Sercati – The Rise Of The Nightstalker (Tales Of The Fallen PT II)

Continua la saga del Nigthstalker, concept atmospheric black metal ideato dai belgi Sercati.

Secondo capitolo della saga del Nightstalker ad opera dei belgi Sercati, trio black metal molto atmosferico, che esordì con due demo nel 2009 ed arrivò al primo capitolo intitolato “Tales Of the Fallen” nel 2011.

La storia fantasy raccontata in questa saga parla di un angelo e della sua discesa sulla terra per salvare se stesso e l’umanità, aiutato e protetto da un’entità, appunto il Nightstalker.
Il trio di Liegi, musicalmente, è molto vicino al dark/gothic più che al black: l’album, infatti, risulta molto melodico e solo lo screaming, peraltro punto debole del lavoro, avvicina l’album al black metal.
Le orchestrazioni sono ben congegnate, l’uso del piano e degli strumenti acustici, che in questo lavoro trovano molto spazio,rendono l’ascolto molto vario.
Anche nelle parti dove la band velocizza il suono, l’aura e’ sempre atmosferica e non si va oltre ad una ritmica cadenzata; peccato, ripeto, per lo screaming da folletto (sullo stile del primo Mortiis) che rovina un po’ l’eleganza mostrata dal songwriting.
Accenni al dark (Hunt Between Fallen) e poi tanta melodia per un lavoro, che potrebbe risultare appetibile a molti fan dai gusti diversi, ma anche spunti vicini al folk metal ed uno spirito prog che aleggia su gran parte di un disco oggettivamente ben suonato dai ragazzi belgi, peraltro ancora molto giovani.
Meritano un accenno Until My Last Breath, strutturata su un riff classico, l’appendice acustica di In Equilibrium, accompagnata da delicate tastiere, bissata da My Legacy, anch’essa di chiara ispirazione primo Mortiis e la conclusiva The Hero We Don’t Deserve, brano che racchiude tutte le atmosfere di un lavoro da ascoltare in completo relax per farsi accompagnare, sulle ali dell’angelo, dentro i meandri della musica dei Sercati.

Tracklist:
1. Rememberance
2. Hound from Hell
3. Until My Last Breath
4. Hunt Between Fallen
5. In Equilibrium
6. My Legacy
7. Face to Face
8. No More Fear
9. The Hero We Don’t Deserve

Line-up:
Steve “Serpent” Fabry – Bass, Vocals
Yannick Martin – Drums
Florian Hardy – Guitars

SERCATI – Facebook

Asofy – Percezione

Un’altra ottima opportunità di ascolto per chi predilige tonalità oscure striate da fiochi bagliori di luce.

Nati all’inizi del secolo come progetto solista di Tryfar, i milanesi Asofy ritornano a pubblicare un album dopo quello d’esordio datato ormai 2001 , intervallato da un Ep nel 2007 ed un più recente split con gli Sleeping Village.
La novità rispetto ai lavori citati è che la parte vocale e lirica, rigorosamente in lingua italiana, è stata affidata in toto ad Empio, lasciando a Tryfar il compito di occuparsi esclusivamente del suo percorso musicale che va a lambire, di volta in volta, le sponde dei generi maggiormente ammantati di oscurità, quali black, doom, depressive, post-metal e dark ambient.
E, in effetti, il connubio tra l’impalcatura sonora voluta dal polistrumentista lombardo e le vocals del suo sodale appare vincente, poichè i tre quarti d’ora abbondanti di musica contenuti in Percezione sono tanto difficili da assimilare quanto appaganti nel momento in cui si riesce a penetrare attraverso la spessa corazza di incomunicabilità creata dall’efferata esposizione dei testi, grazie ai frequenti spiragli lasciati aperti dalla componente strumentale
Chiamatelo black avanguardista o come meglio vi aggrada, ma ciò che maggiormente interessa è constatare quanto il lavoro degli Asofy sia fondamentalmente un’opera che trasuda personalità e chiarezza d’intenti e nella quale Tryfar riesce nella non facile impresa di imprimere nelle menti degli ascoltatori quattro lunghi brani dalle diverse peculiarità ma accomunati da un mood oscuro, talvolta disperato, in altri momenti intriso di un profondo nichilismo, sempre in grado comunque di fare breccia nel cuore e nella mente di chi si lascia trasportare dalla musica senza porsi alcun limite precostituito.
Indubbiamente la scelta di Empio di ricorrere per lo più ad una voce urlata, che non è neppure definibile come un classico screaming di matrice black, può costituire un elemento di disturbo per chi è meno avvezzo a sonorità di stampo estremo ma, in realtà, rappresenta al pari della parte strumentale un tassello fondamentale per lo sviluppo dell’album proprio perché, con Percezione, gli Asofy non vogliono portarci a spasso per lande fiorite bensì scaraventarci senza misericordia negli abissi più reconditi dell’esistenza umana.
Un’altra ottima opportunità di ascolto per chi predilige tonalità oscure striate da fiochi bagliori di luce.

