchell ai Kiss, senza dimenticarsi di Dizzy Gillespie, Georgie Fame, Steely Dan e tanti altri.
La leggendaria marca di chitarre Fender gli ha dedicato una sua creazione (Robben Ford Signature), mentre la rivista Musician lo ha inserito nella classifica dei migliori cento chitarristi del mondo.
Con queste premesse è chiaro che Purple House è un album importante e che, diciamolo subito, non tradisce le attese, almeno per chi segue il chitarrista americano nel suo esemplre percorso da solista.
L’album è stato registrato in studio e co-prodotto da Casey Wasner e in veste di ospiti hanno collaborato la cantante blues Shemekia Copeland, il cantante dei Natchez Travis McCready e la band del Mississippi Bishop Gunn.
Robben Ford dà vita ad un lavoro vario, benedetto da un’alternanza di generi che vanno dal southern al blues, dal rock alla fusion in un caleidoscopio di sgargianti colori di musica
che ha nella chitarra sempre ispirata la bacchetta magica per ammaliare per l’ennesima volta i fans del genere.
L’opener Tangle With Ya, la splendida Bound For Glory, che profuma di grano arso dal sole del sud, il southern blues di Break In The Chains e Somebody’s Fool sono i brani trainanti di questa bellissima raccolta di canzoni che confermano ancora una volta il talento di questo immenso musicista.

Tracklist
1.Tangle with Ya
2.What I Haven’t Done
3.Empty Handed
4.Bound for Glory
5.Break in the Chain
6.Wild Honey
7.Cotton Candy
8.Willing to Wait
9.Somebody’s Fool

Line-up
Robben Ford – Guitars

ROBBEN FORD – Facebook

The High Jackers – Da Bomb

Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Da Bomb è il primo lavoro dei The High Jackers, un manipolo di musicisti capitanato da Stefano Taboga, cantante e bassista dei The Mad Scramble.

La loro missione è suonare rock, blues, soul e R&B come si faceva negli anni sessanta/settanta, una musica sanguigna e letteralmente irresistibile, tra brani briosi ed altri elegantemente vestiti di soul.
Sono in tredici, praticamente una piccola orchestra che regala emozioni sopite a chi ogni tanto ama tornare alle origini di note nate negli States molti anni fa e che ancora oggi ispirano artisti e gruppi legati ai generi citati.
The High Jackers è una band in continuo divenire, visto che si propone in varie vesti, dal duo acustico fino all’intera line up che ha suonato questa dozzina di perle, un magnete che attira a sé ascoltatori di generi lontani tra loro ma uniti dall’amore per la musica delle origini.
Il blues sporcato di soul dell’opener Burgers And Beers, Everybody’s Burning, la ballata Hush Now, il ritmo nero di You Make Me Mad e il crescendo dell’irresistibile This Is The Sound (Da Bomb), che conclude l’opera, vi faranno sognare, saltare, muovere come non facevate da tempo, grazie a Mr Steve ed ai suoi numerosi compari.
Da Bomb è un disco assolutamente consigliato, un ritorno a sonorità che hanno marcato in modo indelebile la storia della musica e della cultura del secolo scorso e che risulta imprescindibile anche nel nuovo millennio.

Tracklist
1.Burgers and beers
2.If I don’t have you
3.Going crazy
4.Sunshine
5.Everybody’s burning
6.Stunned and dizzy
7.Hush now
8.Live it
9.My new paradise
10.The wrong side of the street
11.You make me mad
12.This is the sound (Da bomb)

Line-up
Mr Steve Taboga
Mr Johnny Paper
Mr Marzio “Scoot” Tomada
Mr Fabio ” Fabulous” Veronese
Mr Alberto “Pezz” Pezzetta
Mr Pablo De Biasi
Mr Alan Malusa’ Magno
Mr Andrea “Cisa” Faidutti
Mr Filippo Orefice
Mr Mirko Cisilino
Mr Marco “Magic” D’orlando
Mr Emanuele Filippi
Mr Jeremy Serravalle

THE HIGH JACKERS – Facebook

Imperial Jade – On The Rise

Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Siamo entrati nel 2019 e l’ondata rock vintage che si infrange sulle scogliere del mercato odierno continua a regalare perle di indubbio spessore come questo bellissimo lavoro degli spagnoli Imperial Jade, rock band in arrivo dalla provincia di Barcellona.

