Odious – Mirror Of Vibrations

La riedizione di questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.

Anche se Mirror Of Vibrations è un album vecchio di dodici anni, essendo stato pubblicato per la prima volta dagli egiziani Odious nel 2007, vale davvero la pena di parlarne sfruttando l’occasione fornita dalla sua riedizione in vinile curata dall’etichetta canadese Shaytan Productions, che peraltro fa capo ad altri coraggiosi musicisti metal dell’area islamica come i sauditi Al-Namrood.

Infatti questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.
Sono innumerevoli i tentativi di far convivere sonorità che, per lo più, finiscono per entrare in collisione con il risultato di offrire in pratica momenti ben distinti, in cui prevalgono l’una o l’altra componente senza mai intrecciarsi sinuosamente come, invece, avviene magistralmente in quest’album.
L’ascolto di brani come For the Unknown Is Horrid o Smile In Vacuum Warnings fornisce più di una buona ragione per innamorarsi di questa band ed approfittare di una versione in vinile nella quale, forse, diviene un po’ meno penalizzante la produzione che è francamente l’unico aspetto rivedibile di un’opera, al contrario, inattaccabile su ogni fronte, inclusa una nuova copertina davvero dal grande fascino.
Chi ama il black sinfonico e non disdegna ascolti di matrice ethnic folk, da un album come Mirror Of Vibrations potrà trarre enormi soddisfazioni in attesa che gli Odious, oggi ridotti a duo con il solo membro fondatore Bassem Fakhri affiancato dal batterista greco George Boulos, diano seguito al secondo album Skin Age, ultima testimonianza discografica risalente al 2015.

Tracklist:
1. Poems Hidden On Black Walls
2. Deaf and Blind Witness
3. For The Unknown Is Horrid
4. Split Punishment
5. Invitation To Chaotic Revelation
6. Smile In Vacuum Warnings
7. Upon The Broken Wings

Line-up:
Rami Magdi – Drums, Percussion
Bassem Fakhri – Vocals, Keyboards, Programming
Alfi Hayati – Bass
Mohamed Hassen – Guitars (lead), Oud
Mohamed Lameen – Guitars (rhythm)

ODIOUS – Facebook

Serrabulho – Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy)

Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho

La teoria del caos, che sembra governare molte più cose di quello che crediamo, si incontra con la musica e ne viene fuori il terzo disco dei portoghesi Serrabulho, Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy), un qualcosa dalle parti del grind e portoghese fino al midollo.

I Serrabulho sono all’apparenza un gruppo grind, in realtà sono dei propugnatori del caos e dei sovvertitori dei valori della cultura portoghese, e sono ossessionati dal culo e dai suoi prodotti. La struttura del disco è un grind abbastanza classico e ben suonato in linea con la tradizione lusitana che è simile a quella italiana. Detto ciò i Serrabulho sono la cosa più lontana che possiate immaginare dal gruppo grind triste e depresso, perché hanno un’ironia ed un’autoironia immensi. Nel disco ci sono inoltre una moltitudine di elementi del loro paese, che è come fosse un membro del gruppo, nel senso letterale della parola membro. Ci sono attacchi con le cornamuse e momenti suonati con strumenti tipici lusitani, il tutto al servizio del caos e della merda che vola spinta da un ventilatore potentissimo. Il gruppo portoghese utilizza anche frammenti di registrazione dell’etnomusicologo portoghese Tiago Pereira in collaborazione con A Música Portuguesa a Gostar Dela Própria, un interessantissimo progetto di registrazione audio e video della musica popolare portoghese. Porntugal è anche un invito ad imparare la lingua portoghese in modo da capire fino in fondo cosa dicono i Serrabulho perché ne vale assolutamente la pena. Il disco è un unicum nel panorama grindcore e va oltre la musica per investire molti ambiti che sembrano separati ma non lo sono. Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho.

Tracklist
01. She Drinks Milk
02. Ela Fez-me um Grão de Bico
03. Fecal Torpedo
04. Pito Sem Penas
05. Os Tintins do Tintin
06. BBC Wild Life
07. Cagalhão Com Ovo a Cavalo
08. Gelado de Caganetas
09. Dingleberry Ice Cream
10. Tofu au Cu
11. Tomate Pelado

Line-up
Carlos Guerra – vocals, sampling
Paulo Ventura – guitar, vocals
Guilhermino Martins – bass, caixa, sampling, vocals
Ivan Saraiva – drums

SERRABULHO – Facebook

Tezcatlipoca – Tlayohualtlapelani

Se prendiamo Tlayohualtlapelani per quello che è, all’interno di un genere come il black metal, non è che resti molto per produzione ed esecuzione; se, invece, mettiamo sul piatto l’utilizzo di strumenti tradizionali in uso in epoca preispanica il tutto assume un altro aspetto, acquisendo un suo fascino ancestrale.