Tracklist:
1. Luminosità
2. Saturazione
3. Ombra
4. Oscurità

Line-up :
Tryfar – Instruments and Music
Empio – Vocals

Lenore S Fingers – Inner Tales

Lavoro dalle tinte decadenti e dal sound atmosferico, riflessivo ed elegante quello proposto, con ottimo piglio, dalla band calabrese dei Lenore S Fingers.

In copertina una camera stile anni trenta, una ragazza sdraiata sul letto, lo sguardo verso una finestra illuminata dai raggi del sole: fuori è già cominciata la primavera, la natura si risveglia, tutto dovrebbe essere più gioioso e la stagione che nasce dovrebbe portare via il malessere che inevitabilmente l’inverno porta con se; invece, qualcosa non va in lei: un primo amore perduto?

Lo scoprirete tra i solchi dell’esordio dei Lenore S Fingers, band calabrese accasatasi presso la My Kingdom Music (etichetta che, in quanto a band di talento se ne intende), protagonista di un lavoro intimista, delicato e di classe, impreziosito dalla voce suggestiva di Federica Lenore Catalano, anche alla chitarra e ai synth e indiscussa leader del combo.
Formatosi nel 2010, il gruppo arriva all’esordio con una personalità da band navigata, costruendo un songwriting che pesca in varie direzioni senza perdere una spiccata originalità di fondo, lasciando che la musica fluisca senza alcuna forzatura e rendendo l’ascolto estremamente piacevole.
The Gathering, Katatonia e e il dark ottanti ano sono nomi e genere che più si avvicinano alla musica della band calabrese che, quando serve, non rinuncia ad indurire il suono, come nella stupenda Victoria o nella sinfonica Doom, pur mantenendo un’eleganza non comune.
La buona produzione fa sì che gli strumenti non coprano la bellissima voce di Federica, che in certe circostanze si fa eterea e molto emozionale: esempio lampante è Cry Of Mankind, dove un alternarsi di momenti acustici ed elettrici sono supportati in egual modo dal tono sulfureo della cantante e, sul finire, la song è impreziosita da un bell’assolo di chitarra che metallizza l’atmosfera.
Song To Eros è un bellissimo brano dalle coordinate stilistiche vicine al gruppo olandese che fu della divina Anneke van Giesbergen, mentre nella conclusiva An Aching Soul la chitarra acustica accompagna la voce di Federica pere l’episodio più intimista del lotto chiudendo il lavoro con atmosfere dai rimandi dark wave.
Inner tales è un lavoro che potrebbe piacere ad una vasta fetta di pubblico, rivelandosi adatto sia ai fan del gothic metal, sia a chi preferisce un approccio più dark rock ma, soprattutto è l’ennesima buona prova di una band tutta italiana.

Tracklist:
1. Inner Tales
2. The Last Dawn
3. Victoria
4. Cry of Mankind
5. To the Path of Loss
6. Song to Eros
7. Doom
8. The Calling Tree
9. An Aching Soul

Federica Lenore Catalano – Vocals,Guitars,Guitar synth
Patrizio Zurzolo – Guitars,Guitar synth
Domenico Iannolo – Bass
Gianfranco Logiudice – Drums
Giuseppe Giorgi – Keyboards

LENORE S FINGERS – Facebook

Nicumo – The End Of Silence

I Nicumo offrono una proposta decisamente fruibile ed immediata, individuabile in un hard rock dai tratti piuttosto melodici e talvolta malinconici, che si presenta come una summa di alcune delle band finniche capaci, nel recente passato, di lasciare un segno tangibile nella scena europea.