On The Rise è il titolo di questo ottimo album, un tributo al rock degli anni settanta, decennio dominato dal dirigibile più famoso della storia del rock.
Profuma di Bron Y Aur, questo lavoro, luogo magico per Plant e soci e dove sembra che gli Imperial Jade siano stati ispirati per la scrittura di questa raccolta di brani che affondano le loro radici nei primi quattro lavori dei Led Zeppelin.
Ovviamente è passato quasi mezzo secolo ed il sound degli Imperial Jade vive pure di altre icone del rock (Cream, Bad Company) o più giovani colleghi (Rival Sons), ma è indubbio che chiudendo gli occhi la chioma di un giovane Plant e la chitarra di Page siano le prime e più chiare immagini che si formano nella nostra mente all’ascolto del riff di Dance, che sa tanto di Custard Pie, Sad For No Reason che sembra uscita dalle sessions di Led Zeppelin III, mentre nel bel mezzo di The Call vive Whole Lotta Love e la Since I’ve Been Love In You degli Imperial Jade si intitola Lullaby In Blue.
Il quintetto di Maresme ha il pregio di far rivivere le emozionanti partiture create dal martello degli dei con la convinzione di chi conosce la materia a menadito, scendendo dal dirigibile per un paio di brani (Keep Me Singing e Heat Wave) ma risalendovi in tempo nella conclusiva Struck By Lightning, brano in cui confluiscono sentori di Deep Purple anche per la presenza dell’hammond.
Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.You Ain’t Seen Nothing Yet
2.Dance
3.Sad For No Reason
4.The Call
5.Glory Train
6.Lullaby In Blue
7.Keep Me Singing
8.Heat Wave
9.Rough Seas
10.Struck By Lightning

Line-up
Arnau Ventura – Vocals
Alex Pañero – Guitar
Francesc López Lorente – Drums
Hugo Nubiola – Guitar
Ricard Turró – Bass

IMPERIAL JADE – Facebook

The Savage Rose – Homeless

Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Lasciamo i territori metallici per rendere il giusto tributo ad una band ed un’artista straordinarie: Annisette e i The Savage Rose.

La band danese, attiva dagli anni sessanta, fondata da Annisette e Thomas Koppel, ha attraversato quasi mezzo secolo tra grande musica ed impegno sociale, sempre dalla parte dei diseredati e degli homeless come suggerisce il titolo del nuovo, bellissimo lavoro.
In virtù di una discografia immensa e una reputazione live leggendaria, i The Savage Rose nel corso degli anni, pur vincendo premi a profusione non si sono mai svenduti al music biz, rimanendo una band culto per i fans, alle prese con il loro rock infarcito di blues, psichedelia e del talento interpretativo della grande vocalist Annisette, la quale continua a provocare i brividi nonostante la non più verdissima età.
Homeless è un album assolutamente in linea con quanto espresso in passato dal gruppo, un rock intriso di disperazione, sanguigno nella sua anima blues, che a tratti si perde in ritmi soul sempre con la voce della cantante che letteralmente rapisce, dotata com’è di una ruvidità di fondo che risulta dono che la natura ha fatto e che Annisette da anni mette al servizio delle emozioni.
Nove brani che trasportano l’ascoltatore in una catarsi in cui la voce della cantante è sirena sinuosa, raffinata, tragica, sanguigna interprete, mentre la title track dà il via a questo rito musicale che continua imperterrito grazie a capolavori come Woman, Darling Dear e la conclusiva, drammatica, straordinaria Romano.
Fuori dagli abituali ascolti, i The Savage Rose e la loro musica sono un’esperienza d’ascolto tutta da vivere.

Tracklist
1. Homeless
2. We go On
3. Woman
4. Darling Dear
5. Harassing
6. Exit
7. Sorrow
8. That’s Where I’m Going
9. Romano

Line-up
Annisette – Vocal
Naja Rosa Koppel & Amina Carsce Nissen – Background Vocals
Nikolaj Hess – Piano, Hammond and additional keys
Las Nissen – Guitar
Jacob Haubjerg – Bass
Anders Holm – Drums
Frank Hasselstrøm – horns and keys

THE SAVAGE ROSE – Facebook

Prins Obi & The Dream Warriors – Prins Obi & The Dream Warriors

Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano.

