Coraxo – Sol

I Coraxo licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra generi sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.

Il metal e le decine di modi in cui si può esprimere si avvia verso il 2018 lasciando in eredità grandi album come questo spettacolare Sol, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Coraxo, duo finlandese attivo da qualche anno e con due ep ed il full length Neptune a completare la discografia.

Un sound molto particolare, che unisce svariati generi, in un clima estremo e progressivo, è quello che sentirete dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, entrando in un mondo in cui melodic death metal, progressive ed elettronica vivono in perfetta simbiosi.
Sol è composto da undici tracce che variano per umori ed atmosfere, estremo nel suo mantenere un impatto metallico potente, progressivo nei suoni tastieristici che ricordano il new prog britannico (quindi per rimanere nella penisola scandinava gli immensi Nightingale) e pregno di atmosfere elettroniche che rendono la musica del duo moderna e catchy.
Tomi Toivonen e Ville Vistbacka da Tampere licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra i generi descritti, sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.
I tasti d’avorio sono assolutamente protagonisti, le ritmiche si fanno estreme come il growl che accompagna la voce pulita e a tratti teatrale e declamatoria (Arcturus), mentre tra le note delle splendide Satellite, Retrograde, Revenants, tanto per nominarvene alcune, riecheggiano trent’anni di musica nata e sviluppata soprattutto nelle fredde terre del nord.
Il progressive incontra il death metal melodico e la new wave, e tra i solchi di Sol avrete il piacere di incontrare vecchi amici come Hypocrisy, Arcturus, Edge Of Sanity e Nightingale, con l’elettronica ed un pizzico di sci-fi a trasformare il tutto in un turbinio di spettacolare musica senza confini né tempo.

Tracklist
1.Your Life. Our Future
2.Of Stars Reborn
3.Satellite
4.Helios
5.Retrograde
6.Revenants
7.Ascension
8.Sunlight
9.Sacrifices Made
10.The Chase – In Hiding pt. 1
11.Spearhead

Line-up
Tomi Toivonen – Vocals, Guitars, Keyboards
Ville Vistbacka – Drums

CORAXO – Facebook

NYN – Entropy: Of Chaos And Salt

Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Ci risiamo, ecco un altro lavoro dove la tecnica spropositata dei musicisti travalica forma canzone e un minimo di musicalità per lasciare tutto in mano ad un tecnico “caos organizzato”.

La band si chiama NYN, è stata fondata negli States dal polistrumentista Noyan Tokgozoglu ormai dieci anni fa, e arriva quest’anno al secondo full length dopo aver inciso un ep, una manciata di singoli ed il debutto sulla lunga distanza intitolato Eventuality tre anni fa.
Raggiunto da Tom “Fountainhead” Geldschlager (ex Obscura) alla sei corde e da Jimmy Pitts alle tastiere, Tokgozoglu licenzia un monumento alla fredda tecnica dal titolo Entropy: Of Chaos And Salt, un’ ora di scale a velocità assurda, blast beat devastanti, urla belluine, qualche attimo di quiete prima che (appunto) il caos torni signore e padrone del sound.
Se gli ultimi album dei Rings Of Saturn e Next To None (tanto per fare degli esempi) vi sono apparsi un tantino esagerati, sappiate che i NYN vanno anche oltre, non lasciando un briciolo di spazio alla melodia e aggredendo con solos vomitati uno dietro l’altro, una batteria programmata che non aiuta di certo a scaldare l’ambiente che rimane asettico e freddo come una distesa di ghiaccio.
Difficile nominare un brano più o meno riuscito, il fragore sonoro regna e trionfa mentre la tecnica dei protagonisti è l’unica nota positiva che emerge dall’ascolto di Entropy: Of Chaos And Salt.
Un album indirizzato ai soli musicisti i quali, probabilmente, più di chi anche nella musica cerca emozioni, sapranno apprezzare l’abilità di questi virtuosi dello strumento.

Tracklist
1. The Mind Inverted
2. The Apory of Existence
2. Omnipotence Paradox
4. Dissimulating Apologia
5. Rebirth: Rebuild, Advance, Redo
6. Embrace Entropy
7. The Hallway
8. Maelstrom
9.Taken Away By The Tides

Line-up
Noyan Tokgozoglu – Vocals, guitars, Bass, Programming
Tom “Fountainhead” Geldschlager – Guitars
Jimmy Pitts – Keyboards

NYN – Facebook

Axioma – Monolith

Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva

Negli ultimi anni l’evoluzione del progressive death metal sembra essersi arenata, lasciando al solo talento la possibilità di valorizzare opere di musica a 360°, virtù principale di chi di questo sound fa il suo credo.

