In Tormentata Quiete – Cromagia

Ciò che stupisce in “Cromagia” è un senso melodico che non viene mai meno,trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico.

Il terzo album degli In Tormentata Quiete si rileverà una delle consuete croci per chi tenta chi catalogare la musica come se si trattasse di riordinare dei libri in una biblioteca, rispettando un rigoroso ed ineluttabile ordine alfabetico.

L’ensemble bolognese, ed è questo ciò che conta, regala l’ennesima perla di una carriera che, come spesso accade dalle nostre parti per chi tenta di fare musica nella sua accezione artistica più elevata, è destinata più allo status di culto che non a quello di realtà di successo.
Del resto, non credo che gli In Tormentata Quiete si siano mai posti prioritariamente quest’ultimo obiettivo, soprattutto operando e vivendo in un paese come l’Italia nel quale se non appari non esisti e dove, se proponi musica che costringe ad essere ascoltata e non semplicemente sentita, sei irrimediabilmente destinato a restare nel cuore di pochi fortunati.
All’interno di Cromagia possiamo trovare folk, prog, black e cantautorato italiano, una ricetta che parrebbe, messa giù così, dannatamente intricata, eppure tutto scorre senza che nessuna di queste componenti prevarichi mai l’altra, stupendo per l’equilibrio raggiunto, quasi come quando si osservano quei folli funamboli che attraversano i canyon camminando su una sottile fune tesa sopra baratri profondi centinaia di metri …
Per una volta mi trovo piuttosto d’accordo con le note di presentazione, nelle quali si accenna a nomi quali Solefald, Ulver e Devil Doll, riferimenti che, francamente, potrebbero risultare controproducenti al momento del dunque: nonostante ciò i nostri si rivelano del tutto degni, se non proprio a livello di sonorità sicuramente per attitudine, dell’accostamento a questo manipolo di geniali sperimentatori.
Ciò che stupisce ulteriormente, con tali premesse, è un senso melodico che in Cromagia non viene mai meno, trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico, con il suo concept incentrato sulle emozioni ed i sentimenti associati ai singoli colori.
L’intreccio vocale è un ulteriore aspetto capace di elevare gli In Tormentata Quiete sul resto della concorrenza: due voci pulite, l’una maschile, l’altra femminile, si scambiano continuamente i ruoli “disturbate” da uno screaming acido che opera per lo più con la funzione di controcanto, quasi a voler sporcare, con le sue efferate incursioni, quelle tessiture melodiche che, a lungo andare, si insinuano nella mente e nel cuore di chi ascolta.
Bastano dodici minuti, quelli nei quali si sviluppa l’accoppiata iniziale Blu / Il Profumo del Blu, a chi non avesse mai ascoltato una nota degli ITQ, per capire d’essere al cospetto di una realtà unica nel panorama italiano e per attendersi ulteriori meraviglie sonore (tra le quali spiccano l’elegia di Verde ed il black/folk di La Carezza Del Giallo) nel corso dei restanti tre quarti d’ora.
Ma, intanto, il destino di talenti trasversali come questi è quello d’essere capiti da pochi: troppo colti per chi ha bisogno di musica usa e getta, troppo metallici per i tolemaici del progressive (mi pare di sentirli “ …. ah, quella voce gracchiante …”), troppo melodici per i metallari, infine troppo superiori alla media per poter diventare, anche solo per sbaglio, un fenomeno di massa.
Quei pochi che, appunto, non si sono mai adeguati al minimalismo spastico degli sms e riescono a leggere almeno tre righe di una mail senza avvertire un calo di attenzione, provino a dare una chance agli In Tormentata Quiete

Tracklist:
1. Blu
2. Il Profumo del Blu
3. Rosso
4. Il Sapore del Rosso
5. Verde
6. Il Sussurro del Verde
7. Giallo
8. La Carezza del Giallo
9. Nero
10. La Visione del Nero
11. InVento

Line-up:
Maurizio D’Apote – Bass
Francesco Paparella – Drums
Lorenzo Rinaldi – Guitars
Antonio Ricco – Keyboards
Marco Vitale – Vocals (harsh)
Irene Petitto – Vocals
Simone Lanzoni – Vocals

IN TORMENTATA QUIETE – Facebook

https://soundcloud.com/mykingdommusic/itq-lvdn

Oberon – Dream Awakening

Bard, con questo suo ritorno discografico, ottiene un risultato eccellente mettendo sul piatto una fluidità compositiva che gli consente di muoversi senza apparenti scossoni tra umori neofolk, punte di oscurità, passaggi di stampo progressive ed riferimenti cantautorali di nobile lignaggio.