Dopo aver esaminato nel recente passato diverse uscite discografiche da parte di band finlandesi, meritoriamente portate alla ribalta anche nel nostro paese grazie all’operato della Red Cat Promotion, terminiamo almeno per ora questo ideale “tour dei mille laghi” con gli ottimi Nicumo.

Inseriti nell’interessante e variegato valido roster della label locale Inverse Records, i nostri offrono una proposta decisamente fruibile ed immediata, individuabile in un hard rock dai tratti piuttosto melodici e talvolta malinconici, che si presenta come una summa di alcune delle band finniche capaci, nel recente passato, di lasciare un segno tangibile nella scena europea.
L’opener Follow Me mostra subito la capacità dei Nicumo di comporre brani orecchiabili ma non per questo effimeri, andandosi a collocare nella scia dei Sentenced più melodici, mentre la successiva All Gone è un esempio di songwriting versatile, in grado di passare con disinvoltura da momenti carezzevoli in stile Him a ruvidezze vocali degne del Ville Laihiala epoca “Down”. Proprio la capacità di svariare tra diverse gamme vocali da parte del bravissimo cantante Hannu Karppinen è sicuramente uno dei valori aggiunti per il quintetto, basti ascoltarlo quando in Exorcist si traveste (solo metaforicamente, per sua fortuna … ) da Mr.Lordi, conducendo in porto un altro brano dal groove irresistibile. Il resto della band non è certo da meno, anche se la disinvoltura con la quale vengono sciorinati i brani fa apparire tutto molto più semplice di quanto non sia in realtà: ognuno svolge il proprio compito con classe invidiabile, senza strafare e ponendosi come unico obiettivo la riuscita dei singoli brani. Nel prosieguo del disco si segnalano altri ottimi episodi, come la più ritmata My Bullet, o My Own Silence, dove fanno capolino sonorità che richiamano un altro pezzo da novanta della scena finnica quali gli Amorphis. Messa così, potrebbe essere naturale liquidare questo lavoro come una semplice, seppur riuscita, operazione di collage, sottovalutando invece la capacità mostrata da questi musicisti nel fare proprie tali innegabili influenze e rimodellarle in funzione di una resa finale dalla qualità francamente inattaccabile. Sarebbe un vero peccato, quindi, se una realtà come i Nicumo restasse confinata ai ristretti (almeno dal punto di vista demografico) confini nazionali, perché un sound come quello proposto in The End Of Silence ha tutte le carte in regola per poter fare breccia ad ogni latitudine.

Tracklist:
1. Follow Me
2. All Gone
3. Devil
4. Exorcist
5. Firestorm
6. My Bullet
7. Difference
8. Kills Me
9. My Own Silence
10. Lines Drawn by Tears

Line-up :
Sami Kotila – Bass
Aki Pusa – Drums, Percussion
Tapio Anttiroiko – Guitars
Atte Jääskelä – Guitars
Hannu Karppinen – Vocals

NICUMO – Facebook

Ecnephias – Necrogod

La caratteristica di schiudersi lentamente e di concedersi all’ascoltatore solo dopo diversi passaggi nel lettore è una peculiarità dei grandi dischi.

A circa un anno e mezzo dalla pubblicazione di un lavoro magnifico come “Inferno”, gli Ecnephias si ripresentano con un nuovo disco per il quale le aspettative erano piuttosto elevate: lo stesso Mancan, nel presentare il nuovo lavoro, come è suo costume non si è certo nascosto dietro dichiarazioni di facciata, proclamando con convinzione che Necrogod sarebbe stato il miglior album mai inciso dalla sua band.