Nella capitale, dove la scena estrema nazionale trova una buona fetta delle migliori realtà della stivale, nascono gli Axioma, dal monicker che richiama Axioma Ethica Odini, album dei seminali Enslaved, licenziato nel 2010 ma a cui i riferimenti si fermano al titolo.
Benché lo storico gruppo scandinavo, nato come viking black metal band, inglobi nel suo sound molte delle componenti che negli anni l’hanno trasformato in un fulgido esempio di prog band estrema, i ragazzi romani volgono lo sguardo più agli Opeth e al death metal old school.
Monolith (mai titolo fu più azzeccato) è difatti un monolite oscuro e drammatico, una lunga jam estrema dove il quintetto romano, mantenendo ben salda la struttura death metal del proprio sound, la valorizza con un lavoro ritmico vario e deciso.
La velocità rimane moderata, le armonie si susseguono, tragiche ed intimiste, il growl è pesante e sofferto e l’atmosfera che regna tra i vari capitoli risulta animata da un’aura tragicamente intimista.
Non mancano riff ripetuti dai rimandi settantiani ed una voce femminile che appare come un fantasma, delicata ed eterea per poi sparire nei meandri ritmici creati dal gruppo.
Monolith è un lavoro che vive di emozioni e la band, a mio parere giustamente, sceglie di non divagare troppo nel mero tecnicismo, puntando sulle atmosfere e sull’emozionalità.
L’opener Hierophant e la conclusiva Reminiscence sono i brani che più dimostrano il valore del giovane gruppo romano, anche se Monolith va assaporato in tutta la sua interezza, come se fosse una lunga suite.
Gli Axioma giungono al primo capitolo della loro carriera con le carte in regola per non sfigurare nel mondo della musica estrema progressiva: un’ottima partenza.

TRACKLIST
1.Hierophant
2.Monolith of Fire
3.Rinnegato
4.Deception
5.Veil of Paroketh
6.Reminiscence

LINE-UP
Riccardo Montecchiarini – vocals
Gabriel Luigi Lattanzio – guitars
Andrea Maria Augeri – guitars
Jacopo Greci – bass
Jamil Zidan – drums

AXIOMA – Facebook

Colosso – Obnoxious

I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

I portoghesi Colosso, con un monicker simile, non potevano che dedicarsi ad un metal pesante oltre misura, e così è in effetti, anche se la strada percorsa per triturare i padiglioni auricolari degli ascoltatori è molto meno scontata di quella intrapresa da biechi mazzuolatori senza arte né parte.

La band di Oporto, guidata dal fondatore Max Tomé , ha intrapreso solo all’inizio di questo decennio il proprio percorso di progressivo annichilimento, e Obnoxious è la seconda prova su lunga distanza che ci mette di fronte ad una realtà di assoluto spessore.
Un death metal tecnico, che ogni tanti sconfina nel djent, ma in misura non stucchevole, con una pesante componente industrial che lascia spazio a passaggi più riflessivi, andando a formare una mistura accattivante ma soprattutto convincente per la fluidità con cui la materia viene manipolata.
Furra, sperimentazione ed un pizzico di melodia: ecco la miscela che rende vincente Obnoxious nei suoi quaranta minuti di intensità a tratti parossistica, segnati da una prestazione d’assieme impeccabile per esecuzione ed esaltata da una produzione adeguata.
I Colosso offrono una prestazione, appunto, “colossale”, e anche quando alcuni riferimenti si fanno un po’ più scoperti (gli imprescindibili Fear Factory nella magnifica A Noxious Reflection) il tutto viene reso in maniera talmente efficace da far passare qualsiasi altra considerazione in secondo piano.
Obnoxious è emblematico di quella che dovrebbe essere la via maestra da seguire per chi si cimenta con un metal estremo ma dalle sembianze più moderne: lontani dal tecnicismo fine a sé stesso di certo djent o dalla freddezza chirurgica dell’industrial di maniera, i ragazzi lusitani portano una violenta sferzata di aria fresca in un ambito che ultimamente ha proposto più di una prova asfittica, anche da parte di nomi già affermati.
I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

Tracklist:
1. In Memoriam
2. The Unrepentant
3. Of Hollow Judgements
4. As Resonance
5. Soaring Waters
6. Seven Space Collisions
7. To Purify
8. Sentience
9. A Noxious Reflection

Line-up:
Max Tomé – Guitars, Vocals
André Lourenço – Bass
Marcelo Aires – Drums
António Carvalho – Guitars
André Macedo – Vocals

COLOSSO – Facebook

In Mourning – Afterglow

Gli In Mourning non deludono affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo

Gli svedesi In Mourning appartengono a quella categoria di band di ottimo livello che, nonostante una storia ultradecennale ed una discografia già abbastanza significativa per qualità e quantità, non hanno ancora raggiunto i picchi di popolarità che meriterebbero.