Prins Obi è il nome di battagliadi Georgios Dimakis, farmacista greco e per nostra fortuna musicista dei Guru, ora al secondo disco con il suo progetto solista insieme ai grandi The Dream Warriors, dopo l’acclamato The Age Of Tourlou del 2017.

La loro proposta è composta da uno psyhc rock anni settanta molto godibile, profondo e con un’incredibile aderenza ai canoni di quegli anni. Se questo disco fosse uscito negli anni settanta avrebbe avuto un sicuro successo, perché sia la composizione che la produzione sono molto in linea con quei dettami musicali. Si spazia un po’ in tutti gli ambiti, dalla psichedelia più acida dai rimandi floydiani a momenti che sembrano usciti da un Sgt. Pepper greco, infatti, quando le liriche sono in lingua madre la magia è maggiore. Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano. Chi segue da qualche anno la nuova scena psichedelica greca sa che possiede gruppi notevolissimi, ma qualcosa come questo disco non si era ancora sentito. Con ciò non si vuole affermare che esso sia il punto più alto di suddetta scena, ma è un qualcosa di molto importante. Innanzitutto sorprende la grande naturalezza con la quale Prins Obi ed il suo gruppo si lanciano nell’agone musicale, e dopo una prima parte del disco più veloce ed incalzante si passa ad una seconda più riflessiva che sfiora il folk psichedelico, e che comunque si lega benissimo alla prima. Difficile cadere nella noia con un lavoro così ben costruito e suonato ancora meglio, dato che gli interpreti sono molto capaci con un risultato d’insieme che diviene l’obiettivo comune. Gioia e stupore psych per un altro grande disco greco della Inner Ear Records.

Tracklist
1.Concentration
2.Flower Child (Reprise)
3.Negative People / Άμοιρε Άνθρωπε
4.Astral Lady Blues
5.Fingers
6.Δίνη
7.Αδαμάντινα Φτερά
8.Sally Jupinero
9.Guilty Pleasure Theme
10.For Absent Friends
11.Wide Open
Line-up
Georgios Dimakis – lead vocals, piano, synths –
Pantelis Karasevdas – drums, percussion –
Sergios Voudris – bass, electric guitar –
Kwstas Red Hood – percussion –
Chris Bekiris – electric guitar-
URL Facebook

PRINS OBI & THE DREAM WARRIORS – Facebook

Slap Guru – Diagrams Of Pagan Life

Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Gli Slap Guru sono un gruppo hard blues psichedelico madrileno: il loro primo lavoro intitolato Cosmic Hill uscì un paio di anni fa per la Andromeda Relix ed ora tornano sul mercato con il full length Diagrams Of Pagan Life, per la Sixteentimes Music.

Il sound proposto richiama le band hard rock degli anni settanta, e tutto in questo album è fortemente legato ai primi anni del decennio più importante della storia del rock, andando se vogliamo ancora più a ritroso e sconfinando nella decade precedente.
Led Zeppelin, Cream e Bad Company, strafatti di psichedelia e sostanze illegali, si materializzano in questo viaggio del quartetto spagnolo, composto da dodici brani che formano un’unica jam di retro rock in grado di portarci su altri mondi, spaziando tra blues e rock psichedelico e a tratti progressivo.
Diagrams Of Pagan Life è rivolto agli amanti dei suoni vintage, l’aria che si respira è in tutto e per tutto quella degli anni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, e l’impatto di quest’opera, dalla copertina alla musica prodotta, è assolutamente e volutamente retrò, quindi assolutamente fuori portata se non siete più che fans della musica suonata in quel periodo, ma che in tal caso sa regalare momenti di grande rock, con brani come My Eerie Universe, Contemporary Blankness e Streams On A Plain.
Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Tracklist
01.Çk-üsa
02.Diagrams Of Pagan Life
03.My Eerie Universe
04.Into The Gloom
05.To Forget Is To Forgive
06.Contemporary Blankness
07.Earth Cycles
08.The Same Old Way – Diagrams Of The Solar System
09.A Daily Loser – Dropping Electrons In A Hydrogen Atom
10.A Wornout Tool – Diagrams On A Blaze
11.Streams On A Plain
12.An-ühataN-üda