Se è vero che affermazioni di questo tenore sono all’ordine del giorno in occasione di nuove uscite in campo discografico, va detto subito che quanto affermato dal musicista lucano corrisponde in tutto e per tutto alla realtà.
Per gli Ecnephias, sulla spinta degli ottimi riscontri ricevuti nel recente passato, sarebbe stato facile riproporre una sorta di “Inferno 2” ma è sufficiente conoscere la loro storia per escludere subito questa possibilità: qui si parla di una band che, partita dal black dai tratti comunque evocativi degli esordi, si è evoluta nel corso degli anni verso una forma di heavy metal oscuro e malinconico, dalle ampie sfumature dark, in maniera analoga a quanto fatto, sia pure in un arco temporale più ampio, dai Moonspell (che, assieme a Rotting Christ e Septic Flesh, sono sempre stati per Mancan degli espliciti punti di riferimento).
Sarebbe un grave errore, però, attendersi una versione fedele ma sbiadita della band portoghese: gli Ecnephias rielaborano le svariate influenze musicali (dichiarate e non) assimilate nel corso degli anni dal proprio leader (nonché dal suo storico sodale Sicarius) dando vita a un prodotto che possiede, in tutto e per tutto, un marchio di fabbrica inconfutabilmente e immediatamente riconoscibile.
Se, in Inferno, il retaggio estremo faceva ancora capolino a tratti all’interno dei singoli brani, in Necrogod tutto ciò lascia posto a una forma di heavy metal dalle tinte fosche per atmosfere e attitudine, mentre ogni residua pulsione riconducibile al black sembra essere stata interamente convogliata da Mancan nel suo rinato progetto Abbas Taeter.
Dopo premesse di questo genere, sarebbe lecito attendersi un lavoro orecchiabile o di facile presa e, invece, dopo i primi ascolti accade esattamente l’opposto : Necrogod gode infatti di una profondità inattesa e, per questo motivo, potrebbe risultare ingannevole per chi inconsciamente vi si avvicinasse attendendosi episodi più immediati, sulla falsariga di “A Satana” o “Chiesa Nera”.
E’ possibile che la rinuncia totale all’uso dell’italiano abbia avuto un suo peso nel rendere maggiormente complessa l’assimilazione dei brani, ma non c’è dubbio che la caratteristica di schiudersi lentamente, di concedersi all’ascoltatore solo dopo diversi passaggi nel lettore, sia una peculiarità dei grandi dischi.
Chi riuscirà a non affrontare Necrogod in maniera superficiale, otterrà in cambio la possibilità di godersi un affascinante viaggio musicale incentrato, a livello lirico, sulle divinità conosciute ed adorate in epoca pre- cristiana: così, nei quasi cinquanta minuti di durata del disco, Mancan ci guida in un percorso storico-religioso che include le antiche divinità mediorientali (Baal, Ishtar, Inanna), il serpente piumato dei Maya (Kukulkan), la mitologia greco-egizia (Ade, Osiride, Anubi, Horus), la terribile dea indiana Kali, il mostruoso Leviatano di biblica memoria e la magica ritualità del Voodoo.
Ma passiamo ad eseminare in maniera più approfondita l’aspetto che più ci preme, ovvero la musica: il disco è inaugurato da una breve traccia strumentale che fa già presagire il nuovo corso degli Ecnephias: atmosfere sempre più evocative arricchite da elementi etnici e tribali, in ossequio alle tematiche trattate,
In occasione del primo impatto con Necrogod i due brani che sicuramente colpiscono di più sono The Temple of Baal-Seth, in possesso di un ritmo trascinante ed un chorus in portoghese condotto da Mancan in maniera esemplare, e Voodoo, dove l’evidente citazione dei Rotting Christ è in realtà volta ad omaggiare l’ospite Sakis, che presta la sua voce inconfondibile a una traccia entusiasmante, all’interno della quale la chitarra assume in certi frangenti accenti maideniani.
La title-track e Leviathan mostrano il volto più violento degli Ecnephias, anche se la componente melodica non viene certo messa in secondo piano, ma è evidente che il proprio meglio la band potentina lo offre negli episodi maggiormente coinvolgenti sul piano emotivo, quando la ritualità delle invocazioni alle divinità si amalgama naturalmente a fughe chitarristiche di grande intensità ad opera di Nikko, il tutto punteggiato dall’elegante lavoro alle tastiere di Sicarius e dalla possente e precisa base ritmica a cura di Miguel José Mastrizzi e Demil. Così, se Ishtar assume diverse sembianze musicali nel corso del suo dipanarsi, in ossequio alla mutevolezza di colei che per i sumero-babilonesi era allo stesso tempo dea del cielo, della terra e degli inferi, Kukulkan e Anubis si svelano progressivamente mostrando tutta la capacità di Mancan e soci nell’ideare canzoni dove il growl e i riff di matrice estrema si sposano naturalmente con clean vocals profonde e poggiate su melodie apparentemente suadenti, ma costantemente avvolte da un velo di oscurità.
L’esempio migliore di quanto appena affermato è Kali Ma, un brano che esplode in tutta la sua sfolgorante bellezza solo dopo diversi ascolti, quasi che la temibile divinità in esso rappresentata avesse voluto celare il più a lungo possibile il proprio conturbante fascino.
Winds Of Horus è un’altra traccia strumentale, posta in chiusura, sulla quale scorrono idealmente i titoli di coda di un lavoro che merita di essere riascoltato più volte per assaporarne appieno le fragranze più nascoste.
Necrogod non solo raggiunge ma supera il livello già altissimo raggiunto dagli Ecnephias con “Inferno”; sicuramente per la band lucana questo si può considerare il lavoro della definitiva maturità e rappresenta il raggiungimento di uno status che non va considerato, però, un punto d’arrivo, bensì una base consolidata dalla quale proseguire la costante progressione stilistica e compositiva.
Non è blasfemo affermare che, per il valore dei suoi ultimi due lavori, il combo lucano può collocarsi attualmente all’altezza della più volte citata triade ellenico-lusitana; la vera sfida ora, per Mancan, sarà piuttosto quella di eguagliarne o, quantomeno, avvicinarne la longevità artistica.