Autori di un death che si sviluppa costantemente tra pulsioni progressive, melodiche e doom, i quattro scandinavi pagano probabilmente la loro non semplicissima collocazione all’interno di una specifica frangia del genere: se, infatti, a tratti sembra di ascoltare una versione più moderna degli Opeth d’inizio millennio, gli appropriati rallentamenti pongono il sound verso una cupezza vicina agli October Tide (non cito a caso la band di Norrman, visto che sia l’ottimo vocalist Tobias Netzell che il bassista Pierre Stam ne hanno fatto parte in passato) mentre più di una volta è il trademark melodico tipicamente svedese a caratterizzare il sound, come viene brillantemente esplicitato dall’opener Fire and Ocean.
Il girovagare tra tutte queste pulsioni depone a favore di una certa ecletticità degli In Mourning, anche se permane un umore cupo di fondo, derivante da un trademark doom che non si manifesta più di tanto, però, tramite i caratteristici ed asfissianti rallentamenti.
La band svedese si rende protagonista di un lavoro eccellente nel suo complesso, con una serie di brani ficcanti che potrebbero far breccia un po’ in tutti quelli che amano sonorità robuste intrise nel contempo di melodie tecnica e di una giusta dose di malinconia; personalmente prediligo gli In Mourning quando spiegano le ali verso il death doom melodico, spesso vicino nel suo sentire agli Swallow The Sun (come avviene magistralmente nella conclusiva title track) e un po’ meno, invece, allorché sono gli influssi opethiani a prendere il sopravvento (Ashen Crow, soprattutto) ma, come detto, è solo una questione di gusto soggettivo.
Va detto, peraltro, che queste anime più di una volta si incontrano e la loro convivenza, per nulla forzata, produce frutti notevoli (The Call to Orion su tutte, ma riuscitissima è anche The Lighthouse Keeper) con buona continuità ed una mai scontata padronanza della tecnica strumentale, con menzione d’obbligo, oltre ai musicisti già citati, per i chitarristi Björn Pettersson e Tim Nedergård e per un pezzo da novanta della scena musicale svedese come il drummer Daniel Liljekvist, per oltre un decennio nei Katatonia.
In buona sostanza, questo ritorno dopo quattro anni dal precedente album, da parte degli In Mourning, non delude affatto le aspettative, consegnandoci con Afterglow un lavoro di grade spessore ed oggettivamente ineccepibile sia dal punto di vista compositivo che da quello esecutivo: insomma, da accaparrarsi e goderne pressoché a scatola chiusa …

Tracklist:
1. Fire and Ocean
2. The Grinning Mist
3. Ashen Crown
4. Below Rise to the Above
5. The Lighthouse Keeper
6. The Call to Orion
7. Afterglow

Line-up:
Pierre Stam – Bass
Tobias Netzell – Guitars, Vocals
Björn Pettersson – Guitars
Tim Nedergård – Guitars
Daniel Liljekvist – Drums

IN MOURNING – Facebook

Demonstealer – This Burden Is Mine

Non smettono di stupire le realtà metalliche provenienti dalla magica India e noi di iyezine non ci priviamo della possibilità di portarle a conoscenza di chi ci segue, una missione che appaga specialmente il nostro udito, visto l’enorme potenziale di quel movimento.

Mumbai, una delle città più popolose al mondo, ha una scena metal/rock davvero entusiasmante nei suoi angoli e anfratti crescono band e gruppi di spessore, toccando un po’ tutti i generi che compongono il variegato ed affascinante mondo della nostra musica preferita.
Demonic Resurrection, Albatross e Reptilian Death, nomi che i più attenti lettori avranno incontrato nei nostri viaggi virtuali alla scoperta dell’underground asiatico, sono band eccellenti che hanno tutte un denominatore comune, The Demonstealer: il polistrumentista indiano milita ed ha militato nei gruppi citati e non solo ma, dal 1998, ha fondato il suo progetto denominato, appunto, Demonstealer.
This Burden Is Mine è il secondo lavoro, che segue di otto anni l’esordio …and Chaos Will Reign…, il sound è un’affascinante immersione nel death metal brutale, progressivo e tecnico, un monolitico viaggio fatto di esperienze musicali che lasciano a bocca aperta per intensità e bravura strumentale, un calderone di musica estrema dove il musicista ingloba tutte le sue influenze.
La parte progressiva del sound di Demonstealer è sicuramente la più avvincente, le orchestrazioni creano un’atmosfera magniloquente ed oscura, abbinandosi ad accelerazioni estreme, sempre molto ragionate ed in perfetto equilibrio con la musica rock di cui This Burden Is Mine è composto.
Sono molte e di diverso lignaggio le influenze di cui si avvale il nostro, dal death classico al doom death, per passare al dark progressivo: durante l’ascolto sono molti gli esempi che passano nella testa del sottoscritto, ma la grande maestria nel songwriting, non fa che valorizzare questa raccolta di brani da ascoltare con la dovuta calma, per fare proprie tutte le sfumature di cui la musica si nutre.
Brani mediamente lunghi, cantati alla grande, soprattutto nelle parti pulite, e tanta tecnica strumentale, danno all’album quel tocco in più per non passare inosservato, lasciando che piccoli capolavori come An Unforgiving Truth, la title track, Frail Fallible e The Last Jester Dance ci rapiscano, persi nei vortici di musica creati dal musicista indiano, che per l’occasione si è avvalso alla batteria di un pezzo da novanta come George Kolias (Nile), oltre ad Ashwin Shriyan al basso e di Nishith Hedge e Daniel Rego per le parti di chitarra solista.
Per gli amanti dei suoni progressivi uniti alla musica estrema, This Burden Is Mine è assolutamente un ascolto obbligato, godetene tutti.