Line-up
Valerio ‘Willy’ Goattin – Voices, electric & acoustic guitars
Alberto Martin Valmorisco – Electric & classic guitars, sitar, baglama, cosmic frequency collector
Javier Burgos Labeaga – Bass
Jose Medina Portero – Drums, percussion

SLAP GURU – Facebook

Ru Fus – Vita Natural Durante

Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Ru Fus è un’anima musicale che ha attraversato molti momenti del sottobosco musicale pisano ed è arrivato finalmente all’esordio solista, dopo che è stato in molti gruppi, volendo esprimersi in totale libertà e ne esce una buona prova.

Ru Fus ha cominciato a fare musica tanti anni fa dopo essere stato folgorato da un concerto dei Soundgarden, e fonda nel 1993 gli Akchol Folw che si sciolgono nello stesso anno; entra quindi nella band punk rock Ganzi e Rozzi dalla quale poi esce per andare a far parte del seminale gruppo degli Zen, che poi diventeranno Zen Circus, con i quali rimane fino alla fine del 1999. Da qui comincia una peregrinazione in vari gruppi, con tanti concerti e tante canzoni macinate. Questo suo primo disco solista arriva al momento giusto ed è un piacere da sentire, sia perché è grunge fino al midollo, sia perché è un qualcosa di molto differente rispetto a ciò che si sente ora in giro. Innanzitutto la grande esperienza di Ru Fus è seconda solo al cuore che ci apre e ci fa vedere ogni suo battito, attraverso la lente della musica. La voce di Ru Fus è carica, calda e si potrebbe definire grunge blues, ti scava dentro e non ti lascia scampo. Il primo lavoro solista del musicista pisano non è però meramente nostalgico, prende come struttura portante il grunge, ma ha molte sfaccettature ed è un opera completa e che regala molte emozioni. Per chi ama certe sonorità è un ritorno ad un qualcosa che sembrava scomparso, anche perché le band che si rifanno al grunge spesso lo seguono in maniera ortodossa, mentre la sua essenza è ben catturata da Ru Fus, che ne coglie le cose migliori e le porta a galla attraverso la propria sensibilità. Vita Natural Durante è una di quelle gemme che vivono nel sottobosco e che sono gioie riservate a chi vuole ricercare, e non a chi vuole trovarsi la pappa pronta.

Tracklist
01. Da nessuna parte
02. Giornate nuvolose
03. Vecchie radici morenti
04. Fuori di testa
05. Solo
06. Mustangata
07. Grasso sole
08. Senza via d’uscita
09. Scalpo nero
10. Panic
11. Servi un signore
12. Ieri, oggi e domani

RU FUS – Facebook

The Rambo – The Past Devours Everything

The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotar senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale.

Nouvelle vague noise blues totalmente libera ed in pieno spirito Frank Zappa.

Situazionismo musicale fatto in maniera molto intelligente ed interessante e soprattutto spiazzante. La voce è quella di uno sbronzo che gira per gli incroci cercando di stipulare un patto con Baron Samedi, mentre il resto sono giri di chitarra, basso e batteria che vanno nella direzione che vogliono. La cosa bella è che tutto ciò produce un risultato che è una boccata di aria fresca. Si prova gioia a sentire una tastiera che entra senza alcun senso, o forse perfettamente in linea, dipende se considerate il senso un vizio o una virtù, e va a fare la sua cosa. Il fine qui è molto più importante dei perché o del come, infatti il gruppo che nasce come duo diventa spesso un trio o poi torna a duo ma che importa ? La cosa importante è che continuino a fare dischi come questo, che ti incalza e ti viene sotto, per mostrarti un lato diverso del blues rock, o forse è un altro genere, ma soprattutto di qualcosa che non sia già comprensibile dalla copertina, cosa che succede per molti lavori. Certamente il blues qui è una grande fonte di ispirazione, ma non quello canonico, ma un blues totalmente bastardo, che è poi la vera missione del genere. The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotare senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale. Ogni angolo delle canzoni è una sorpresa, dalla furia si passa all’estasi e da questa ad un’ansia imperdonabile, per poi bearsi di un godimento quasi oppiaceo. Il disco si inserisce nel Bervismo, il bellissimo movimento musicale che sta tirando su Dischi Bervisti, un’etichetta italiana che non fa solo musica, ma propaganda una visione diversa ed in costante evoluzione della musica alternativa in Italia e non solo, e ci regala dischi come questo che sorprendono come non accadeva da tempo.

