Weird Light – Doomicus Vobiscum

Il loro doom è forse il migliore mai suonato nell’esagono, ed è una versione molto classica fra Candlemass e i primi Reverend Bizzarre, con una voce stentorea e riff lenti e potenti.

Ristampa del segreto meglio custodito della scena doom francese, i Weird Light.

Attivi solo per poco tempo, i Weird Light prima di sciogliersi avrebbero dovuto incidere un disco per la Shadow Kingdom che purtroppo non è mai uscito Questa ristampa contiene i due pezzi del demo del 2007, più altrettanti inediti. Il loro doom è forse il migliore mai suonato nell’esagono, ed è una versione molto classica fra Candlemass e i primi Reverend Bizzarre, con una voce stentorea e riff lenti e potenti. La registrazione e la produzione non sono il massimo ma bastano per rendere l’idea del gruppo. I Weird Light accompagnano l’ascoltatore nei meandri di umide catacombe, fra altari dimenticati e ossa di morti maledetti.
Questa ristampa colma un buco, una mancanza che solo in parte può essere riempita da queste quattro magnifiche canzoni. Un grandissimo gruppo

TRACKLIST
01. Obsidian Temple
02. GogMagog ( Under The Trumpets Of D. )
03. Conspiracy Of The Dead
04. Stare In The Dark

SHADOW KINGDOM – Facebook

Cardinal’s Folly – Holocaust of Ecstasy And Freedom

Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

Doom, classico senza fronzoli e da ascoltare a volumi criminali. Riffoni che colano dal grasso di un caprone mentre brucia, teste slogate dall’oscillare, tenebre e vizio, ecco ciò che offrono i Cardinal’s Folly nella loro terza uscita.

Questo è doom metal fatto bene e con tutti i crismi dell’ortodossia, ed in più c’è una classe abbastanza enorme. In tempi nei quali è sempre più difficile trovare un buon album doom classico, ecco arrivare questo Holocaust Of Ecstasy & Freedom, lento freddo eppure eccezionalmente caldo. Ci sono anche forti echi settantiani e un tocco di metallo tipicamente inglese che fa molto NWOBH. Insomma un’ottima opera, con un giusto bilanciamento fra accelerazioni, lentezza e pesantezza.
Uno dei migliori album di doom classico dell’anno, confermando la netta supremazia finlandese nel campo.

TRACKLIST
1.The Poison Test
2.Goats on the Left
3.Her Twins of Evil
4.Nocturnal Zeal (Winter Orgy)
5.Holocaust of Ecstasy & Freedom
6.Psychomania
7.La Papesse

LINE-UP
Mikko Kääriäinen – Bass, Vocals
Juho Kilpelä – Guitar
Joni Takkunen – Drums

CARDINAL’S FOLLY – Facebook

WITCHES OF DOOM

Un interessante scambio di battute con i romani Witches Of Doom, autori di uno degli album più convincenti di questa prima metà del 2016.

iye Tra Obey ed il nuovo lavoro sono passati un paio d’anni, cosa è successo nel frattempo in casa Witches Of Doom?

In questi due anni abbiamo avuto modo di conoscerci e di amalgamarci di più, di poter sperimentare nuove idee, di lavorare sui suoni, ma soprattutto abbiamo fatto numerose date sia in Italia che all’estero, e questo è quello che ci ha fatto crescere maggiormente

iye Obey è stato, almeno per il sottoscritto, un esordio straordinario: voi siete soddisfatti dei riscontri ottenuti da pubblico ed addetti ai lavori?

Sicuramente non ci possiamo lamentare, le ottime recensioni che abbiamo ricevuto ci hanno reso orgogliosi del nostro lavoro, e ci hanno dato quell’ulteriore spinta in più e convinzione nei nostri mezzi. E’ stato ulteriormente emozionante ricevere attestazioni di stima e di apprezzamento per la nostra musica da musicisti del calibro di Tony Dolan (Venom Inc., E-mpire of Evil), con cui abbiamo anche suonato qui a Roma, e Paul Bento ( ex Carnivore – Type O Negative), che ci ha addiritura onorato di un suo assolo di chitarra sul nostro singolo New Years Day.

iye Non è mai facile per una band ripetersi su certi livelli dopo un lavoro pienamente riuscito, avete sentito una certa pressione al momento di scrivere i brani per il nuovo album?

Sapevamo da subito che dopo gli ottimi riscontri di Obey non potevamo permetterci di sbagliare, e questo un minimo di preoccupazione ce lo dava, ma la nostra fortuna è quella di essere molto prolifici nella scrittura dei brani, e questo ci ha permesso, prima di entrare in studio di registrazione, di fare una selezione. Abbiamo scelto i brani che ci divertivamo di più a suonare, visto che la passione e il divertimento sono alla base di tutto quello che facciamo

iye Deadlights conferma il vostro valore, ancora una volta il songwriting è di altissimo livello, senza restare ancorato al sound di Obey ma aggiungendovi con sagacia una base elettronica che gli conferisce un mood ancor più ottantiano: da dove giungono questi nuovi spunti ?

La differenza principale sta nel semplice fatto che le tastiere in Obey sono state aggiunte dopo aver già scritto tutti i brani, in quanto il nostro tastierista Eric è entrato in pianta stabile nel gruppo proprio mentre stavamo ultimando le registrazioni di Obey, mentre i pezzi di Deadlights nascono da subito con le tastiere e quindi abbiamo potuto dare sfogo a tutti nostri desideri di elettronica che nel primo disco avevamo dovuto parzialmente reprimere.

iye Nel nuovo album siete riusciti ad amalgamare, molto più che nel precedente, tutte le vostre influenze, mantenendo però intatta la componente stoner/doom che conferisce ai brani atmosfere ossianiche: quanto influisce sul vostro sound il dark rock delle band storiche?

