Alessio Secondini Morelli’s – Hyper-Urania

Se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata decisamente a buon fine.

Nuovo progetto per il chitarrista Alessio Secondini Morelli (Anno Mundi, Freddy & The Kruegers) volto a reinterpretare a suo modo le sonorità classiche dell’heavy metal.

Hyper-Urania è un ep di sei brani dove il chitarrista nostrano, aiutato da numerosi ospiti tra cui Francesco Lattes (New Disorder), Freddy Rising (Acting Out, Martiria, Bible Black) e Federica Garenna (Sailing To Nowhere, She Devil) alla voce, Daniele Zangara alla batteria, Emiliano Laglia (Aibhill Striga, Invaders, Blackened, Youthanasia) al basso, rivisita il metal classico e lo consegna ai giovani ascoltatori del nuovo millennio.
Sonorità ottantiane dunque, prendendo ispirazione sia dalla corrente britannica dei primissimi anni del decennio d’oro per la musica hard & heavy, sia da quella statunitense, con i primi Savatage, ad irrobustire un sound che pesca tanto dai Saxon quanto dai Judas Priest, lasciando in disparte, almeno per una volta, gli Iron Maiden.
Ottima prova dei cantanti, a loro agio anche con brani sicuramente più classici di quelli proposti con le loro band, e grande apertura con il riff di Arkam, notevole brano dove, oltre ad un’ottima performance di Federica Garenna al microfono, si evince la bravura tecnica di Alessio Secondini Morelli e la sanguigna passione che trabocca dall’assolo graffiante a metà brano.
Da segnalare anche la bellissima cover dal taglio progressivo di Veteran Of The Psychic Wars dei Blue Blue Öyster Cult; se con questo lavoro il chitarrista voleva ribadire l’immortalità della musica heavy metal e la sua ottima salute anche nel nuovo millennio, direi che la missione è andata a buon fine.

TRACKLIST
1.Arkam
2.Lord Of The Flies
3.Fuga In Mi Minore “Del Canto Delle Valchirie”
4.Scarlet Queen
5.Veteran Of The Psychic Wars
6.Steven Shark

LINE-UP
Alessio Secondini Morelli – Guitars
Daniele Zangara – Drums
Emiliano Laglia – Bass
Freddy Rising – Vocals
Federica Garenna – Vocals
Francesco Lattes – Vocals

ALESSIO SECONDINI MORELLI – Facebook

Cloven Hoof – Who Mourns For The Morning Star?

Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità.

Gruppo di culto della New Wave Of British Heavy Metal, i Cloven Hoof sono tornati a nuova vita all’inizio del nuovo millennio, dopo un lungo silenzio che li aveva tenuti lontani dalla scena per ben quindici anni.

Il gruppo di Wolverhampton, tra 1982 e il 1989, regalò ai fans dell’epoca un terzetto di full length che divennero  oggetto di culto, più un live (all’epoca obbligatorio nella discografia di una band) ed un paio di demo che conquistarono le preferenze degli appassionati e degli addetti ai lavori.
Lo stop subìto prima dell’esilio dell’heavy metal negli anni novanta, ed il ritorno nel nuovo millennio con un’altra serie di album di cui questo ultimo Who Mourns For The Morning Star?  è il quarto: questa ultima uscita non tradisce, con i Cloven Hoof a regalare ancora una volta grande musica heavy, esaltante, spettacolare e nobile, metallo che lascia senza fiato per intensità e freschezza.
Il lavoro si giova peraltro della prestazione eccellente George Call, arrivato alla corte di Lee Payne dopo il precedente Resist Or Serve ed ex Omen (tra gli altri), e di un songwriting incisivo che permette al gruppo di lasciare ai posteri altre nove perle metalliche contraddistinte da una sagacia tecnica non comune, con la chitarra di Luke Hatton che urla la sua nobile appartenenza alla leggenda dell’heavy metal con solos dalle fiammeggianti melodie, mentre Chriss Coss sfodera ritmiche una più esaltante dell’altra e Lee Payne e Danny White fanno male con le loro micidiali armi (basso e batteria).
Who Mourns For The Morning Star? è un album straripante, dall’impatto di un asteroide in picchiata sulla Terra, una raccolta di canzoni che non dà tregua, piena di melodie vincenti, aggressività ed epicità: la qualità è massimale in tutti i brani, ma dovendo scegliere menziono Star Rider, Song Of Orpheus e I Talk To The Dead, la semiballad Morning Star e i due epici crescendo conclusivi, Go Tell The Spartans e Bannockburn, brano dall’inizio folk medievaleggiante che si trasforma in un crescendo maideniano, con Call a toccare vette altissime, impresa degna appunto del miglior Dickinson.
Un album bellissimo, nel genere uno dei più trascinanti degli ultimi anni. La leggenda continua.

TRACKLIST
1. Star Rider
2. Song Of Orpheus
3. I Talk To The Dead
4. Neon Angels
5. Morning Star
6. Time To Burn
7. Mindmaster
8. Go Tell The Spartans
9. Bannockburn

LINE-UP
George Call – Lead Vocals
Lee Payne – Bass Guitar and Backing Vocals
Luke Hatton – Lead Guitar
Chris Coss – Rhythm Guitar
Danny White – Drums And Percussion

CLOVEN HOOF – Facebook

Axel Rudi Pell – The Ballads V

Si può discutere all’infinito sull’utilità di opere del genere, ma è indubbio che la qualità altissima della musica prodotta mette in secondo piano le critiche di chi pretende l’originalità a tutti i costi.

Per molti sono sempre state un riempitivo, per altri uno scotto da pagare in album dove smorzavano la tensione metallica, ma in tanti continuano ad amarle perché, in fondo, anche i metallari hanno un cuore e lacrime da spendere.

