Algoma / Chronobot – Split 12”

Uno split godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Split album per due band canadesi, Algoma e Chronobot, con i primi già trattati in questa sede in occasione del full length d’esordio Reclaimed by the Forest del 2014.

Questa operazione, oltre a consentirci di ascoltare nuovo materiale, mette in luce le differenze tra due band che, se prese separatamente, potrebbero essere considerate simili tra loro a causa della comune appartenenza alla scena sludge doom.
In effetti tale collocazione si addice maggiormente agli Algoma, molti più aspri, grezzi e distorti, con l’utilizzo prevalente di uno screaming quale soluzione vocale ed il ricorso frequente ad un’effettistica disturbante; i Chronobot, invece, sono maggiormente orientati ad uno stoner ugualmente deformato ma leggermente più tradizionale: qui la voce è più vicina alla timbrica di un Matt Pike e la componente psichedelica si manifesta con una certa continuità.
Diciamo pure che i Chronobot si rivelano senz’altro meno ostici all’ascolto e che i loro tre brani mostrano una versione del genere ugualmente ruvida ma ricca di soluzioni notevoli, inclusa una chitarra solista in puro stile Bevis Frond (per chi se lo ricorda); i due brani degli Algoma mantengono, invece, la band dell’Ontario sul proprio aventino musicale: zero compromessi e nessuna intenzione di scendere a patti con qualsivoglia tentazione melodica, soluzione alla portata di molti giusto per un quarto d’ora, ma tutta da verificare sulla lunghezza di un album intero per gli ascoltatori meno pazienti o poco avvezzi a tali sonorità.
Uno split comunque godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Tracklist:
Side A
1. Algoma – Phthisis
2. Algoma – Electric Fence
Side B
3. Chronobot – Red Nails
4. Chronobot – Jerry Can
5. Chronobot – Sons of Sabbath

Line-up:

Algoma
Kevin Campbell – Bass/Vocals
Boyd Rendell – Guitar/Vocals
JV- Drums

Chronobot
Dafe – Guitars, Vox and Cosmic FX
Quinton – Lead Guitar
Cody – Psych Battery
Scott – Bass
Darius – Keys/FX

ALGOMA – Facebook

CHRONOBOT – Facebook

Lightsucker – Zammal

Per chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

Stoner suonato senza tregua, ed in maniera che fa emergere questa band finlandese sopra le altre di questo genere ora molto inflazionato.

Ascoltando i Lightsucker si può godere della loro ricchezza stilistica, poiché possiedono un modo notevole di fare stoner e sludge, molto diretto e potente, colate laviche messe in musica, movimenti sinuosi di un serpente nel deserto. Attivi dal 2013 nella cittadina di Lahti, i Lightsucker avevano al loro attivo solo un demo , Carved In Cockstone del 2014, e poi questo disco che è un rimarchevole esordio. Ci sono elementi che li rendono diversi, quali la potenza ed il tiro, molto superiori alla media. Chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

TRACKLIST
1. 1 %
2. Solitary Confinement
3. Control Zone
4. Doomsday Artillery
5. Written While Stoned
6. All Out Reset
7. Sulfur & Jimson Weed
8. Aesthetics of Emptiness
9. Continental Landmass Dictator

LINE-UP
Tomi – Vocals.
Jussi – Bass.
Matti – Drums.
Atte – Guitar.

LIGHTSUCKER – Facebook

Sunnata – Zorya

Il sound proposto è uno dei più estremi in circolazione ma i Sunnata lo maneggiano con buona disinvoltura

La scena polacca è sicuramente più famosa per il death ed il black metal, generi che in quella terra hanno trovato terreno fertile in questi ultimi anni, ma scavando nell’underground ci si può imbattere in realtà che fanno proprie sonorità che guardano all’hard rock o, come in questo caso, allo stoner estremo.