Sicuramente, anche se ognuno di noi ha influenze e predilige ascolti dei generi più vari di musica, l’amore per il suono di band storiche quali Black Sabbath, Doors, Depeche Mode, The Cure, Joy Division, Bauhaus, Sister of Mercy, The Mission, The Cult, etc.etc. è quello che più ci unisce e che più abbiamo in comune

witchesbig

iye Come è nato un brano come I Don’t Want To Be A Star, quello che più si avvicina al mood di Obey con le sue atmosfere doorsiane che lo rendono la perfetta conclusione del lavoro?

I Don’t Want To Be A Star nasce da un mio giro di basso, l’ho proposto mentre stavamo provando altri pezzi, anche se non ne ero molto convinto, in quanto pensavo che si differenziasse troppo dal tipo di sound su cui stavamo lavorando in quel periodo. Invece agli altri del gruppo è piaciuto subito, e allora abbiamo incominciato a lavorarci in maniera più seria. La cosa bella è che tutta la seconda parte del brano è una sorta di jam session, ogni volta, sia che si tratti di prove, che di concerti, la improvvisiamo, e così anche la durata del brano è molto variabile

iye Dopo un secondo lavoro ancora di altissimo livello, quali sono i primi bilanci e le aspettative ?

Il disco è uscito da poco, tra l’altro al momento solo in formato digitale, la versione in cd uscirà entro fine maggio, e quindi è ancora troppo presto per fare dei bilanci, anche se devo dire che i primi riscontri sono più che positivi. Le nostre aspettative sono sicuramente alte, crediamo molto in quello che abbiamo fatto, sappiamo anche di avere un sound tutto nostro, che ci contraddistingue, speriamo quindi che sempre più persone vengano a vederci e acquistino il nostro disco

iye Con l’approssimarsi della stagione estiva ci sarà la possibilità di vedervi all’opera in qualche festival?

Al momento non abbiamo niente in programma, almeno in Italia, ma stiamo lavorando per cercare nuove date. I problemi sono essenzialmente due: uno lo hanno in comune tutte le band italiane che suonano pezzi originali, ovvero il sempre minor spazio concesso ai gruppi che suonano musica propria a favore invece delle cover band; il secondo invece si rifà alla risposta alla domanda precedente, ovvero avendo un sound tutto nostro spesso siamo fuori contesto, in quanto o troppo metal per festival rock, o al contrario troppo poco metal per i festival in cui magari suonano anche gruppi metal più estremi. Quindi alla fine ci rimane più facile suonare da soli o come headliner della serata.

iye Nel metal i gruppi italiani sono sempre stati visti come una realtà di serie B, ma negli ultimi anni la scena è cresciuta in modo esponenziale: vi ritrovate in effetti quale parte della scena metal nostrana oppure vi sentite più una band dal respiro internazionale?

Io direi tutte e due le cose, in quanto siamo comunque legati alle nostre origini e grati a gruppi quali ad esempio Lacuna Coil, Novembre, Sadist, Doomraiser, Foreshadowing, solo per citare i primi che mi vengono in mente, che portano in giro per il mondo il metal italiano, dando così anche a noi la possibilità avere una sorta di vetrina internazionale. Allo stesso tempo siamo consapevoli che il nostro è un sound più internazionale, fosse solo per tutti i messaggi di complimenti e richieste varie che riceviamo tutte le settimane dalle parti più sparse del mondo. Proprio per questo motivo, di comune accordo con la nostra etichetta la Sliptrick Records, abbiamo deciso di concentrare la fase iniziale della promozione di Deadlights negli Stati Uniti.

In Mourning – Afterglow

Gli In Mourning non deludono affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo

Gli svedesi In Mourning appartengono a quella categoria di band di ottimo livello che, nonostante una storia ultradecennale ed una discografia già abbastanza significativa per qualità e quantità, non hanno ancora raggiunto i picchi di popolarità che meriterebbero.

Autori di un death che si sviluppa costantemente tra pulsioni progressive, melodiche e doom, i quattro scandinavi pagano probabilmente la loro non semplicissima collocazione all’interno di una specifica frangia del genere: se, infatti, a tratti sembra di ascoltare una versione più moderna degli Opeth d’inizio millennio, gli appropriati rallentamenti pongono il sound verso una cupezza vicina agli October Tide (non cito a caso la band di Norrman, visto che sia l’ottimo vocalist Tobias Netzell che il bassista Pierre Stam ne hanno fatto parte in passato) mentre più di una volta è il trademark melodico tipicamente svedese a caratterizzare il sound, come viene brillantemente esplicitato dall’opener Fire and Ocean.
Il girovagare tra tutte queste pulsioni depone a favore di una certa ecletticità degli In Mourning, anche se permane un umore cupo di fondo, derivante da un trademark doom che non si manifesta più di tanto, però, tramite i caratteristici ed asfissianti rallentamenti.
La band svedese si rende protagonista di un lavoro eccellente nel suo complesso, con una serie di brani ficcanti che potrebbero far breccia un po’ in tutti quelli che amano sonorità robuste intrise nel contempo di melodie tecnica e di una giusta dose di malinconia; personalmente prediligo gli In Mourning quando spiegano le ali verso il death doom melodico, spesso vicino nel suo sentire agli Swallow The Sun (come avviene magistralmente nella conclusiva title track) e un po’ meno, invece, allorché sono gli influssi opethiani a prendere il sopravvento (Ashen Crow, soprattutto) ma, come detto, è solo una questione di gusto soggettivo.
Va detto, peraltro, che queste anime più di una volta si incontrano e la loro convivenza, per nulla forzata, produce frutti notevoli (The Call to Orion su tutte, ma riuscitissima è anche The Lighthouse Keeper) con buona continuità ed una mai scontata padronanza della tecnica strumentale, con menzione d’obbligo, oltre ai musicisti già citati, per i chitarristi Björn Pettersson e Tim Nedergård e per un pezzo da novanta della scena musicale svedese come il drummer Daniel Liljekvist, per oltre un decennio nei Katatonia.
In buona sostanza, questo ritorno dopo quattro anni dal precedente album, da parte degli In Mourning, non delude affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo: insomma, da accaparrarsi e goderne pressoché a scatola chiusa …

