Dispnea – Incitement To Self Destruction

Questo ep d’esordio intitolato Incitement To Self Destruction potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Autore – Titolo

Testo Recensione
I Dispnea sono un gruppo di Napoli all’esordio con questo ep uscito a maggio.

La proposta musicale è un black metal di tipo depressive di buona qualità, non necessariamente confinato nel recinto di quel sottogenere. Infatti, a differenza di altri gruppi simili, i partenopei producono composizioni di più ampio respiro, andando ad esplorare tutto il black metal, essendo legati a quello classico come punto di partenza. Il disco è un fiume in piena di dolore sublimato attraverso il genere, che in questo caso è il veicolo ed il codice migliore per esprimersi. I quattro brani dell’ep trattano di cose che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, di eventi che ci vengono contrabbandati per normali ma che normali non sono affatto. La nostra vita quotidiana è un potentissimo generatore di dolore, un continuo allontanamento dalla nostra vera natura, in un loop senza speranza. I Dispnea mettono tutto ciò in questo ep attraverso un black metal che picchia forte e contiene una melodia di qualità superiore, con una composizione molto semplice e molto efficace che fa di questo gruppo uno dei migliori della nuova legione italiana di black metal. Ascoltando i Dispnea si viene condotti in un viaggio molto bello e particolare nel black maggiormente ortodosso e classico, che però non essendo un dogma qui viene innestato anche di momenti meno tradizionali. Come prima prova è sicuramente buona e questo ep d’esordio potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Tracklist
1.Winter Suicide
2.Distorted Thoughts
3.AB Negative
4.Perpetua Pena

Line-up
I. – LYRIC, SCREAMS
E. – SONGWRITING, INSTRUMENTS
T. – SESSION BASS

DISPNEA – Facebook

No Point in Living – The Cold Night

The Cold Night mostra un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.

Yusuke Hasebe (in arte solo Yu) è uno di quei musicisti che si possono definire eufemisticamente prolifici: con il suo progetto solista No Point in Living, infatti, dal 2017 ad oggi ha pubblicato la bellezza di 18 full length senza farsi mancare anche qualche altra uscita di minore minutaggio.

A questo punto viene lecito chiedersi per quale motivo la Heathen Tribes si sia presa la briga di ripubblicare il quinto album The Cold Night, uscito originariamente nel novembre del 2017, visto che di materiale inciso dal musicista nipponico in giro ce n’è già a sufficienza.
La risposta è che, francamente, il nostro possiede un talento rimarchevole, benché costantemente a rischio d’essere annacquato dalla sua bulimia compositiva, e The Cold Night è lì a dimostrarlo con i suoi tre quarti d’ora di depressive atmospheric black oltremodo convincente.
Ammetto di non conoscere il resto della discografia di Yu, ma se la qualità di ogni uscita fosse pari a quella di questo lavoro sarebbe un evento quasi miracoloso: dubito, infatti, che si posa pensare di mantenere alta con tale frequenza una tensione emotiva come quella esibita nella lunghissima I Hate Everything o nella poco più breve Path to the End, tanto per fare degli esempi concreti.
The Cold Night mostra, peraltro, un notevole equilibrio tra le diverse componenti del sound e, pur non brillando per la sua originalità, merita di ritagliarsi ben più di un ascolto distratto da parte di chi ama il black metal nelle sue sembianze melodico-depressive.
Nel frattempo lo Stakanov di Sapporo, quando non siamo arrivati neppure a metà giugno, nel corso del 2019 ha già pubblicato tre full length ed un ep per un fatturato complessivo di circa due ore e mezza di musica: insomma, riuscire a seguirne le gesta può essere complicato anche per il fan più incallito, per cui non resta che provare ad intercettarne l’opera di tanto in tanto per verificare quale sia lo stato dell’arte.

Tracklist:
1. Intro
2. Impatience
3. I Hate Everything
4. The Cold Night
5. The Path to the End
6. Ocean of Sorrow

Line-up:
Yu – Everything

NO POINT IN LIVING – Facebook

Afraid of Destiny – S.I.G.H.S.

S.I.G.H.S. può rappresentare per gli Afraid Of Destiny una sorta di compendio definitivo dei primi 5-6 anni di carriera, propedeutico alla creazione di nuovo materiale inedito in grado di consolidare il nome di questa realtà dal grande potenziale non ancora del tutto espresso.

Il depressive black in Italia è un sottogenere magari non diffusissimo ma sicuramente esibito a livello per lo più ottimo dai suoi interpreti, tra i quali rinveniamo gli Afraid of Destiny, tipico esempio di band nata come progetto solista e poi evolutasi nel corso del tempo in una realtà più composita e, soprattutto, in grado di proporre anche  dal vivo la propria musica.