Doom e sludge riempiono di potenza fuzz il sound di questa minimale band di Varsavia, nata solo tre anni fa, ma con già un precedente album all’attivo, Climbing the Colossus del 2014.
Conosciuto fino al 2013 come Satellite Beaver, il quartetto torna con un monolitico lavoro di cinque brani, dalla durata media che si assesta sui dieci minuti, quindi lunghe jam di sporco sludge potentissimo, riff massicci e qualche accenno più melodico che riporta la band sulle strade più sicure dello stoner.
Si parte con l’opener Beasts Of Prey e si capisce subito che l’ascolto sarà di quelli tosti, i quattro cerimonieri polacchi non vanno troppo per il sottile, il magma elettrico sprigionato dagli strumenti investe l’ascoltatore e la band, compatta, crea questo vortice sonoro, che attanaglia lo stomaco, come una morsa, dolorosa e senza tregua.
Per essere un’autoproduzione Zorya esce alla grande, il volume di potenza sprigionato è altissimo anche se, nelle lunghe jam, a tratti l’atmosfera si attenua un poco (Long Gone), per riesplodere in un’attimo in tutta la sua distruttiva e debordante potenza minimale.
E New Horizon deflagra in un’esplosione di sonorità fuzz, una lunga cerimonia di dolore, lenta e inesorabile, con gli strumenti al limite e la voce che arriva come da un altro mondo, melodicamente drammatica.
Un martello sonoro e brano più riuscito di questo album, la song è quella più vicino al doom, anche se qualche elemento noise tiene il sound ancorato alle più moderne sonorità sludge.
Per gli amanti del genere Zorya è un ascolto sicuramente consigliato, il sound proposto è uno dei più estremi in circolazione, ma la band lo maneggia sempre con buona disinvoltura.

TRACKLIST
1. Beasts of Prey
2. Zorya
3. Long Gone
4. New Horizon
5. Again and Against

LINE-UP
DOB – Bass
ROB – Drums
GAD – Guitars
SZY – Guitars, Vocals

SUNNATA – Facebook

Love Sex Machine – Asexual Anger

La seconda prova per I Love Sex Machine presenta uno sludge brutale, ossessivo e ossessionante. Continuamente colpiti all’addome, il disco toglie il respiro. Le angoscianti sezioni ritmiche, le liriche malate e la voce distorta, alla fine, risultano stranamente affascinanti.

A distanza di 4 anni dal suo primo lavoro, la band di Lille esce con Asexual Anger, un album che per quanto possibile è ancora più brutale, più schiacciante, con urla infernali di supplizio e di paura.

La title track inizia con battute piuttosto cupe, succedute da un esplosione sonora caratterizzata da un aumento di potenza, da chitarre più massicce e voce straziante. Testo allucinante in cui ritroviamo piatti di carne umana, testicoli stufati ripieni di formaggio, pizza allo scroto e peni fritti croccanti. La rabbia sessuale ribolle e si manifesta in tutta la sua follia.
Drone Syndrome è una lama che entra in una ferita ormai putrida e marcescente, infliggendo dolore continuo. Solo una breve e sadica pausa fa riposare le cavità orali, ma poi riprendono agonia e martirio.
Trionfante e celebrativa Black Mountain si articola su una base di fondo piuttosto lenta rispetto al resto dell’album, nella quale si innestano lamenti carichi di sofferenza, con liriche meno disturbate.
Il morbo di Aujesky è l’equivalente della rabbia per i maiali, quindi non serve aggiunger altro. Il testo è pesantissimo, da far venire gli incubi al gentil sesso.
Devolution è l’equivalente di unghie passate su una lavagna, mentre preservativi volanti e donne con le gambe aperte che aspettano una pioggia di sborra sono il tema centrale della insana Atrocity.
Carni lacerate da sadici strumenti di tortura, sonorità da re degli inferi che impartisce sofferenze, Infernal Spiral è la perfetta colonna sonora di un incessante castigo a cui un anima può essere sottoposta.
I Love Sex Machine hanno vomitato un album con copertina dalle grafiche prossime alla censura, così pesante da tenerti schiacciato al suolo. Non mi sorprenderebbe sapere che una buona parte degli ascoltatori, in fondo in fondo abbia bisogno di terapia. Satanismo ed esperienze sessuali decisamente particolari, presentate sotto forma di lamenti e musica che ti fanno sperare di perdere l’udito. Ma alla fine il tutto risulta estremamente affascinante, quasi come se fossimo falene attirate da una luce in mezzo al buio, metafora di uno sludge ossessionante mescolato con dell’hardcore brutale.

TRACKLIST
1. Asexual Anger
2. Drone Syndrome
3. Black Mountain
4. Aujeszky
5. Devolution
6. Atrocity
7. Infernal Spiral
8. Silent Duck

LINE-UP
Yves – Chitarra, Voce
Xavier – Batteria
Guillaume – Basso, Chitarra

LOVE SEX MACHINE – Facebook

Hollow Leg – Crown

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Un disco praticamente perfetto, un’opera incentrata sul serpente Set che sta dominando il mondo, un suono che come un serpente si snoda e torna su stesso, per alzarsi verso il cielo.

