Dementia Senex / Sedna – Deprived

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Due tra le migliori realtà italiane in ambito post metal vengono riunite per questo split album edito dalla Drown Within Records.

Dementia Senex e Sedna, band entrambe di stanza a Cesena, si sono già messe in luce nel recente passato con ottime prove: i primi con l’ep “Heartworm” del 2013, i secondi con l’album omonimo dello scorso anno che è stato considerato da gran parte della critica come uno dei migliori lavori in assoluto del 2014.
I due brani presenti nello split sono stati incisi entrambi lo scorso anno ma, mentre per i Dementia Senex si tratta di una nuova produzione successiva allo scorso Ep, per i Sedna bisogna risalire a qualche settimana prima dell’inizio delle registrazioni dell’album; inevitabilmente ciò comporta per i primi una sostanziale evoluzione rispetto a quanto prodotto in precedenza, mentre per i secondi resta ben impresso il sound che poi sarebbe confluito nel lavoro su lunga distanza.
Indubbiamente i Dementia Senex denotano una rabbia veicolata in maniera più diretta, pur senza trascurare la componente melodica, nell’ambito di una traccia come Blue Dusk che sembra spostare comunque l’asse compositiva verso un sound meno aspro, mentre l’approccio dei Sedna, che affonda maggiormente le proprie radici in una forma molto personale di black metal impastato dallo sludge e da ampie sfumature post hardcore, anche con Red Shift  si dimostra in qualche modo più avvolgente pur essendo piuttosto contiguo a quello dei compagni di split.
In entrambi i casi la manipolazione della materia è di primissima qualità in maniera tale che, forse, mai prima d’oggi le due band concittadine si sono trovate così vicine anche dal punto di vista stilistico; in tal senso, se non si può fare a meno di constatare quanto l’intensità mostrata dai Sedna sia qualcosa difficilmente avvicinabile per chi si cimenta in questo genere musicale.
Nonostante ciò i Dementia Senex non escono certo ridimensionati dall’arduo confronto, confermando e rafforzando le doti messe in mostra all’epoca di “Heartworm”; va rimarcato però, a tale proposito, che dopo l’uscita dello split la band ha dovuto subire la defezione del vocalist Cristian Franchini e questo potrebbe intralciarne momentaneamente la progressione.
Detti ciò, Deprived è un uscita di pregio che riporta l’attenzione su due band destinate a dare ulteriore lustro alla scena metal nazionale.

Tracklist:
1. Dementia Senex – Blue Dusk
2. Sedna – Red Shift

Dementia Senex
Mattia Bagnolini – Drums
Cristian Franchini – Vocals
Filippo Merloni – Guitars
Marco Righetti – Guitars
Gianmaria Mustillo – Bass

Sedna
Mattia Zoffoli – Drums
Elyza Baphomet – Vocals, Bass
Alex Crisafulli – Vocals, Guitars

DEMENTIA SENEX – Facebook

SEDNA – Facebook

Dopethrone – Hochelaga

“Hochelaga” è permeato di ritmi lenti, completamene riempiti da un grande muro del suono, con un incedere marcio eppure costante, anzi incessante.

I Dopethrone sono semplicmente uno dei migliori gruppi sludge doom del globo, saturatori dell’atmosfera intorno alle casse, lentezze fumatorie e tanta marcezza.

Il loro suono è un groove maledetto che continua a girare nel nostro cervello, fatto di chitarre abrasive e batteria potente, in un misto di stile New Orleans e traiettorie comuni al metal.
Questo è il loro quarto disco che, nelle loro intenzioni dovrebbe essere quello più sporco e cattivo, e direi che ci sono riusciti in pieno.
Dopo aver pubblicato “Demonsmoke” su STB Records, nel 2011 è la volta di “Dark Foil” per Totem Cat Records, poi nel 2012 la loro già avviata carriera prende una svolta essendo stati invitati al Roadburn Festival dai curatori Voivod, così da pubblicare “III”, album che ha avuto molto seguito in Europa.
Quest’ultimo disco prende il titolo dal ghetto di Montreal, città del gruppo: Hochelaga fu il nucleo della città di Montreal nel XVII secolo, in un territorio già abitato dagli Irochesi, che fino a quel momento vivevano tranquilli ed in pace.
Il quartiere è ora il classico posto dove cercare droga, sesso ed altro, come ve ne sono in ogni città.
Il suono dei Dopethrone è quanto di più indicato da mettere ad alto volume, meglio se con amplificatori che arrivino il più in alto possibile, poiché questa musica non può essere ascoltata a basso volume.
Hochelaga è permeato di ritmi lenti, completamene riempiti da un grande muro del suono, con un incedere marcio eppure costante, anzi incessante.
Chi già li conosce sappia che sono ancora più devastanti, chi non li conosce venga giù nel fango con loro e con noi.