Il secondo full-length del solo project Oberon arriva dopo ben tredici anni di silenzio, nel corso dei quali colui che ne è l’artefice, il norvegese Bard Oberon, è rimasto ai margini dell’ambiente pur continuando a comporre musica.

Molta di questa è confluita poi in Dream Awakening, il disco che, in fondo, costituisce la chiusura di un cerchio, giacché l’etichetta che lo licenzia è quella stessa Prophecy che, nel 1997, tra le prime produzioni immesse sul mercato, pubblicò proprio l’omonimo mini di Oberon. Diciamo subito che questo album è l’ennesimo centro da part di una label che, da anni, continua a proporre musica sempre contraddistinta da un incommensurabile valore artistico. Devo ammettere, senza particolari remore, che prima di oggi il nome Oberon mi era del tutto sconosciuto; ne deriva, quindi, che la valutazione di questo lavoro e le sensazioni scaturite dall’ascolto esulano inevitabilmente da qualsiasi raffronto con la produzione passata. Bard, con questo suo ritorno discografico, ottiene un risultato eccellente mettendo sul piatto una fluidità compositiva che gli consente di muoversi senza apparenti scossoni tra umori neofolk, punte di oscurità, passaggi di stampo progressive ed riferimenti cantautorali di nobile lignaggio. Una voce limpida ed evocativa conduce l’ascoltatore lungo un percorso disseminato di momenti incantevoli, un qualcosa di avvicinabile alla purezza dell’acqua che sgorga da una fonte; caratteristica, questa, che non viene meno neppure quando i suoni si irrobustiscono, ma che semmai viene ulteriormente esaltata dal gioco di luci ed ombre. Empty And Marvelous inaugura questo magnifico album con umori folk, soppiantati dal successivo brano capolavoro Escape nel quale, a tratti, viene evocato nientemeno che Jeff Buckley e, tutto sommato, il mai abbastanza compianto singer statunitense può costituire un valido punto di riferimento per capire meglio ciò di cui è capace Bard in Dream Awakening. Certo, la voce del musicista norvegese, pur pregevole, non è comparabile con quella di Jeff, ma la sensibilità compositiva e la capacità di tratteggiare brani dell’enorme impatto emotivo non sono affatto da meno. Anche quando è il folk ad impadronirsi del songwriting il risultato merita il nostro plauso, ma è certo che gli episodi che restano più impressi sono quelli in cui vengono messe in evidenza sia una più spiccata anima melodica (Flight Of Aeons), sia un’impronta di stampo prog/rock (I Can Touch The Sun With My Heart ). Le atmosfere sottilmente inquietanti di Machines sono la penultima perla di un lavoro che regala in chiusura un altro brano splendido (Age Of The Moon) nel quale la chitarra elettrica si ritaglia un ultimo spazio all’interno di suoni che, se trasposti visivamente, assumerebbero delicati color pastello. Oberon è stata un autentica folgorazione con la scoperta di un musicista rimasto per anni in una sorta di oblio: questo è un altro buon motivo, tra i tanti, per il quale nessuno dovrebbe mai ritenersi appagato di ciò che ha ascoltato in passato. Per chi come me , si è innamorato a prima vista di questa eccellente entità musicale, sarà cosa gradita sapere che la Prophecy ha programmato anche la ristampa dell’intera produzione targata Oberon, una buona occasione per approfondire la conoscenza e magari scovare altre gemme dimenticate composte dall’ottimo Bard.

Tracklist:
01. Empty And Marvelous
02. Escape
03. In Dreams We Never Die
04. Dark World
05. Flight Of Aeons
06. Dream Awakening
07. I Can Touch The Sun With My Heart
08. Phoenix 09. Secret Flyer
10. Machines That Dream
11. Age Of The Moon

OBERON – Facebook

L’Ira Del Baccano – Terra 42

Un grande disco, pieno di prati e pianeti dove riposare il nostro stanco cervello e poter riscoprire una nuova Terra, che potrebbe essere proprio la 42.