Tracklist:
1. Fire and Ocean
2. The Grinning Mist
3. Ashen Crown
4. Below Rise to the Above
5. The Lighthouse Keeper
6. The Call to Orion
7. Afterglow

Line-up:
Pierre Stam – Bass
Tobias Netzell – Guitars, Vocals
Björn Pettersson – Guitars
Tim Nedergård – Guitars
Daniel Liljekvist – Drums

IN MOURNING – Facebook

Obsidian Sea – Dreams, Illusions, Obsessions

Dreams, Illusions, Obsessions è un buon modo per scorprire una nuova band in un genere avaro di sorprese

Uno sguardo sempre più approfondito sulla scena metallica bulgara, dopo realtà alle prese con il black metal e l’ hard & heavy, ci induce a rallentare il battito del nostro cuore, così come le bacchette sulle pelli ed immergerci nelle atmosfere messianiche della musica del destino con gli Obsidian Sea, band proveniente dalla capitale Sofia.

Il trio, dopo il primo demo targato 2010, si presenta con il secondo full length, successore del debutto licenziato tre anni fa ed intitolato Between Two Deserts.
Siamo al cospetto di un gruppo che fa del doom classico il suo credo: onirico, sabbathiano ed assolutamente old school, che nel genere significa zero sfumature stonerizzate, incedere lento, chitarroni heavy e voce cantilenate in odore di messa, nera come la pece.
In Dreams, Illusions, Obsession, il doom classico è onorato con buon impatto, le atmosfere rimandano ai gruppi storici che hanno fatto grande la musica del destino, partendo dai Sabbath per passare ai gruppi della Hellhound, la label tedesca che nel decennio degli anni novanta licenziò i capolavori di Saint Vitus, Count Raven, The Obsessed e Revelation.
Non ci si discosta dal sound classico, anche se i brani sono ottimi esempi di genere, con un’aura messianica che trasforma l’album in una lunga celebrazione del sound caro a chi al fato rende omaggio, lunghe e lente cantilene che la potenza di solos heavy ben incastonati nell’economia dei brani portano indietro nel tempo, così che dai novanta passare al periodo settantiano è un attimo.
La buona produzione, il cantato perfetto per il genere e due o tre brani davvero belli (Confession, Mulkurul e la conclusiva Somnambulism) alzano la media di questo lavoro, consigliato senza riserve ai doomsters dai gusti classici e vintage.
Dreams, Illusions, Obsessions è un buon modo per scoprire una nuova band in un genere avaro di sorprese, approfittatene.

TRACKLIST
1. The Trial of Herostratus
2. Confession
3. Child in the Tower
4. Mulkurul
5. The Fatalist
6. Somnambulism

LINE-UP
Bozhidar Parvanov – Drums
Anton Avramov – Vocals, Guitars
Ivaylo Dobrev – Bass

OBSIDIAN SEA – Facebook

Deathkings – All That Is Beautiful

All That Is Beautiful è senz’altro un buon album, anche se appare difficile che possa conquistare qualcuno che non sia del tutto addentro al genere, restando destinato, quindi, ad ascoltatori disposti a farsi erodere in maniera lenta ma inesorabile.

Quattro lunghe litanie a base di uno sludge doom sfibrante, ma sufficientemente vario per essere apprezzato, è quanto offrono i Deathkings in questo loro secondo full length, All That Is Beautiful.

Difficile capire cosa possa esserci, poi, di bello e consolatorio, nel mondo prefigurato dalla band californiana con un titolo dalle sfumature presumibilmente sarcastiche: una voce grida il suo livore che si placa a tratti, quando il sound, per lo più granitico, pare prendersi una tregua salvo poi riprendere con il suo incedere macinando riff.
Forse proprio questi passaggi costituiscono il punto meno incisivo del lavoro, facendo scemare un’intensità che invece emerge in maniera prepotente quando i Deathkings decidono di aprire al massimo i motori.
E’ anche vero, d’altra parte, che sarebbe impensabile e forse controproducente mantenere per oltre un’ora questo stesso andazzo, per cui, volendo comunque esprimersi su minutaggi di simili fattezze, l’inserimento di passaggi più sperimentali e meno diretti diviene quasi una necessità.
Va anche detto che sono, fondamentalmente, i 18 minuti dell’opener Sol Invictus a risentire maggiormente di questa sorta di dicotomia, mentre già nella successiva The Storm le doti compositive dei Deathkings emergono in forma più focalizzata, dando vita ad un brano aspro ma dal retrogusto malinconico.
Più diretta e rabbiosa si mostra The Road To Awe, mentre i quasi 20 minuti di Dakhma sono un’ulteriore prova di resistenza dalla quale i quattro losangelini escono egregiamente, pur senza cedere ad alcun ammiccamento per condurre in porto il lunghissimo brano, anche se, in qualche modo, si ritorna agli schemi proposti all’inizio del lavoro.
All That Is Beautiful è senz’altro un buon album, anche se appare difficile che possa conquistare qualcuno che non sia del tutto addentro al genere, restando destinato, quindi, ad ascoltatori disposti a farsi erodere in maniera lenta ma inesorabile.