Tracklist:
1. Sludgekicker
2. Chamaleon Witch
3. Vagabong
4. Scum Fuck Blues
5. Dry Hitter
6. Bullets
7. Riff Dealer

Line-up:
Borman – Batteria
Vincent – Chitarra e Voce
Vyk – Basso

DOPETHRONE – Facebook

The Lumberjack Feedback – Noise In The Church

Operazione interessante che mette in luce le buone potenzialità dei The Lumberjack Feedback.

Che la Kaotoxin Records si renda protagonista di uscite non troppo convenzionali non è certo una novità, così chi conosce abbastanza bene le abitudini della label di Lille non resterà stupito più di tanto da questo Ep dei suoi concittadini The Lumberjack Feedback.

In questo caso la particolarità dell’operazione non risiede tanto nella musica proposta, uno sludge doom strumentale di indubbio impatto, quanto nel fatto che i primi due brani, Salvation e The Dreamcatcher, sono stati registrati dal vivo in una chiesa sconsacrata (quella che campeggia sulla copertina), sfruttando al meglio un ambiente capace di restituire al massimo i riverberi di un sound che di questa sua caratteristica ne fa un vessillo.
La mezz’ora abbondante di musica offerta si rivela così piuttosto interessante con il proprio incedere fangoso, per quanto mi sia già espresso più di una volta su quanto non possa fare a meno di attribuire a gran parte dei lavori esclusivamente strumentali quel senso di incompiutezza provocato dall’assenza della voce.
Detto ciò, i The Lumberjack Feedback ci danno dentro senza risparmiarsi: Salvation è un brano inedito che farà parte del full length di prossima pubblicazione, dimostrandosi così una gradita anticipazione, mentre la successiva The Dreamcatcher era già compresa nell’Ep “Hand Of Glory” del 2013.
Per entrambe le tracce la band francese ha realizzato dei video che la immortalano all’opera in quello che fu un luogo di culto: immagini affascinanti, attraverso le quali si può anche cogliere il ricorso da parte dei nostri alla doppia batteria, un espediente che sicuramente accresce l’impatto ritmico del loro sound.
Mein Gebush Hat Hünger è invece un brano per il quale bisogna tornare al 2009, quando venne pubblicato come singolo d’esordio: di durata considerevole, in virtù degli oltre sedici minuti di durata, la sua riproposizione è sicuramente utile vista in un’ottica di divulgazione delle capacità della band, visto che, specie nella sua seconda metà, questo monolite sludge si snoda in un lento crescendo avvalendosi di un riffing ossessivo ma, nel contempo, molto convincente e rivelandosi una traccia di grande valore.
Il fatto che il brano più datato sia anche il migliore del lotto potrebbe non deporre del tutto a favore dei The Lumberjack Feedback, ma va detto anche che la buona qualità espressa nella traccia inedita Salvation lascia piuttosto fiduciosi sulla resa del lavoro su lunga distanza programmato in questo 2015.
In ogni caso un’operazione decisamente riuscita, specie se lo scopo principale era quello di destare un certo interesse nei confronti della band di Lille.

Il lavoro è scaricabile gratuitamente presso il Bandcamp della Kaotoxin Records.

Tracklist:
1.Salvation (live)
2.The Dreamcatcher (live)
3.Mein Gebush Hat Hünger

Line-up

Current line-up:
Simon Herbaut – guitars
Arnaud Silvert – guitars
Sebastien Tarridec – bass
Nicolas Tarridec – drums
Olive T’Servrancx – drums

“Mein Gebush Hat Hünger” line-up
Simon Herbaut – guitars
Christophe Ramin – guitars
Nicolas Herwegh – guitars
Julien Kamani – bass
Nicolas Tarridec – drums

THE LUMBERJACK FEEDBACK – Facebook

Sedna – Sedna

Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.