Movimento cerebrale continuo per una band che dà il meglio nelle jam sessions.
L’Ira Del Baccano è semplicemente uno dei migliori gruppi italiani nell’ambito psych rock: le loro canzoni sono lunghi viaggi, riproduzioni di tessuti multimolecolari di note, sequenze di un dna musicale che parte dai Grateful Dead ed atterra negli Hawkwind, passando per la mutazione dei Black Sabbath.

Nati come Loosin’ O’ Frequencies da Alessandro “Drughito” Santori e Roberto Malerba, i nostri incidono un mini cd prodotto da un certo Paul Chain (che, se andiamo a ben vedere, ha influenzato gli ultimi venti anni di musica underground italiana ) e, nel 2006, si trasformano in un gruppo strumentale cambiando nome in L’Ira Del Baccano.
Nell’estate del 2008 il gruppo pubblica il primo album “Si Non Sedes Is … Live”, una jam dal vivo di 56 minuti che impressiona davvero molto. Il disco è in free download sul loro sito e rende benissimo l’idea di cosa sia questa band.
L’Ira Del Baccano è continuo movimento, un tendere alla spiritualizzazione della musica, un viaggio psicotonico; si potrebbe dire che fanno psych prog poiché, sebbene partano dalla cultura della jam session, i ragazzi inseriscono intarsi di prog davvero notevoli.
Terra 42 al momento è questo, ma potrebbe presto mutare cambiando forma, e dovrete essere voi a completare il processo all’interno della vostra testa.
Un disco che non annoia mai, anzi è da sentire e risentire più volte, come quando si notano particolari nuovi e mai notati prima nella strada che fate per tornare a casa, una continua scoperta, un viaggio che apre la mente verso una nuova direzione.
Ci sono movimenti come The Infinite Improbability Dive, di 33 minuti, ispirato a “Guida Galattica Per Autostoppisti” di Douglas Adams, che è davvero un infinito viaggio galattico; in mezzo troviamo Sussurri Nel Bosco Di Diana, il pezzo più prog e suadente del disco, che si muove nella seconda parte dopo una prima di placida fermezza.
Chiude questa opera psicoattiva Volcano, quattordici minuti e rotti di fratture, ricomposizioni e nuove proliferazioni.
Un grande disco, pieno di prati e pianeti dove riposare il nostro stanco cervello e poter riscoprire una nuova Terra, che potrebbe essere proprio la 42.
Ancora per favore.

Tracklist:
1 The Infinite Improbability Drive Part 1
2 The Infinite Improbability Drive Part 2 & 3
3 Sussurri… nel Bosco Di Diana Part 1 & 2
4 Volcano X 13

Line-up:
Alessandro “Drughito” Santori – Chitarra e Baccano
Roberto Malerba – Chitarra e Synth
Sandro “Fred” Salvi – Batteria
Luca Primo – Basso

L’IRA DEL BACCANO – Faceboook

Tenebrae – Il Fuoco Segreto

Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta dai Tenebrae a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Siete convinti di vivere in una nazione nella quale tutto va catastroficamente alla rovescia ? Pensate che ci deve essere qualche grosso equivoco alla base di una realtà che vede milioni di persone perbene faticare per sbarcare il lunario mentre le camere della repubblica sono affollate da pregiudicati e da plurindagati? Ebbene, l’ascolto di un disco come Il Fuoco Segreto  rafforzerà ulteriormente la vostra convinzione riguardo all’andamento delle cose in questo splendido quanto contraddittorio frammento di pianeta.