Tracklist:
1.Sol Invictus
2.The Storm
3.The Road To Awe
4.Dakhma

Line-up:
N. Eibon Fiend – Bass, Vocals
Sean Spindler – Drums
Daryl Hernandez – Guitars, Vocals
Mark Luntzel – Guitars, Vocals

DEATHKINGS – Facebook

Psychedelic Witchcraft – The Vision

The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli.

Secondo disco per l’emergente Virginia Monti che cambia band ed etichetta per il suo nuovo disco.

I Psychedelic Witchcraft sono un gruppo giovane fondato nel marzo 2015 che, con la vecchia line up, aveva pubblicato per la Taxi Driver il 10″ di esordio Black Magic Man, che era andato presto esaurito, ed è anche un pezzo da collezione poiché vi era la playlist sbagliata. Il nuovo lavoro per Soulseller Records mette maggiormente in risalto l’aspetto settantiano del gruppo, che riesce a riportare molto bene un certo clima musicale che si muoveva fra hippy ed occultismo, senza estremizzare come i Coven, e con solide basi musicali. Virginia ha una voce ed un eclettismo canoro che le permette di spaziare molto bene fra i vari registri, ed il resto del gruppo è notevole. I Psychedelic Witchcraft ci portano in un mondo dove si luce e tenebre si fondono e la ricerca è costante, senza mai rimanere fermi. The Vision è quello che dice il titolo, ovvero una bella visione di un tempo andato e di sensazioni dimenticate ma estremamente piacevoli. In un settore dove ci sono molti dischi simili, questo spicca per solidità e per l’avere una Virginia Monti che fa la differenza. Addentratevi in un’oscura luce e in sottili piaceri.

TRACKLIST
1. A Creature
2. Witches Arise
3. Demon Liar
4. Wicked Ways
5. The Night
6. The Only One That
7. War
8. Different
9. Magic Hour Blues

LINE-UP
Virginia Monti – Vocals
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Daniela Parella – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – Facebook

Attalla – Attalla

Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito.

Attacco sonoro con trip power lisergico dalle lande del Wisconsin. Debutto per questo quartetto americano che usa riffoni potenti e calibrati per portare l’ascoltatore su di un altro piano dimensionale.

Per realizzare il loro piano di straniamento musicale gli Attalla usano l’hard rock, un doom bello duro e cadenzato e anche un bel pò di tenebre.
I titoli dell tracce sono brevi e stringati poiché l’attenzione maggiore deve essere sulla musica, ed ascoltandoli gli Attalla attirano benissimo al nostra attenzione. Sono retrò senza esagerare, hanno un impianto sonoro che è stato costruito negli anni settanta, ma lo attualizzano molto bene. La durezza della loro musica è molto ben calibrata, non esagerano, armonizzandola con la voce che è molto valida. Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito. Ottimo debutto, disponibile in cd, cassetta e digitale.

TRACKLIST
1.Light
2.Haze
3.Lust
4.Thorn
5.Veil
6.Doom

LINE-UP
Cody Stieg – Lead Guitar/Vocal
Brian Hinckley – Rhythm Guitar
Bryan Kunde – Bass
James Slater – Drums

ATTALLA – Facebook

Vuolla – Blood. Stone. Sun. Down.

I quasi settanta minuti di musica riversata in Blood. Stone. Sun. Down. non stancano affatto, dimostrando l’assoluta bontà della proposta e la brillantezza compositiva dei Vuolla

Dalla sempre prolifica Finlandia arrivano i Vuolla, band che dopo diversi anni di attività arriva al full length d’esordio intitolato Blood. Stone. Sun. Down.

Particolare non da poco, i nostri preovengono da Jyväskylä, città situata a circa 300 km a nord di Helsinki, dalla quale sono partiti anche i Swallow The Sun, il che costituisce un indizio piuttosto forte sul tipo di sound che bisogna attenderci da questo lavoro.
In effetti, i Vuolla si cimentano con un death doom melodico che prende spunto più dai primi lavori dei concittadini che non dagli ultimi, anche se viene connotato dalla voce di Kati Kalinen, che si alterna al growl di Kalle Korhonen.
Diciamo subito che la voce della tastierista (nonché moglie del chitarrista Ilari Kallinen ) non è proprio il punto di forza della band, anche se il suo timbro quasi adolescenziale si integra bene con un sound che fa di un mood malinconico la sua ragion d’essere, sviluppandosi lungo coordinate che spesso toccano le giuste corde, con spunti notevoli e tutt’altro che scontati.
I quasi settanta minuti di musica riversata in Blood. Stone. Sun. Down. non stancano affatto, dimostrando l’assoluta bontà della proposta e la brillantezza compositiva dei Vuolla, i quali si lasciano andare talvolta a digressioni di matrice post metal all’interno di qualche brano senza perdere mai di vista l’obiettivo finale, quello di comporre brani emozionanti e dall’andamento dolente.
Peraltro, l’album gode di un livello qualitativo medio elevato, senza tracce che spicchino in maniera decisa rispetto ad una tracklist omogenea in cui, forse si fanno preferire la swallowiana Emperor e, in generale, i momenti in cui le due voci si alternano creando quella contrapposizione di atmosfere che è il sale del genere.
L’esordio dei Vuolla è, quindi, un ulteriore tassello che si va ad aggiungere ad un mosaico nel quale il movimento finnico la fa sempre da padrona, fin dai tempi dei Thergothon, per restare sui versanti più funerei del doom, e dei Decoryah, band che illuminò con due dischi magnifici la scena dei primi ’90 e alla quale riportano talvolta passaggi ed umori contenuti in Blood. Stone. Sun. Down.