Il secondo full length dei messicani Tezcatlipoca è uno di quei classici lavori che vanno osservati da due punti di vista diversi sperando che prima o poi ci sia una convergenza. .

Se prendiamo Tlayohualtlapelani per quello che è, all’interno di un genere come il black metal, non è che resti molto per produzione ed esecuzione; se, invece, mettiamo sul piatto l’utilizzo di strumenti tradizionali in uso in epoca preispanica il tutto assume un altro aspetto, acquisendo quel fascino ancestrale capace di attenuare le carenze di cui sopra.
Attenuare, mettendole in secondo piano senza cancellarle del tutto, comunque, perché spogliato dei suoni elementi etnici e concettuali, del black metal dei Tezcatlipoca ne resterebbe davvero il solo scheletro, accettabile nella sua essenziale indole primitiva e poco più.
Con l’utilizzo di questi strumenti tradizionali, invece, le cose cambiano e non poco, immergendoci mani e piedi in un’atmosfera rituale che fa passare in secondo piano ogni considerazione tecnica e stilistica, e questa è in fondo la forza del black metal, genere capace di trasformarsi ogni volta nel mezzo artistico ideale per veicolare emozioni, storie e filosofie spesso contrastanti, talvolta anche discutibili, ma sempre degne di interesse nel loro sviluppo.
Tlayohualtlapelani si rivela un’opera da ascoltare in quest’ottica di arricchimento storico e culturale, volto a ricordarci quanto sia ipocritamente ridicolo l’occidente nel suo chiudersi a riccio erigendo muri (non solo in senso metaforico), quando la storia della colonizzazione del continente americana è stampata su libri dalle pagine macchiate del sangue versato nell’opera di sterminio ed annientamento di civiltà autoctone e delle sue tradizioni millenarie da parte degli europei.
Ben vengano, quindi i Tezcatlipoca nel riesumare tutto questo e pazienza se ciò avviene in una forma rivedibile, perché mai come in questo caso sono i contenuti a fare la differenza, con le dissonanze create da antichi strumenti a fiato che rendono stranianti e profondi brani altrimenti sghembi come In Tlilihtec Tzompantli o In Tzinacan Itlayohualpatlaniliz, tanto per citare i due più interessanti all’interno di un lavoro che possiede diversi aspetti interessanti.

Tracklist:
1. Notlacahcahualiz Ica Yetztli, Cipactli
2. Huey Tlatoani
3. In Tlilihtec Tzompantli
4. Macuil Xochitl Icic
5. Chichimeca, Yaotecatl Ayamictlan
6. In Tzinacan Itlayohualpatlaniliz
7. Tlacatl Tlein In Mimiqueh Icah Tlahtoa
8. Mictlan Itemouh

Line-up:
Acolmiztli – Drums
Ehecatl – Guitars
L’yaotl – Vocals, Bass
Cuauhtli – Prehispanic instruments, Vocals (additional)

TEZCATLIPOCA – Facebook

SKÁLD – Ep

Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Nuovo progetto francese di riscoperta filologica della musica degli skald, i cantastorie vichinghi che tramandavano le gesta dei figli di Odino.