L’attività degli Afraid of Destiny è stata piuttosto intensa in questi sei anni decorsi dal demo d’esordio, così, oltre a diverse uscite minori, troviamo tre full length dei quali l’ultimo è questo S.I.G.H.S., uscito per Talheim Records, anche se di fatto il lavoro comprende per buona parte la rivisitazione di brani composti dal fondatore Adimere quando era ancora neppure maggiorenne.
In effetti, le prime tracce dell’album sembrerebbero mostrare più un gruppo dedito ad un black atmosferico e ragionato, per quanto cupo, ben rappresentato dalla buonissima Shells, sulla quale offre un gran bel contributo chitarristico Thomas Major dei Deadspace, ma è nella seconda metà del lavoro che prende campo un incedere più malinconico e ripiegato su una negatività di fondo, che vede quale suo ideale prologo Tutto Ciò che Sento, un dialogo tratto dal film “Lei” sul quale si incastonano struggenti note pianistiche.
Il lungo strumentale I’m Crying (proveniente dal primo full length Tears Of Solitude, così come la conclusiva Killed By Life) rappresenta un bellissimo intermezzo ricco di atmosfere e melodie che mostrano un volto più malinconico e struggente che non disperato, introducendo al meglio il dolente sentire acustico di Cursed and Alone e l’interludio pianistico Malinconica Venezia, prima che la già citata Killed By Life, traccia molto lunga (ancor più di quanto non lo fosse nella sua prima stesura grazie ad un’appendice strumentale) quanto intensa, chiuda in maniera ottimale l’album descrivendo il vortice di sensazioni disseminate lungo il percorso che conduce ad un’ineluttabile quanto tragica conclusione.
S.I.G.H.S. (che è peraltro l’acronimo di Still I Gently Hide Sadness) è un’opera che si snoda lungo vari sentieri stilistici come è  prevedibile quando i brani in esso contenuti sono stati composti in diverse epoche e quindi a qualche anno di distanza l’uno dall’altro: troviamo così episodi di black tout court come Take Me Home, Death assieme a malinconici affreschi acustici che riconducono a sonorità di matrice dark doom, ma il tutto comunque convive senza troppe forzature; almeno in quest’occasione il sentire depressivo viene veicolato musicalmente (e anche a livello di interpretazione vocale da parte di R.F. Sinister)  più con un senso di rassegnazione che non di rabbia impotente: questo consente agli Afraid Of Destiny di risultare graditi, oltre agli ascoltatori gravitanti in ambito black, anche da chi ama farsi cullare da sonorità cupe e a tratti intimiste.
Considerando che un po’ tutta la storia della band è stata, fino ad oggi, caratterizzata da uscite volte anche al riassemblaggio o al recupero di brani dalla genesi più datata e che il compositore principale Adimere è ancora molto giovane, mi piace pensare che S.I.G.H.S. possa essere per gli Afraid Of Destiny una sorta di compendio definitivo dei primi 5-6 anni di carriera, propedeutico alla creazione di nuovo materiale inedito in grado di consolidare il nome di questa realtà dal grande potenziale non ancora del tutto espresso.

Tracklist:
1 – Timor Mortis
2 – Take Me Home, Death
3 – Shells
4 – Tutto Ciò che Sento
5 – I’m Crying (Tears of Solitude MMXIX)
6 – Cursed and Alone
7 – Malinconica Venezia
8 – Killed by Life

Line-up:
R.F. Sinister: vocals
Adimere: rhythm guitars, bass, laments on ‘Shells’

M.S. (ex member): solo guitars
N. (Blaze of Sorrow): session drums
B.M. (Skyforest, ex Annorkoth): session piano
Thomas Major (Deadspace): guest solo on Track 3
Laura Zaccagnini: guest lyrics on Track 6

AFRAID OF DESTINY – Facebook

Amataster – Frammenti

Debutto col botto per la one-man band lucana. Un lavoro pressoché perfetto, un depressive black metal ricco di pathos e atmosfera, che non può e non deve passare inosservato.

Angoscia è l’unico sentimento che provo all’ascolto del debut ep degli italiani Amataster, uscito per l’italiana Masked Dead Records. Un sensazionale tuffo nella più profonda delle depressioni sonore, un viaggio introspettivo e melanconico, attraverso i più sconcertanti dolori che la vita possa causare.