Stiamo parlando delle ballads, croce e delizia dei gruppi metal, da sempre suonate nei generi classici, dall’heavy, al power, fino al thrash.
Le luci si accendono ancora una volta per la band di Axel Rudi Pell, uno dei massimi esponenti delle super ballatone, arrivato con The Ballads V alla quinta raccolta di lenti dalle epiche o drammatiche atmosfere, pregne di quell’orgoglio metallico su cui si sono costruiti successi, ma anche rovinose cadute.
A prescindere da quanto possa piacere un’opera di questo tipo, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, ed allora è innegabile come anche questa ennesima collezione si avvalga di di brani bellissimi, dalle melodie che conquistano anime e spaccano cuori, suonate da un gruppo di musicisti che, nel genere, non sono certo secondi a nessuno.
Come d’abitudine Pell ci regala due inediti, la prima una perla di canzone (l’opener Love’s Holding On) con Bonnie Tayler splendida ospite a duettare con un Gioeli stratosferico e, ad anticipare la magnifica cover di Hey Hey My My di Neil Young, On The Edge Of Our Time vede la chitarra duettare con un Gioeli che sprizza epicità da tutti i pori, mentre il resto del gruppo asseconda la vena dei due protagonisti.
Circle Of The Oath, full length uscito nel 2012, è ottimamente rappresentato dalla superba Lived Our Lives Before, mentre When Truth Hurts, dal buon Into The Storm licenziato dal gruppo un paio di anni dopo, continua a dispensare emozionanti armonie chitarristiche su un tappeto di eroico ed elegante metal.
Certo, il trend di un lavoro come questo non cambia per tutta la sua durata, e le due tracce live lasciate a conclusione di un’opera mastodontica (si va oltre i settanta minuti) sono da considerare altre due chicche.
Si parla infatti di The Line, dal capolavoro The Masquerade Ball, e la sempre spettacolare Mistreated, enorme brano di casa Deep Purple era Coverdale con al microfono Doogie White, tratto dal concerto per il 25° anniversario della band in quel di Balingen nel 2014.
Si può discutere all’infinito sull’utilità di opere del genere, ma è indubbio che la qualità altissima della musica prodotta mette in secondo piano le critiche di chi pretende l’originalità a tutti i costi.

TRACKLIST
01. Love’s Holding On (new song feat. Bonnie Tyler)
02. I See Fire (new cover version, Ed Sheeran song)
03. On The Edge Of Our Time (new song)
04. Hey Hey My My
05. Lived Our Lives Before
06. When Truth Hurts
07. Forever Free
08. Lost In Love
09. The Line (live)
10. Mistreated (live)

LINE-UP
Johnny Gioeli – Lead and Backing Vocals
Axel Rudi Pell – Lead, Rhythm and Acoustic Guitars
Ferdy Doernberg – Keyboards
Volker Krawczak – Bass
Bobby Rondinelli – Drums

AXEL RUDI PELL – Facebook

Skeletoon – Ticking Clock

Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

Che lo vogliate chiamare happy metal o nerd metal (termine forgiato dalla band) il sound dei nostrani Skeletoon è un notevole esempio di power metal teutonico, tra Helloween, Freedom Call ed Edguy, niente di più e niente di meno.

Il bello è che la band il suo mestiere lo sa fare alla grande ed anche questo Ticking Clock, secondo lavoro dopo il pur ottimo The Curse Of The Avenger, risulta un piacevole tuffo nelle melodie metalliche di estrazione power e dallo straordinario appeal.
Il gruppo del bravissimo singer Tomi Fooler (talento della scuola Sammet) continua per la sua strada e se il primo lavoro era una raccolta di brani power solari e divertenti, in Ticking Clock il tiro viene leggermente ritoccato per spostarsi verso un sound che, pur mantenendo le caratteristiche dell’album precedente, sprizza maturità e consapevolezza.
Tradotto, si scherza ma fino ad un certo punto, gli Skeletoon hanno indurito i suoni, fanno sempre divertire, ma sanno regalare sprazzi di musica più ragionata ed a tratti epica, proprio come il gruppo di Chris Bay (Chasing Time da questo lato è una bomba power devastante).
Curato nei minimi dettagli, l’album è molto vario nelle atmosfere che attraversano le diverse tracce, come se la solarità del power metal melodico fosse attraversata da nuvole oscure ed in alcuni casi, come nella splendida The Awakening, da venti progressivi.
Ottime le performance dei musicisti della band, con un accento sulle prove soliste dei due chitarristi (Andy “K” Cappellari e Davide Piletto) e di una coppia ritmica che non dà tregua quando la musica del gruppo parte come una formula allo spegnimento del semaforo rosso (Charlie Dho al basso ed Henry Sidoti alle pelli), tanto per ribadire che per suonare il genere è indispensabile il talento anche sotto l’aspetto tecnico.
Non mancano, come nel primo lavoro, ospiti che nobilitano e valorizzano alcuni dei brani presenti come Jonne Jarvela (Korpiklaani), Piet Sielck (Iron Savior) e Jens Ludwig (Edguy), mentre Guido Benedetti dei Trick Or Treat, oltre a suonare la sei corde, ha aiutato il gruppo nella fase compositiva.
Siamo arrivati in fondo in un battito di ciglia e resta un piacevole senso di soddisfazione nell’ascoltare un album del genere firmato da una band italiana.

TRACKLIST
1.Dreamland
2.Drowning Sleep
3.Night Ain’t Over
4.Watch over Me
5.Chasing Time
6.Ticking Clock
7.Mooncry
8.Falling into Darkness
9.Awakening

LINE-UP
Tomi Fooler – Vocals
Andy “K” Cappellari – Rhytm/Lead Guitar
Davide Piletto – Rhytm/Lead Guitar
Charlie Dho – Bass Guitar
Henry Sidoti – Drums

Featuring: GUIDO BENEDETTI from TRICK OR TREAT: Composer and guitars
JONNE JÄRVELÄ from KORPIKLAANI as “The Nightmare”
PIET SIELCK from IRON SAVIOR as “THE FATHER”
JENS LUDWIG from EDGUY as “THE TIME” T
OMIKA FULIDA from LUNAMANTIS as “THE LAST STAR SHINING”

SKELETOON – Facebook

Thunder and Lightning – The Ages Will Turn

The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

Superata la decina d’anni di attività, tornano sul mercato i berlinesi Thunder And Lightning con il quarto full length della loro carriera, iniziata nel 2004 e che vede, oltre ai primi due demo ed un ep, tre album usciti tra il 2008 e il 2013 (Purity, Dimension e In Charge of the Scythe).