Tracklist :
1. Syrian Desert
2. The Temple of Baal-Seth
3. Kukulkan
4. Necrogod
5. Ishtar – Al-‘Uzza
6. Anubis – The Incense of Twilight
7. Kali Ma – The Mother of the Black Face
8. Leviathan – Seas of Fate
9. Voodoo – Daughter of Idols
10. Winds of Horus

Line-up :
Mancan – Guitars, Vocals, Programming
Sicarius – Keys and Piano
Demil – Drums
Nikko – Guitars
Miguel José Mastrizzi – Bass

ECNEPHIAS – Facebook

The Magik Way – Materia Occulta (1997-1999)

Materia Occulta si rivela una riscoperta non solo utile ma fondamentale per completare il quadro del versante più occulto e spirituale della musica, sviluppato in maniera particolare all’interno dei nostri confini.

Alla fine degli anni ’90 alcuni componenti dei Mortuary Drape decisero di dare vita a un progetto denominato The Magik Way, tramite il quale poter esplorare ancora più a fondo, se possibile, il lato rituale ed esoterico della musica.

A tredici anni dall’interruzione dell’attività, la Sad Sun Music pubblica questo disco che raccoglie due promo, l’omonimo del 1997 e Cosmocaos di due anni dopo, operazione, questa, che merita un sentito plauso per aver sottratto a un probabile oblio il materiale contenuto in questa raccolta. I primi quattro brani , tratti da The Magik Way, mostrano un sound ancora debitore degli stilemi black della band di provenienza facendo però intravedere, attraverso l’inserimento di samples e passaggi di stampo ambient, la voglia di sperimentare nuove vie stilistiche che troverà il suo compimento in Cosmocaos, le cui tredici tracce sono intrise di atmosfere di difficile assimilazione ma non per questo meno affascinanti. I Signori del Caos introduce questa sorta di lungo rituale nel quale vengono convogliati in maniera competente e personale gli influssi di tutti quegli artisti che hanno dato sfogo alla propria creatività nel segno della sperimentazione musicale e concettuale; se questa traccia, infatti, con le sue atmosfere malinconiche accompagnate da vocalizzi femminili richiama alla mente l’opera di Malleus, nella successiva Le Maschere di Pietra aleggia inquietante il fantasma di Mr.Doctor e dei suoi Devil Doll, avvicinabili per l’uso del pianoforte e per la teatralità della voce maschile utilizzata. In effetti l’intero lavoro assorbe e rielabora influenze nobili seppure non sempre così vicine tra loro, ne è esempio la schizofrenica Lupenare, con una chitarra di stampo progressive che ne marchia la prima parte nel segno di realtà seminali quali Antonius Rex/Jacula per poi esplodere in un finale di stampo sinfonico/apocalittico degno dei primi Elend. Il valore intrinseco di questa raccolta risiede indubbiamente nella freschezza della proposta che, forse anche in virtù della sua carica evocativa, non fa apparire affatto datati i brani in essa contenuti. Chiaramente qualche imperfezione affiora ugualmente nel corso dell’ascolto, per esempio la voce femminile mostra qualche pecca in tracce come La Quiete o Mantramime dove, in un contesto riconducibile a un nome pesante come i Dead Can Dance, l’ipotetico confronto con una Lisa Gerrard potrebbe apparire impietoso. Ma al di là di sporadici peccati veniali, Materia Occulta si rivela una riscoperta non solo utile ma fondamentale per completare il quadro del versante più occulto e spirituale della musica, sviluppato in maniera particolare all’interno dei nostri confini.