La one-man band di John Poltergeist (già frontman dei depressive blacksters Eyelids) arriva dalla Basilicata e ci propone un meraviglioso Black Metal atmosferico ricco di pathos, che coinvolge totalmente l’ascoltatore, che vuole farsi travolgere da un’incalzante marea di afflizioni, affanni e sofferenze, attraverso 4 tracce della durata di poco più di venti minuti, ben architettate, quasi a voler tracciare un percorso personalmente interpretativo e assolutamente soggettivo della vita, qui dichiaratamente avara di gioie e di luce.
Così comincia l’avventura (anzi la disavventura) musicale con un brano – L’anima è in fiamme – tipicamente Black ma ricco di funeree ed annichilenti atmosfere. L’incipit delle liriche ci prepara sin da subito a quanto di più doloroso ci si può aspettare da questo disperato percorso attraverso le desolanti disillusioni della vita: “Guardate morire le vostre madri, Guardate soffrire i vostri cari, Bevo il loro sangue, lo sputo sulle vostre mani. Ora inginocchiatevi con me, piangete. Ecco questo è il dolore…” sono versi che ci raccontano molto di quanto sia il leitmotiv dell’album, soprattutto se si considera che vengono preceduti da un intro di synth che gioca meravigliosamente con una soave, ma incredibilmente melanconica, voce femminile, che introduce il Black di Mr. Poltergeist, costruito sul più tipico dei blast, e che alterna, alle oramai immancabili chitarre zanzarose, un lamento ed un pianto disperato di donna, che in maniera devastante, avvilirebbero e sconforterebbero anche l’animo più puramente ottimista.
Perché – la successiva traccia – si domanda John, e dopo un sospiro che pare provenire dai più profondi ed oscuri meandri dell’Inferno, parte un Black tiratissimo che danza armonicamente con gli insert di synth, che contribuiscono a creare un dicotomico connubio tra rabbia (il testo ne è carico sino al midollo) e ossessiva depressione. Rabbia, come detto, e furore sonoro, si avventano contro i nostri padiglioni auricolari, lasciandoci annichiliti, di fronte ad un Depressive che non ammette pause, lento sì in parte, ma pronto a reagire con impetuose sfuriate, proprio nel momento in cui l’ascoltatore sta per assopirsi, assuefacendosi all’atmosfera funerea, che permea tutto l’album…
Ferite dal passato alimentano il mio dolore” ci racconta la successiva Dono delle ombre che, immancabilmente, ci riporta al pensiero che si tratti di una possibile accusa verso una meschina vita, che congiura contro di noi, conducendoci all’odio imprescindibile verso chi ce l’ha donata. Un alchimia di mid e up tempo, sostengono l’attenzione, quasi a voler mantenere alta la nostra concentrazione sul testo, focalizzati su una consapevolezza sempre maggiore della tragicità dell’esistenza umana, che nulla merita, se non un carico incommensurabile di rabbia: “ormai sei solo un ricordo, c’è solo rabbia, in una gabbia” ; qui, nella rima baciata tra rabbia e gabbia, si individua una delle più classiche metafore sull’essenza umana, di chi la legge e la vive, nell’eterna bipartizione tra vita e prigione.
Un arpeggio che ci introduce all’ultima canzone – A.T. the Heart – accompagnato da un breve ma azzeccatissimo assolo, presentano il brano che più si avvicina al Depressive (tanto caro a molte band francesi). I lamenti strazianti di John non lasciano dubbi, sul significato della volontà di chiudere questo debutto nel migliore dei modi. Funerei passaggi , lente ed oscure atmosfere, dipingono ed affrescano l’opera del nuovo Goya della musica, principe della melodia depressiva, a cornice di una pittura che nel ‘700, portava tale nome.

Tracklist
1. L’anima è in fiamme
2. Perché?
3. Dono delle ombre
4. A.T. the Heart

Line-up
John Poltergeist – All instruments

AMATASTER – Facebook

Dictator – Dysangelist

Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, è una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.

Ed eccoci arrivare anche dalla soleggiata isola di Cipro un esempio di cupo metal estremo degno di una provenienza da lande ben piu desolate e meno vivibili.

Del resto abbiamo ormai imparato che la necessità di esimere un certo disgusto esistenziale è indipendente dal punto del pianeta in cui il fato ha deciso di farci nascere, anche se non c’è dubbio che almeno statisticamente chi vive in luoghi freddi è in qualche modo più portato a sviluppare una certa indole depressiva o misantropica (il fatto che sia il black che il funeral doom abbiano avuto la loro genesi nell’estremo nord europeo qualcosa vorrà pur dire).
Il nostro Dictator, nonostante non viva per gran parte dell’anno tra neve e ghiaccio e neppure sia costretto a provare l’alienazione chi risiede nelle grandi metropoli, ci investe con un’ora e un quarto di musica di difficile assimilazione che, se ha il funeral doom quale base di appoggio, conserva molto del depressive black a livello di approccio: questo letale mix va a formare Dysangelist, album uscito nel 2008 e riedito oggi dalla Aestethic Death, una dimostrazione di di musica minimale e a tratti inaccessibile nel suo intento di scarificare lentamente la coscienza dell’ascoltatore.
Dissonanze urla, cori gregoriani si susseguono all’interno di una ritmica sempre uguale ed incessante, andando a creare un quadro di inascoltabilità per gran parte di chi si dovesse incautamente avvicinare all’opera senza essere in possesso dei necessari anticorpi; chi, invece, è aduso alla frequentazione di queste desolate lande psichiche, troverà in questa opportuna riedizione di quello che è rimasto l’unico full length marchiato Dictator il fascino irresistibile che può rivestire una così cruda e devastante rappresentazione di disagio esistenziale.

Tracklist:
1. Dysangelist
2. Sanctus
3. Monolithos
4. Phantom Cenotaphium

Line-up:
Dictator – Everything

Damnatus – Un Niente

Quello di Damnatus è un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.

Un Niente è il primo full length per il progetto solista Damnatus, il cui artefice è il giovane Oikos, musicista dotato di una grande sensibilità che trova sfogo in un depressive black molto esplicito a livello lirico.