Il genere proposto è un power metal melodico con qualche ottimo spunto heavy, oscuro e drammatico e pregno di mid tempo e cavalcate che nel loro già sentito rivelano una buona attitudine da parte di un gruppo che, pur se nato nel cuore dell’Europa, non mancano di inserire nel sound atmosfere metalliche statunitensi.
Prodotto dal chitarrista Marc Wüstenhagen, The Ages Will Turn vive di questo connubio tra le due scuole classiche e ne esce un buon lavoro che unisce l’aggressività tutta europea con le atmosfere e le sfumature del classico metal americano.
Così, dopo l’intro The Ravaging Overture, l’album entra subito nel vivo con Welcome To The Darkside, ottimo inizio e classica power metal song, anche se l’impronta melanconica e tragica si sente già dalle prime note.
Silent Watcher e Black Eyed Child continuano a dispensare power metal di ottima fattura e si comincia a sentire la forte ispirazione Iced Earth che il gruppo si porta dietro, sia nelle soluzioni melodiche che nei chorus.
E Columbia conferma le influenze della band berlinese, con un brano perfettamente in bilico tra la band di Jon Schaffer ed i Blind Guardian, mentre nella più potente One Blood compare come ospite alla sei corde Máté Bodor (Alestorm, Wisdom).
La title track continua a dispensare metallo oscuro e si arriva alla conclusiva Mary Celeste, brano dove troviamo il secondo ospite, Der Schulz degli Unzucht, ad accompagnare l’ottimo singer Norman Dittmar, per il brano top dell’album, splendidamente teatrale, sorretto da un chorus oscuro ed epico ed attraversato da una vena statunitense tra Iced Earth, Savatage e Metal Church.
The Ages Will Turn è un ottimo lavoro, assolutamente consigliato in particolare ai fans di Iced Earth e Blind Guardian, da parte di una band da rivalutare e conoscere più a fondo.

TRACKLIST

1.The Ravaging Overture
2.Welcome to the Darkside
3.Silent Watcher
4.Black Eyed Child
5.Eternally Awake
6.Columbia
7.One Blood
8.The Ages Will Turn
9.Hysteria
10.Mary Celeste

LINE-UP

Robert Rath – Bass
Steve Mittag – Drums
Benjamin Dämmrich – Guitars
Marc Wüstenhagen – Guitars, Vocals
Norman Dittmar – Vocals

THUNDER AND LIGHTNING – Facebook

Full Leather Jackets – Forgiveness Sould Out

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.

Una bomba questo Forgiveness Sold Out, debutto dei veneti Full Leather Jackets, che colpiscono il bersaglio con un concentrato di hard & heavy tripallico irrobustito da veloci ripartenze thrash metal, il tutto eseguito con ottima perizia tecnica e un impatto roccioso venato da atmosfere che a tratti si fanno gloriosamente epiche.

Si respira aria old school nell’album o, quanto meno, la tradizione ha la sua importanza così come la voglia rabbiosa di suonare metal, fatto bene ma con pochi fronzoli e tanta sostanza.
Ed in effetti Forgiveness Sold Out è composto da nove schiaffi metallici, tra mid tempo potentissimi come la spettacolare Steel Pirates, brani che bombardano con una serie infinita di riff scolpiti nelle tavole della legge del metal e valorizzate da un cantante, Giovanni Svaluto, con la personalità di un veterano, potente, teatrale ed epico, in poche parole un guerriero metallico.
Lo accompagnano in questa avventura targata Full Leather Jackets, Ivan Tabacchi (chitarra), Giovanni Stefani (basso) e Matteo Panciera (batteria), formando un quartetto di devastatori di padiglioni auricolari a colpi di hard rock, heavy metal e thrash.
Il bello del sound forgiato dal quartetto sta nel mantenere i piedi ben saldi nel metal classico con i riferimenti che vanno dai Judas Priest agli Iron Maiden, dai Metallica (specialmente nella ballad No Way Out), senza rinunciare ad un tocco moderno, tradotto in groove da parte di una sezione ritmica solida come l’acciaio, che dà all’album quel pizzico di originalità che ne fa un gioiellino.
Russian Roulette, Murder In The First e White Robes concludono l’album con una ventina di minuti esaltanti che hanno nel thrash alla Testament della seconda l’apice distruttivo di Forgiveness Sould Out.
Se volete della musica che vi carichi prima di andare a procurar battaglia, quest’album dei Full Leather Jackets è sicuramente una potentissima botta d’adrenalina, provare per credere.

TRACKLIST
1.Purple Mud
2.Son of Morning Star
3.The Outcast
4.Steel Pirates
5.Mr Revenge
6.No Way Out
7.Russian Roulette
8.Murder in the First
9.White Robes

LINE-UP
Giovanni Svaluto – Guitar, Vocal
Ivan Tabacchi – Guitars
Giovanni Stefani – Bass
Matteo Panciera – Drums

FULL LEATHER JACKETS – Facebook

Blood Region – For All the Fallen Heroes

Metal, atmosfere dark e tanta melodia, un’alleanza vincente che continua a mietere vittime.

Terzo ep in un anno per la metal band finlandese Blood Region, attiva addirittura da una quindicina d’anni ma arrivata solo di questi tempi all’uscita discografica tramite Inverse Records.

Un tris di e, si diceva, in un anno di grande produttività per il gruppo scandinavo che propone un heavy metal dai toni leggermente più aggressivi rispetto ai canoni, senza andare troppo verso lidi estremi, ma senza dubbio vicino al death metal melodico suonato da quelle parti tra gli anni novanta e l’inizio del nuovo millennio.
Con una cura per le melodie accentuata, i Blood Region ricordano i Sentenced prima della svolta gotica (era Down), ma con un tocco epico e più orientati verso l’heavy metal vero e proprio.
For All the Fallen Heroes risulta un bel dischetto, i brani che formano questi ventitré minuti abbondanti portano con loro un appeal che, con una cura maggiore nella produzione e qualche brano in più, potevano conquistarsi la palma di sorpresa metallica di questi ultimi mesi.
Tra le cinque tracce, la conclusiva ed oscura Across The Dark River è quella che maggiormente colpisce per una accentuata vena dark e per l’ottimo lavoro chitarristico a conferma della vena dei musicisti finlandesi.
Metal, atmosfere dark e tanta melodia, un’alleanza vincente che continua a mietere vittime.

TRACKLIST
1.Awaiting the Storm
2.Heroes
3.New Rising
4.In My Father’s Room
5.Across the Dark River

LINE-UP
Riku Paananen – Bass
Sami Vertanen – Drums
Aleksi Möksy – Guitars
Mika Minkkinen – Vocals, Guitars

BLOOD REGION – Facebook

Bellathrix – Orion

Orion farà battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data e sorprenderà i giovani più legati al power e poco avvezzi alle cavalcate heavy metal, tipiche degli anni d’oro del genere.