Terzo disco per gli Hollow Leg, secondo su Argonauta Records. Rispetto a ad Abysmal del 2013 la ricerca di un suono che possa essere infestato da vari generi continua. La base di impasto è lo sludge stoner, ma questo disco, come gli Hollow Leg stessi, sono fortemente southern, sia per la loro provenienza floridiana che per la loro musica. La produzione perfetta, anche grazie alla masterizzazione di Sanford Parker dei Corrections House, mette in primo piano questo miracolo sonoro, che senza tanti effetti od acrobazie toglie la patina a qualcosa di davvero antico e lo rende in musica. Tutto il disco non ha un momento di cedimento, la lancetta rimane sempre in alto, creando un’atmosfera davvero unica. Un altro grosso valore di Crown è la ragione per la quale è stato concepito. Questo disco parla di Set e di come il dio serpente sta dominando il mondo. La sua dominazione è sottile, eppure è sotto i nostri occhi in qualsiasi momento della nostra vita. Le stigmate del serpente sono possessione e schiavitù, che sono le parole d’ordine del nostro sistema economico e di vita. Solo il serpente può mangiare la sua corona, e noi lo riforniamo quotidianamente di energia. Tutto ciò lo ritroviamo in Crown, un disco che ha davvero un peso specifico, una forza incredibile, come un gas che passa sotto le porte ed arriva ovunque. I riferimenti possono essere trovati volendo, ma gli Hollow Leg sono unici e questo disco lo conferma. La prima edizione sarà limitata a 250 copie in vinile colorato.

TRACKLIST
SIDE A
1.Seaquake
2.Coils
3.The Serpent in the Ice
4.Atra
5.Side B
6.Electric Veil
7.Seven Heads
8.New Cult

LINE-UP
Brent
Tim
Scott
Tom

HOLLOW LEG – Facebook

Camel Of Doom – Terrestrial

Gli inglesi Camel of Doom sono una band attiva ormai dagli inizi del nuovo millennio e Terrestrial è la loro quarta prova su lunga distanza.

Come da ragione sociale, il genere trattato è ovviamente il doom, ma questo viene maneggiato con sperimentale padronanza ed un’aura cosmica che in certi momenti avvicina il suono a quello dei Monolithe.
La proposta dei britannici è, però, molto più inquieta, sfuggendo più di una volta all’orbita del genere per poi rientrarvi repentinamente con rallentamenti mortiferi.
Terrestrial , con queste premesse, non può essere quindi un album di agevole fruizione ma è decisamente un’opera di grande spessore; qui il sentimento prevalente che scaturisce è l’inquietudine piuttosto che il dolore o la commozione e, a differenza di questi ultimi due stati d’animo, tende a stabilizzarsi senza trovare alcuno sfogo.
Una sorta di implosione che si protrae per oltre un’ora senza provocare stanchezza, grazie a un livello di tensione costantemente alta e ad un sempre eccellente lavoro del leader Kris Clayton (con un passato negli Imindain e, come chitarrista dal vivo, negli Esoteric), il quale si occupa di tutti gli aspetti ad esclusione della base ritmica. A livello vocale, Clayton opta per uno screaming/growl di matrice sludge, mentre gli altri strumenti vengono utilizzati per un risultato d’insieme che è antitetico a protagonismi di matrice solista.
Anche se soggiace ad una suddivisione per brani, di fatto Terrestrial va inteso come un flusso sonoro continuo, in cui la malinconia lascia spazio ad uno sgomento ora rabbioso, ora rassegnato: i Camel Of Doom non mollano mai la presa, un malessere cosmico aleggia in ogni passaggio rendendo persino difficile una catalogazione certa del sound proposto; dovendo scegliere un momento dell’album, direi che Pyroclastic Flow svetta grazie anche al terrificante contributo del basso di Simon Whittle e al misurato gusto elettronico conferito alla traccia dalle tastiere di Clayton.
Un grande disco che mi lascia in eredità un senso di straniamento che, solo di rado, la musica mi provoca (per esempio con gli album più sperimentali dei Blut Aus Nord, anche se potrebbe sembrare una accostamento ardito vista la diversità dei generi trattati): dannatamente pericoloso ed altrettanto efficace.

Tracklist:
1. Cycles (The Anguish of Anger)
2. A Circle Has No End
3. Pyroclastic Flow
4. Singularity
5. Nine Eternities
6. Euphoric Slumber
7. Sleeper Must Awaken
8. Extending Life, Expanding Consciousness

Line-up:
Simon Whittle – Bass
Ben Nield – Drums
Kris Clayton – Guitars, Vocals, Keyboards

CAMEL OF DOOM – Facebook

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Department Of Correction / Agathocles : Ultra Grindcore vs. Slumbering Sludge

Un gran bello split tra due gruppi che vanno oltre le convenzioni e che ci regalano un qualcosa di nuovo ma con uno spirito antico.

Dividere un disco fra varie band è una pratica consolidata in ambito hc grind metal ed affini, e in questo caso uniscono le forze i francesi Department Of Correction e i mitici belgi Agathocles.