L’ep Io odio la vita era già stato piuttosto indicativo del modus operandi di Oikos, il quale opta a livello stilistico per un depressive black cadenzato e melodico, basato soprattutto su un lavoro chitarristico lineare ma efficace nel generare melodie dolenti sulle quali, poi, si poggia lo screaming disperato che declama testi in italiano molto diretti ma non banali.
Il male di vivere nell’ottica Damnatus non ha filtri né edulcorazioni di sorta e l’obiettivo di restituire senza mediazioni il carico di disagio, la frustrazione ed il senso di resa di fronte al peso dell’esistenza riesce piuttosto bene, anche se il tutto potrebbe non soddisfare chi ricerca strutture leggermente più elaborate ed al contempo atmosferiche rinvenibili in altre forme di depressive.
Quella proposta da Oikos è musica sincera, che va apprezzata per quel che è senza stare troppo a vivisezionarne l’operato dal punto di vista sonoro piuttosto che lirico: quello che conta, qui, è il messaggio, che arriva forte, chiaro e brutalmente diretto, offrendo i suoi momenti migliori allorché la forma musicale si avvicina a quella utilizzata dai Katatonia ai tempi dell’accoppiata Discouraged Ones/Tonight’s Decision (Lacrima è il brano in cui ciò avviene in maniera più evidente, risultando senza dubbio il momento migliore dell’album) dove però il tutto veniva levigato, oltre che dalla classe superiore della band svedese, anche da un approccio dai forti richiami alla darkwave, al contrario di quanto avviene in Un Niente in cui viene maggiormente esasperata, anche vocalmente, l’asprezza della componente black.
Oikos trascrive e mette in musica quelle sensazioni sgradevoli che almeno una volta nella vita balenano nella mente di ogni essere senziente: si tratta poi di scegliere se esplicitare tutto questo cercando di trovare una qualsiasi via di uscita, anche estrema, oppure, citando il grande Gaber, “far finta di essere sani”, anche se alla fine ciò che resterà sarà solo e sempre la sofferenza, che la si voglia celare o meno alla vista degli altri.

Tracklist:
1. Alba di un nuovo dolore
2. Un altro giorno
3. Letargia
4. Lo specchio del vuoto
5. Lacrima
6. Tempi Andati
7. Un niente

Line-up:
Oikos – All instruments, Vocals

Totalselfhatred – Solitude

Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

I finlandesi Totalselfhatred, fin dalla loro apparizione sulla scena con il full length autointitolato giusto dieci anni fa, rappresentano quell’ala del depressive black metal capace di unire la disperazione espressa dalle liriche e dal concept,  insito in lavori riconducibili al sottogenere, ad un senso melodico che diviene l’elemento cardine su cui si fondano i dischi più riusciti.n

Sette anni dopo Apocalypse in Your Heart, quando forse qualcuno li aveva dati per persi, ecco di nuovo tra noi questi quattro finnici abili come pochi nell’evocare le visioni più luttuose, lasciando che l’autoannientamento divenga, grazie alla dolorosa bellezza della loro musica, persino un evento accettabile.
Solitude si snoda lungo cinque brani medi lunghi , un tempo necessario ad ogni episodio per delineare una propria identità melodica e rimica e, all’intero lavoro, per imprimersi efficacemente nella memoria degli ascoltatori: a livello strettamente stilistico, in effetti, l’album non sarebbe così naturalmente catalogabile nel DBSM perché, al di là delle vocals strazianti (ma neppure troppo rispetto ad altre realtà), musicalmente ci troviamo di fronte ad un’opera che sicuramente non evoca allegria ma nella quale la melodia gioca un ruolo fondamentale in gran parte dei brani, fatta eccezione per la sola e più ruvida Hollow, mentre nelle restanti tracce la bilancia pende a favore delle parti più rarefatte e malinconiche .
La quasi title track Solitude MMXIII regala melodie chitarristiche struggenti, mentre lo strazio esistenziale assume toni ancora più intensi in Cold Numbness e Black Infinity, fino allo splendido finale con Nyctophilia, che ben illustra quello che è per assurdo è il momento di sollievo per il depresso, la notte, unica parte nella giornata nella quale ci si può togliere la maschera a smettere di fingere di divertirsi o fare vita sociale, cosa che alla fine è ancora più pesante della solitudine stessa.
Non è affatto semplice raffigurare la sofferenza ed il disagio interiore attraverso contenuti musicali così nitidi e relativamente accessibili: la grandezza dei Totalselfhatred risiede proprio in questa dote che è solo di pochi.

Tracklist:
1. Solitude MMXIII
2. Cold Numbness
3. Hollow
4. Black Infinity
5. Nyctophilia

Line-up:
A. – guitars, keyboards, vocals
C. – guitars, vocals
I. – drums, vocals
J. – guitars, vocals
N. – bass

TOTALSELFHATRED – Facebook

Taiga – Cosmos

Da questa interpretazione del genere ciò che si richiede ai musicisti è la capacità di trasformare il senso di disperazione e tragedia incombente in sonorità intense ed in grado di scuotere ed emozionare: l’operazione ai Taiga riesce alla perfezione, dando alle stampe uno dei migliori album ascoltati nel settore negli ultimi anni.

Taiga è un duo russo dedito ad un atmospheric depressive black metal di ottima fattura.