Con ancora nelle orecchie le splendide note dell’ultimo album degli Athlantis, mi ritrovo con in mano un’altra opera che coinvolge un gruppo di talenti musicali proveniente dalla provincia di Genova.

Pier Gonella e Steve Vawamas, chitarra e basso di Mastercastle e Athlantis, e poi separatamente in altre importanti realtà metalliche quali i Necrodeath per il primo e i Ruxt per il secondo, si ritrovano ancora una volta insieme in un ennesimo progetto, questa volta più orientato all’heavy metal tradizionale, ma non per questo meno riuscito.
I due, non contenti degli applausi a scena aperta conquistati nell’ultimo periodo, tornano con i Bellathrix, gruppo formato appena due anni fa e dal nucleo portante a trazione femminile (Lally Cretella alla chitarra, Stefy Prian alla voce ed Elisa Pilotti alla batteria), al primo passo discografico con questo ottimo esempio di heavy metal, al giorno d’oggi definito old school, ma che poi altro non è che hard & heavy di stampo classico e dai buoni spunti progressivi e folk.
Licenziato dalla storica label genovese Black Widow, Orion non mancherà di far battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data, o di sorprendere giovani metallari legati al power e poco avvezzi alle cavalcate caratteristiche degli anni ruggenti.
Ogni volta che ho a che fare con Pier Gonella, mi ritrovo a lodare le gesta di questo numero uno della sei corde, sempre perfettamente a suo agio in ogni contesto: nei Bellathrix, assieme all’ottima Lally Cretella, va a costituire il fulcro del sound di Orion, con il sostegno della potente e precisa sezione ritmica e della voce assolutamente perfetta per il genere di Stefy Prian (dimenticatevi gorgheggi di stampo operistico, qui si fa heavy metal), personale e convincente.
Non poteva certo mancare una manciata di graditi ospiti e allora i Bellathrix lasciano a Tommy Massara il solo su The Ritual, cover della Strana Officina, e si avvalgono delle tastiere di Dave Garbarino, del violino di Federica Pelizzetti e del flauto del sempreverde Martin Grice, storico componente dei Delirium.
E come ormai ci hanno abituato questi bravissimi stakanovisti del metal nostrano, l’album convince a più riprese, risultando perfetto nel dosaggio tra l’irruenza tipica dell’heavy metal, le melodie di un hard rock evocato spesso dalle linee vocali della Prian (Fly In The Sky e le ritmiche funkizzate di My Revenge) e con l’asso calato a pulire il tavolo rappresentato dalle parti progressive e folk nella semiballad I Don’t Believe A Word; le reminiscenze space rock della pur grintosa title track ed il tuffo nel rock progressivo della bellissima King Of Camelot chiudono come meglio non si potrebbe questa prima uscita targata Bellathrix.
In attesa che (sicuramente tra non molto) si ripresenti l’opportunità di ascoltare altra musica prodotta o suonata da questi inesauribili musicisti, non rimane che consigliare caldamente di fare proprio quest’album.

TRACKLIST
1. The Road in the Night
2. Before the Storm
3. Fly in the Sky
4. My Revenge
5. I Don’t Believe a Word
6. The Ritual (Strana Officina cover)
7. Orion
8. King of Camelot

LINE-UP
Stefy Prian – Vocals
Elisa Pilotti – Drums
Steve Vawamas – Bass Guitar
Lally Cretella – Guitar
Pier Gonella – Guitar

BELLATHRIX – Facebook

Crawler – Hell Sweet Hell

Hell Sweet Hell è un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.

Quindici anni di storia, un passato da cover band dei gruppi storici dell’heavy metal mondiale ed un secondo album di inediti pronto per conquistare i cuori del metallari duri e puri.

Tornano i Crawler, band di Cremona, a distanza di sei anni dal debutto sulla lunga distanza, quel Knight Of The Word che ha ottenuto ottimi riscontri.
Per Valery Records esce questo nuovo lavoro intitolato Hell Sweet Hell, un’ora abbondante su e giù per il metal classico degli ultimi venticinque anni, tra spunti progressivi, piglio epico orchestrale e più di uno sguardo sulla musica scritta da Tobias Sammet (Claudio Cesari, vocalist del gruppo lo si può senz’altro considerare il Sammet nostrano) sia con gli Avantasia che con gli Edguy, oltre ad un cordone ombelicale difficile da tagliare con Iron Maiden e Judas Priest.
Hell Sweet Hell è un album curato, prodotto molto bene con un lotto di brani trascinanti e dal taglio internazionale, assolutamente in grado di tenere botta con le opere provenienti da fuori confine grazie ad un songwriting sopra la media, un cantante davvero bravo e una varietà di atmosfere che offre ad ogni brano una sua identità.
Si passa così dal power metal melodico all’heavy metal tradizionale, dal symphonic power a canzoni dagli ottimi spunti progressivi, con un’altro richiamo importante come quello dei Symphony X.
Ricco di cambi di tempo ed atmosfere, Hell Sweet Hell si fa apprezzare nella sua interezza, non scendendo mai da un elevato ottimo e facendo focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla bontà della musica più ancora che sull’ottima tecnica strumentale dei bravissimi musicisti che formano il gruppo.
L’aggressiva e tagliente Dhampyre, la progressiva ed orchestrale The Power Of Magic, il power metal di Neverland e le chitarre hard rock di No Pain, che ricorda i brani più divertenti e pazzi degli Edguy, fanno risplendere la prima parte dell’album, mentre si torna alle atmosfere epiche con The Lair of the Smoking Dragon che precede l’heavy metal classico ed aggressivo della title track.
Drammatica, oscura e progressiva si rivela Akhenaton, degna conclusione dell’album, una traccia metallica e magniloquente che mette la parola fine si di un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.
Niente di nuovo? Vero, ma che musica ragazzi!

TRACKLIST
1.Dracarys! (intro)
2.Winter is Coming
3.Dhampyre
4.The Power of Magic
5.Neverland
6.I wait for my Siren
7.No Pain
8.The Eyes and the Dark
9.The Lair of the Smoking Dragon
10.Hell sweet Hell
11.7 Days
12.Akhenaton

LINE-UP
Claudio Cesari – Vocals
Matteo Cattaneo – Guitars
Filippo Severgnini – Guitars
Daniele Mulatieri – Bass
Nicola Martiniello – Drums

CRAWLER – Facebook

Ben Blutzukker – Analogic Blood

Quattro tracce tra heavy metal e thrash/black per questa one man band del tedesco Ben Blutzukker.