I Department sono un gruppo che fa un grind che deve molto ai primi dischi dei maestri Brutal Truth e Napalm Death, ma i ragazzi francesi ci aggiungono molto di loro, dando a quel suono un tocco importante di modernità.
I loro sei pezzi sono ultra moderni e suoanti molto bene, veloci e precisi. Nell’altro lato dell’Lp ecco gli Agathocles, un gruppo che ha una credibilità ed un reputazione che ben pochi altri gruppi di tutti i generi musicali possono vantare. In giro da tantissimo, hanno scritto la storia del grind più politicizzato, facendo nascere il crust e indicando la via a generazioni di gruppi incazzati e rumorosi. In questo split ci propongono qualcosa di davvero differente rispetto a quello che hanno inciso fino ad ora. La loro partecipazione è un pezzo di oltre sei minuti in stile sludge molto pesante e claustrofobico, che dà l’idea di ciò che potranno fare in futuro dimostrando di non sapere andare solo veloci, ma scavando benissimo in profondità.
Un gran bello split tra due gruppi che vanno oltre le convenzioni e che ci regalano un qualcosa di nuovo ma con uno spirito antico.

TRACKLIST
DEPARTMENT OF CORRECTION:
1. Greencore Is Leaf
2. The Tank Is In The Garden
3. Suck It Up
4. Do It Like
5. Try To Set It Free

AGATHOCLES:
6. Into My Crypts

LINE-UP
Agathocles
Jan – Vocals, Bass
Nils – Drums, Vocals
Koen – Guitars

Department of Correction
Yohann Dieu – Drums
Florian Chrétien – Guitars
Grégoire Duclos – Vocals

DEPARTMENT OF CORRETION – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Kaross – Two

La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti.

Monolite sonico che cade nelle lane svedesi per conquistare il globo.

Questo disco ha una storia non semplice ma un finale per fortuna lieto. Two avrebbe dovuto vedere la luce nel 2013, ma per problemi con la loro precedente etichetta i Kaross non hanno potuto pubblicare il disco. Così succede cò che doveva succedere, ovvero il gruppo si riprende indietro i diritti per pubblicare il disco, che preceduto da due singoli vedrà la luce nel febbraio del 2016.
Il disco, il seguito di Molossu del 2007 è un potentissimo concentrato di stoner, sludge, rock and roll, un agglomerato ad altissima densità di groove. La caratteristica maggiore e migliore dei Kaross è di saper generare un muro di suono cono un groove particolare e che ti uncina subito per non lasciarti. Immaginatevi i Black Label Society più concreti, i Fu Manchu più convinti e i Black Sabbath con tanti watt in più. Two è un gran disco di un ottimo gruppo che pur essendo in giro dal 2002 non ha mai sfornato tante cose, ma tutte di una qualità eccezionale. Questo disco è del 2013 ma avrà ancora cose da dre negli anni futuri. I cuori di chi fra di voi ama la musica pesante saranno stra felici nell’ascoltare questo disco che ha seriamente rischiato di non vedere mai la luce, e sarebbe stato bruttissimo per tutti.

TRACKLIST
01. Burn Witch Burn
02. Borderline
03. The Lake, The Beach
04. The Evil
05. TWO
06. I Call The Shots
07. All Cream Is Gone
08. Hyde
09. Fawn
10. Dirty Beer

LINE-UP
Magnus Knutas – Lead Vocals
Kalle Sjöstrand – Lead Guitar
Patrik Olsson – Bass, backing vocals
Mojje Andersson – Drums, backing vocals

KAROSS – Facebook

[P.U.T] – Like Animals (Reissue)

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante.

I [P.U.T] sono fondamentalmente un affare di famiglia, visto che da ormai quindici anni i fratelli Beyet lo portano avanti proponendo una forma aspra e per nulla amichevole di industrial/sludge metal.

Like Animals è la riedizione, a cura della Cimmeran Shade Recordings, dell’album uscito nel 2012 e si rivela utile per riportare l’attenzione su una band oggettivamente interessante anche se, probabilmente a causa del mio retaggio, ne prediligo il sound quando si sposta maggiormente verso lo sludge.
Non a caso ritengo Zoo una vera e propria traccia killer, emblematica di come i nostri sappiano fare male quando sparano senza misericordia riff fangosi e rallentati, corredati da una sirena in sottofondo che sembra proprio quell’ambulanza che sta per venirti a raccogliere dopo esser stato annientato da cotanta pesantezza.
Per il resto i nostri si muovono sulla nobili tracce di Godflesh e Ministry, con buoni risultati come nella squadrata Exuvia e nella bizzarra IT, anche se rispetto a queste band e agli interpreti maggiori del genere restiamo comunque un gradino sotto, ma ugualmente su livelli in grado di attrarre l‘attenzione degli appassionati, in virtù di un approccio che spesso va a lambire per attitudine territori punk.
Rispetto alla versione originale, il lavoro contiene tre bonus track sotto forma di remix, l’ultimo dei quali è proprio la riproposizione dub di Zoo, piuttosto inoffensiva in questa sua veste.
Resta comunque lodevole l’idea di ripubblicare l’album, anche se inevitabilmente si parla di brani la cui stesura risale a 4 anni fa; a coloro che fossero interessati a verificare lo stato di salute attuale dei [P.U.T] consiglierei, quindi, di andarsi ad ascoltare anche i brani contenuti nello split con i Grünt-Grünt, uscito l’anno scorso.

