Violenta sferzata quella inferta dai francesi Volker, band che nei pochi minuti a disposizione in questo ep di debutto immette più idee di quanto facciano miriadi di gruppi in un’intera discografia.
Violenta sferzata quella inferta dai francesi Volker, band che nei pochi minuti a disposizione in questo ep di debutto immette più idee (condite da una non comune intensità ) di quanto facciano miriadi di gruppi in un’intera discografia.
Alla riuscita dell’operazione contribuisce in maniera decisiva una vocalist come Jen Nyx (ex-Noein), capace di variare nell’arco dei diversi brani più registri vocali, trasformandosi a seconda delle circostanze in puttana, acerba adolescente, feroce dominatrice o sensuale sirena: in poche parole, una prestazione a dir poco mostruosa all’insegna di una versatilità raramente riscontrabile.
Oltre all’intro 375-405, in questo breve lavoro omonimo dei Volker troviamo il furioso black/death’n’ roll di Bitch, il dark/blues dalle derive doom della stupefacente Pavor Nocturnus e, per finire, il deathcore melodico di Zombie Heart.
Detto che i degni compari della donzella (corrispondenti a ¾ degli ottimi blacksters Otargos) ci danno dentro come se non ci fosse un domani, fondendo mirabilmente tecnica ed energia, va senz’altro tenuta d’occhio questa bomba (anche sexy nella persona di Jen) pronta in futuro ad esplodere, fortunatamente senza fare vittime ma attirando semmai nuovi adepti.
Prendiamo in esame l’ultimo album dei Draconian a qualche mese dalla sua uscita, il tempo necessario per elaborare una valutazione meno istintiva e più ragionata, come va fatto per nomi di questo spessore.
La band svedese è stata, ed è ancora, la virtuale portabandiera del gothic doom, titolo conquistato grazie ad una manciata di album magnifici pubblicati nello scorso decennio.
Ma, se già Turning Season Within, ultimo di questi e risalente al 2008, mostrava i primi segni di appannamento, A Rose for the Apocalypse esibiva suoni un po’ troppo leccati ed inoffensivi per pensare di eguagliare quanto fatto in passato.
Dopo diversi anni, la band di Johan Ericson si ripresenta con questo Sovran, disco nel quale la prima cosa che salta all’occhio è l’avvicendamento alla voce femminile, affidata oggi alla sudafricana Heike Langhans in sostituzione della storica Lisa Johansson; nonostante il timbro della nuova vocalist abbia un impronta meno lirica e più ordinaria, a livello di sound i Draconian paiono aver fatto un gradito passo indietro, tornando a sciorinare un gothic doom melodico sì, ma altrettanto cupo e recuperando almeno in parte il proprio trademark romantico e malinconico.
Se non si può che salutare con soddisfazione questa sorta di retromarcia, va anche detto che il livello di intensità che caratterizzava i brani contenuti in Arcane Rain Fell e The Burning Halo non viene comunque eguagliato: i Draconian odierni sono una band che propone in maniera impeccabile il genere musicale che ha contribuito ad elevare ai massimi livelli, ma la perfezione formale finisce alla lunga per sovrastare l’impatto emotivo.
A sprazzi riaffiorano momenti dal grande potenziale evocativo (Dusk Mariner su tutte) ma, nel complesso, sembra proprio che le proprie pulsioni più oscure e drammatiche Ericson le abbia convogliate principalmente nel suo splendido progetto funeral/death doom Doom:Vs.
Intendiamoci, Sovran è un album di buonissimo livello che non potrà deludere chi ama questo tipo di sonorità, rafforzato da una tracklist che non presenta momenti deboli ma neppure picchi degni di farsi ricordare negli anni a venire e, alla fine, proprio quest’ultimo aspetto costituisce la vera pecca, tanto più quando la band che ne è protagonista si chiama Draconian.
Tracklist
1. Heavy Lies the Crown
2. The Wretched Tide
3. Pale Tortured Blue
4. Stellar Tombs
5. No Lonelier Star
6. Dusk Mariner
7. Dishearten
8. Rivers Between Us
9. The Marriage of Attaris
10. With Love and Defiance
Line-up:
Johan Ericson – Guitars
Anders Jacobsson – Vocals
Jerry Torstensson – Drums
Daniel Arvidsson – Guitars
Fredrik Johansson – Bass
Heike Langhans – Vocals
Alchemica vive di varie anime che si rivelano emblematiche degli umori, ora drammatici ed oscuri, ora più delicati e melanconici, che si rincorrono tra i vari brani.