Ben Blutzukker è un polistrumentista tedesco e questo ep di quattro brani è il suo primo lavoro a suo nome.

Analog Blood prende il titolo da un progetto elettronico del 2007 a cui Ben ha partecipato (Digital Blood) e da cui sono stati tratti e rivisitati in versione metallica quattro brani.
Non è la prima volta che il musicista si avventura nel mondo del metal, visto la sua militanza nei thrash metallers Jormundgard, con cui ha collaborato dal 2000 al 2004.
Un ritorno metallico, dunque, con questo ep dove Blutzukker reinterpreta questi brani conferendogli una veste heavy metal, tra le sue ispirazioni ed influenze che vanno dal thrash metal a mid tempo dal flavour oscuro e gotico:
Analog Blood vede una voce aggressiva sporcata da uno scream black che ricorda quello di Abbath, e l’alternanza di ritmiche tra veloci cavalcate thrash metal e potenti mid tempo, dove la sei corde traccia linee di sangue con il black, altro genere nelle corde del musicista di Aschaffenburg.
Tra le quattro tracce si distinguono Digital Blood, title track dell’album targato 2007 e reinterpretata in versione black metal, per poi trasformarsi in un brano di heavy classico attraversato da oscure atmosfere dark/gothic, e la conclusiva Red, anch’ essa concettualmente un brano black vicino al sound solista del leader dei norvegesi Immortal.
Un ascolto che può diventare interessante se siete amanti tanto del metal estremo che di quello classico.

TRACKLIST
1. Walpurgisnacht
2. From Hell
3. Digital Blood
4. Red

LINE-UP
Ben Blutzukker – All Instruments

BEN BLUTZUKKER – Facebook

Hell’s Crows – Hell’s Crows

Un album spettacolare di power heavy prog metal perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana.

Nel nostro paese si continua a fare grande musica metal, molte volte purtroppo poco considerata da fans e addetti ai lavori ma supportata dalle webzine di riferimento che, con volontà e passione, provano ogni giorno a cambiare questo trend tutto italiano.

Si perché una band come gli oscuri, potenti e melodici Hell’s Crows, in Germania (tanto per fare un esempio di terre metalliche) sarebbero sicuramente sulla bocca e nelle orecchie degli amanti dei suoni heavy power, di quelli ricamati come negli ultimi anni di parti progressive che non solo sottolineano la bravura dei musicisti ma donano un tocco nobile al sound dei gruppi.
Niente di nuovo, per carità, ma entusiasmante sì, specialmente quando si parla di schiacciare il pedale a tavoletta, partire sgommando con cavalcate heavy, colme di drammatica oscurità, mentre i corvi pasteggiano sui cadaveri dei più deboli di cuore.
Gli Hell’s Crows avevano già dato prova delle loro capacità nei primi due lavori , il demo licenziato nel 2008 e l’ep Screaming Death uscito due anni dopo, dunque sette anni sono passati prima che gli uccelli infernali tornassero a banchettare sulla terra, questa volta aiutati dalla Valery Records e da un album spettacolare: power heavy prog metal, perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana, un passato da band hard rock ed un futuro tra Symphony X, Iron Maiden e Judas Priest, mentre Back To The Future continua a girarmi nella testa, le atmosfere di drammatico metallo americano si alternano alle cavalcate maideniane e alle taglienti chitarre priestiane che animano brani come Fall Of The Divine e Nightmares.
Hanno vita facile gli Hell’s Crows, vista la qualità del songwriting, le intuitive parti progressive che tanto sanno di Symphony X, obbligata parentesi per entrare nei cuori dei defenders del nuovo millennio, ed un vocalist dal talento melodico sopra la media, senza perdere un grammo di quell’attitudine old school che mette d’accordo pure gli ascoltatori più avanti con gli anni (Across The Sea).
All’inno Hell’s Crows è lasciato il compito di concludere l’album e darci l’arrivederci sui palchi di un’estate calda, troppo calda, specialmente se gli uccelli di nero piumato si poseranno sul davanzale della vostra casa.

TRACKLIST
1.Prelude To Decadence
2.Fall Of The Divine
3.Back To The Future
4.Mechanical Quantum
5.Fist Of Steel
6.Sons Of The Wind
7.Nightmares
8.Executioner
9.Across The Sea
10.In The Eyes Of Raider
11.Hell’s Crows

LINE-UP
Randy Rush – Vocal, Guitar
Yuri Fetisov – Lead Guitar
Alan Johns – Bass
Johnny Pezzola – Drums

HELL’S CROWS – Facebook

Don’t Try This – Wireless Slaves

Un esordio che non passerà inosservato quello dei Don’t Try this: un perfetto connubio tra rabbia, potenza e melodia sorprenderà anche l’ascoltatore più esigente.

I Don’t Try This ci provano eccome, con questo disco d’esordio ricco di musica, pensieri ed energia.

Nonostante la band tedesca definisca la propria musica come “Modern-Metal”, devo dire che risulta davvero difficile inquadrarli in un qualche genere di sorta.
Proprio per questa ragione, ho pensato che potrebbe essere un po’ più utile fare una breve analisi delle songs che compongono questo intenso Wireless Slaves.
Il disco si apre con due pezzi molto potenti e diretti, nei quali screaming e growling si alternano a momenti di pura energia, ma anche di una strana quiete apparente (Suffocation e When They Rise); successivamente, i Don’t Try This ci fanno ascoltare qualcosa di più melodico, meno aggressivo grazie a Nothing Is Like Before e My Burden; il colpo di scena lo incontriamo con la piacevole e acustica Falling Deeper, di cui è presente anche la demo registrata nel 2013.
I momenti di melodia continuano attraverso The End of Everything, una delle tracce che ho apprezzato maggiormente per il suo ritornello e il cantato pulito; la potenza della band riprende con la collaborazione di Rudi Schwarzer in I Will Never Forget, di cui troveremo la Piano Version alla fine dell’album; Living A Lie mostra un lato più malinconico e introspettivo del gruppo, un pezzo che permette di tirare un pò il fiato, mentre I.W.N.E. vs. Polytox è un qualcosa di inspiegabile, sembra provenire dai Depeche Mode, molto intensa la presenza di componenti elettronici ad arricchire e “stranire” il sound, non so davvero se fosse necessaria questa canzone.
Wireless Slaves arriva alla fine con due brani (Falling Deeper e The Requiem) tratti dal demo del neanche troppo lontano 2013, utili per dimostrare il progresso generale di questi ragazzi, e I Will Never Forget eseguita magnificamente con il piano.
Ascoltando questo primo lavoro dei Don’t Try This , si nota molto chiaramente quanto la voglia di distinguersi sia tanta, ma anche quanto impegno e studio ci sia dietro tutto questo.
Non si tratta quindi di una decina di canzonette buttate lì solo per dire di aver “scritto un cd”, bensì di un qualcosa di ben strutturato e pensato razionalmente.
Considerando anche la giovane formazione, ritengo che Wireless Slaves si dimostri come una piacevole rivelazione e non posso che incoraggiare il talento dimostrato.
Dovrebbe partire a breve il loro tour, io non me li farei sfuggire se fossi amante del metal più forte, ma comunque ricercato e non solo urlato.