TRACKLIST
1. How the Mighty Have Fallen
2. An Unforgiving Truth
3. When the Hope Withers and Dies
4. This Burden Is Mine
5. Frail Fallible
6. The Failures of Man
7. Where Worlds End
8. The Last Jester Dance
9. From Rubble and Ruin

LINE-UP
The Demonstealer – Guitars, Vocals
Geoge Kolias – Drums
Ashwin Shriyan – Bass

DEMONSTEALER – Facebook

Ephemeral Ocean – The Efflorescence

La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni di metà anni novanta, con un particolare gusto per melodie malinconiche e buone digressioni progressive.

Immaginate l’inquietudine che può suscitare la maestosa oscurità dell’oceano in una notte dove solo i lampi di una tempesta in lontananza, lasciano trasparire un poco di luce tra il buio del cielo e del mare, dove noi, nel mezzo galleggiamo, mentre l’oscurità ed il mare profondo aspettano un nostro attimo di debolezza per inghiottirci nel buio più profondo, metafora dell’animo umano, sempre più attratto dalla parte più oscura, drammatica e, molte volte malvagia.

Questo quadro inquietante può trovare la propria espressione in musica tra le note del primo full length dei death doomsters russi Ephemeral Ocean, arrivati al debutto dopo aver dato alle stampe Honour in the Mask, ep dello scorso anno.
La giovane band proveniente da Mosca licenzia un ottimo esempio di death metal dall’incedere doom, oscuro e drammatico, in linea con le produzioni, di metà anni novanta, con un particolare gusto per le melodie malinconiche e buone digressioni progressive.
L’album si sviluppa in sette movimenti dove armonie acustiche, andamenti rallentati e sfuriate estreme, sono ben congegnate ed accompagnate da un growl cavernoso ed una voce pulita all’altezza della situazione, molto espressiva e dai rimandi dark/prog.
I brani sono molto suggestivi, nel genere ben delineati e per nulla scontati, grazie ad una buona varietà di umori che pur mantenendo i colori su tonalità nere, rendono l’ascolto piacevole anche per chi non è propriamente un’anima oscura.
Si entra subito nell’aurea drammatica dell’opera con l’opener The Semblance of Eternal Mist, una death metal songs scritta su di un arcobaleno dai colori di un nero intenso che piano, si attenuano verso un grigio, come quando i lampi di luce schiariscono e ci fanno vedere le ombrose nuvole sopra di noi.
E’ un attimo, un battito di ciglia, in Inanimate Diary torniamo a galleggiare nell’immenso del mare e del cielo, la splendida voce pulita introduce il brano che di colpo vira ancora verso territori estremi, dalle ritmiche pressanti di nuovo aggrediti dal canto estremo di Dmitriy Stempkovskiy, protagonista di un’ottima interpretazione anche con le clean vocals.
Lullaby to Our Grudges risulta il brano più bello e struggente del lotto, insieme alla conclusiva No Will, quasi dieci minuti dove il gruppo russo affronta demoni, tra sfuriate estreme e armonie dark prog, con risultati davvero notevoli per teatralità, atmosfere e l’innato talento per i suoni melanconici e drammatici.
Le influenze si riscontrano nei primi lavori dei gruppi diventati icone del genere come Katatonia e Opeth, con riff e solo che richiamano i Dark Tranquillity, nelle parti più death oriented, anche se la band le inserisce in un contesto proprio, con ottima personalità, così che The Efflorescence risulti un ottimo ascolto per gli amanti del genere.
Gruppo dalle indiscutibili capacità gli Ephemereal Ocean vanno seguiti con attenzione, al prossimo giro potrebbero regalarci grosse soddisfazioni, consigliati.

TRACKLIST
1. The Semblance of Eternal Mist
2. Inanimate Diary
3. One More Carnation
4. Lullaby to Our Grudges
5. Angel That Conducted
6. Black Cobra
7. No Will

LINE-UP
Alexey Kostovitskiy – Guitars/Synths
Dmitriy Stempkovskiy – Vocals
Roman Vedeneev – Bass
Efim Burak – Drums/Percussion
Anton Garm – Guitars

EPHEMEREAL OCEAN – Facebook

Sadist – Hyaena

I Sadist ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica totale, travalicando generi e visioni ristrette per aprire veramente la mente, riuscendo a cogliere anche quello che c’è oltre ciò che vediamo.

Ascoltare i Sadist diventa una quaestio filosofica: siete pronti a viaggiare per lo spazio profondo o volete sentire un metal che avete già nella vostra testa?
La questione non è da poco.