Tracklist
01. In The Lake
02. Zoo
03. Exuvia
04. There’s A Mammoth In This Room
05. IT
06. Like Animals
07. Broke A Line
08. It Ain’t Gonna Be Fun
09. Rapture Of The Deep “In The Lake” (Remake By Azuki)- Bonus Track
10. Broke A Line (Remix by Garlic.wav)- Bonus Track
11. Zoo (Dub mix by NE555)- Bonus Track

Line-up:
Lionel Beyet: Bass/Voice/Rythms
Nicolas Beyet: Guitar/Voice/Rythms
Loïc Beyet: additional guitar&rythm on 8

[P.U.T] – Facebook

Absent/Minded – Alight

Una band compatta, che svolge in maniera ottimale il proprio compito senza lasciarsi tentare da voli pindarici ma neppure limitandosi ad una calligrafica riproposizione dello sludge: per quanto mi concerne, va benissimo così.

Magari avrò la memoria corta, ma lo sludge/doom non è un genre tra i più battuti in assoluto nelle metallicamente fertili lande teutoniche.

Anche per questo il terzo album degli Absent/Minded, intitolato Alight, è una piacevole sorpresa, pur senza apportare chissà quale novità alla materia trattata.
Il lavoro del quartetto bavarese spicca, sostanzialmente, grazie al suo incedere monolitico ma nel contempo abbastanza accessibile, dove le sole parti più ortodossamente doom appaiono come veri e propri muri invalicabili; al contrario, allorché il sound alza seppur di poco i ritmi, i fangosi riff inducono ad uno scapocciamento convinto e tutt’altro che meccanico.
L’opener Light Remains è un perfetto esempio della disinvoltura con la quale gli Absent/Minded riescono a mettere in scena in maniera accattivante trame ampiamente conosciute: alla fine il segreto, che poi non è neppure tale, si riduce al non appesantire ulteriormente con soluzioni cervellotiche un genere che, già di suo, è lieve come un granitico macigno.
Da notare anche il crescendo di un brano come Arrivers, con un basso che si ritaglia un ruolo importante nel delinearne l’andamento, e l’incipit acustico della conclusiva di So Dark, The Con Of Man che, successivamente si allinea al contesto nel macinare riff distorti e dannatamente efficaci.
Per concludere, sono felice che gli Absent/Minded non si siano allineati ad una tendenza che non mi convincerà mai al 100%, pur non essendo deprecabile a prescindere, che è quella di proporre un genere così pesante in versione esclusivamente strumentale: il buon Steve punteggia i brani con il suo growl nella media, ma tanto basta per tenere a debita distanza il rischio noia, autentica iattura per chi si avvicina all’ascolto di qualsiasi disco.
Una band compatta, che svolge in maniera ottimale il proprio compito senza lasciarsi tentare da voli pindarici ma neppure limitandosi ad una calligrafica riproposizione dello sludge: per quanto mi concerne, va benissimo così.

Tracklist
1. Light Remains
2. Stargazin’
3. Clouds
4. Arrivers
5. Skies Of No Return
6. So Dark, The Con Of Man

Line-up:
Steve – Vocals
Uwe – Guitars
Andreas – Bass
Jürgen – Drums

ABSENT/MINDED – Facebook

Of Spire & Throne – Sanctum in the Light

Ogni riff è un chiodo piantato nelle carni con metodica lentezza, e noi masochisticamente non ci accontentiamo, desiderando che il supplizio prosegua all’infinito.

Dopo diversi EP ed un split album, gli scozzesi Of Spire & Throne decidono finalmente di realizzare il loro primo full length, mettendo a serio repentaglio la salute mentale dei loro potenziali ascoltatori con uno sludge/doom al quale la definizione di “pachidermico” va persino un po’ stretta.