Non che i Tenebrae  si occupino di questioni sociali, intendiamoci, anzi, le tematiche trattate dalla band genovese si ispirano all’opera di un gigante della letteratura dello scorso millennio quale fu Goethe; il motivo che mi ha spinto ad introdurre in questa maniera il disco è l’amara constatazione di quanto la meritocrazia da queste parti si riveli, in qualsiasi campo, una pura utopia: al termine dell’ascolto di Il Fuoco Segreto  buona parte di voi, in particolare quelli che non conoscevano i Tenebrae, non potranno fare a meno di chiedersi come gli autori di un’espressione artistica di tale livello abbiano faticato persino a trovare una label desiderosa di promuoverli, prima del recente accordo raggiunto con la House Of Ashes.
Se non altro il buon Marco Arizzi, anima e unico superstite della formazione originaria, non si è mai perso d’animo in tutti questi anni, fatti di line-up rivoluzionate e mille altri problemi che avrebbero fatto desistere chiunque non fosse stato mosso dalla ferma convinzione d’avere ancora molto da dire (e da fare) in una scena musicale spesso afflitta da un’inspiegabile cecità.
Per certi versi, i Tenebrae sono probabilmente vittime della difficoltà di catalogarli in un genere ben definito (e non è un caso se lo stesso leader ama definirne lo stile “art rock”), essendo alla fine molto più spostati verso un ambito progressive nonostante i musicisti che ne fanno parte abbiano fondamentalmente un background metal; per quanto mi riguarda non ci sono dubbi di alcun tipo: Il Fuoco Segreto è un album progressive in tutto e per tutto, in grado di rivaleggiare dal punto di vista qualitativo con un altra perla partorita lo scorso anno dalla Superba, ovvero “Le Porte Del Domani” de La Maschera Di Cera.
Attenzione, però, pur partendo da posizioni contigue, le due band esplorano differenti versanti musicali proprio alla luce della diversa estrazione di ciascuno: se gli uni, quindi, rivolgono il loro sguardo principalmente verso l’epopea settantiana del prog italiano, andando addirittura a proporre un sequel di “Felona e Sorona”, gli altri vanno ad attingere al migliore rock nostrano (Litfiba, Timoria) senza omettere di conferire al tutto un’aura oscura attraverso frequenti incursioni nell’heavy metal, con tanto di voce in growl a rimarcare l’asprezza di tali momenti.
Le chiavi della riuscita del lavoro sono sostanzialmente due: l’indubbio talento compositivo di Marco Arizzi e la voce di Pablo Ferrarese, un cantante conosciuto in ambito locale anche per le sue performance vocali in una tribute band di Ozzy Osbourne, un ruolo per certi versi riduttivo se rapportato alla voce del “Madman” (sia detto con il dovuto rispetto), alla luce della versatilità esibita nell’interpretare, con la giusta dose di enfasi e teatralità, i profondi testi, rigorosamente in italiano e liberamente adattati dal “Faust” da Antonella Bruzzone.
Dopo essere stato folgorato dalla loro esibizione di supporto ai Secret Sphere lo scorso 29 marzo, Il Fuoco Segreto è entrato definitivamente in loop nel mio lettore e, anche grazie alla sua lunghezza non eccessiva, è possibile goderne ogni intenso attimo, a partire dalla intro Faust sino all’ultima nota di Limite, in un ininterrotto susseguirsi di emozioni in grado di toccare vette altissime nel capolavoro Margarete, un brano che, pur sapendo di attirarmi le ire o gli sberleffi di qualche purista del prog, mi azzardo a definire la “750.000 anni fa l’amore” del nuovo millennio, tale è la capacità di portare alla commozione l’ascoltatore grazie al perfetto connubio tra le dolenti note del pianoforte e la magnifica interpretazione di Ferrarese.
La verità è che non si ravvisa un solo momento di stanca in un disco per il quale, tutto sommato, la durata limitata si traduce nella sintesi perfetta grazie alla quale nessuna nota viene sprecata per diluire inutilmente un contenuto musicale che rasenta la perfezione.
Rock, prog e metal per una volta vanno a braccetto come pochi sono riusciti a fare nel recente passato, e i Tenebrae lo fanno per di più attingendo meritoriamente alla nostra tradizione musicale che rimane, questa sì, uno degli aspetti del paese di cui andare fieri.
Da sentire, risentire e sentire ancora, finchè la musica composta a supporto della storia tragica, ma illuminante, del protagonista Johann Georg, riuscirà a rapire la vostra anima senza che possiate opporre la minima resistenza.

Tracklist:
1. Faust
2. Luce nera
3. Mephisto
4. Perdizione
5. Fuoco segreto
6. Margarete
7. Occhi spezzati
8. Schegge di specchio
9. Limite

Line-up :
Marco “May” Arizzi – Chitarre
Francesco Mancuso – Tastiere
Alessandro Fanelli – Batteria
Pablo Ferrarese – Voce e Cori
Fabrizio Bisignano – Basso

TENEBRAE – Facebook

Leviathan – Beholden To Nothing, Braver Since Then

I Leviathan strizzano l’occhio al progressive rock e piaceranno anche ai fan dei suoni dilatati degli anni settanta.