TRACKLIST
01 – Suffocation
02 – When They Rise
03 – Nothing Is Like Before
04 – My Burden
05 – Falling Deeper
06 – The End Of Everything
07 – I Will Never Forget (feat. Rudi Schwarzer)
08 – Living A Lie
09 – I.W.N.F. Vs. Polytox
10 – Falling Deeper (Demo 2013)
11 – The Requiem (Demo 2013) [feat. David Baßin]
12 – I Will Never Forget (Piano Version)

LINE-UP
Carlo Kasanya – voce
Markus Kopitzki – basso
Stephan Renner – chitarra
Philipp Müller – chitarra
René Wähler – batteria

DON’T TRY THIS – Facebook

True Strenght – Steel Evangelist

L’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.

Alziamo le mani al cielo e diamo il benvenuto sulle pagine di MetalEyes ai True Strenght, band statunitense di heavy power metal dalle tematiche cristiane.

Il christian metal torna a risplendere della luce divina con Steel Evangelist, secondo album del gruppo americano e successore del primo The Cross Will Always Prevail, licenziato nel 2014.
I True Strenght suonano heavy power metal dai natali statunitensi, dunque anche se il sound è meno oscuro si può senz’altro parlare di U.S. metal di qualità, a prescindere dal credo dei musicisti
Steel Evangelist è composto da dieci brani per settanta minuti di metal devoto a Gesù Cristo, e il trio capitanato da Ryan “The Archangel” Darnell (basso, voce e chitarra) mette sul piatto un album di metal epico, ricco di cavalcate dai crescendo maideniani e da un approccio old school.
Leggermente prolisso, l’album non mancherà di soddisfare gli amanti del metal classico, tra power, heavy ed epic metal, mentre la battaglia tra gli angeli guerrieri e le forze del male si intensifica ad ogni passaggio.
Josh Cirbo alla sei corde e Ryan Mey alle pelli aiutano il leader nella sua missione, mentre una alla volta Cilician Gates, l’inno maideniano Gabriel The Archangel e la lunga Blood Waters The Cedars Of schiudono all’ascolto il pensiero musicale del gruppo americano.
Licenziato dalla Roxx Records , l’album contiene buona musica metallica dai richiami classici e, quindi, per i fans dell’heavy metal americano un ascolto è senz’altro consigliato.

TRACKLIST
1.No Cheek Left to Turn
2.Steel Evangelist
3.Cilician Gates
4.Don’t Take the Mark of the Beast
5.The Fall of the Ripest Apple
6.Gabriel the Archangel
7.Woe to the Sons of Ishmael
8.Blood Waters the Cedars of Lebanon
9.Twenty-One Martyrs Clothed in Orange
10.The War We Fight

LINE-UP
Ryan “The Archangel” Darnell – Bass, Guitars (rhythm), Vocals (lead)
Ryan Mey – Drums
Josh Cirbo – Guitars (lead)

TRUE STRENGTH – Facebook

Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

Ironbite – Blood & Thunder

Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

Un’altra proposta interessante da parte della label tedesca STF, con il terzo album degli Ironbite, metal band attiva da quasi dieci anni e con due lavori autoprodotti alle spalle, No Fate (2009) e Rise And Fall” (2012).

Blood & Thunder segue l’ormai consolidato sound del gruppo, un hard & heavy classico, irrobustito da potenza power, old school nell’approccio e senza compromessi per piacere ai metallers duri e puri, sopravvissuti agli ultimi tre decenni di musica metal, con i piedi ben saldi negli anni ottanta.
Musica da motociclisti, metal on the road ed inni da raduni, Blood & Thunder è ricco di atmosfere che riconducono a questo stile di vita, ed il sound ripercorre le strade mangiate a ritmo di Accept, Saxon e qualche accenno maideniano, nei solos e in qualche riff, sparso per questo piccolo altare eretto per glorificare l’hard & heavy ignorante e diretto.
Il quintetto tedesco non si risparmia, e i brani colmi di attitudine da rockers navigati, sono l’emblema di un certo tipo di fare hard rock, tra metal e rock ‘n’ roll, meno punk di quello dei Motorhead e più vicino alla new wave of british heavy metal.
Tra le tracce, spiccano la cavalcata The Doomsayer, la seguente Moonshine Dynamite che ricorda i Thin Lizzy, il mid tempo su cui è strutturata la potente Hellride e la conclusiva Hammer Of Justice, dal riff sassone e orgogliosamente epica.
Un buon album, magari fuori tempo massimo e da consumare se avete qualche primavera in più, ma in tempi di valorizzazione dei suoni old school, anche il sound degli Ironbite troverà senz’altro degli estimatori.

TRACKLIST
1.A Glorious Mess
2.Keep the Rage
3.Unleashed
4.D.E.A.D.B.E.A.T
5.The Doomsayer
6.Moonshine Dynamite
7.When Blood Runs Cold
8.Behind the Mask of a Faceless Man
9.Hellride
10.Black Death
11.Hammer of Justice

LINE-UP
Lucas Schmidt – Guitar
Danilo Licht – Guitar
Niklas Litzrodt – Bass
Samuel Sachse – Drums
Sebastian Sachse – Vocals

IRONBITE – Facebook

Athrox – Are You Alive?

Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

Si continua imperterriti a suonare heavy metal di ottima qualità nell’underground nostrano, una musica che ha mille modi per essere interpretata e vissuta, dagli Usa al Regno Unito, dall’Asia al centro del nostro bistrattato stivale (nella fattispecie Grosseto).

E’ appunto dalla città toscana che arrivano gli Athrox, giovane gruppo formato nel 2014 e che debutta per Red Cat con Are You Alive?, una mazzata di power thrash devastante, un ritorno al metal staunitense con la M maiuscola:
il quintetto si affaccia senza indugi sulla scena metallica, con un album davvero ispirato, una produzione che ne esalta la potenza, un singer di razza e chitarre che lanciano il loro drammatico grido di battaglia tra ritmiche thrash, solos fiammeggianti ed arpeggi acustici, che stemperano i watts ma non la tensione.
Non c’è tregua in Are You Alive?: i brani, uno dopo l’altro, sono mitragliate power thrash che non fanno prigionieri, mentre il meglio della scuola statunitense ci passa davanti come in una metallica passerella.
Gli argomenti trattati, tutti d’attualità e di denuncia verso i mali che affliggono il genere umano, sono accompagnati dalla devastante potenza drammatica ed oscura della scuola a stelle e strisce, e diventa difficile scegliere un brano piuttosto che un altro tanto è alto il livello di questo lavoro.
Frozen Here,  Warstorm e Gates Of Death sono il fantastico trittico iniziale, una bomba sonora che lascia senza fiato, con Crimson Glory, Metal Church e Vicious Rumors a rappresentare le fonti di ispirazione degli Athrox, mentre  End Of Days e la title track si elevano ad esempi fulgidi della qualità insita nel metal suonato dal gruppo.
Una band che al primo album se ne esce con una tale bordata non può che essere seguita con estrema attenzione, e tra l’altro pare sembra che sia già pronto un nuovo lavoro … ne vedremo delle belle.

TRACKLIST
1. Losing Your Gods
2. Frozen Here
3. Warstorm
4. Gates of Death
5. Remember the Loneliness
6. Pretend You
7. My Downfall
8. Waiting for the Eden
9. End of Days
10. Are You Alive?
11. Obsession

LINE-UP
Giancarlo Picchianti – Vocals
Sandro Seravalle – Guitars
Francesco Capitoni -Guitars
Andrea Capitani – Bass
Alessandro Brandi – Drums

ATHROX – Facebook

Gravebreaker – Sacrifice

Il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.

Se la missione delle tante webzine metal sparse per il mondo è quello di supportare quei gruppi che non troveranno mai spazio nelle pagine delle riviste più cool o sui canali satellitari, non si può prescindere dalla ormai consolidata (almeno nell’underground) corrente old school che, come un fiume in piena, sta attraversando questo ultimo periodo della storia metallica.

In tutti i generi, dal metal estremo a quello classico, sono sempre di più i gruppi che portano avanti un discorso musicale per pochi, ma appassionati cultori di queste storiche sonorità.
I risultati sono altalenanti, è giusto dirlo, ma non mancano le sorprese come questo Sacrifice, album di debutto degli svedesi Gravebreaker, trio di Goteborg che, in barba alla tradizione estrema della loro città, debuttano con questo gioiellino di heavy metal old school, oscuro, consolidato nella trazione ottantiana ma molto affascinante.
Sacrifice è un lavoro che non lascia dubbi sulla volontà del gruppo di riportare un certo tipo di suoni alle orecchie dei true metallers e, chi tra di voi ha superato abbondantemente gli anta, ritroverà tutte le caratteristiche che li hanno fatti innamorare del metal.
Troviamo quindi una produzione perfetta per assaporare le atmosfere horror che si fanno spazio tra l’heavy metal tradizionale, a metà strada tra Accept e Motorhead, un pizzico di sound sassone e sfumature Mercyful Fate/King Diamond, impreziosite da poche ma riuscite escursioni nel sound sabbathiano degli anni ottanta.
Il tutto va a comporre un’opera molto affascinante e il lotto di brani presentati convince a più riprese, specialmente quando l’heavy metal più diretto viene attraversato da riusciti interventi tastieristici dal piglio horror.
Bellissima per esempio la title track, dai toni che ricordano i Death SS, altra importantissima ispirazione per la band, e la conclusiva Messenger Of Death, picco creativo dei Gravebreaker che si lasciano impossessare dal demone del Re Diamante e sfornano una song eccellente.
Un album del quale nel nostro paese probabilmente se ne troveranno pochissime tracce, un motivo in più per seguirci in questa ricerca delle più nascoste perle dell’underground metallico.

TRACKLIST
1. Overdrive
2. Sacrifice
3. Gravebreaker
4. At The Gates Of Hell
5. Violent City
6. Kill And Kill Again
7. Road War 2000
8. Pray For Death
9. Spellbound
10. Messenger Of Death

LINE-UP
Nightmare – vocals
Fury – guitar , bass
Devastation – drums

GRAVEBREAKER – Facebook

Crohm – Humanity

Bersaglio centrato in pieno per la band valdostana con Humanity, che si rivela un buon esempio di metal vecchia scuola.

Attivi addirittura da metà anni ottanta, i Crohm sono uno dei gruppi storici nati in Valle d’Aosta ed uno dei primi in assoluto a suonare heavy metal nella splendida regione racchiusa tra le vetti più elevate delle Alpi.

Dopo un lungo silenzio ed il ritorno tre anni fa con Legend and Prophecy, album composto da brani storici
ri-arrangiati per l’occasione, il nuovo album intitolato Humanity rappresenta un nuovo inizio mantenendo sempre ben alta la bandiera dell’heavy metal, con l’aggiunta di un impatto dal groove micidiale.
L’album è stato registrato da Giulio Capone (Temperance), il quale si è anche occupato di mix e mastering, mentre il gruppo si è affidato ad una campagna di crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser, dove amici e fans possono partecipare attivamente ai progetti di ciascuna band.
Humanity suona grezzo e aggressivo, con il suo hard & heavy alla massima potenza, il groove a portare un tocco leggermente moderno alle composizioni, assoli che nascono nella new wave of british heavy metal e alternanza ben congeniata tra brani diretti, e cavalcate maideniane che sono il fiore all’occhiello di questo lavoro (Insatiable).
I Crohm non sentono il perso degli anni, i tre rockers che diedero vita al progetto tanti anni fa (il singer Sergio Fiorani, il chitarrista Claudio Zanchetta ed il bassista Riccardo Taraglio), sono affiancati in questa avventura dal batterista Fabio Cannatà e dal chitarrista ritmico Diego Zambon: al grido di keep your dragon alive (KYDAH) ci investono con tutta la loro carica metallica, tra heavy metal classico e thrash, coinvolgendo non poco, merito di un lotto di brani potenti, onesti e carichi di passione per una musica immortale.
La band valdostana offre accelerate thrash e mid tempo ricchi di groove, con un sound tra Iron Maiden e Saxon, un gran lavoro chitarristico ed un cantante che sa il fatto suo, portandoci a spasso nel mondo dell’hard & heavy grazie a tracce come The Call, Lost Soul e l’eccellente Fields Painted Red.
I Crohm centrano in pieno il bersaglio con Humanity, un buon esempio di metal vecchia scuola da non perdere per alcun motivo.