Il lato fangoso e caliginoso del genere viene qui portato alle estreme conseguenze ma il tutto, quasi magicamente, nel corso della sua oretta scarsa di durata riesce a non annoiare mai, complice un impatto ruvidamente spontaneo che provocherà al massimo qualche mal di testa dovuto al pesante oscillare della scatola cranica e di tutto il suo nobile contenuto.
Qui ogni nota è ribassata e distorta all’ennesima potenza ma, grazie alla produzione di Chris Fielding e alla masterizzazione di James Plotkin, la resa sonora è perfettamente commisurata agli intenti bellicosi della band di Edimburgo (ovviamente se siete alla ricerca di suoni leccati passate comunque oltre …): tre brani lunghissimi (il quarto, Fathom, è leggermente più breve e dai tratti sperimentali, ma non per questo meno pernicioso), nei quali affiora di tanto in tanto una voce che non fa presagire alcunché di rassicurante, inchiodano l’ascoltatore alla poltrona esibendo senza mediazioni il frutto di anni di escavazioni all’interno degli anfratti più putridi.
In fondo non c’è molto altro da raccontare di quest’opera monolitica, in grado di oscurare in un attimo anche gli scenari più bucolici: ogni riff è un chiodo piantato nelle carni con metodica lentezza, e noi masochisticamente non ci accontentiamo, desiderando che il supplizio prosegua all’infinito.
Nel corso di alcuni (presunti) barlumi di lucidità ho pensato che se Lee Dorrian e Gary Jennings non fossero già stati nella fase iniziale del loro trip psichedelico, forse Forest Of Equilibrium avrebbe potuto suonare molto simile a Sanctum in the Light, di sicuro come pesantezza questo lavoro non è da meno, anche se in quel caso si parla sempre e comunque di una pietra miliare del genere: però non è che gli Of Spire & Throne ci vadano poi così lontani, provare per credere ….

Tracklist:
1.Carrier Remain
2.Fathom
3.Upon the Spine
4.Gallery of Masks

Line-up:
Matt Davies – bass, vocals
Ali Lauder – guitar, vocals, bass, synth, harmonium
Graham Stewart – drums, guitar, synth

Guillaume Martin – guitar

OF SPIRE AND THRONE – Facebook

VOID OF SLEEP

Dopo aver recensito il loro ottimo album New World Order, mi sono venutee in mente alcune domande da porre ai Void Of Sleep, che sono a mio avviso uno dei gruppi più interessanti attualmente in Italia. E chiacchierando con loro l’interesse aumenta molto …

iye Come è nato New World Order?

Burdo: Come anche il precedente lavoro è nato dalla collaborazione e dal bagaglio di tutta la band, a differenza di prima però, questa volta abbiamo voluto concentrarci su un argomento comune per tutto l’album, che coinvolgesse il nostro songwriting fondendo le parole e la musica in un unico mood: volevamo fare qualcosa di diverso dal nostro primo album, qualcosa di più oscuro ma anche trionfante e disperato, volevamo più cattiveria, ma anche più melodia, volevamo insomma estremizzare le nostre peculiarità, compresa la parte progressiva del nostro suono, così quando ho presentato agli altri l’idea del concept siamo partiti con le idee chiare.

Gale: L’ idea del concept che ha avuto Burdo ci è subito piaciuta, anche perché, come ormai credo si sia capito, siamo fan degli anni 70, del prog e della psichedelia e molti gruppi che amiamo hanno fatto concept-album in quegli anni; questo non significa che avevamo la pretesa di rifare uno di quei capolavori, ma diciamo che misurarsi con un tipo diverso di scrittura poteva essere una sfida affascinante, e lo è stato.

iye Pensate che attraverso musica come la vostra ci possa essere un cambiamento in positivo nella gente?

Burdo: Beh, personalmente non credo, noi abbiamo solo scritto di un argomento che troviamo “diabolicamente” affascinante, esprimendo nostre opinioni e metafore … è una storia insomma, ognuno può vederci quello che vuole, non abbiamo la presunzione di insegnare nulla a nessuno.

iye La situazione dell’underground in Italia è migliore o peggiore rispetto al passato?

Burdo: Onestamente non so bene cosa risponderti … sicuramente è cambiata, come sono cambiati i tempi: da un lato il web ha sicuramente aumentato le possibilità di essere ascoltati ed ha “livellato” almeno un minimo questo gap rispetto al passato, ma dall’altra parte ormai ci sono migliaia di band, molte più che in passato, molte più mode anche tra le nicchie … è difficile, almeno per me, capire se ci siano più lati positivi o negativi … fatto sta però che il tasso qualitativo dell’underground italiano negli ultimi anni credo sia piuttosto buono … mancano un po’ le opportunità, forse.

iye Avete suonato in Europa? Cosa pensate delle scene estere?