Se il nome della band prende spunto da Sedna, dea del mare per gli Inuit, raffigurata nella copertina di questo debutto omonimo, mi piace pensare che ci possa essere in parte anche un rifermento al planetoide di scoperta relativamente recente, al quale è stato attribuito questo stesso nome e che compie un’orbita ellittica attorno al Sole impiegandoci circa 11.000 anni.

La musica dei Sedna, in fondo, ben rappresenta la furia della dea ma si nutre anche dell’inquietudine provocata dalla comparazione tra la nostra limitata permanenza su questo pianeta ed il moto pressoché eterno di tutti i corpi celesti, in quello spazio sterminato che ogni uomo è incapace di immaginare senza restare schiacciato dalla propria insignificanza.
Il black/sludge metal della band romagnola è l’ideale colonna sonora del tormento, del disorientamento, con le sue sfuriate alternate a momenti di calma che sottendono quasi sempre una riesplosione di riff violenti, di urla impietose che vanno ad infrangersi nella nostra incapacità di comprendere tutto ciò che è incommensurabilmente più grande di noi.
Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.
Proprio quando il chiodo conficcato nella carne pare essersi arrestato nel suo tentativo di farsi ulteriore spazio, arriva in Life _ Ritual la voce dell’ospite Stefania Pedretti, sorta di Diamanda Galas portata alle estreme conseguenze, a far ripiombare nella più cupa alienazione anche l’ascoltatore più disincantato.
A parte quest’episodio a sé stante, i tre Sons (Of The Ocean, Of Isolation, Of The Ancients) sono brani di un’intensità difficilmente descrivibile, nei quali le rare aperture melodiche sono l’ultimo vano respiro per chi sta annegando o l’illusoria visione di un’oasi per chi si è perso nel deserto.
Certo, questo genere musicale ad alcuni potrà anche apparire ripetitivo e privo di sbocchi, ma tutto sta nell’avere ben chiaro cosa si vuole ascoltare dalle band alle prese con queste sonorità; per quanto mi riguarda, ciò che propone il trio cesenate con questo suo primo passo su lunga distanza, è esattamente ciò che serve per intraprendere un opprimente viaggio nelle più recondite profondità, che siano queste rappresentate da abissi oceanici oppure da quelle ben più perigliose della psiche umana, poco importa: i Sedna hanno meravigliosamente assolto a questo loro compito.

Tracklist:
1.Sons of the Ocean
2.Sons of Isolation
3.Life _ Ritual
4.Sons of the Ancients

Line-up:
Taio – Drums
Nil – Guitars, Vocals
Elyza – Bass, Vocals

SEDNA – Facebook

Rorcal / Process Of Guilt – Split

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Un altro split 12” interessante quello che ci viene proposto da un pool di etichette, con due band dedite a sonorità a cavallo tra black-sludge-doom con una vena industrial come gli svizzeri Rorcal ed i portoghesi Process of Guilt.

Il lato A è appannaggio degli elvetici che, in realtà, con i loro tre brani mostrano una maggiore propensione al black metal, in particolare facendo riferimento ai Blut Aus Nord dei “Memoria Vetusta”, il che corrisponde ad un’interpretazione del genere dai tratti prevalentemente avanguardistici e claustrofobici. In IX non vi sono particolari deviazioni rispetto ad un percorso violento e dissonante, mentre in XI affiora qualche rallentamento e il brano, nonostante qualche lieve concessione melodica, appare ancora più feroce rispetto al precedente; X riparte esattamente dalla fine di XI per poi sfociare in ritmi maggiormente cadenzati. Quando il testimone passa, voltando il lato, ai Process Of Guilt, si capisce subito che i lusitani interpretano il loro pesante sludge dalle sfumature industrial/postmetal nel miglior modo possibile, ovvero imprimendo al proprio sound quel marchio che avevano già proposto con successo in occasione del loro magnifico ultimo album “Fæmin”. Un impatto sonoro denso, avvolgente, dalle distorsioni portate alle estreme conseguenze rappresenta, di fatto, un muro di totale incomunicabilità che si fa musica: impietosi i primi due movimenti di Liar, mentre quello di chiusura è costituito da due minuti e mezzo di minaccioso ambient. Da notare come, alla fin fine, le band possiedano un approccio musicale non del tutto dissimile pur approdandovi da diversi versanti stilistici (i Rorcal dal black ed i Process Of Guilt dal doom), a rimarcare quanto il rapporto di collaborazione in atto tra loro da tempo abbia prodotto un reciproco arricchimento dei rispettivi sound. Uno split da avere per chi apprezza queste sonorità, ancor più appetibile per il formato 12” molto curato dal punto di vista grafico, disponibile nella (ormai classica) edizione limitata a 666 copie …