Track-list :
The Magik Way 1997
1. The Doubt (Il Dubbio)
2. The Dizziness (La Folgorazione)
3. The Sacrifice (Il Sacrificio)
4. The Knowledge (La Conoscenza)
Cosmocaos 1999
5. I Signori del Caos
6. Le Maschere di Pietra
7. L’Icona
8. Gloria
9. Lupenare ( La Luna Crescente – Il Caotico Divenire – L’Uomo con la Falce)
10. Le Prigioni di Corda
11. La Quiete
12. Trasposizione
13. Mantramime
14. La Caduta
15. Danza degli Elementi
16. Pianto ed Estasi
17. Il Tempo si è Fermato

Line-up :
Nequam – vocals, keyboards, guitars, percussions
Diabolical Obsession – bass, textures, backing vocals
Old Necromancer – guitars, noises, backing vocals
Azach – drums and percussions, backing vocals
Berkana – female vocals

Fuoco Fatuo – 33 Colpi Di Schizofrenia Astrale Nell’Abisso Nero

Questi venti minuti non sono roba per palati raffinati, piuttosto appaiono adatti a chi predilige l’impatto e la profondità dei suoni rispetto alla loro forma

Fuoco Fatuo è un gran bel nome per una band, soprattutto quando questo si addice allo stile musicale prescelto: l’immagine delle fiamme che scaturiscono da terreni paludosi si sposa alla perfezione col sound fangoso del trio varesino; ma anche il senso di precarietà che questo monicker simboleggia, alla fine, costituisce une dei temi portanti del doom metal, con la sua eterna rappresentazione del dolore e della caducità dell’esistenza.

I tre brani contenuti in questo breve Ep costituiscono un efficace esempio del potenziale di questa band di recente formazione: in 33 Colpi Di Schizofrenia Astrale Nell’Abisso Nero (anche il titolo non è niente male …) confluiscono diverse influenze, dal black metal, che si evidenza in certe accelerazioni e nell’uso delle voci, al dark e all’heavy di stampo esoterico tipico della scuola italiana (Malombra, Death SS), fino allo sludge, pesante e grumoso come deve essere.
L’abisso ci porta (e non poteva essere diversamente) nei gorghi più oscuri della psiche con le sue chitarre ronzanti e i repentini rallentamenti prima di lasciare spazio in chiusura a un conturbante hammond.
Vuoto Nero è una traccia che, pur essendone l’ideale continuazione, risulta molto più opprimente del brano che la precede, caratterizzata com’è da un doom scarno e quasi primordiale; il viaggio dilaniante e allucinato si chiude con la title track che si mantiene su coordinate devote a un’oscurità totalizzante, squarciata sporadicamente da efficaci parti di tastiera volte a spezzare temporaneamente l’accerchiamento prodotto da sonorità ruvide e minacciose.
Questi venti minuti non sono roba per palati raffinati, piuttosto appaiono adatti a chi predilige l’impatto e la profondità dei suoni rispetto alla loro forma; peccato solo che il growl e lo scream del bravo Milo non sempre rendano sufficientemente comprensibili i testi redatti in italiano.
In definitiva questo Ep si rivela un assaggio esaustivo di quella che potrà essere in futuro la proposta dei Fuoco Fatuo, in special modo se, come ci auguriamo, riscuoteranno l’attenzione di qualche etichetta specializzata del settore.