Gale: Abbiamo suonato qualche data in Europa e ne faremo sicuramente altre 4-5 a marzo ma non abbastanza per avere un’ idea delle varie scene, ci sono state date più fortunate ed altre meno, come d’ altronde in Italia, ci è capitato di suonare davanti a 3 persone, davanti a 50/100 spettatori come a 2-300 o addirittura a 1000. Non credo si possa generalizzare e parlare di scene che “funzionano” meglio di altre.

iye Come porterete in giro un progetto importante come New World Order?

Gale: I nostri sono semplici concerti dal vivo, nient’ altro che quattro persone con i propri strumenti che ripropongono nella maniera più fedele possibile i brani degli album; non ci sono basi, non ci sono visuals, non ci sono luci particolari, non che siamo contro a quel tipo di show, anzi, ma attualmente proponiamo dei concerti “canonici”. Per quanto riguarda la scaletta, al nostro release party al Bronson abbiamo suonato New World Order per intero ed in sequenza, nei prossimi concerti tenderemo a suonarne più brani possibili compatibilmente con i tempi di esibizione che avremo a disposizione dai locali ma suoneremo sempre almeno due brani da Tales, perché comunque il primo album ci rappresenta ancora, ci sono grandi canzoni che ci divertiamo a suonare dal vivo e anche i “fan” si aspettano di sentire qualcosa.

iye Quali sono le vostre fonti di informazione sui fatti e soprattuttto sulla storia occulta mondiale?

Burdo: Non posso citarti fonti particolari, come dicevo prima è una storia, non un trattato o una relazione, io ho letto diversi libri a riguardo e ho la mia visione della vita e di quello che mi succede intorno, mi sono fatto le mie idee, chi ascolta l’album può ragionarci sopra e decidere come crede, oppure semplicemente godersi la musica.

iye Come definireste la vostra musica?

Burdo: Ho notato che le etichette di genere su di noi cambiano un po’ da un disco all’altro, con New World Order ci definiscono Progressive Sludge Metal, a me sta bene, non sono mai stato molto portato a catalogare la musica.

Gale: Etichettare la nostra musica è complicato, lo è anche per noi, ci sono tanti elementi e tanti stili, anche distanti, che convivono in essa. In diverse recensioni dicono cose che ci fanno molto piacere e cioè che stiamo costruendo un sound personale, originale, questo per me è il miglior complimento che ci possano fare, l’ ho già detto molte volte, non abbiamo la pretesa di inventare niente di nuovo ma secondo me ogni band ha il dovere morale di non essere un semplice clone di qualcun ma di cercare la propria identità.

iye Progetti futuri?

Gale: In primis suonare il più possibile per promuovere l’ album, di sicuro ci piacerebbe fare un bel tour magari di spalla a qualche band che stimiamo, sarebbe bello anche riuscire a suonare in qualche festival importante e fare un tour fuori dall’ Europa, comunque quello che ci interessa attualmente è diffondere la nostra musica,  crescere come band e migliorarci sempre, sia come compositori, sia come esecutori, sia come musicisti in generale.

MAvoidofsleep

Greus – Greus

Grassi giri di chitarra che si impastano perfettamente con una batteria incessantemente impetuosa ed incalzante.

I Greus sono un gruppo con un dna molto promettente e confermano quanto di buono ci si aspettava guardando la pur spartana line – up.

I Greus sono solo in due, ma che duo: Edu Rodriguez già batterisa nei Moho, nume tutelare dello stoner in terra iberica, e Ivan Ruiz in passato nei Moksha e nei guerrieri hardcore vecchia scuola XMilk, indimenticabili per furia e coerenza.
I due si sono uniti per far musica pesante con composizioni intricate ed assai intriganti.
Dopo poco più di due anni suonando solo dal vivo, si sono chiusi negli studi Cal Pau Recordings con il sig. Santi Garcia, mastro produttore di gran parte dei capolavori Bcore.
Il risultato è molto originale, distorto sia nel suono che nella composizione, davvero interessante e ricco di spunti.
I due musicisti in questione sono due persone che non vogliono e non devono dimostrare nulla, ma solo fare musica che li diverta e che possa divertire l’ascoltatore, e ci riescono in pieno.
Come recita il loro comunicato stampa, ed è raro dare ragione ad un comunicato stampa, i Greus fanno un album di cui Toni Iommi, almeno quello pre senescenza, ne sarebbe molto fiero e ci potrebbe anzi suonare.
Grassi giri di chitarra che si impastano perfettamente con una batteria incessantemente impetuosa ed incalzante.
Un disco oscuro che affascina e che fa venire voglia di camminare senza luce in bui cunicoli, labirinti creati dalla nostra mente. In questo disco omonimo però non si trova solo l’oscurità ma anche tanta deviazione sonora ed imprevedibili costruzioni soniche.