Ultimamente i vichinghi sono molto di moda (anche se la cosa sta scemando), soprattutto per il telefilm Vikings che narra in maniera storicamente raccapricciante le gesta di una delle prime ondate di invasioni in Europa ed oltre. Gli Skaldscandinavi erano figure che incrociavano musica, magia e tanto altro, simili ma differenti rispetto ai bardi, e ci sono giunte a noi un pugno di testimonianze realmente chiarificatrici. Una di esse, la più conosciuta a livello mondiale, è l’Edda in prosa, raccolta dell’islandese Snorri Sturluson, e ancora meno sono le pagine sulla musica degli Skald. Non si sa molto, ma è fuori di dubbio che le loro musiche grazie a ritmi serrati e con particolari modulazioni canore gutturali e non, inducevano il pubblico alla trance, poiché la società vichinga ricercava molto l’esperienza fuori da sè stessi, anche con l’uso di funghi allucinogeni e non solo nel caso dei guerrieri berserk. In questo lavoro edito da Decca, la famosa major di musica classica, troviamo questo trio di cantori specializzato in canto Skald, accompagnati da musicisti che suonano strumenti che si rifanno a quell’epoca. La ricerca filologica è notevole, ed è la caratteristica più importante del disco, dato che tutto viene ricostruito nei minimi dettagli, e non è un’operazione fatta con approssimazione o faciloneria. In questi tre pezzi dell’ep abbiamo un assaggio del disco che uscirà il prossimo novembre, e che sarà un’opera molto coinvolgente e straniante rispetto alla musica moderna che siamo abituati ad ascoltare. La bravura dei tre cantori è pari alla loro preparazione specifica, e anche la parte musicale è notevole. I testi in islandese antico si rifanno alla Völuspá e al Gylfaginning, due parti della Edda. I tre brani sono un qualcosa di molto interessante, che fanno capire quale sarà la cifra stilistica del lavoro, la produzione è assai accurata, ed infatti su di loro puntano sia la Decca Records e la Universal, e non è un investimento da poco, visto anche i tre video che hanno tratto dall’ep. Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Tracklist
1. Gleipnir
2. Ódinn
3. Rún

Line-up
Justine Galmiche
Pierrick Valence
Mattjö Haussy

SKALD – Facebook

Soulfly – Ritual

Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto.

Ritual, il nuovo lavoro dei Soulfly, cattura il gruppo capitanato da Max Cavalera nel momento migliore degli ultimi anni.

I Soulfly sono una band che non deve innovare nulla, ma che in compenso hanno il durissimo compito di essere sempre all’altezza del loro blasone e della loro fama. Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto. L’aggressività musicale sale di livello e si torna ai Soulfly più veraci, con una produzione che riesce a valorizzare il tutto. Il suono cambia leggermente soprattutto nel maggior respiro delle canzoni, che sono più ampie e con elementi diversi al loro interno, sviluppando maggiormente la composizione rispetto agli episodi precedenti. Una delle maggiori peculiarità è Zyon Cavalera alla batteria: il figlio di Max è davvero un batterista interessante e molto intenso, forse non ancora del livello e della ricchezza musicale dello zio Igor, ma ci stiamo avvicinando.
L’ultima fatica di Max e compagnia ha un suono molto incattivito che attinge pienamente dalle radici metal del gruppo, mentre i temi trattati sono quelli di sempre, ma declinati in maniera maggiormente oscura e marcatamente horror. La scelta del titolo, Ritual, calza a pennello perché come dice lo stesso Max, il metal è un rituale che ha i suoi tempi e i suoi modi, e questo disco è un rituale della famiglia Soulfly, che include chi sta sopra e sotto il palco. Max è in forma come non lo era da tempo, ed il resto del gruppo lo segue molto bene per un risultato che rende Ritual uno degli album migliori dei Soulfly.
Intensità, velocità, cattiveria, incisività, e capacità di far divertire e pensare con il metal, questi sono i Soulfly e tutto ciò è dentro Ritual.

Tracklist
1. “Ritual”
2. “Dead Behind the Eyes” (featuring Randy Blythe)
3. “The Summoning”
4. “Evil Empowered”
5. “Under Rapture” (featuring Ross Dolan)
6. “Demonized”
7. “Blood on the Street”
8. “Bite the Bullet”
9. “Feedback!”
10. “Soulfly XI” (instrumental)

Line-up
Max Cavalera – Vocals and Rhythm Guitar
Marc Rizzo – Lead Guitar
Mike Leon – Bass Guitar
Zyon Cavalera – Drums

SOULFLY – Facebook

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Ayahuasca Dark Trip – Upaya

Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.

Upaya è un disco uscito originariamente nel 2017, per essere poi ristampato nel 2018 dall’italiana Argonauta Records.