Tracklist :
1. L’Abisso
2. Vuoto Nero
3. 33 Colpi Di Schizofrenia Astrale

Line-up :
Milo chitarra-voce
Ken basso
Fabrizio batteria

 

DWDY – Destroy Me

Benché la band dia la sensazione di trovarsi ancora nella fase “work in progress”, offre davvero alcuni spunti geniali che inducono a promuovere i DWDY incoraggiandoli a proseguire sulla strada appena intrapresa.

I DWDY sono un duo francese che esordisce con questo demo intitolato Destroy Me, lavoro che fin dalle premesse, costituite dalle note introduttive inviate dalla Altsphere, non lascia indifferenti.

Infatti i transalpini si autodefiniscono, in sintesi, come l’incontro di due amanti della musica e del cinema stanchi di forme artistiche precostituite; pertanto il loro scopo è quello di guidare l’ascoltatore attraverso un caleidoscopio di emozioni volto ad abbattere le barriere costituite dai generi.
Molte volte abbiamo ascoltato dichiarazioni d’intenti quantomeno ambiziose, rivelatesi poi, alla prova dei fatti, ben poca cosa: i DWDY riescono invece, se non del tutto, almeno in buona parte a raggiungere i loro scopi.
Come si può ben immaginare i due (dei quali si sa poco o nulla) fanno confluire in Destroy Me, costituito da un’unica traccia della durata di venti muniti, tutte le influenze musicali possibili, costruendo il brano effettivamente come una mini colonna sonora integrata da samples cinematografici e parti recitate (presumo dagli stessi musicisti).
Presentato così, questo demo potrebbe far pensare a un caotico calderone sonoro, mentre al contrario l’operazione viene portata a termine con un certo buon gusto e con l’opportuno raziocinio.
Mettendomi alla ricerca di un termine di paragone calzante per descrivere la musica dei DWDY, provate a immaginare un audace mix tra i Devil Doll, scremati della componente sinfonica, e i connazionali Misanthrope, in particolare nelle parti maggiormente orientate al metal; attenzione, la strada per raggiungere i livelli del progetto partorito dal genio di Mr.Doctor o della stessa band di Phillipe Courtois è ancora molto lunga e tortuosa, ma il mood di stampo cinematografico, da una parte, e il desiderio di sperimentare percorsi musicali non convenzionali, dall’altra, sono molto simili.
Come nelle magnifiche suite del maestro italo-sloveno, anche qui troviamo un bel tema portante che ricorre più volte nel corso del brano, così come sono frequenti accelerazioni repentine quanto azzeccate; a livello strumentale c’è sicuramente qualcosa da limare, soprattutto per quanto concerne le parti di chitarra solista, inoltre non sempre le diverse anime musicali si amalgamano alla perfezione.
Personalmente apprezzo molto di più i momenti nei quali i DWDY schiacciano sul pedale dell’acceleratore creando riff rocciosi e di grande spessore, mentre nei frangenti più riflessivi la composizione tende talvolta a indulgere in passaggi di scarsa incisività.
Detto questo, Destroy Me regala diversi momenti interessanti, alternando efficacemente emotività e aggressività e, benché la band dia la sensazione di trovarsi ancora nella fase “work in progress”, offre davvero alcuni spunti geniali che inducono a promuovere i DWDY incoraggiandoli a proseguire sulla strada appena intrapresa.