Tracklist:
1 Brou De Cultiu
2 Engrudo
3 Mitocondria
4 El NO Yo
5 Cervical 3

Line-up
Edu Rodriguez – Drums.
Ivan Ruiz – Guitar.

GREUS – Facebook

Suma – Ashes

Ashes è un manuale di come dovrebbe comporre e suonare un gruppo sludge metal, incessante e potente, con riff megalitici che cadono come grosse pietre dal cielo, e non si può fare altro che fermasi e scuotere la testa ad un tempo che è differente da quello umano.

Ristampa del disco del 2010 da parte dell’ Argonauta Records, che grazie a questa operazione pone nuovamente l’attenzione su di un capolavoro della musica pesante.

Questo disco è una dichiarazione di guerra contro la gravità, mai suoni così pesanti hanno tanto elevato il nostro cervello.
Ashes è un manuale di come dovrebbe comporre e suonare un gruppo sludge metal, incessante e potente, con riff megalitici che cadono come grosse pietre dal cielo, e non si può fare altro che fermasi e scuotere la testa ad un tempo che è differente da quello umano.
Gli svedesi Suma sono uno dei migliori gruppi del loro genere, sia per i loro talento che traspare dal disco, sia per la magia della loro musica, che si avvicina a quella dei maestri Neurosis, non tanto per il genere, quanto per l’effetto divino.
Si è in piacevole soggezione ad ascoltare Ashes, e sinceramente non si trova un punto debole nel corso del disco.
Qui l’oltre è l’unica direzione e non ci si volta mai indietro. Andiamo un poco indietro ed ascoltiamoci o riascoltiamoci questa gemma, che ha visto anche la grande partecipazione di Billy Anderson e si sente la sua mano.
Grande ristampa per un’etichetta in forte e costante ascesa.

Tracklist
1. Headwound
2. Ashes
3. Orissa
4. Justice
5. War On Drugs

Line – Up
E
J
P
R

SUMA – Facebook

Dead Hand – Storm Of Demiurge

I Dead Hand, con la loro prima prova su lunga distanza , riescono a catturare l’attenzione in virtù di una scrittura mai banale e che, nel contempo, pare garantire ulteriori ed oltremodo interessanti sviluppi.

Gli statunitensi Dead Hand sono di formazione piuttosto recente, visto che la loro genesi risale al 2013, e Storm Of Demiurge è il primo full-length che include anche i due brani (Ground to Ash e The Last King) presenti nell’Ep uscito l’anno scorso.

Se il buongiorno si vede dal mattino, il futuro della band georgiana si prospetta fangosamente entusiasmante, visto che lo sludge messo in mostra in questi tre quarti d’ora abbondanti di musica appare fina da subito di primissima qualità.
Se Resign to Complacency si presenta come una sorta di intro per poi sfociare in un riff ripetuto ad oltranza, con la già citata Ground to Ash si entra nel vivo del lavoro grazie alle sue atmosfere cupe che, a tratti, vengono stemperate da umori post metal funzionali ad incrinare l’incedere di un sound per sua natura piuttosto monolitico.
In effetti, nonostante le premesse iniziali, una certa componente melodico-acustica prende sovente piede, regalando quell’alternanza di sensazioni in grado di rendere più peculiare la proposta della band.
La voci sono in linea con la tradizione sludge-post metal, e ben si sposano con la atmosfere minacciose che trovano una prima loro sublimazione in Trailed by Wolves, traccia lunghissima che si rivela emblematica delle capacità e delle caratteristiche dei Dead Hand, i quali non dimenticano mai di imprimere tratti riconoscibili ai loro brani.
L’album vive di una tensione emotiva continua, accentuata dall’andamento comune a tutti brani, con un inizio quasi soffuso e dai tratti acustici al quale segue un crescendo, più o meno netto, con quale il trio aumenta progressivamente il tiro fino al raggiungimento del climax (cosa che avviene ugualmente, ma in maniera meno accentuata, nella title track).
La chiusura affidata all’altro brano già edito, The Last King, conferma appieno la vena compositiva dei Dead Hand, capaci fin dalla loro prima prova su lunga distanza , di catturare l’attenzione in virtù di una scrittura mai banale e che, nel contempo, pare garantire ulteriori ed oltremodo interessanti sviluppi.

Tracklist:
1. Resign to Complacency
2. Ground to Ash
3. Trailed by Wolves
4. Storm of Demiurge
5. 1/13/12
6. The Last King

Line-up:
Matt – Guitar, Vocals
Clifton – Guitar, Vocals
Stephen – Bass
Shannon – Keyboards, Vocals
J.R. – Drums

DEAD HAND – Facebook