Gli Ayahuasca Dark Trip sono una bestia che nasce e prolifera in diverse nazioni, come il Perù con Brayan Anthony, negli Usa con Indrayudh Shome dei Queen Elephantine (anche loro su Argonauta Records), Pedro Ivo Araújo dei Necro dal Brasile, la colonia olandese formata da Buddy van Nieuwenhoven dei Cosmic Nod, Floris Moerkamp e Robin van Rooij, e infine la Grecia con Sifis Karadakis. La loro proposta va ben oltre la musica, essendo un rituale vero e proprio, dove la sonorizzazione è solo uno degli aspetti coinvolti. Molti gli stili che qui trovano un rifugio sicuro, a partire da suoni provenienti da diverse zone del mondo e dei loro strumenti, dalla musica per meditazione per poi arrivare ad una psichedelia poco convenzionale, come dovrebbe essere questo genere. Decisamente difficile riuscire a descrivere questa musica usando solo le parole invece che le note: ascoltando Upaya si viaggia moltissimo, partendo dai nostri esordi primordiali, quando la musica era pienamente catartica e non mero intrattenimento, e serviva quale portale per accedere a dimensioni sconosciute e precluse a chi non voleva vedere oltre. Gli Ayahausca Dark Trip sono proprio come l’infuso da cui il gruppo prende il nome, che è un potente sostanza psicotropa e anche un purgante, perché il corpo umano fa entrare ed uscire molte cose: questo disco non può essere infatti ascoltato come si fa di solito con le musiche alle quali siamo abituati, ma deve essere potenziato usando sostanze o semplicemente mettendosi le cuffie ed estraniandosi. Il gruppo entra direttamente nel limitatissimo novero di gruppi che fa realmente musica rituale come i Nibiru (tanto per rimanere in casa Argonauta Records), pur se su piani differenti. Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.
Un rituale davvero riuscito, dedicato alla memoria di Robin Van Rooij, il 27enne batterista del gruppo, scomparso poco prima dell’uscita del disco.

Tracklist
1.Rhythm of the Caapi
2.Water from Above, Water from Below
3.The Vine
4.Eternal Return
5.Drowning in the Godhead
6.Gathering Psychotria

Line-up
Indrayudh Shome
Floris Moerkamp
Buddy Van Nieuwenhoven
Sifis Karadakis
Thijs Meindertsma
Pedro Ivo Araujo
Brayan Anthony
Robin Van Rooij

AYAHUASCA DARK TRIP – Facebook

Nekhen – Akhet

Quella offerta da Nekhen è musica che possiede tutte le caratteristiche per far breccia in chi dalle note ricerca nutrimento per la mente e l’anima.

Dopo il riuscito esordio intitolato Entering the gate of the western horizon, ritroviamo Nekhen, musicista italiano alle prese con la il proprio intrigante mix di doom, ambient e musica egizia.

La fascinazione per le sonorità tipiche del paese dei faraoni non è una novità in ambito metal, con i Nile a fare da capiscuola ed una serie di band a seguirne le tracce, sempre però all’insegna di sporadiche contaminazioni che vanno ad inserirsi all’interno di una struttura comunque estrema, death o black che sia.
In questo caso, invece, la musica tradizionale è la base sulla quale poi si diramano le varie pulsioni di Nekhen, il quale in questo caso, rispetto al lavoro precedente introduce maggiori contributi vocali, inclusi quelli femminili a cura di Eleonora B., mentre l’insieme appare ancora più vario e coinvolgente dal primo all’ultimo minuto.
Ovviamente questa mezz’ora di musica è divisa in quattro tracce che richiedono preferibilmente un ascolto continuato, in quanto i brani possiedono un forte legame tematico e musicale che porta a considerarli in maniera naturale come un corpo unico; di fatto, però, la suddivisione tra episodi consente di dire che Invocating Khentiamentiu rappresenta una sorta di lunga ed avvolgente introduzione acustica ad Invocating Bat, vero climax emotivo dell’album grazie a magnifiche intuizioni melodiche, con Invocating Kherti e la conclusiva title track che portano infine sound ad esplorare terreni più cupi, sotto forma di uno sludge doom che si fa più pesante proprio in quest’ultima traccia.
La bravura di Nekhen risiede nella capacità di mantenere stretto il legame con le sonorità etniche esibendo grande competenza e continuità, ed evitando quindi che le due componenti si presentino quasi come dei corpi separati.
Quella offerta in Akhet è musica che possiede tutte le caratteristiche per far breccia in chi dalle note ricerca nutrimento per la mente e l’anima.

Tracklist:
1.Invocating Khentiamentiu
2.Invocating Bat
3.Invocating Kherti
4.Akhet

Line-up:
Nekhen – all isntriuments

Eleonora B. – vocals

NEKHEN – Facebook