Track-list :
1. Destroy Me

Ecnephias – Inferno

“Inferno” possiede tutto ciò che servirebbe per fare breccia anche in una parte di pubblico non di settore: tracce dallo straordinario impatto emotivo, contraddistinte da melodie evocative e inserite in un tessuto sonoro all’altezza di grandi nomi del metal mediterraneo

Anche se con colpevole ritardo è d’obbligo dedicare il giusto spazio a quella che, a mio modesto parere, è stata in assoluto una delle migliori uscite in ambito metal del 2011.

Gli Ecnephias, con un disco come Inferno, si cimentano nell’ardua impresa di incrinare il muro di indifferenza eretto dall’ambiente musicale nei confronti di tutto ciò che non risulta convenzionale o rassicurante; purtroppo, in un paese sempre più ostaggio delle cariatidi sanremesi e dei polli d’allevamento dei reality show, appare sempre più improbabile un’apertura di credito nei confronti di chi riesce a offrire prodotti di qualità spinto solo da un’etichetta indipendente, da qualche volonterosa webzine e dalle poche riviste specializzate. Certo, se Mancan e soci invece che a Potenza fossero nati a Oslo o a Helsinki, probabilmente questo lavoro veleggerebbe in buona posizione nelle classifiche di vendita di quei paesi e i pezzi trainanti passerebbero con la dovuta frequenza nei programmi radiofonici e televisivi; al contrario, nella nostra italietta musicale, ci si guarda bene dal fornire a brani penetranti e provocatori, come A Satana e Chiesa Nera, l’opportunità di scandalizzare i benpensanti tramite i consueti canali di comunicazione. Eppure Inferno possiede tutto ciò che servirebbe per fare breccia anche in una parte di pubblico non di settore: per esempio tracce dallo straordinario impatto emotivo, contraddistinte da melodie evocative e inserite in un tessuto sonoro all’altezza di grandi nomi del metal mediterraneo come Rotting Christ, Moonspell e Septic Flesh. In particolare, la band di Sakis funge anche da riferimento per quanto riguarda l’uso promiscuo della lingua madre e dell’inglese, cosa peraltro già sperimentata nel precedente “Ways Of Descention” ma che, in questo caso, avviene in maniera ancor più convinta e incisiva, vista la maestria con la quale vengono maneggiati i testi in italiano; ne è la riprova un brano come Chiesa Nera, inserito come bonus-track, che risulta molto più efficace del suo corrispondente anglofono In My Black Church. Gli Ecnephias non fanno occultismo di bassa lega, i loro testi spesso traggono spunto da monumenti della letteratura come Carducci o Blake, passando con disinvoltura da momenti caratterizzati da una sarcastica provocazione ad altri carichi di oscuro e tetro lirismo. Chi ama le band citate in precedenza, non può e non deve ignorare brani come A Satana (da vedere assolutamente il video), con il suo accattivante ritornello che ti ritrovi a canticchiare senza accorgertene (con tutte le possibili conseguenze del caso …), la trascinante Buried In The Dark Abyss, la magnifica Voices Of Dead Souls esaltata da un chorus intenso come pochi, l’evocativa Secret Ways, la poetica Lamia (dall’intensità emotiva vicina a un omonimo brano datato 1974 …) e l’eretica Chiesa Nera. Con un quadro complessivo di simile valore cosa impedisce, dunque, agli Ecnephias di raggiungere livelli di notorietà più consoni al loro valore? Di certo non viene richiesto un cambiamento né a Mancan né agli ottimi musicisti che lo affiancano nella band, semmai questo dovrebbe riguardare il contesto musicale e culturale in cui sono costretti, loro malgrado, a muoversi: sarà anche vero che “nemo propheta in patria est” ma gli Ecnephias possiedono sia la giusta attitudine sia il necessario talento per provare a sovvertire questa situazione.

Tracklist :
1. Naasseni
2. A Satana
3. A Stealthy Hand of an Occult Ghost
4. Buried in the Dark Abyss
5. Fiercer than any Fear
6. Voices of Dead Souls
7. Secret Ways
8. In my Black Church
9. Lamia
10. Chiesa Nera

Line-up :
Mancan – Vocals, Guitars, Programming
Sicarius Inferni – Keyboards
Demil – Drums
Nikko – Guitars