TRACKLIST
1. Alien
2. The Call
3. The Dark Side
4. Nothing Else
5. Insatiable
6. Lost Soul
7. Fields Painted Red
8. The Noise of Silence
9. Run for your Life (The Escape)
10. Town after Town

LINE-UP
Sergio Fiorani – Lead vocal
Claudio Zac Zanchetta – Lead guitar, background vocal
Riccardo Taraglio – Bass, background vocal
Diego Zambon – Rythm guitar
Fabio Cannatà – Drums

CROHM – Facebook

Muro – El Cuarto Jinete

Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

Nuovo disco dalla genesi tormentata per i pionieri spagnoli dell’heavy e speed metal.

I Muro nacquero nel 1981 nel quartiere di Vallecas, patria del Rayo Vallecano e dell’heavy metal, infatti i nostri con l’epico Acero Y Sangre, live album del 1986, fecero sentire uno dei primi prodotti di marca ispanica in campo heavy e speed. Il loro suono da quel tempo non è mutato di una virgola, anzi si è notevolmente potenziato, e i Muro su disco e dal vivo sono una macchina da guerra, di quelle che non fanno prigionieri. Negli anni i duemila si erano sciolti, ma per fortuna nel 2009 vi era stata la riunione della formazione originaria, e da lì le cose sono andate avanti. Nel 2013, con El Cuarto Jinete ultimato, lo storico cantante Silver ha scelto di dividere il suo destino da quello del gruppo, e gli spagnoli hanno preso con loro la validissima cantante Rosa, anche se nel disco la voce è ancora quella di Silver. A parte tutte le vicissitudini rimane la musica e El Cuarto Jinete è un disco molto bello di heavy metal e speeed metal, fatto con estrema passione, con una produzione che riesce a mettere in risalto la classe dei Muro, che anche grazie al loro cantato in spagnolo sono davvero unici. El Cuarto Jinete è una perfetta sintesi di ciò che dovrebbe essere un disco di heavv metal con una fortissima impronta speed, velocità, concretezza ed epicità, ma senza troppa retorica. Dalla prima all’ultima canzone non si vive un momento di calma o di abbassamento dell’elettricità, e i Muro fanno capire che non sono per nulla intenzionati a sparire, ma sono ben presenti anche più di prima, tant’è che sono anche andati in tour in America.
Il trono in Spagna è ancora di quei ragazzi che un giorno a Vallecas portarono musica veloce e che non si sono ancora fermati.

TRACKLIST
1. Apocalipsis 6,2
2. El Cuarto Jinete
3. Otra Batalla
4. Maldito Bastardo
5. Sobrevivir
6. En el Ojo del Huracán
7. La Voz
8. Hermanos de Sangre
9. Honorable
10. Muero por ti
11. Fratricidio
12. Kill the King (Rainbow cover)

LINE-UP
Lapi – Drums
Largo – Guitars
Julito – Bass
Silver – Vocals

MURO – Facebook

Angel Martyr – Black Book: Chapter One

Chapter One è consigliato ai defenders dai gusti tradizionali, che troveranno di che crogiolarsi tra le cavalcate fiere ed epiche create dal trio toscano.

Debutto sulla lunga distanza per gli speed/power metallers Angel Martyr, trio toscano che porta, tramite Iron Shield, una ventata di metallo classico, old school, fiero ed epico il giusto per inorgoglire i defenders di lunga data.

Il gruppo nasce dalle ceneri dei Wraith’sing, band attiva già dal 2006 dopo quattro anni di attività, purtroppo sempre condizionato dai numerosi cambi di line up: il trio dal nuovo monicker trova stabilità nel corso degli anni con il sempre presente Tiziano “Hammerhead” Sbaragli (ex Etrusgrave), chitarra e voce, il bassista Dario “Destroyer Rostix” Rosteni ed il batterista Francesco Taddei.
Black Book: Chapter One, segue di due anni l’ep Black Tales – Prelude e continua a raccontare di battaglie epiche e storie fantasy, mentre l’heavy metal ottantiano si potenzia di energia power e velocità speed, a tratti sostenuta anche se non mancano mid tempo e cavalcate di matrice maideniana.
Trame acustiche spezzano l’assalto sonoro ed il clima da battaglia delle canzoni, che portano con se tutta la fierezza del metal classico.
Il sound prodotto dal gruppo, che nell’album raggiunge l’apice nelle notevoli Eric The Conqueror e On The Divine Battlefield (che ricorda con il suo flavour scozzese le atmosfere di Tunes Of War, capolavoro dei Grave Digger), è di fatto un esempio di new wave of british heavy metal, dove non poca importanza hanno gli insegnamenti del maestro Steve Harris riletti in versione speed/power, quindi si sprecano tra lo spartito veloci cavalcate, ritmiche sparate, mid tempo di orgoglioso metallo pesante e tutta la serie di ingredienti per fare di un album heavy metal un manifesto di epica fierezza.
Iron Maiden, power metal di scuola tedesca, accenni all’epic metal classico e tanta attitudine e passione: se vi considerate veri defenders, Black Book: Chapter One è l’opera metallica che fa per voi.

TRACKLIST
1. Obsequies
2. They. … Among Us
3. Victims
4. Eric The Conqueror
5. Midnight Traveller
6. Turn On The Fire
7. Pirate Song
8. On The Divine Battlefield
9. Angel Martyr

LINE-UP
Francesco Taddei – drums
Dario Rosteni – bass
Tiziano Sbaragli – vocals, guitars

ANGEL MARTYR – Facebook