I Sadist ci hanno abituato fin dagli albori della loro carriera cominciata nel lontano 1991 a volare molto alto, dischi come il primo “Above The Light” o il clamoroso “Tribe” ci hanno mostrato un modo differente di usare il metal come codice per legare culture molto differenti fra loro, e non nel significato dato dai Sepultura, perché i Sadist operano una sintesi a tutto tondo.
Questa volta la protagonista è la Hyaena e per estensione l’Africa, infatti troviamo anche l’ottimo percussionista senegalese N’Diaye che si unirà ai genovesi anche per i concerti dal vivo.
In questo disco la musica è un mezzo per viaggiare, e si ottiene un fusione di altissimo valore fra prog e metal, ma senza essere per questo un’opera prog metal, recinto che racchiude troppe vacche magre.
I Sadist ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica totale, travalicando generi e visioni ristrette per aprire veramente la mente, riuscendo a cogliere anche quello che c’è oltre ciò che vediamo.
Hyaena ci porta in profondità, ricercando le nostre radici con un suono metal che si trasforma in prog e prog che si sublima nel metal, come una nave chi si adatta a seguire le onde.
Non esiste un solo pezzo scritto male od interpretato male, e la rete tessuta dai Sadist non si esaurisce con la fine della canzone ma va ben oltre. Tutte le canzoni sono state scritte da Tommy Talamanca che è uno dei migliori compositori musicisti che ci sia in giro. I testi sono stati scritti da Trevor, e sono unici come sempre. Parliamo un po’ di Trevor, perché in questo disco è in forma strepitosa, cantando oltre le già alte vette da lui toccate precedentemente, e con la sua voce dà un timbro preciso al disco.
Chi già conosce i Sadist sa che questo album sarà differente come tutti gli altri, sicuramente molto diverso dal precedente “Season In Silence” che era il loro lavoro maggiormente metal.
In Hyaena c’è tutto,ed è sicuramente l’album migliore dei Sadist, lo si ascolta in continuazione e se ne vuole ancora.
Torna il quesito posta all’inizio: volete viaggiare o rimanere a terra?

Tracklist:
1. The Lonely Mountain
2. Pachycrocuta
3. Bouki
4. The Devil Riding the Evil Steed
5. Scavenger and Thief
6. Gadawan Kura
7. Eternal Enemies
8. African Devourers
9. Scratching Rocks
10. Genital Mask

Line-up:
Trevor Sadist – Lead Singer.
Tommy Talamanca – Keyboards,Guitars.
Andy Marchini – Bass.
Alessio Spallarossa – Drums

SADIST – Facebook

AA.VV. – A Treasure To Find, un Omaggio ai Novembre

Un’operazione del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle rispettive riproposizioni.

Prima di cominciare a parlare di questo album devo fare doverosamente outing: i Novembre non mi hanno mai fatto impazzire. Intendiamoci, non ho alcuna intenzione di sminuire (e del resto chi sono io per pensare di farlo ?) il valore oggettivo di una band che ha influenzato centinaia di musicisti, non solo nel nostro paese: il fatto è che il sound della creatura dei fratelli Orlando non è mai riuscito del tutto a far breccia in un cuore come il mio, che pure è propenso per natura ad emozionarsi ascoltando brani intrisi di malinconia come sono in effetti quelli dei Novembre. Come cantava qualcuno molti anni fa, evidentemente, è solo “una questione di feeling”.

Questa premessa, che ai più forse parrà superflua, è doverosa in quanto l’apprezzamento che andrò a descrivere nei confronti di questa ottima iniziativa della Mag-Music, non è quello del fan accecato dalla passione, bensì deriva esclusivamente dalla bontà delle rielaborazioni dei brani dei Novembre contenuti nel tributo.
Nove sono le tracce proposte con il contributo di dieci realtà musicali (in quanto Cold Blue Steel viene brillantemente rielaborata dall’accoppiata Vostok / Australasia), diverse per background e stile ma ugualmente ispirate nei rispettivi percorsi musicali dalla seminale band capitolina .
Nella scelta dei brani la parte del leone la fa il penultimo album “Materia” con quattro tracce (in effetti cinque se consideriamo che L’Alba di Morrigan propone mirabilmente in un sol colpo Aquamarine / Geppetto) lasciando il resto ai vari “Classica” (2), “Wish I Could Dream It Again…”, “Arte Novecento” e “Novembrine Waltz” (uno ciascuno), e tralasciando misteriosamente del tutto l’ultima testimonianza su lunga distanza “The Blue”.
Nel complesso l’operazione si rivela, comunque, del tutto azzeccata per la qualità intrinseca dei brani scelti e delle relative riproposizioni, con note di merito per l’operato di Lenore S. Fingers, dove possiamo apprezzare ancora una volta la splendida voce di Lenore, Shores Of Null, la band più metal del lotto che, non a caso, si appropria da par suo di The Dream Of The Old Boats ,uno dei brani più datati dei Novembre, e, come detto L’Alba di Morrigan con la poetica accoppiata tratta da “Materia”.
Di sicuro gradite a chi ha familiarità con la musica proposta, per assurdo questo tipo di iniziative possono rivelarsi utili soprattutto incuriosendo chi magari conosce solo di fama le band oggetto dei tributi, tanto più in questo caso specifico alla luce del recente annuncio (al punto che viene da chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina …) dell’imminente ritorno dei Novembre, guidati dai soli Carmelo Orlando e Massimiliano Pagliuso, a ben otto anni di distanza da “The Blue”.
Da applaudire quindi per la brillante intuizione i promotori del tributo, Marco Gargiulo della Mag-Music e Stefano Morelli di Rumore, a maggior ragione per la decisione di offrirne i contenuti in download gratuito.