Tracklist:
1. Death Incredible
2. Emperor
3. Chambers To Fill With Longing
4. Rain Garden
5. Shadow Layer
6. Rivers In Me
7. Film
8. Quiet Cold

Line-Up:
Kati Kallinen – vocals and keyboards
Mika Laine – bass
Ilari Kallinen – guitars
Kalle Korhonen – growls
Timo Ruunaniemi – drums

VUOLLA – Facebook

Abstracter / Dark Circles – Split

Uno split album che esibisce due maniere diverse ma ugualmente efficaci nel gestire le pulsioni più oscure, veicolandole splendidamente in forma musicale.

Particolare split album edito da un pool di etichette quello che vede a confronto due band che hanno apparentemente poco in comune, come i californiani Abstracter ed i canadesi Dark Circles.

Se i primi sono esponenti della frangia più estrema ed incompromissoria dello sludge doom, i secondi sparano il loro hardcore che, per atmosfere e ritmiche si avvicina spesso e volentieri al black metal: non parrebbe così scontato, in teoria, trovare un tratto comune a due entità simili, se non ci fosse ad unirle una visione negativa della realtà ed una rabbia che negli Abstracter si esprime con un sound claustrofobico e per lo più ripiegato su sé stesso, mentre nei Dark Circles esplode in una furia iconoclasta che non disdegna ugualmente qualche puntata melodica.
Anche se il numero dei brani premia i Dark Circles (quattro contro due) la durata complessiva della musica contenuta in questo split va a favore degli Abstracter che, con la loro coppia di lunghe tracce (Barathrum e Where All Pain Converges) ne occupano circa i due terzi della durata: normale, se pensiamo ad una band che deve costruire la propria proposta su tempi rallentati volti a costruire una spessa coltre di incomunicabilità fatta di dissonanze e riff distorti all’inverosimile; più essenziale, come da attitudine, il contributo dei canadesi, con due brani brevissimi ma dall’intensità spasmodica (Ashen e Void), uno più composito ma certo non meno oscuro e rabbioso (Isolate), al netto della sorprendente digressione ambient di Epilogue (Quietus) Op. 28.
Uno split album che esibisce due maniere diverse ma ugualmente efficaci nel gestire le pulsioni più oscure, veicolandole splendidamente in forma musicale.

Tracklist:
1.ABSTRACTER – Barathrum
2.ABSTRACTER – Where all pain converges
3.DARK CIRCLES – Ashen
4.DARK CIRCLES – Void
5.DARK CIRCLES – Isolate
6.DARK CIRCLES – Epilogue (Quietus) op. 28 no. 4

Line-up:
Abstracter
Robin Kahn
Mattia Alagna
Emad Dajani
Donovan Kelley

Dark Circles
Marc Tremblay
Chris Goldsmith
Jamie Thomas

ABSTRACTER – Facebook

DARK CIRCLES – Facebook

WOWS

Ci avviciniamo sempre di più all’Argonauta Fest (7 maggio 2016 a Vercelli, dalle ore 18.00 alle Officine Sonore).
Questa volta ci parlano i Wows, uno dei gruppi più eterogenei del panorama Argonauta.

iye Come è nato il gruppo ?

La band è nata nel 2008, i membri sono ancora gli stessi fatta eccezione per il nuovo acquisto ai synth e ai suoni malati Kevin Follet. Abbiamo iniziato con delle cover ma ben presto e per bisogno ci siamo ritrovati a scrivere musica nostra. Dopo un primo disco di assestamento abbiamo trovato la nostra via con il nostro ultimo lavoro, Aion.

iye Quali sono le vostre influenze sonore ?

Molteplici e si dovrebbe distinguere tra i vari componenti. Nel metal però abbiamo trovato un punto d’incontro che ci permette di creare musica anche se ognuno di noi ha radici molto differenti. Il nostro fine non è di cavalcare un genere specifico ma di permettere ad ogni musicista di esprimersi a pieno e raggiungere così l’armonia tra tutti noi.

iye Come siete approdati su Argonauta ?

Grazie ad amici che ci hanno visto suonare dal vivo e che ci hanno consigliato di mandare il nostro Aion ad Argonauta. L’entusiasmo è stato subito reciproco. Siamo ancora elettrizzati al pensiero di far parte di questa scena.

iye Cosa vi aspettate dall’Argonauta Fest ?

Ci aspettiamo una botta di energia così potente da non farci distinguere la realtà dal sogno.

iye Progetti futuri ?