Tracklist:
Side A
1. Rorcal – IX
2. Rorcal – X
3. Rorcal – XI

Side B
4. Process of Guilt – Liar: Movement I
5. Process of Guilt – Liar: Movement II
6. Process of Guilt – Liar: Movement III

Line-up:
Rorcal
Bruno da Encarnação – Bass
Ron Lahyani – Drums
Diogo Almeida – Guitars
JP Schopfer – Guitars
Yonni Chapatte – Vocals

Process Of Guilt
Custódio Rato – Bass
Gonçalo Correia – Drums
Nuno David – Guitars
Hugo Santos – Vocals, Guitars

RORCAL – Facebook

PROCESS OF GUILT – Facebook

Corrosion Of Conformity – IX

Precisazione: non sono qui per convincervi che una della mie band preferite di sempre abbia fatto un album epocale, non sarebbe onesto né giusto nei vostri confronti, né voglio assolutamente, a dispetto dei santi, farvi partecipi dell’importanza che ha avuto nell’underground americano dal finire degli anni ottanta fino ai giorni nostri.

Ma, lasciatemelo dire, non considerare i Corrosion Of Conformity almeno una cult band o e magari dar mloro meno importanza di band pompate dal tirannico MTV, è peccato mortale. Ok, Mr. Pepper Keenan non appare sul disco (anche se, ad oggi in teoria, non ha ancora lasciato ufficialmente il gruppo) ma, fidatevi, IX è un album che (e non poteva essere altrimenti) spacca come pochi. I tre superstiti, Mike Dean, Reed Mullin e Woody Weatherman, che poi sono il trio originale del combo, in questo nuovo album tornano in parte alle origini, non dimenticando che, in fondo, dal debutto “Eye for an Eye” del 1984 di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta e i C.O.C., nel frattempo, hanno licenziato una marea di dischi, passando dall’hardcore degli esordi allo stoner/sludge delle ultime fantastiche produzioni, rilasciando capolavori come “Blind” (il disco più metal/alternative della loro discografia) nel 1991, “Deliverance” nel 1994 (quello della svolta stoner/southern dal quale Phil Anselmo ha attinto non poco per i suoi Down) e “America’s Volume Dealer nel 2000. I tre musicisti del North Carolina, in questo ultimo album, ripassano tutta la loro discografia, confezionando un lavoro che pesca dallo stoner ma anche dal loro primo amore, quell’hardcore che fornisce al sound un tocco selvaggio che, forse, è mancato nelle ultime uscite. Un ritorno al vero spirito underground quello dei Corrosion Of Conformity, i quali con coraggio lasciano la facile strada dello stoner con iniezioni southern, che oggi sembra piacere non poco (al sottoscritto, tantissimo), optando per un approccio che torna più diretto, meno freak e in linea con le prime produzioni. Certo, la mancanza di Keenan non è cosa da poco, ma i tre musicisti vanno per la loro strada con questo bellissimo macigno che definire rock’n’roll, alla fine, non sembra un’eresia. Rock’n’roll fatto dai Corrosion Of Conformity, ovviamente, e allora: bombe hardcore su un tappeto stoner e sludge, senza soluzione di continuità, pesanti come incudini e dal groove che prende spunto dai ribelli degli stati del Sud, un sound alternative che vi entra nelle viscere per rivoltarvi come calzini, dalla micidiale Brand New Sleep, cattedrale dedicata al doom/stoner, passando da The Nectar per arrivare alla fine di questa ennesima lezione impartita dai grandi C.O.C. Finale: probabilmente non vi avrò convinto, ma secondo me quest’album farà scuola, ne riparleremo fra un paio d’anni…

Tracklist:
1. Brand New Sleep
2. Elphyn
3. Denmark Vesey
4. The Nectar
5. Interlude
6. On Your Way
7. Trucker
8. The Hanged Man
9. Tarquinius Superbus
10. Who You Need to Blame
11. The Nectar Reprised

Line-up:
Mike Dean – Bass,Vocals
Reed Mullin – Drums,Vocals
Woody Weatherman – Guitars,Vocals

CORROSION OF CONFORMITY – Facebook

Hollow Leg – Instinct

La musica qui incede e incide lentamente con la potenza dell’acqua, scorrendo sotterranea e trovando sempre una via per passare.