Tracklist:
1. Valentine – Lenore S. Fingers (Novembrine Waltz)
2. The Dream Of The Old Boats – Shores Of Null (Wish I Could Dream It Again)
3. A Memory – Demetra Sine Die (Arte Novecento)
4. Aquamarine/Geppetto – L’Alba Di Morrigan (Materia)
5. Cold Blue Steel – Vostok & Australasia (Clasica)
6. Nostalgiaplatz – Arctic Plateau (Classica)
7. Memoria Stoica/Vetro – Shape (Materia)
8. Nothijngrad – Electric Sarajevo (Materia)
9. Jules – Lauren Vieira (Materia)

MAG MUSIC – Facebook

Orakle – Eclats

“Eclats” è un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza, ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Terzo album per i francesi Orakle, dediti ad una forma di progressive death/black certamente non inedita ma di indubbia qualità.

I musicisti coinvolti nel progetto (tra i quali troviamo Emmanuel Rousseau degli immensi 6:33 e dei Carnival In Coal) sono di primissimo ordine e lo dimostra ampiamente la padronanza tecnica esibita nel corso di Eclats.
Tutto ciò, alla fine, si rivela nel contempo pregio e limite dell’opera: infatti, chi ricerca passaggi intricati e ammantati da una buona dose di sana follia qui troverà pane per i suoi denti ma, di contro, sfido chiunque a memorizzare agevolmente non dico un brano intero ma una sua specifica porzione.
In effetti, all’ennesimo cambio di tempo eseguito in un amen dagli Orakle, l’ascoltatore meno avvezzo al genere rischia di finire a gambe levate come accaduto di recente al povero Boateng dopo la finta di Messi …
Volendo trovare un termine di paragone con un nome già noto si può dire che gli Orakle siano una sorta di versione meno estrema degli Ephel Duath: stessa perizia esecutiva, uguale ricerca di un suono anticonvenzionale e medesima difficoltà nel decrittarne la proposta.
Pur apprezzando il lavoro, ritengo che un minimo di linearità o in più lo avrebbe reso più appetibile e quindi migliore; per di più il suo svilupparsi nell’arco di quasi un’ora ed il ricorso alla lingua madre non ne agevolano sicuramente la fruizione.
Resta inteso però che Eclats, contraddistinto anche da una prestazione vocale versatile e da un lavoro chitarristico di fattura non comune, è comunque un buonissimo disco, probabilmente un po’ elitario nella sua essenza ma capace di soddisfare chi apprezza questa particolare commistione tra sonorità estreme ed evoluzioni strumentali di matrice progressive.

Tracklist:
1. Solipse
2. Incomplétude(s)
3. Nihil incognitum
4. Apophase
5. Le sens de la terre
6. Aux éclats
7. Bouffon existentiel
8. Humanisme vulgaire

Pierre “Clevdh” Pethe – Drums
Frederic A. Gervais – Vocals, Bass, Keyboards, Guitars
Antoine “OHM” Aubry – Guitars
Etienne Gonin – Guitars
Emmanuel Rousseau – Keyboards

ORAKLE – Facebook

Fragarak – Crypts Of Dissimulation

Ottimo lavoro, indicato per gli amanti degli Opeth, con il quale i Fragarak vi sorprenderanno.

Non male l’album di debutto di questa band, nata a Nuova Dehli nel 2012 ed arrivata all’esordio discografico lo scorso anno (l’album e’ datato 2013).

I Fragarak sono protagonisti di un death metal progressivo sullo stile dei primi Opeth, specialmente nelle numerose parti atmosferiche ma, mentre la band svedese nei primi album univa alla componente dark una forte connotazione black metal, gli indiani sono più orientati verso un old school death comunque sempre di matrice scandinava. L’album consta di sei brani dall’ottimo piglio, a partire dall’apertura acustica della bellissima Savor the Defiance, dove l’intro viene spezzato dall’entrata della ritmica e dall’urlo disumano del bravissimo singer Supratim Sen, ottimo sia nel cavernoso e animalesco growl sia nell’uso a tratti dello scream. Atmosfere drammatiche dall’impronta dark ed ottimi momenti acustici incontrano sfuriate elettriche dove la band, con cambi di tempo ed il buon uso delle soliste, riesce ad emozionare e quando l’acustica sfuma si riparte a mille con Insurgence, brano dall’impatto ultra heavy, dalle ritmiche vicine al black, per poi tornare a deliziarci con cambi di tempo, mentre sono sempre i due axeman (Arpit Pradhan e Ruben Franklin) a guidare il gruppo con solos drammaticamente malinconici. Stupendo il momento acustico che ci regala Effacing the Esotery, prima che il brano esploda in un vortice di suoni ed il basso introduca l’ennesima cavalcata chitarristica. Continua alla grande l’altalena tra momenti acustici ed altri elettrici (Dissimulation: An Overture), così l’album risulta affascinante e mai noioso, grazie al sapiente uso da parte della band di cangianti momenti tra calma apparente e furia death (Cryptic Convulsion). Tecnicissimi tutti i musicisti coinvolti, anche se la bravura tecnica non inficia l’emozionalità di un lavoro veramente ben riuscito. Crypts Of Dissimulation si chiude con un’altra perla acustica dal titolo Psalm of Deliverance, che mette la parola fine ad un disco sorprendente inciso da una band che merita d’ essere scoperta.