Scorrendo i nomi della coppia di musicisti coinvolti nel progetto, non si può fare a meno di notare come entrambi siano già noti alle cronache trattandosi di Nikolaj Seredov, mastermind degli ottimi Funeral Tears ed Alexey Korolev, boss della Sathanath Records (che tramite la sub label Symbol Of Domination dà alle stampe il lavoro).
Se era lecito, quindi, attendersi qualcosa in più rispetto al solito si viene senza dubbio accontentati da questo Cosmos, album con il quale Seredov abbandona il funeral per lasciarsi andare ad una forma di disperazione musicale più esplicita com’è il DBSM. La voce quindi diviene il classico screaming straziato, con Alexey che dal canto suo tesse melodie tastieristiche di ampio respiro, andando a creare quel contrasto tra i due elementi che del sub-genere è caratteristica peculiare.
Da questa interpretazione del genere ciò che si richiede ai musicisti è la capacità di trasformare il senso di disperazione e tragedia incombente in sonorità intense ed in grado di scuotere ed emozionare: l’operazione ai Taiga riesce alla perfezione, dando alle stampe uno dei migliori album ascoltati nel settore negli ultimi anni.
Cosmos (che è il quarto full length pubblicato in quattro anni, a partire dal 2014) si ammanta di quelle melodie dolenti che sono nel bagaglio di chi si cimenta anche con il funeral, ma asservite alle ritmiche più incalzanti del DBSM: per chi ama il genere il disco è un qualcosa di irrinunciabile, in quanto si tratta di un espressione musicale in grado di evocare un turbinio di sensazioni, rappresentando via via vergogna, sgomento, smarrimento, rabbia, ribellione e infine abbandono.
Le liriche in russo sono solo un parziale ostacolo alla fruizione di testi dotati una notevole profondità, vista la comunque scarsa intelligibilità di questo tipo di screaming e il fatto che con un buon traduttore anche l’alfabeto cirillico cessa d’essere un ostacolo insormontabile: viene così meno anche l’ultimo motivo per privarsi dell’ascolto di un lavoro di grande sensibilità.

Tracklist:
1. Стыд
2. Жить
3. Космос
4. Ты
5. Всё позади
6. Религия мёртвых
7. Слова потеряют значение
8. Прах к праху
9. Своими руками

Line-up:
Nikolay Seredov – Vocals, Lyrics, Guitars, Drums, Bass
Alexey Korolev – Keyboards

TAIGA – Facebook

Mortis Mutilati – The Stench Of Death

Pur senza possedere un forte impulso innovativo, il nome Mortis Mutilati si fa ricordare per un’interpretazione musicale delle pulsioni più oscure dell’animo umano tutt’altro che inflazionata, con il suo incedere tragico e allo stesso tempo decadente.

Della one man band francese Mortis Mutilati ci si era già occupati diversi anni fa in occasione del precedente full length Mélopée funèbre.

Macabre, che in passto ha militato in ottime band come Azziard, Moonreich e The Negation, tra le altre, porta avanti da anni un idea di black metal molto personale benché nel complesso priva di particolari spunti sperimentali.
Il punto di forza del sound offerto è un buon gusto melodico che va ad intersecarsi con un mood drammatico e intenso, che abbraccia sonorità che vanno dal dsbm fino al doom, e non è un caso se lo stesso musicista parigino definisce il suo stile funeral black metal.
The Stench Of Death è il quarto full length che va ad aggiungersi ad una discografia finora impeccabile, con il nostro che, dopo i primi anni in perfetta solitudine, ha iniziato recentemente ad avvalersi di contributi da parte di altri musicisti, tra i quali in particolare quello del chitarrista Rokdhan: questo finisce inevitabilmente per arricchire un sound che ha le sue fondamenta nel black metal ma da lì si muove per costruire un qualcosa di più composito, che attinge parimenti dal doom più catacombale come da quella dark wave che andò ad influenzare i Katatonia della superba coppia The Discouraged Ones / Tonight’s Decision.
Macabre possiede un notevole gusto melodico che favorisce la fruizione di un lavoro lungo ma ricco di momenti dal forte impatto emotivo, coincidenti per lo più con i passaggi maggiormente ragionati all’interno di brani bellissimi come Echoes From The Coffin, Onguent Mortuaure e Invocation A La Momie, oltre che nella lunghissima Portrait Ovale.
Pur senza possedere un forte impulso innovativo, il nome Mortis Mutilati si fa ricordare per un’interpretazione musicale delle pulsioni più oscure dell’animo umano tutt’altro che inflazionata, con il suo incedere tragico e allo stesso tempo decadente che va a comporre un quadro stilistico ben rappresentato graficamente dalla copertina horror/vintage.

Tracklist:
1.Nekro
2.Echoes From The Coffin
3.Crevant-Laveine
4.Regards D’outre Tombe
5.Onguent Mortuaure
6.Portrait Ovale
7.Homicidal Conscience (feat. Devo Andersson)
8.Invocation A La Momie
9.L’odeur du Mort
10.Ecchymoses

Line-up:
Macabre – All instruments, Bass, Vocals

Guests:
Rokdhan – Guitars
Asphodel – Vocals (female)
Devo – Guitars (lead) (track 7)

Deinonychus – Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide

Il black doom dalle forti venature depressive dei Deinonychus torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom Music.

Dopo dieci anni di silenzio ritornano i Deinonychus , band che è di fatto il progetto solista del musicista olandese Marco Kehren, giunto con Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide all’ottavo full length in un quarto di secolo di attività.