Riedizione da parte della Argonauta Records del debutto degli Hollow Leg, disco pubblicato dalla band nel 2010 e andato ormai esaurito.

Il debutto da parte di questo gruppo schiacciasassi testimonia la nascita come duo chitarra e batteria, ovvero alla sei corde Brett e alla batteria Tim. Entrambi sono originari dell’area di Boston, dove hanno militato in svariati gruppi hardcore, dato che l’hardcore a Boston lo bevi nell’acqua. Da Boston si sono poi trasferiti e Jacksonville in Florida. Qui hanno dato vita agli Hollow Leg, che da duo sono poi diventati quartetto per incidere “Abysmal” del 2013. Ma questa è un’altra storia. Instinct è un disco poderoso, un lento incedere verso qualcosa di terribile che sta proprio oltre la strada che stiamo percorrendo. La musica qui incede e incide lentamente con la potenza dell’acqua, scorrendo sotterranea e trovando sempre una via per passare. E’ stupefacente sentire quello che possono fare due persone sole, ma con le idee molto chiare su che musica fare. Sarebbe una perdita di tempo ed un spreco di energie notevole tentare di catalogare definitivamente il suono degli Hollow Leg. Sicuramente siamo dalle parti dello sludge, in quei territori che prendono vita nell’underground, e che vivono nell’umido e traggono linfa da cose viscide. Uno dei più grossi pregi di questo disco è che non annoia mai, e fa venire voglia di schiacciare play di nuovo. Gli Hollow Leg si inseriscono quindi nel filone dello sludge americano, che ha sempre dato gioie a noi ascoltatori viziosi, ma si distinguono per un suono ed una composizione molto personale. Grande merito va dato all’Argonauta Records che ha ristampato il cd in 300 copie con un libretto lussuoso. Perchè non poter sentire questa chicca era proprio un gran peccato.

Tracklist:
1 Caretaker
2 Shattered
3 The return
4 The source
5 Bacchus
6 Nothing left
7 Spit in the fire
8 Warbeast
9 Grace
10 Wayside

Line-up:
Brett : voce e chitarre
Tim : batteria

HOLLOW LEG – Facebook

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Varego – Blindness Of The Sun

Ritornano i liguri Varego, con un ep di quattro pezzi.

Questo ep è un capolavoro per intensità, varietà, è un’epifania esoterica. Prodotto dalla sapiente mano di Billy Anderson, già longa manus per Sleep e Eyehategod, Blindness Of The Sun è un disco che piacerà tantissimo a chi aveva già apprezzato Tvmvltvm.