Tracklist :
1. Savor the Defiance
2. Insurgence
3. Effacing the Esotery
4. Dissimulation: An Overture
5. Cryptic Convulsion
6. Psalm of Deliverance

Line-up:
Kartikeya Sinha – Bass
Sagar Siddhanti – Drums
Ruben Franklin – Guitars
Arpit Pradhan – Guitars
Supratim Sen – Vocals

FRAGARAK – Facebook

Nefesh – Contaminations

Album d’autore per i Nefesh, splendida realtà del metal tricolore e grande acquisto in casa Revalve.

Secondo album per gli anconetani Nefesh, creatura prog/death dal notevole impatto che, sotto l’attenta Revalve, licenzia questo bellissimo lavoro.

Fondata nel 2005 e, dopo il classico demo di esordio, l’anno successivo la band registra nel 2011 il primo full-length dal titolo “Shades and Light”, masterizzato presso i famosi Finnvox Studios di Helsinki e che portano una discreta notorietà al gruppo anche fuori dai confini nazionali. Arriviamo così a ottobre dello scorso anno, quando i Nefesh cominciano i lavori per questo nuovo Contaminations, consegnato a noi all’inizio di aprile. È un lavoro tragicamente oscuro, pregno di rabbia, controllata dall’immensa tecnica dei nostri e incanalata in un songwriting eccelso, nel quale trovano spazio spunti di più generi metallici, che vanno dal power al thrash, dal death al prog e dove non mancano momenti di pura poesia in musica, avallata da un cantato in italiano che rarissime volte ho trovato così ben inserito in un contesto del genere. Produzione stellare ed uno spirito prog mai domo, fanno di questo album un viaggio entusiasmante nell’arte delle sette note che arriva all’apice nella trilogia My Black Hole / Figlio Della Vita / My White Star, praticamente una suite divisa in tre parti dove la lingua italiana e quella inglese convivono in perfetta, drammatica armonia, in un crescendo tragico pari solo a una “Trial Before Pilate”, da Jesus Christ Superstar di Andrew Lloyd Webber (My Black Hole) suonata dai King Crimson. L’album, pur mantenendo una tensione altissima, passa da momenti ultraheavy a bellissimi passaggi acustici, piccoli sprazzi di ariose aperture melodiche per tornare in un attimo nel più oscuro tunnel dove non si trova via d’uscita, accompagnati dalla voce del superlativo Paolo Tittarelli, grandissimo vocalist dalle mille risorse, passionale, teatrale, bravissimo nello screaming e meraviglioso quando il suo tono pulito si fa drammatico: in poche parole uno dei più bravi cantanti in circolazione. Non da meno i picchiatori del combo Michele Baldi alla Batteria e Diego Brocani,nuovo arrivato in casa Nefesh, al basso; Luca Lampis alla sei corde e Stefano Carloni alle tastiere completano una squadra perfetta, vera macchina che sa trasmettere emozioni come pochi altri, confezionando un’opera d’arte che va aldilà del mero genere, per inserirsi tra quei pochi artisti che regalano musica a 360°. Reborn Together, The Shades, la bellissima Una Piacevole Sorpresa, ancora cantata in italiano, sono esempi della grandezza di questa band che, a modo suo, è riuscita a far compiere un balzo in avanti al prog metal, un genere che, troppe volte, supportato solo dalla tecnica dei musicisti, si dimentica di toccare l’anima di chi lo ascolta. Album da avere assolutamente!

Tracklist:
1. Intro
2. Reborn Together
3. Una piacevole sorpresa
4. The Shades
5. My Black Hole (Trilogy Part I)
6. Figlio della vita (Trilogy Part II)
7. My White Stars (Trilogy Part III)
8. Dreams Beyond the Sky
9. Oltre me
10. After the End
11. Outro

Line-up:
Diego Brocani – Bass
Michele Baldi – Drums
Luca Lampis – Guitars
Stefano Carloni – Keyboards
Paolo Tittarelli – Vocals

NEFESH – Facebook

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Code – Augur Nox

Il prog death dei Code convince nonostante una proposta d’impatto tutt’altro che immediato

Il ritorno al full-length dei britannici Code, dopo quattro anni, ci mostra un approccio decisamente interessante al metal di stampo avanguardistico.