Bottomline: non mollare.
Una cosa che ci sta particolarmente a cuore è quella di fare gruppo, non solo tra noi ma tra tutte le band della scena. Stiamo unendo le idee e gli spiriti attraverso la pagina di Doometal Doometal Doometal, attraverso la quale pubblichiamo le opere e gli eventi delle band italiane a non; inoltre per mezzo della Nihilist Diffusion and Booking stiamo organizzando serate in tutto il nord Italia tra band che hanno voglia di spaccare teste.
Ah, ovviamente stiamo scrivendo il terzo disco ed in più stiamo progettando una release per il prossimo inverno.

wows2

Video :

Quercus – Heart with Bread

Una crescita sorprendente, quella dei Quercus, sia per qualità che per la direzione intrapresa e noi appassionati non possiamo che goderne.

I cechi Quercus erano reduci da un album come Sfumato, all’interno del quale avevano fornito un’interpretazione del funeral doom molto personale e sperimentale, lasciando a tratti qualche interrogativo sulla reale efficacia dell’operazione.

Era normale, quindi, pensare ad un ulteriore innalzamento dell’asticella andando a rovistare in chissà quali altre sfaccettature musicali da sommare ad un genere, che meno di altri, si addice a contaminazioni avanguardistiche.
Quando, però, si manifestano le prime note di organo, lo strumento che dominerà l’intero lavoro, suonato dal nuovo entrato Markko (al secolo Marek Pišl, una sorta di enfant prodige dello strumento), si capisce anche che i Quercus sono tornati indietro per compiere un decisivo passo avanti.
Dici organo, in ambito funeral, e pensi automaticamente agli Skepticism: l’accostamento non fa una piega, anche se l’approccio di Markko è molto meno algido e funesto di quello di Eero Pöyry, esaltandone più l’aspetto liturgico che non quello drammatico.
I Quercus, per indole, non rinunciano certo a metterci qualcosa di loro, cosicché l’album si ammanta di una freschezza che, paradossalmente, viene esaltata dalla drastica riduzione di passaggi che non siano di un’esemplare linearità e emblematica in tal senso è la traccia d’apertura, A Canticle for the Pipe Organ, uno spettacolare manifesto musicale di oltre venti muniti ricco di magnifiche aperture melodiche, nel quale la lezione dei maestri finlandesi viene fatta propria e rielaborata con un gusto del tutto personale.
Non si pensi che la band ceca abbia smarrito del tutto la voglia di battere strade oblique rispetto al genere, infatti un brano come Bread and Locomotive lo testimonia ampiamente, solo che qui le dissonanze e le spigolosità appaiono più funzionali alla resa d’insieme del lavoro.
Illegible Tree Name e Silvery Morning sono altre due tracce ottime che si muovono in questo nuovo solco tracciato dal trio di Plzeň, ma è con la conclusiva My Heart’s in the Highlands che si rinnova ancora la magia di una musica malinconica e solenne, questa volta non tutta farina del sacco dei Quercus, visto che trattasi di una riproposizione in chiave funeral del brano creato dal noto compositore estone Arvo Pärt.
Heart with Bread arriva al cuore in maniera meno tortuosa e anche le melodie chitarristiche di Lukáš Kudrna appaiono sempre finalizzate alla creazione di un impatto emotivo, con il contributo non secondario di un growl che non fa sconti, come quello offerto da Ondřej Klášterka.
Una crescita sorprendente, quella dei Quercus, sia per qualità che per la direzione intrapresa e noi appassionati non possiamo che goderne.

Tracklist:
1. A Canticle for the Pipe Organ
2. Illegible Tree Name
3. Bread and Locomotive
4. Silvery Morning
5. My Heart’s in the Highlands

Line-up:
Markko – Keyboards
Lukáš Kudrna – Unknown
Ondřej Klášterka – Vocals

QUERCUS – Facebook

Funeris – Nocturnes for Grim Orchestra

Funeris è un nome che, pur senza raggiungere i livelli delle band di punta del settore, si propone come approdo sicuro per chi voglia ascoltare queste luttuose sonorità.

Non sono passati neppure due anni dalla recensione di Waning Light ed eccoci nuovamente alle prese con un nuovo full length dei Funeris, progetto solita del musicista argentino Alejandro Nawel Sabransky che, dimostrando una certa prolificità, ha nel frattempo dato alle stampe altri due lavori su lunga distanza, Funereal Symphonies e Act III: Bitterness.

Questo più recente Nocturnes for Grim Orchestra è uscito lo scorso gennaio e mostra il nostro alla prese con un funeral doom dai tratti sempre atmosferici, ma ammantati di una ritualità che, in qualche modo, viene già evocata dalla copertina.
Rispetto ai dischi precedenti cambia anche la formula, con tre brani della durata superiore ai venti minuti che si rivelano altrettante litanie funebri guidate per lo più da un lavoro tastieristico, all’interno del quale trovano spazio rari quanto graditi inserti chitarristici di matrice solista.
E’ inutile ribadire che bisogna prendersi tutto il tempo necessario, ma Nocturnes for Grim Orchestra è un disco che, con la dovuta lentezza, si sviluppa in crescendo, dopo la partenza buona ma non sensazionale di Sempiterna Oscuridad e l’annichilente procedere dell’ottima Tempus Edax Rerum.
Il sound diviene inesorabilmente meno liturgico e più atmosferico, rallentato ai limiti dell’asfissia specialmente nella conclusiva Mouldy Gravestones, consolidando l’interessante livello esibito da Sabransky negli ultimi due anni.
Funeris è un nome che, pur senza raggiungere i livelli delle band di punta del settore, si propone come approdo sicuro per chi voglia ascoltare queste luttuose sonorità.