Il black doom dalle forti venature depressive torna ad inquietarci, sempre sotto l’egida della My Kingdom: nell’occasione Kehren chiama a coadiuvarlo il batterista Steve Wolz (con il quale ha in comune la passata militanza nei Bethlehem) e Markus Stock che, oltre a contribuire con le proprie tastiere, ha curato anche la la registrazione dell’album.
Con la tavola apparecchiata per l’ottenimento di un risultato importante, Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non delude le attese: le vocals disperate su stagliano su una forma di black ragionata, spesso caratterizzata da momenti più rarefatti ed evocativi nei quali lo screamjng di Kehren diviene quasi un recitato dai toni laceranti (Dead Horse).
La differenza tra l’essere impattante emotivamente e lo scadere nel grottesco sta tutta nella credibilità del nome Deinonychus e, conseguentemente, dei musicisti che hanno lavorato alla realizzazione dell’album; Ode To Acts Of Murder, Dystopia And Suicide non cala mai in intensità, piaccia o meno l’enfasi con la quale il malessere esistenziale viene veicolato, e francamente non resta nulla di diverso da chiedere a questo ritorno se non quello di rammentarci con forza quanto sia caduca la nostra vita e fragile la nostra psiche.
In copertina, la figura stilizzata in un’oscurità quasi totale cammina sui binari in attesa, forse, di un’inevitabile fine, ma può anche rappresentare una strada obbligata della quale non si conosce né la meta né il tempo necessario per raggiungerla.
Quest’ultimo lavoro segna il ritorno di un musicista ispirato e, se qualcuno dicesse nutrisse dei dubbi, ascolti con attenzione e predisposizione questi tre quarti d’ora di musica, sui quali si staglia il drammatico doom black di For This I Silence You, traccia che spinge ai massimi livelli il senso di alienazione dalla realtà e picco di una tracklist, comunque, complessivamente inattaccabile sotto ogni aspetto.

Tracklist:
1. Life Taker
2. For This I Silence You
3. The Weak Have Taken The Earth
4. Buried Under The Frangipanis
5. Dead Horse
6. Dusk
7. There Is No Eden
8. Silhouette

Line-up:
Marco Kehren – guitars, bass and vocals

Steve Wolz – drums
Markus Stock – keyboards

DEINONYCHUS – Facebook

None – None

Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.

Interessante lavoro da parte di questa band americana dedita ad un black metal atmosferico e dalle forti sfumature depressive.

Tre brani per circa una mezz’ora di buona musica sono il fatturato di quest’album autointitolato, pubblicato dalla Hypnotic Dirge: anche se il monicker None non è certo di quelli che si ricordano in maniera imperitura ed il genere suonato è discretamente inflazionato, il lavoro regala con buona continuità quelle sonorità oscillanti tra malinconia e disperazione, pescando con un certo equilibrio tra le due anime che confluiscono nelle composizioni.
Il depressive black prende campo specialmente quando è lo screaming straziante ad occupare la scena, mentre la componente atmosferica prevale nei momenti prettamente strumentali; peraltro, la copertina è piuttosto indicativa di quanto ci si possa attendere dalla musica della misteriosa band di Portland, per cui gli scenari esibiti corrispondono al senso di freddo e desolazione che prima o poi ognuno percepisce provando a scavare in profondità dentro sé stesso.
Al di là del ridotto potenziale innovativo, un album di questo tipo lo si ascolta sempre volentieri, specialmente quando viene suonato e composto con tutti i crismi e con la dovuta intensità, e senza che ci si perda in troppi passaggi interlocutori.
None non rappresenta nulla che possa stravolgere le gerarchie del metal underground ma è sicuramente un ascolto che non deluderà chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1 – Cold
2 – Wither
3- Suffer

Rance – Rance EP

La devozione alle sonorità lo fi tipiche degli anni novanta consente di omaggiare in maniera più fedele le radici del genere, ma d’altro canto fa smarrire quella porzione di fruibilità laddove acquisisce, per certi versi, in fascino.

Ep d’esordio, per i francesi Rance, esponenti di un black contiguo al depressive ed intriso di un potente carico di drammaticità.

Pochi fronzoli, produzione lo fi, voce che pare giungere da una stanza attigua, dove le urla strazianti sono quelle di una vittima sottoposta ad efferatezze fisiche e psichiche.
Per i Rance non c’è spazio per raffinatezze e ricami, il loro black metal è l’antitesi di tutto ciò che si possa fare per compiacere l’ascoltatore occasionale o della prima ora e, anche se collocare il lavoro nell’ambito DSBM potrebbe non essere del tutto appropriato, non c’è dubbio che possa trovare una sua appetibilità negli estimatori del sottogenere.
La devozione alle sonorità lo fi tipiche degli anni novanta consente di omaggiare in maniera più fedele le radici del genere, ma d’altro canto fa smarrire quella porzione di fruibilità laddove acquisisce, per certi versi, in fascino. A livello di consuntivo ritengo però che la scelta alla fine penalizzi i Rance, perché, ad esempio, in un brano notevole come Cathy, i suoni soffocati finiscono per annacquarne l’intenso e disperato incedere, a tratti anche melodico, e lo stesso vale anche per le altre tre tracce, tra le quali va citata la drammatica title track che, nel suo lungo sviluppo superiore ai dieci minuti, gode di passaggi più rallentati e rarefatti.
Considerando che l’ep è poi la riedizione del demo immesso in circolazione all’inizio della scorsa estate, non è da escludere che i nostri, compatibilmente con gli impegni comuni ai quattro con altre band della scena black transalpina, abbiano già altra nuova musica in cantiere: in tal caso c’è una certa curiosità per vedere come i Rance riusciranno ad evolversi, sia dal punto di vista stilistico, sia da quello della mera resa sonora