Curiosamente, la Agonia Records ha pubblicato quasi in contemporanea questo lavoro e l’ultima fatica degli Ephel Duath benché entrambi, sempre secondo un metodo di catalogazione piuttosto sommario, possano essere inseriti nel filone stilistico sopra accennato.
Le differenze tra questi due album sono però sostanziali, dimostrando quanto sia ampio il margine di manovra, e l’unico tratto comune individuabile senza troppa fatica è un suono in costante progressione e contraddistinto da un esecuzione strumentale di prim’ordine; ma, mentre la creatura di Davide Tiso preferisce indulgere in un mood soffocante , relegando a sporadiche apparizioni l’aspetto melodico, il combo inglese guidato da Aort, unico superstite della precedente line-up nonché bassista degli ottimi Indesinence, mostra un songwriting relativamente più fruibile nonostante sia evidente che un disco come Augur Nox debba essere ascoltato e riascoltato prima di poterne cogliere le diverse sfumature.
Se è innegabile che le atmosfere opethiane si manifestano più di una volta in maniera piuttosto evidente, è altresì vero che i ritmi impressi dai Code sono spesso decisamente elevati e riservano i rari momenti di riflessione confinati ai brevi strumentali inseriti nei punti strategici della track-list: questo conferisce al sound quella dinamicità che spesso riesce a compensare la frammentarietà insita in un genere come questo.
Se a tutto ciò aggiungiamo una prestazione vocale di grande versatilità ed efficacia da parte di Wacian, capace di spaziare dal growl a passaggi dalla spiccata eleganza , non si può che approvare senza particolari riserve l’operato della band londinese.
Augur Nox è un disco che, pur nella sua complessità, potrebbe trovare estimatori dalle ampie vedute provenienti da qualsiasi schieramento, metallico e non; brani come Ecdysis, autentico labirinto compositivo capace di disorientare lo stesso Minotauro, The Shrike Screw, dai vaghi sentori anathemiani, almeno nella parte iniziale, o la conclusiva White Triptych, avvicinabile alle atmosfere dei connazionali A Forest Of Stars, sono gli episodi migliori assieme alla splendida The Lazarus Chord, vero manifesto musicale di una band sicuramente non per tutti, ma ugualmente accattivante per chi abbia voglia e tempo di approfondirne la conoscenza.

Tracklist:
1. Black Rumination
2. Becoming Host
3. Ecdysis
4. Glimlight Tourist
5. Dx.
6. Garden Chancery
7. The Lazarus Chord
8. The Shrike Screw
9. Rx.
10. Trace Of God
11. Harmonies In Cloud
12. White Triptych

Line-up :
Wacian (Voce)
Aort (Chitarre)
Andras (Chitarre)
Syhr (Basso)
Lordt (Batteria)

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Xenosis – Of Chaos And Turmoil

Se da una parte è lecito apprezzare dischi che traggono la loro forza dall’integrità stilistica, dall’altra non si può fare a meno di lodare ed incoraggiare chi non si pone troppi limiti compositivi, provando ad abbattere i confini, spesso eretti in maniera artificiosa, tra i diversi generi musicali.

Notevole prova di forza da parte degli esordienti Xenosis, giovane band britannica in forza alla label nostrana Wormholedeath, tramite la proposta di un progressive death che tiene fede all’etichetta in virtù di continui cambi di tempo e di atmosfera nel corso di tutta la durata di Of Chaos And Turmoil, senza perdere mai di vista la componente estrema del sound.

La title-track e la successiva Building Seven, poste in apertura, delineano in maniera chiara quali siano le caratteristiche del combo della Cornovaglia: innumerevoli variazioni sul tema, quasi mai fine a se stesse, inserite in maniera appropriata all’interno di un tessuto sonoro costruito su un riffing violento ma cangiante e contrassegnato dall’ottimo growl di Ryan Denning, il quale si lascia andare di rado a passaggi puliti, per lo più recitati.
In diversi frangenti emergono alcune assonanze con il lato più aggressivo e sperimentale dei Mudvayne del terremotante disco d’esordio, per l’uso decisamente fuori dagli schemi consueti del basso e della base ritmica, oltre che per la timbrica vocale di Ryan talvolta molto simile a quella di Chad Gray; in altri momenti vengono esibite le naturali influenze provenienti sia dalla scuola death d’oltremanica, sia dalla componente più tecnica del genere, con i Death quale inevitabile punto di riferimento.
Si potrebbe pensare, quindi, che il tentativo di convogliare tutti questi aspetti abbia dato come frutto un prodotto difficilmente digeribile ma, per fortuna, non è così: i quattro dimostrano d’avere le idee molto chiare in ogni frangente, supportati da un tecnica individuale all’altezza del compito; la varietà stilistica diventa così un valore aggiunto, piuttosto che un ostacolo, nel favorire l’accessibilità di un disco solo apparentemente ostico.
Chiaramente, il rischio per i Xenosis è quello di risultare troppo cervellotici per gli appassionati del death più canonico e troppo brutali per chi ama le atmosfere più soffuse e raffinate del prog ma, del resto, se da una parte è lecito apprezzare dischi che traggono la loro forza dall’integrità stilistica, dall’altra non si può fare a meno di lodare ed incoraggiare chi non si pone troppi limiti compositivi, provando ad abbattere i confini, spesso eretti in maniera artificiosa, tra i diversi generi musicali.
Un ottimo lavoro che, come è intuibile, si renderà ancora più apprezzabile dopo ripetuti ascolti.

Tracklist :
1. Of Chaos & Turmoil
2. Building Seven
3. Homeland Insanity
4. Soulless Army
5. All Seeing Eye
6. Bromance
7. I Am Caesar
8. Abyssuss
9. Nature Erased
10. Bilderberger King

Line-up :
Ryan Denning – Bass & Vocals
Dean Slaney – Guitars
Jules Maas-Palmer – Guitars
Ross Mitchell – Drums

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