Nuovo album in questo inizio 2014 per la band americana dei Leviathan, non proprio dei novellini della scena, giunti al quinto album in studio: il loro primo vagito risale al 1991 con un Ep omonimo, per più di vent’anni all’insegna di un prog metal che ha nel dna quella manciata di gruppi che hanno fatto la fortuna del genere.

Dunque parliamo dei Dream Theater ma anche degli Shadow Gallery, con un approccio seventies in grado di rendere il lavoro un buon connubio tra il nuovo prog, che strizza l’occhio a sonorità più dure e l’estetica del progressive rock, quello dei maestri settantiani
Settantacinque minuti di musica che, dall’inizio alla title-track, posta in chiusura, spazia tra varie atmosfere, cambi di tempo ed uno spirito vintage che aleggia per tutto il disco ed esce clamorosamente allo scoperto con la suite Religion ed i suoi sette movimenti: fulcro dell’album, i brani che compongono questo bellissimo puzzle musicale scomodano mostri sacri del suono progressivo, tra richiami che di volta in volta si fanno più marcati, tra suoni intimisti che si trasformano in cavalcate elettriche o ariose aperture melodiche, spezzate da improvvise puntate di tensione sonora dall’incedere emozionale come i nove minuti di If The Devil Doesn’t Exist.
Magical Pills Provided, altra perla del lavoro tra Pink Floyd ed il re cremisi, ci dimostra una volta di più che siamo al cospetto di una band che guarda più al passato che al presente, anche le tastiere in questo disco, diversamente dalle classiche band metal prog, sono relegate ad un lavoro di secondo piano rispetto alle chitarre, che sono invece protagoniste indiscusse sia nei suoni acustici che elettrici.
I Genesis (quelli veri, dei primi meravigliosi dischi con Peter Gabriel), sono chiamati in causa nella bellissima Misanthrope Exhumed, mentre Beholden To Nothing, Braver Since Then che chiude il lavoro, torna a calcare territori più moderni e metallici: a band accelera di quel tanto per regalarci ancora dei cambi di tempo mozzafiato, accomiatandosi con un brano dalle reminiscenze Shadow Gallery.
Complimenti a John Lutzow, chitarrista e tastierista e se non bastasse, compositore di musica e testi di questo ottimo lavoro, ed un plauso a tutti i musicisti coinvolti; non aspettatevi una classica produzione scintillante, in questo lavoro, non so quanto volutamente, i suoni sono piuttosto vintage e per alcuni questo potrebbe costituire un difetto: io non me ne curo e consiglio caldamente questo disco ai fan del progressive tout court.

Tracklist:
1. Ephemeral Cathexis
2. A Shepherd’s Work
3. Intrinsic Contentment
4. Overture of Exasperation
5. Creatures of Habit
Religion: Superstition, Imposed Tradition and The Spiritual Crutch of Human Crux (from 6. to 12.)
6. Solitude Begets Ignorance
7. A Testament for Non-Believers
8. If the Devil Doesn’t Exist…
9. Magical Pills Provided
10. Thumbing Your Nose at Those Who Oppose
11. Empty Vessel of Faith
12. Words Borrowed Wings
13. Bettering Darklighter
14. Misanthrope Exhumed
15. Beholden to Nothing, Braver Since Then 10:23

Line-up:
John Lutzow-Guitars,keyboards,B.vocals
Jeff Ward-Vocals
Dave Rumbold-Drums
Derek Blake-Bass,B.vocals

Xanthochroid – Blessed He With Boils

”Blessed He With Boils” è un lavoro che racchiude talento, ambizione, visionarietà e la capacità di assimilare le influenze più disparate per creare un qualcosa che francamente non capita di ascoltare con grande frequenza.

Per una volta faccio un passo indietro di circa un anno andandomi ad occupare di un disco uscito nel dicembre 2012 e al quale solo alcuni, meritoriamente, hanno dato visibilità evidenziandone le indubbie qualità.