Tracklist
1 Anger son
2 Child-conflict
3 Deadline show
4 Napalm
5 Primitive aggression
6 Purification song
7 Rope of sorrow
8 Shining light
9 The devil lurk in the holy house
10 The past returns
11 Wh_t’s th_s s_ckn_ss
12 Wrath lord

Line-up
J. Marsala – chitarra, voce, sampler
Bang L.A. Desh – batteria
Capa de Sangre – chitarra

THE RAMBO – Facebook

Blue Cash – When She Will Come

I Blue Cash hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

MetalEyes è nato inizialmente per approfondire la parte metallica di In Your Eyes, ma non ha mai fatto mistero delle sue radici rock, radicate in ognuno dei suoi collaboratori, ed è per questo che un album come When She Will Come dei country bluesmen nostrani Blue Cash diventa un momento, come tanti ce ne sono stati e continueranno ad esserci, per dare spazio a suoni in apparenza lontani da quelli ai quali abitualmente ci dedichiamo.

Il quartetto friulano, formato da ottimi musicisti con svariate esperienze nel mondo musicale, suona un rock semiacustico, ispirato in primis al grande Johnny Cash, leggenda del country rock americano, musicista, compositore e poeta, amato anche da molti artisti lontani dalle corde musicali del man in black.
Da Johnny Cash la band parte per un viaggio nel rock, fatto di strade impervie, crocicchi sperduti nelle pianure polverose degli States, di blues e psichedelia, di rock’n’roll e jazz lungo una quarantina di minuti ma che potrebbe durare mezzo secolo.
I Blue Cash, quindi, non si accontentano di tributare il grande artista americano, ma esplorano con l’aiuto della sua influenza il vasto mondo della musica americana, con la personalità di chi ha il talento per marchiare a fuoco con il proprio monicker il sound di cui si compone When She Will Come.
Si passa così da brani country folk a bellissime tracce che ricordano l’assolato confine con il Messico (Stay With Me), dal rock swing di Message To A Friend al rock’n’roll venato di jazz della divertentissima Jenny Doin’ The Rock.
Andrea Faidutti (chitarra e voce), Alan Malusà Magno (chitarra e voce), Marzio Tomada (contrabasso e voce) e Alessandro Mansutti (batteria) hanno creato un sound che, se affonda le radici nella musica di Johnny Cash, si muove tra varie pulsioni musicali che hanno attraversato sessant’anni di musica a stelle strisce, madre di tutto quello che si ascolta oggi in ambito rock.

Tracklist
01.Intro Death & the Devil
02.The End
03.Junkie Man
04.Do It for Nothing
05.Stay with Me
06.King of Nothing
07.Message to a Friend
08.The Gift
09.Jenny Doin’ the Rock
10.When She Will Come
11.Outro the Devil & Death
12.Maledetti Cash

Line-up
Andrea Faidutti – chitarra e voce
Alan Malusà Magno – chitarra e voce
Marzio Tomada – contrabasso e voce
Alessandro Mansutti – batteria

BLUE CASH – Facebook

The Dark Red Seed – Becomes Awake

Sperimentale, etnico, oscuro ai limiti del dark folk e dalle malate venature blues, Becomes Awake si rivela un’opera di spessore qualitativo non comune e il bravo Larson si ritaglia con merito uno spazio importante al di fuori dell’ombra di quel King Dude, del quale il musicista di Seattle è uno dei più stretti collaboratori.

Tosten Larson, dopo aver pubblicato lo scorso anno un ep di assaggio del suo progetto The Dark Red Seed, si presenta sempre sotto l’egida della Prophecy con il full length d’esordio, Becomes Awake.