Anche qui i Varego giocano benissimo con il medium del concept album, dato che Blindness Of The Sun
è la continuazione esoterica del precedente concept album. Si parte con Hesperian, un pezzo massiccio nel quale i Varego passano con disinvoltura da un genere all’altro, finendo addirittura con potenti stacchi death metal ; si può tranquillamente affermare che Hesperian sia uno dei migliori pezzi mai composti dai ragazzi liguri: “hesperian” è l’occidente, la linea dalla quale sorge il Sole, luogo femminino di concezione.
Legata alla precedente traccia da un outro/intro arriva Secrets Untold, dove continua il tono epico di questo ep, con la chitarra che descrive un riff in stile doom, ma molto più veloce, confermando che lo stile chitarristico di Gero e di Alberto è inconfondibile. Alla batteria c’è il solito grandissimo lavoro di Simone Lepore, che congiuntamente a Marco Damonte al basso fa sempre faville. Al terzo minuto di questa traccia c’è uno stacco che fa diventare il pezzo molto arioso, per poi tornare alla consueta durezza poco dopo. Rimane nell’aria un sentore di rivelazione, di segreto svelato.
Nel terzo pezzo i Varego si avvalgono della speciale collaborazione del sassofonista Giovanni Sansone, già con Casino Royale e La Crus, che aggiunge alla canzone un sapore molto speciale. Con l’aggiunta di questo sax free jazz, i Varego ci fanno intravedere la possibilità che la loro carriera sfoci nella sperimentazione, cosa auspicabile, poiché i ragazzi possiedono tutti i requisiti necessari.
Davvero un gran bel pezzo, un vero volo del nostro io.
Per il quarto e definitivo pezzo ecco arrivare la sacerdotessa Jarboe: per chi non la conoscesse, basti dire che è stata la fondatrice degli Swans, e che tutta una certa scena musicale, dai Neurosis ai A Perfect Circle, l’ha avuta come straordinaria collaboratrice. Ascoltando Of Drowning Stars potrete comprendere meglio il concetto. Questa canzone è come un summa di tutto ciò che hanno creato fino ad adesso i Varego, che già hanno nei loro ranghi la grande voce di Davide Marcenaro, ma con Jarboe si arriva sulle stelle. Il tappeto sonoro è in puro stile Varego, mentre il cantato della signora americana è celestiale e terribile al tempo stesso, come potrebbero essere delle stelle sommerse.
Ci troviamo quindi di fronte ad uno dei migliori dischi mai usciti in Italia in un ambito musical-esoterico che non ha nulla di commerciale, ma è anzi un viaggio iniziatico, per chi desidera intraprenderlo. Quattro pezzi che hanno al loro interno un numero infinito di mondi e di aperture verso altre dimensioni. Da rimarcare anche, per chiudere un cerchio già perfetto, la magnifica copertina di Marco Castagnetto, un’altro che s’intende di aprire mondi e dimensioni.

Tracklist:
1 Hesperian
2 Secrets Untold
3 The flight of the I
4 Of drowning stars

VAREGO – Facebook

Demonic Death Judge – Skygods

Una prova sorprendente per qualità e chiarezza delle idee riversate in questa cinquantina di minuti che volano via in un amen, proprio grazie alla capacità dei finnici di comporre brani dotati di profondità, pur senza rivelarsi eccessivamente ostici ai primi ascolti.

I Demonic Death Judge provengono dalla Finlandia e la loro proposta è incentrata su uno sludge/doom dai tratti avvincenti e soprattutto dotato di un notevole groove.

Il quartetto nasce nel 2009 da una costola degli industrial deathsters Total Devastation, il che tutto sommato fa capire quale sia la versatilità dei nostri, alle prese con generi oggettivamente piuttosto distanti tra loro. Skygods è il secondo full-length, che segue a poca distanza il pregevole esordio “The Descent”, e ne parliamo solo ora nonostante sia uscito effettivamente negli ultimi mesi dell’anno scorso. In quest’album, contrariamente a quanto potrebbe far pensare il retaggio musicale del quartetto, lo sludge assume sembianze tutto sommato accessibili, ovviamente relativizzando il tutto, mostrando un approccio alla materia fresco e accattivante. Difficile non restare coinvolti da brani come la title-track, la successiva Salomontaari dagli accenni blues, la lisergica Knee High, la sabbathiana Aqua Hiatus o la splendida ed oscura Pilgrimage, posta in chiusura del lavoro. Una prova sorprendente per qualità e chiarezza delle idee riversate in questa cinquantina di minuti che volano via in un amen, proprio grazie alla capacità dei finnici di comporre brani dotati di profondità, pur senza rivelarsi eccessivamente ostici ai primi ascolti. Skygods è un disco vivamente consigliato a tutti coloro che apprezzano questo tipo di sonorità, sicuramente non ne resteranno delusi.

Tracklist :
1. Skygods
2. Salomontaari
3. Latitude
4. Knee High
5. Aqua Hiatus
6. Cyberprick
7. Nemesis
8. Pilgrimage

Line-up :
Pasi Hakuli – Bass
Lauri Pikka – Drums
Saku Hakuli – Guitars
Jaakko Heinonen – Vocals

DEMONIC DEATH JUDGE – Facebook

Caronte – Ascension

La band proveniente da Parma con questo disco s’impone con prepotenza all’interno della scena doom, in Italia e non solo, creando un disco capace di trovare un feedback immediato nell’ascoltatore.