Per fortuna la musica ha il pregio di non essere un prodotto soggetto a scadenza dopo un certo periodo di tempo, quindi la riscoperta di questo splendido lavoro degli statunitensi Xanthochroid è doverosa, nella speranza che ciò possa indurre altre persone ad inserirlo con regolarità tra i propri ascolti. Giunti all’esordio dopo due anni di attività, contrassegnati da un demo e da un Ep, i ragazzi di Lake Forest non entrano in scena certo in maniera timida, ma ci regalano un disco talmente vario ed originale che si fatica a catalogarlo in maniera adeguata: anche se loro stessi si autodefiniscono cinematic black metal, una tale etichetta potrebbe ingenerare sicuramente equivoci. I Xanthochroid partono da una base black ma con una forte componente progressive, e non solo a livello di attitudine visto che certi passaggi riportano addirittura alle gradi band degli anni ’70; a tutto ciò si può certamente aggiungere una vena folk intimista che prende corpo per interi brani e, a tenere fede a quanto promesso, la capacità innata di creare atmosfere solenni, queste sì, degne di potere essere considerate alla stregua di una particolare colonna sonora, sulla scia dei migliori Moonsorrow . Tramite un concept incentrato sulla lotta tra due fratelli per la successione al regno del padre, la band californiana si permette di annichilire al confronto chiunque abbia tentato in questi ultimi anni una simile la commistione di generi: ascoltate la spettacolare title-track, brano nel quale la matrice black iniziale finisce per stemperarsi in una melodia che non sembra poi così lontana da una certa “The Court Of The Crimson King” (King Crimson e black metal ? Perché no). Winter’s End riprende l’anima folk degli Agalloch riuscendo a superare i maestri, in particolare per l’uso delle voci, mentre Long Live Our Lifeless King è un’autentica centrifuga nella quale viene immesso qualsiasi ingrediente passi per la testa a questi straordinari musicisti, per essere poi rimesso in circolazione con un formato non solo commestibile ma dal sapore esaltante. Le due parti di Deus Absconditus fungono da spartiacque in un lavoro nel quale, si stenta a crederlo, il meglio deve ancora venire: The Leper’s Prospect è un delirante brano black sinfonico che possiede una linea melodica indimenticabile, e il suo mood drammatico induce sovente alla commozione, sentimento che non abbandonerà più l’ascoltatore fino all’ultima nota dell’album, e che non viene certo sopito nella successiva In Putris Stagnum, dove il climax tragico viene raggiunto grazie all’alternanza di diverse gamme vocali che rendono perfettamente l’idea di una dolorosa e lancinante resa dei conti tra i protagonisti. “Here I’ll Stay” è uno strumentale pianistico che sembra uscito dalla penna di Vittorio Nocenzi ed introduce il capolavoro del disco che i Xanthochroid hanno giustamente posto al suo termine: Rebirth of an Old Nation è traccia di una bellezza a tratti insostenibile, nella quale si compie il miracoloso connubio tra tutti gli elementi innovativi che hanno contraddistinto band come Pain Of Salvation, Opeth e Moonsorrow, solo per citare quelle più facilmente rinvenibili, lasciandone per strada sicuramente molte altre. L’ascolto di questo lavoro (per il quale non posso che ringraziare chi me l’ha segnalato) è stata una folgorazione, che non fa altro che rendere ancora più compulsiva la mia personale ricerca di nuove band capaci di accompagnarmi negli ennesimi, indimenticabili viaggi musicali. Blessed He With Boils è un lavoro che racchiude talento, ambizione, visionarietà e la capacità di assimilare le influenze più disparate per creare un qualcosa che francamente non capita di ascoltare con grande frequenza. Questa non è il classico disco dai tratti sperimentali, che piace tanto, a parole, agli amanti del “famolo strano”, salvo essere successivamente relegato nelle retrovie di polverosi scaffali; qui vengono scaricate tonnellate di pathos che, unito a una dose altrettanto massiccia di follia, danno vita a un lavoro che, se fosse uscito quest’anno, troverebbe comodamente posto nella mia top five del 2013. Ma, come scritto all’inizio, almeno nella musica non esiste la prescrizione, pertanto godetevi questo luccicante gioiello firmato dai Xanthochroid, siete sempre in tempo.

Tracklist:
1. Aquatic Deathgate Existence
2. Blessed He with Boils
3. Winter’s End
4. Long Live Our Lifeless Kin
5. Deus Absconditus: Part I
6. Deus Absconditus: Part II
7. The Leper’s Prospect
8. In Putris Stagnum
9. “Here I’ll Stay”
10. Rebirth of an Old Nation

Line-up :
Matthew Earl – Flute, Drums, Vocals
David Bodenhoefer – Guitars, Vocals
Brent Vallefuoco – Guitars, Vocals
Sam Meador – Vocals, Keyboards, Guitars (acoustic)
Bryan Huizenga – Bass Guitar

XANTHOCHROID