Se Stands With Death era parso promettente, ma non aveva fatto capire più di tanto del potenziale del musicista statunitense (il quale si avvale della stabile collaborazione di Shawn Flemming), questo lavoro fuga ogni dubbio fin dalle prime note dell’opener Dukkha, che regala un ottimo esempio di psichedelia obliqua, con tanto di fiati a sostenerne la struttura, e della successiva Darker Days , blues deviato che abbaglia per interpretazione personale di tale materia, ripresa anche nella conclusiva Diana And Ouroboros Dance, dove una sorta di Danzig de-anabolizzato incontra i Doors dando vita ad una canzone stupenda.
In realtà parlare di un brano specifico rischia d’essere fuorviante, in quanto l’album possiede una ricchezza di sfumature impagabile, esaltata da una pulizia sonora e interpretativa formidabile: questo avviene anche grazie al contributo di ospiti come Kelly Pratt e Steve Nistor, i quali alimentano costantemente il flusso musicale con l’apporto di strumenti a corda, fiati e percussioni.
Sperimentale, etnico, oscuro ai limiti del dark folk e dalle malate venature blues, Becomes Awake si rivela un’opera di spessore qualitativo non comune e il bravo Larson si ritaglia con merito uno spazio importante al di fuori dell’ombra di quel King Dude, del quale il musicista di Seattle è uno dei più stretti collaboratori.

Tracklist:
01. Dukkha
02. Darker Days
03. Alap
04. Ancient Sunrise
05. The Mouth Of God
06. The Destroyer
07. The Void
08. Awakening
09. Sukha
10. Diana And Ouroboros Dance

Line-up:
Tosten Larson
Shawn Flemming

THE DARK RED SEED – Facebook

Dee Calhoun – Go To The Devil

Oltre al blues qui c’è una grande anima ed al contempo aleggia molto forte lo spirito americano, quell’american folk che si può fare solo nella terra oltre l’Atlantico.

Torna il bardo barbuto che risponde al nome di Dee Calhoun, il cantante dell’ottima doom band Iron Man.

Questo Go To The Devil è il suo secondo lavoro solista, dopo Rotgut del 2016 uscito sempre su Argonauta Records come questo. Il nostro non si discosta molto dal disco precedente, narra le sue storie con l’ausilio di chitarra acustica, qualche percussione e con il fido socio degli Iron Man Louis Strachan al basso. Il risultato è persino migliore del già buon disco precedente. In tanti hanno si mettono dietro alla chitarra acustica per narrare storie, ma la struttura minimale di questa scelta musicale fa vedere chi può farlo e chi no, e Dee è un maestro in questo. Con relativamente poco riesce a creare delle bellissime atmosfere, pregne di blues, di asfalto e di vita vissuta, di cicatrici e soprattutto di come si procurano. Oltre al blues qui c’è una grande anima ed al contempo aleggia molto forte lo spirito americano, quell’american folk che si può fare solo nella terra oltre l’Atlantico. Dee possiede una grande maturità e ha un piglio da cantautore blues, anche se ,a ben sentire, le canzoni sono sempre costruite con una forte ossatura rock se non metal, e sarebbero già pronte ad essere eseguite da un gruppo. La voce di Calhoun è calda, potente, come un fuoco che sa di esserlo, ma che si è anche bruciato da par suo prima di diventarlo. Non è facile fare un disco acustico e renderlo interessante e Go To The Devil vi terrà incollati alle cuffie o alle casse per molto tempo, perché ha anche vari livelli. Giubbotti neri e barbe lunghe che significano, oltre all’aspetto esteriore, una grande esperienza di vita, andando oltre le ferite che le inevitabili cadute portano. La musica come questa serve sia a chi la fa per espellere il veleno che quotidianamente ingoiamo, sia a chi la ascolta e viene riscaldato da tante sensazioni. Andare al diavolo a volte è l’unica soluzione possibile.

Tracklist
1. Common Enemy
2. Bedevil Me
3. Born (One-Horse Town)
4. The Final Stand of the Fallen
5. Go to the Devil
6. Me Myself and I
7. The Lotus Field is Barren
8. Jesus, the Devil, the Deed
9. The Ballad of the Dixon Bridge
10. Your Face
11. Dry Heaves & Needles

DEE CALHOUN – Facebook