I Rossometile sono una band di Salerno arrivata, dopo vari cambi di formazione e tre album, al nuovo lavoro intitolato Alchemica che vede l’esordio della cantante Marialisa Pergolesi ed un sound rock/metal intriso di atmosfere gothic/dark.
La band in questi anni ha variato molto la musica proposta, passando di album in album da sonorità metal prog al rock tradizionale, sound protagonista del precedente lavoro del 2012 intitolato Plusvalenze.
L’arrivo della nuova cantante è coinciso con una nuova sterzata musicale ed il quartetto campano si ritrova tra le mani un piccolo gioiello dark rock cantato in lingua madre, con testi molto maturi e, soprattutto, un lotto di buone canzoni che vanno a formare un’opera ambiziosa, relativamente lunga (sessanta minuti non sono pochi) ma dall’ascolto gradevole.
E’ bellissima la voce della cantante, protagonista dell’intero lavoro, elegante e raffinata, assolutamente non forzata in inutili passaggi operistici ma molto personale e dalle sfumature che, a tratti, si fanno pop per non far passare inosservato questo ottimo esempio di rock cantato in italiano, con tutti i crismi per piacere agli amanti del metal dalle reminiscenze gotiche.
Prodotto molto professionalmente, Alchemica vive di varie anime che all’ascolto sono emblematiche degli umori, ora drammatici ed oscuri, ora più delicati e melanconici che si rincorrono tra i vari brani, non dimenticando un volto ad illuminare il mood dark che avvolge i brani.
Ottime sono le parti di chitarra, ad oopera di Rosario Runes Reina, che richiamano il passato metal prog del gruppo con elettrizzanti assoli (Le Ali Del Falco) ed altrettanto valide risultano le parti elettroniche che danno quel tocco dark ottantiano vero punto di forza del gruppo.
Non mancano le orchestrazioni, come da copione nel gothic metal in voga in questi ultimi anni (Pandora), mentre il cuore dell’album è anche il punto più alto della musica dei Rossometile, con le due parti di Nel Solstizio D’inverno, un brano spettacolare che unisce il dark prog degli storici Goblin con i primi Nightwish della splendida Tarja.
Da segnalare ancora la title track e Tirrenica, altri ottimi esempi del sound creato dalla band campana, che guarda al passato del dark rock, senza dimenticare il sound di gruppi attuali come Lacuna Coil, Evanescence e Nightwish. Alchemica è un ottimo lavoro nel quale l’uso della lingua italiana non inficia assolutamente le atmosfere create dalla musica, perciò poche storie e fate vostro questo album, vivamente consigliato agli amanti dei suoni gotici e dark.
TRACKLIST
1.Solve
2.Amore Nero
3.La Fenice
4.Il Lato Oscuro
5.Le Ali Del Falco
6.Pandora
7.Presenze
8.Candore
9.Nel Solstizio D’inverno parte1
10.Nelo Solstizio D’inverno parte2
11.Guerriero Senza Re
12.Viaggio Astrale
13.Alchemica
14.Ripetizione
15.Terrenica
16.Coagula
LINE-UP
Maria Lisa Pergolesi: voce
Pasquale Murino: basso
Gennaro Balletta: batteria
Rosario Runes Reina: chitarra
In extremis arriva uno dei dischi migliori del 2015, consacrazione di una band che oggi ha raggiunto il punto più alto della propria evoluzione.
Uno dei rari momenti in cui viene accolto in maniera gradita qualcosa che arriva a scombinare i piani è senz’altro quando ci si ritrova alla fine dell’anno a stilare la consueta playlist, comprensiva delle migliori uscite degli ultimi 12 mesi: il fatto stesso di metterla in discussione significa che, in extremis, si è palesato un disco di livello superiore alla media e ciò, ovviamente, non può che fare piacere.
E lo è ancor più, per certi versi, quando tutto questo avviene per mano di una band che si conosce piuttosto bene ma che, nonostante una carriera costellata di buonissimi album, non era ancora riuscita a piazzare un colpo in grado di farle spiccare definitivamente il volo.