Tracklist:
1.Denis
2.Cathy
3.Jeanine
4.Rance

Line up:
Anthony – vocals
Yann – guitar
Lila – bass
Gaetan – drums

RANCE – Facebook

Dreariness – Fragments

I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine.

Attendevo con curiosità il secondo album dei Dreariness, band che mi aveva colpito alla sua prima uscita (My Mind Is Too Weak To Forget – 2013) con una proposta radicata nel depressive, ma con quel qualcosa in più a livello poetico e melodico in grado di fare la differenza.

In questo nuovo Fragments il sound appare più meditato in molte sue parti, ma nulla cambia riguardo al tormento e la sofferenza che la musica dei Dreariness induce, utilizzando come strumento aggiunto la voce di Tenebra, che si dimostra una delle interpreti più credibili del settore.
Il suo screaming esasperato è accompagnato da vocals pulite (altro elemento di novità rispetto al passato) che ne sono l’ideale contraltare, e il tutto va a comporre un quadro compositivo che si potrebbe definire depressive blackgaze ma che, in fondo, è solo un modo come un altro, per quanto necessario, di definire un sound in cui le melodie create da Gris e ben punteggiate dal drumming di Torpor vengono trasformate in qualcosa di realmente inquietante dagli interventi vocali.
Infatti, se gli Alcest, con il loro shoegaze, ci conducono per mano all’interno dei sogni di Neige, con i Dreariness ci si addentra in una realtà onirica prossima all’incubo, quasi che le asprezze vocali intendano riportarci bruscamente ad una realtà che la mente immagina meno ostile e più rassicurante.
Vengono rappresentati frammenti di luce, a tratti abbacinante, che vivono nella nostra mente lo spazio della vita di una lucciola, prima d’essere oscurati dall’inquietudine e dal senso di costante inadeguatezza di fronte al mistero dell’esistenza: un qualcosa che ogni mente dotata di n minimo di raziocinio non può fare a meno di provare.
Melodie struggenti sono la colonna sonora di una vita in frantumi, la cui catarsi finale però non avviene necessariamente con l’autoannientamento, ma può giungere anche attraverso un azzeramento del proprio vissuto propedeutico ad una nuova rinascita.
Di certo l’ascolto di un album dei Dreariness non è mai né semplice né banale: questa è musica che provoca non poco turbamento, anche se le sonorità meno aspre rispetto al più classico depressive favoriscono un approccio meno ostico per chi dovesse approdare a Fragments con un background meno estremo.
Quasi un’ora di musica sognante, che la voce di Tenebra trasforma sovente in un incubo dal quale il risveglio, però, potrebbe rivelarsi tutt’altro che una liberazione, è il magnifico contenuto di un album dall’elevato impatto emotivo, nel quale ogni passaggio è funzionale allo scopo e dove The Blue ( traccia “novembrina” non solo per il titolo) e In The Deep Of Your Eyes catturano qualche consenso in più nella mia personale scala di gradimento, prima che la splendida Catharsis chiuda il lavoro quale autentico manifesto concettuale reso ancor più potente dall’utilizzo della nostra lingua.
I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine: francamente, oggi, non credo ci sia in giro un’altra realtà, in questo specifico settore, capace di trasmettere con eguale forza e cristallina bellezza un tale senso di senso di prostrazione e smarrimento.

Tracklist:
1. Starless Night
2. The Blue
3. Essence
4. In the Deep of Your Eyes
5. Somnium
6. No Temporary Dreams
7. Catharsis

Line-up:
Tenebra – Vocals
Grìs – Guitars, Bass, Keys
Torpor – Drums

DREARINESS – Facebook

Insonus – Nemo Optavit Vivere

La capacità di variare le sfumature stilistiche da parte degli Insonus, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse.

Ep d’esordio per gli Insonus, duo italiano che va ad inserirsi nell’affolata scena black metal.