Quando ho cominciato ad ascoltare Ascension un brivido mi è corso lungo la schiena: puro doom fatto come si deve, proprio di quello che fa tremare il pavimento sotto ai propri piedi.

Bisogna immaginarsi di essere in una stanza piena di esalazioni sulfuree, con percussioni penetranti, un basso che fa vibrare ogni cosa, una chitarra pronta a demolire qualsiasi essere si stagli lungo il suo cammino ed insieme a tutto questo una voce proveniente dai luoghi più abietti che si possano immaginare (stupenda quindi); forse ora potreste avere una vaga idea dei Caronte, ma non basta comunque a farvi intuire la ferocia di cui sto parlando. Sette tracce intrise di esoterismo ed occultismo, come nella migliore tradizione doom, per una durata totale di quasi un’ora, alla fine della quale si entra in uno stato di estasi e tristezza, una bomba pronta ad esplodervi fra le mani senza che voi possiate fare niente; da notare che gli argomenti affrontati vengono trattati con cognizione di causa, tra riferimenti a tradizioni sciamaniche, ad Aleister Crowley e alla teosofia: ci piace. Oltre a tutto questo, come se già non bastasse, uno stupendo booklet e una custodia che meritano un plauso. La band proveniente da Parma con questo disco s’impone con prepotenza all’interno della scena doom, in Italia e non solo, creando un disco capace di trovare un feedback immediato nell’ascoltatore. Gran band, gran disco, nient’altro da dire, se non buon ascolto.

Tracklist:
1. Leviathan
2. Ode To Lucifer
3. Sons Of Thelema
4. Horus Eye
5. Black Gold
6. Solstice Of Blood
7. Navajo Calling

Line-up:
Dorian Bones – Voce
Tony Bones – Chitarra e cori
Henry Bones – Basso
Mike De Chirico – Batteria

CARONTE – Facebook

SaturninE – SaturninE

Le SaturninE hanno deciso di esplorare il lato oscuro dell’universo musicale e l’hanno fatto con la giusta attitudine unita a una certa dose di talento

Le SaturninE sono cinque ragazze italiane che, invece di inseguire improbabili sogni di fama e ricchezza in campo musicale mettendo in gioco la propria dignità nella melensaggine dei talent-show, hanno deciso, per fortuna, di sfogare la loro creatività formando una band sludge-doom; dico “per fortuna”, anche perché ciò che ne scaturisce è un lavoro davvero sorprendente per pathos e intensità, il tutto considerando inoltre che ci troviamo di fronte ad una autoproduzione.

Il sound prodotto è una miscela esplosiva di dark e doom metal e, pur attingendo ovviamente ai grandi nomi del passato, mostra costantemente una freschezza invidiabile riuscendo nell’impresa di non apparire eccessivamente derivativo.
Le chitarre erigono un roccioso muro sonoro senza disdegnare efficaci passaggi solistici, il supporto ritmico è puntuale, mentre la voce di Laura è il classico growl femminile, più abrasivo che profondo, forse perfettibile (come del resto l’intera resa strumentale) con l’ausilio di una migliore produzione, ma efficace in ogni passaggio.
Nella mezz’ora di musica proposta, i brani vivono spesso dell’alternanza tra parti rallentate e violente accelerazioni, aspetto che non fa mai venire meno la tensione emotiva all’interno di un lavoro nel quale spicca prepotentemente una traccia come Orgy Of Blood, che regala sette minuti abbondanti di cupe emozioni; degno di nota anche l’omaggio ai Bathory con la riuscita cover di Call From The Grave.
Le SaturninE hanno deciso di esplorare il lato oscuro dell’universo musicale e l’hanno fatto con la giusta attitudine unita a una certa dose di talento; possiamo solo augurare loro di trovare un’etichetta lungimirante che abbia voglia di puntare su una band dotata di un simile potenziale.

Tracklist :
1. Intro
2. Abyss
3. Death Reaper
4. Orgy Of Blood
5. Stench Of Decay
6. Call From The Grave
7. Outro

Line-up :
Jex – Bass
Angelica – Drums
Silvia – Guitars
Giulia – Guitars
Laura – Vocals