Tracklist:
1. Sempiterna Oscuridad
2. Tempus Edax Rerum
3. Mouldy Gravestones

Line-up:
Alejandro Nawel Sabransky: All Instruments, Vocals

FUNERIS – Facebook

Algoma / Chronobot – Split 12”

Uno split godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Split album per due band canadesi, Algoma e Chronobot, con i primi già trattati in questa sede in occasione del full length d’esordio Reclaimed by the Forest del 2014.

Questa operazione, oltre a consentirci di ascoltare nuovo materiale, mette in luce le differenze tra due band che, se prese separatamente, potrebbero essere considerate simili tra loro a causa della comune appartenenza alla scena sludge doom.
In effetti tale collocazione si addice maggiormente agli Algoma, molti più aspri, grezzi e distorti, con l’utilizzo prevalente di uno screaming quale soluzione vocale ed il ricorso frequente ad un’effettistica disturbante; i Chronobot, invece, sono maggiormente orientati ad uno stoner ugualmente deformato ma leggermente più tradizionale: qui la voce è più vicina alla timbrica di un Matt Pike e la componente psichedelica si manifesta con una certa continuità.
Diciamo pure che i Chronobot si rivelano senz’altro meno ostici all’ascolto e che i loro tre brani mostrano una versione del genere ugualmente ruvida ma ricca di soluzioni notevoli, inclusa una chitarra solista in puro stile Bevis Frond (per chi se lo ricorda); i due brani degli Algoma mantengono, invece, la band dell’Ontario sul proprio aventino musicale: zero compromessi e nessuna intenzione di scendere a patti con qualsivoglia tentazione melodica, soluzione alla portata di molti giusto per un quarto d’ora, ma tutta da verificare sulla lunghezza di un album intero per gli ascoltatori meno pazienti o poco avvezzi a tali sonorità.
Uno split comunque godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Tracklist:
Side A
1. Algoma – Phthisis
2. Algoma – Electric Fence
Side B
3. Chronobot – Red Nails
4. Chronobot – Jerry Can
5. Chronobot – Sons of Sabbath

Line-up:

Algoma
Kevin Campbell – Bass/Vocals
Boyd Rendell – Guitar/Vocals
JV- Drums

Chronobot
Dafe – Guitars, Vox and Cosmic FX
Quinton – Lead Guitar
Cody – Psych Battery
Scott – Bass
Darius – Keys/FX

ALGOMA – Facebook

CHRONOBOT – Facebook

Abyssic – A Winter’s Tale

Questo disco è la perfetta marcia funebre per la nostra società e per il nostro mondo, sarebbe un gran modo per uscire di scena e lasciarsi dietro qualcosa di valoroso e poetico.

Supergruppo norvegese che fa un super disco di doom sinfonico e funeral.

Incedere maestoso e lento per questo gruppo che è nato nel 1997 con il nome Abyssic Dreams, poi lasciato dormiente per gli impegni del fondatore Memnock con i Susperia, gruppo da lui fondato con Tjodalv dei Dimmu Borgir ed il chitarrista Elvorn. Nel 2012 Memnock decide di scongelare il progetto in seguito all’incontro con il chitarrista Andre Aaslie, che aveva appena finito di incidere un disco con i Gromth. Alla batteria viene ingaggiato Asgeir Mickelson già con Borkanagar ed Ihsahn. Da qui la decisione di fare un gruppo doom, e che doom. In A Winter’s Tale gli Abyssic interpretano il genere in maniera eccellente, molto orchestrato e con un forte timbro funeral, le canzoni sono lunghissime e fantastiche, la voce in growl si lega benissimo anche con effetti più elettronici e psych. Questo disco è la perfetta marcia funebre per la nostra società e per il nostro mondo, sarebbe un gran modo per uscire di scena e lasciarsi dietro qualcosa di valoroso e poetico.
Ci sono anche impetuose accelerazioni e il tutto appare perfettamente bilanciato. Registrato al Toproom Studio ha una produzione pressoché perfetta che rende molto bene la maestosità del suono. Splendido monolite nero.

TRACKLIST
1. Funeral Elegy
2. A Winter’s Tale
3. Sombre Dreams
4. The Silent Shrine

LINE-UP
Memnock – Vocals, Guitar, Bass, Contrabass
André Aaslie – Keys & Orchestration, Bass, Vocals
Asgeir Mickelson – Drums, Guitar
Elvorn – Guitar

ABYSSIC – facebook

Lightsucker – Zammal

Per chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

Stoner suonato senza tregua, ed in maniera che fa emergere questa band finlandese sopra le altre di questo genere ora molto inflazionato.

Ascoltando i Lightsucker si può godere della loro ricchezza stilistica, poiché possiedono un modo notevole di fare stoner e sludge, molto diretto e potente, colate laviche messe in musica, movimenti sinuosi di un serpente nel deserto. Attivi dal 2013 nella cittadina di Lahti, i Lightsucker avevano al loro attivo solo un demo , Carved In Cockstone del 2014, e poi questo disco che è un rimarchevole esordio. Ci sono elementi che li rendono diversi, quali la potenza ed il tiro, molto superiori alla media. Chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

TRACKLIST
1. 1 %
2. Solitary Confinement
3. Control Zone
4. Doomsday Artillery
5. Written While Stoned
6. All Out Reset
7. Sulfur & Jimson Weed
8. Aesthetics of Emptiness
9. Continental Landmass Dictator

LINE-UP
Tomi – Vocals.
Jussi – Bass.
Matti – Drums.
Atte – Guitar.