I Secrets Of The Moon sono una gruppo tedesco che da quasi un ventennio opera in un ambito stilistico che ha sempre avuto quale matrice di riferimento il black metal, al quale in maniera graduale sono stati aggiunti nel corso degli anni elementi progressivi fino al precedente Seven Bells, ottimo album che manteneva comunque le caratteristiche di album ascrivibile a quel genere, pur se edulcorate in più di un aspetto. Sungiunge a segnare un distacco deciso da questo cordone ombelicale: se tutto sommato l’opener No More Colours può richiamare in parte un’altra band decisamente anomala nel panorama come i compagni di etichetta A Forest Of Stars, già dalla successiva Dirty Black comincia a manifestarsi in maniera compiuta quell’improbabile (almeno a livello teorico) quanto impressionante mix capace di far convergere nel sound pulsioni che rimandano a nomi come Fields Of The Nephilim, Alice In Chains, David Bowie, Cure, Ihsahn e diversi altri che si manifestano in una forma folgorante e repentina tanto da non poter essere identificati con certezza.
Il tutto produce un risultato esaltante in ogni sua parte, attraverso sette brani meravigliosi, ascoltabili e pure cantabili, ma con una profondità non comune dal punto di vista lirico e compositivo, pervasi da un’ aura cupa e introspettiva, nonostante certe aperture melodiche memorabili.
sG è il cantore e l’artefice di tanta bellezza:il musicista tedesco, pur essendo ancora molto giovane, è l’unico membro della band che ne ha vissuto quasi per intero un cammino costellato di pochi album (6 con questo, a partire da Stronghold of the Inviolables del 2001), un dato sintomatico della necessità di elaborare con la dovuta calma quella progressione compositiva che ha portato i Secrets Of The Moon ad essere oggi una creatura magnificamente cangiante. Sunvive i suoi momenti topici nella parte centrale rappresentata dal trittico Man Behind The Sun, Hole e Here Lies The Sun: tre canzoni superbe e differenti tra loro, con la prima, dall’incedere drammatico, nella quale sG si rivela una sorta di “duca bianco” deviato regalando una splendida interpretazione, bissata nel capolavoro Hole, uno dei brani più belli ascoltati quest’anno, nel suo passare in un amen da pulsioni gotiche ad aperture post grunge, con un chitarrismo alla Yates a donare quel tocco di oscurità che si addice a liriche quanto mai calzanti rispetto ai tempi in cui viviamo (church and temple / synagogue / it’s time to speak the truth / there is no hope / just wait and see right through)
A seguire un’altra perla come Here Lies The Sun, brano ancor più “nefiliano” e dall’intensità spasmodica, forse più robusto nel suo incedere, ma dotato come gran parte delle altre tracce di un crescendo finale che culmina in un refrain impossibile da rimuovere dalla memoria.
Il semi grunge di I Took The Sky Away rappresenta forse il momento più ordinario prima che Mark Of Cain giunga a chiudere in maniera aspra e a tratti rabbiosa un disco meraviglioso, che in un mondo normale dovrebbe mettere d’accordo appassionati dal background più svariato.
L’evoluzione stilistica dei Secrets Of The Moon non è stata prevedibile come gran parte di quella delle band provenienti dal black metal, le quali il più delle volte cercano sbocchi diversi lasciandosi irretire da pulsioni avanguardiste che non di rado sfociano in uno sperimentalismo fine a se stesso: il combo teutonico ha convogliato invece tutte le proprie ispirazioni su una forma canzone che non tradisce affatto lo spirito che ne ha animato i primi passi, fornendogli solo una sembianza più fruibile ma non meno avvolta da un manto di oscurità.
Nell’aprile di tre anni fa chiudevo la mia recensione di Seven Bells con la frase “metal estremo senza barriere”: ecco, togliendo la parola estremo il concetto viene esaltato ancor di più da un album che porta i Secrets Of The Moon su un piano non solo differente ma definitivamente superiore, rispetto al proprio passato, certo, ma anche e soprattutto nei confronti di gran parte della concorrenza.
Tracklist:
1. No More Colours
2. Dirty Black
3. Man Behind The Sun
4. Hole
5. Here Lies The Sun
6. I Took The Sky Away
7. Mark Of Cain