La maniera per farsi notare in questo specifico settore, tralasciando la remota possibilità che qualcuno che riesca ad introdurre particolari elementi innovativi nel proprio sound, è sicuramente quella di intepretare la materia in maniera coerente e competente, anche se non sempre si rivela ugualmente utile a raggiungere lo scopo.
Gli Insonus, in ogni caso, il loro compito lo svolgono in maniera egregia, con la proposta di un black che in certe parti sembra spingere più sul versante depressive, mentre in altre rimane nell’alveo della tradzione, il tutto però sempre con una buona propensione nel creare linee melodiche capaci di attrarre l’attenzione del’ascoltatore.
Proprio la capacità di variare le sfumature stilistiche da parte del duo, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse, proprio perché offre la sensazione di una ricerca musicale che va oltre la ripoposizione fedele degli stlemi del genere.
Così, se The Solution è una bella traccia nello stile dei migliri Arckanum, Bury Me esplora n manira decisa il versante depressive, con un andatura più rallentata ed il canonico scraming disperato a fare da corollario; Nihist Manifesto è un brano che, dopo un’introduzione pacata, diviene inarrestabile quando le ritmiche si fanno a trati parossistiche, mentre Life Hurts A Lot More Than Death è un pregevole episodio di matrice ambient.
L’ep indica senz’altro buone doti compositive da parte degli Insonus e gli scostamenti stilistici denotano il lodevole tentativo di non apparire eccessivamente calligrafici, cosa che riesce loro piuttosto bene: a mio avviso il brano più focalizzato ed incisivo è The Solution, ma anche i restanti risultano degni di una certa attenzione. Un esordio decisamente positivo.

Tracklist:
1. The Solution
2.Bury Me
3.Nihilist Manifesto
4.Life Hurts A Lot More Than Death

Line-up:
R. – Guitars, Additional Vocals, Songwriting
A. – Vocals, Lead guitars, Bass, Programming, Arrangements

INSONUS – Facebook

Winterheart – Nothingness

Rispetto a certi stilemi del genere viene meno un certo minimalismo, per cui troviamo un sound relativamente dinamico e valorizzato da una produzione all’altezza rispetto agli standard richiesti.

Terzo album per gli ungheresi Winterheart, band che si cimenta con un black metal atmosferico ma dai tratti sovente molto vicini al depressive.

In effetti, il senso di disperazione che viene evocato con buona continuità dal gruppo di Budapest è accentuato da vocals che, in più di un caso, mostrano un chiaro stampo DSBM, talvolta spinte fino all’eccesso come in Kill Me.
Rispetto a certi stilemi del genere viene meno un certo minimalismo, per cui troviamo un sound relativamente dinamico e valorizzato da una produzione all’altezza rispetto agli standard richiesti.
Ciò consente di godere appieno delle diverse sfumature, in primis un buon lavoro chitarristico che non si limita al consueto tremolo offrendo, invece, più di uno spunto notevole di matrice solista od acustica.
Tra i brani spicca Cancer, grazie ad un andamento vario e vicino per attitudine ai lavori più datati dei Nocte Obducta, e la successiva Forgive Me, dall’incedere doloroso segnato da una slendida linea melodica, ma non sono da sottovalutare neppure le altre tracce, come Aldozat, cantata in madre lingua. 
Insomma, Nothingness è davvero un lavoro di pregio che svolge appieno il suo compito, ovvero quello di trascinare l’ascoltatore nel gorgo di nichilistico sconforto di cui i suoni dei Winterheart sono intrisi.

Tracklist:
1. Intro
2. Áldozat
3. Kill Me
4. Drifting Away
5. Cancer
6. Forgive Me
7. Meghalok
8. Emlékek

Line-up:
Gábor Szalai – Vocals, Bass
Zsolt Géczy – Guitars
Péter Nagy – Drums
Ádám Tóth – Vocals, Guitars

WINTERHEART – Facebook

Atom – Spectra

Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature

Per la one man band Atom, l’ep Spectra arriva due anni dopo Horizons, un buon full length del quale avevo avuto l’occasione di parlare su IYE.

Rispetto a quel lavoro le coordinate stilistiche non cambiamo ma, semmai, vedono una valorizzazione dei loro aspetti migliori: il black metal atmosferico proposto da Fabio, musicista cesenate che è dietro il monicker Atom, è piuttosti diretto non perché banale, ma in quanto raggiunge lo scopo senza indulgere in tentazioni avanguardistiche o sperimentali.
Sia nelle parti più aspre, con le consuete accelerazioni ritmiche, sia in quelle più riflessive, il filo conduttore melodico è sempre in primo piano, rendendo questa mezz’ora scarsa di musica un’altra buona dimostrazione di capacità compositive.
Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene comunque ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature, operazione che avviene in maniera efficace in Night Sleeper, dove in un lasso di temo relativamente breve scorrono pulsioni depressive, postblack, epic e vocals che spaziano da evocative parti corali a stentorei passaggi pulite per arrivare, poi, al consueto screaming.
Proprio questo, come nel precedente lavoro, continua ad essere un aspetto dolente, rivelandosi di qualità inferiore al contesto strumentale nel quale viene inserito: talvolta viene esasperato in stile DSBM (Spectra), in altri momenti diviene più canonico ma stranamente risulta un po’ troppo effettato e relegato sullo sfondo a livello di produzione (Dasein).
Come in Horizons si rivela molto efficace il lavoro chitarristico nelle sue diverse sembianze, il che impreziosisce un album che denota un ulteriore passo avanti per un progetto in possesso di tutti i crismi per ritagliarsi un minimo di spazio vitale in un settore congestionato come non mai e nel quale, nonostante molti la pensino diversamente, il livello medio si sta decisamente alzando.

Tracklist:
1. Spectra
2. Night Sleeper
3. Dasein

Line-up:
Fabio – Vocals, Guitars, Drum programming

ATOM – Facebook