LIGHTSUCKER – Facebook

Maieutiste – Maïeutiste

Questo album autointitolato non è certo di fruizione immediata ma, in ossequio al proprio concept, stimola la mente dell’ascoltatore, costretto ad assecondare le curve sonore che i Maieutiste inducono a percorrere.

Questo disco fa parte di una serie di lavori, degni d’essere rivangati, pubblicati lo scorso anno dalla piccola ma qualitativa label francese Les Acteurs de l’Ombre Productions, dal roster ancora ristretto e prevalentemente autoctono ma fatto di band poco convenzionali, come da recente tradizione transalpina.

I Maieutiste sono al full length d’esordio, anche se la loro storia è quasi decennale e, come il monicker fa presagire, sono le tematiche filosofiche a trovarsi al centro delle liriche.
Con tali premesse (incluso un artwork a mio avviso magnifico) attendersi una proposta musicale ben poco schematica è più che lecito, e cosi è: infatti, la band di Saint Etienne riempie quasi per intero lo spazio disponibile in un cd con un black doom sperimentale, ricco di ottimi spunti ed altrettanti momenti di non facile decrittazione.
Questo album autointitolato non è certo di fruizione immediata ma, in ossequio al proprio concept, stimola la mente dell’ascoltatore, costretto ad assecondare le curve sonore che i Maieutiste inducono a percorrere. Ogni tanto i nostri decidono di andare diritti al punto (Reflect / Disappear), anche se la strumentale Purgatoire arriva subito dopo a ricordare che non tutto è così come sembra … e ciò non si rivela affatto un male. Non va dimenticato neppure che la genesi dei diversi brani è piuttosto variegata, essendo frutto di un lavoro che si protrae da anni e lo testimonia il fatto che, opportunamente, sono stati fatti confluire nel full-length spunti già editi nel demo Socratic Black Metal, datato 2007.
Detto, infine, che un gran brano come Death To Free Thinkers si pone a tutti gli effetti come l’emblema dell’intero album, non si può fare a meno di notare che i Maieutiste talvolta abusano delle loro capacità, grazie alle quali esaltano senza dubbio le varie sfaccettature del loro sound ma finiscono per smarrire, a tratti, l’idea della forma canzone a favore di divagazioni che rendono l’ascolto frammentario e questo, piaccia o meno, costituisce pregio e difetto di tale fattispecie di lavori.
I Maieutiste comunque, rispetto ad altre realtà dall’animo avanguardistico, danno la sensazione di tenere maggiormente sotto controllo gli impulsi sperimentali anche se la quantità di carne messa al fuoco, alla lunga, fa rischiare l’indigestione; sicuramente in futuro una maggiore sintesi non potrà che giovare alla loro causa.

Tracklist:
1. Introductions…
2. …in the Mirror…
3. Reflect / Disappear
4. Purgatoire
5. The Fall
6. Absolution
7. The Eye of Maieutic Art
8. Lifeless Visions
9. Death to Free Thinkers
10. Annonciation
11. Death to Socrates

Line-up:
JF – Drums
Keithan – Guitars
Eheuje – Vocals
Grey – Guitars
Krameunière – Bass
Жертва – Guitars, Vocals

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The Vision Bleak – The Kindred of the Sunset

Con queste premesse il prossimo full length, previsto in uscita all’inizio di giugno, dovrebbe mantenere le attese e gli standard ai quali i The Vision Bleak ci hanno abituati fin dai loro primi passi

In attesa dell’uscita del loro sesto lavoro su lunga distanza, che tiene puntualmente fede alla cadenza triennale assunta nell’ultimo decennio, i The Vision Bleak concedono un gustoso antipasto con questo Ep contenente quattro brani.

I primi due, The Kindred of the Sunset e The Whine of the Cemetery Hound, andranno a far parte del prossimo The Unknown e sono ovviamente quelli sui quali va focalizzata maggiormente l’attenzione.
La prima traccia, che dà anche il nome all’Ep, è il perfetto singolo dagli umori gotici e si palesa come una delle canzoni più catchy nonché azzeccate mai composte dalla coppia Schwadorf – Konstanz; la seconda mostra, invece, un lato più introspettivo e dalle forti venature doom, risultando meno immediato ma ugualmente convincente.
Esaurito il compito di introdurre il nuovo lavoro, il duo tedesco si diletta nel coverizzare la cult song The Sleeping Beauty dei Tiamat (tratta da Clouds), asservendola al proprio particolare stile senza però stravolgerla, mentre la breve Purification Afterglow è uno strumentale di matrice ambient atmosferica che chiude un Ep gradevolissimo.
Con queste premesse il prossimo full length, previsto in uscita all’inizio di giugno, dovrebbe mantenere le attese e gli standard ai quali i The Vision Bleak ci hanno abituati fin dai loro primi passi, senza magari dare alla luce capolavori epocali ma sciorinando una serie di album di elevato spessore medio e dal sound indubbiamente peculiare.

Tracklist:
1. The Kindred of the Sunset
2. The Whine of the Cemetery Hound
3. The Sleeping Beauty
4. Purification Afterglow

Line-up:
Konstanz – Vocals, Drums, Keyboards
Schwadorf – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

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