High Fighter – Scar & Crosses

Questo gruppo ha tutto per sfondare e per avere una carriera duratura e proficua.

Disco di debutto per gli amburghesi High Fighter, gruppo formato nel 2014, con già alle spalle una grande attività live.

Il loro esordio discografico è stato l’ep autoprodotto “ The Goat Ritual “, che ne enunciava al mondo le intenzioni. La loro musica è un gran bell’incontro tra sludge, stoner ed un doom molto energico. Gli High Fighter hanno un tiro molto contagioso e fanno tutto con gran classe, senza mai strafare e senza soluzioni cervellotiche. Attraverso stili difficili ma altamente conciliabili, i tedeschi sfornano un gran disco fatto di energia moderna e combustibile antico, e i riferimenti vengono rielaborati per dare più forza al tutto. L’ascoltatore è trascinato al centro di un vortice che gira intorno alla fantastica voce della cantante Mona. Intorno a lei tutto il gruppo compie splendidamente il proprio dovere, con un musica pesante fatta con il cervello. Che non sia un gruppo comune lo si può anche desumere dal fatto che l’esordio esca su Svart, e che lo stesso sia mixato e masterizzato da Toshi Kasai (Melvins, Big Business ), dopo essere stato registrato negli studi dove sono passati gli Ahab ed altri. Questo gruppo ha tutto per sfondare e per avere una carriera duratura e proficua. Il debutto è già ottimo.

TRACKLIST
1) A Silver Heart
2) Darkest Days
3) The Gatekeeper
4) Blinders
5) Portrait Mind
6) Gods
7) Down To The Sky
8) Scars & Crosses

LINE-UP
Mona Miluski – vocals
Christian “Shi” Pappas – guitar
Ingwer Boysen – guitar
Constantin Wüst – bass
Thomas Wildelau – drums & backing vocals

HIGH FIGHTER – Facebook

Black Rainbows – Stellar Prophecy

I Black Rainbows, con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta

E’ ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, in questo caso è venuto il momento di spazzar via il vostro provincialismo quando si parla di rock per dare la giusta importanza ad una scena italiana che ormai può tranquillamente guardare dall’alto molte realtà europee ed andare a braccetto con quelle britanniche e statunitensi.

A ribadire lo stato di grazia del rock nazionale ci pensano i romani Black Rainbows, ormai da più di dieci anni in giro con il loro rock psichedelico contaminato da elettrizzante stoner; la band, attiva dal 2005, è giunta al quinto lavoro sulla lunga distanza, un viaggio lisergico nel mondo delle sette note, iniziato con Twilight in the Desert del 2007, per proseguire con Carmina Diabolo del 2010, Supermothafuzzalicious!! del 2011, ed il bellissimo Hawkdope dello scorso anno, con in mezzo un ep, due split ed un singolo.
Vi ho elencato tutta la discografia perché sono sicuro che, se non conoscete il gruppo capitolino e siete amanti del genere, dopo l’ascolto di questo ultimo lavoro farete di tutto per rifarvi del tempo perduto, ed ascoltare tutta la musica prodotta da questo trio di psychedelic rockers nostrani.
Giuseppe Guglielmino (basso), Alberto Croce (batteria) e Gabriele Fiori (chitarra, voce e tastiere), con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo (Hawkwind, MC5, Led Zeppelin, Black Sabbath) e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta come Monster Magnet, Kyuss, QOTSA: ne esce un sound che può tranquillamente essere considerato un viaggio nella musica rock dalle connotazioni space e psichedeliche, dove perdere la strada che riporta alla realtà spazio temporale è facile e pericolosissimo.
Electrify e Woman ci introducono al meglio nel mondo di Stellar Prophecy: l’opener è un brano diretto, molto rock’n’roll, mentre con Woman si entra nel mondo di Black Sabbath e Hawkwind.
Golden Widow regala undici minuti di pura psichedelia space, una danza lisergica tra le stelle, una lunga passeggiata tra le scie di supernova in caduta libera, nella galassia che si apre nelle menti sotto l’effetto di sostanze illegali, il primo dei due brani capolavoro che può vantare Stellar Prophecy.
Evil Snake, It’s Time To Die e Keep The Secret tornano all’hard rock stonerizzato, sempre accompagnate da chitarre ipersature, una perfetta amalgama tra MC5, Monster Magnet e Kyuss e ci preparano al secondo capolavoro, la conclusiva The Travel, un crescendo emozionale allucinante, quasi dieci minuti di apoteosi psych/stoner/doom lisergico da infarto, un incubo elettrico di enormi proporzioni, la colonna sonora della caduta di un asteroide sulla terra.
Stellar Prophecy si conclude così, con il vocalist che cammina sulle macerie, in un paesaggio diventato lunare, splendido ed emozionante finale di un disco stupendo, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Electrify
2. Woman
3. Golden Widow
4. Evil Snake
5. It’s Time To Die
6. Keep The Secret
7. The Travel

LINE-UP
Giuseppe Guglielmino – Bass
Alberto Croce – Drums
Gabriele Fiori – Vocals, Guitars, Keyboards

BLACK RAINBOWS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Po3b3qW4Xck

Rudhen – Imago Octopus

Imago Octopus vede i Rudhen alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley

Il basso pulsante dell’opener Sorrow For Your Life ci introduce nel mondo dei Rudhen, band che trasforma il nostro nord est (loro sono di Crespano del Grappa, in provincia di Treviso) nell’assolato territorio desertico della Sky Valley.
Nato nel 2013, il gruppo arriva al suo secondo ep, uscito qualche mese fa, non prima di aver dato alle stampe il primo mini cd nel 2014.

Fondati da Luca De Gasperi (batterista) ed Alessandro Groppo (cantante), i Rudhen hanno trovato una line up stabile con l’entrata in formazione di Maci Piovesan al basso e Fabio Torresan alla sei corde.
Imago Octopus vede il quartetto alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley: il loro sound, lisergico e stonato acquisisce un tocco personale con l’aggiunta di ottime sfumature vintage, pescate dal decennio settantiano.
Si cammina sul territorio americano con un occhio al Regno Unito, in questi cinque brani che compongono Imago Octopus; la gola arida, il passo pesante sotto il sole che toglie il respiro, le visioni allucinate, effetto collaterale di erbe illegali, sono compagni di viaggio in questo tuffo nello stoner, aiutato non poco e in parti uguali, dal rock alternativo e dall’hard rock classico.
Ci si riempie di rabbiose atmosfere elettriche, e pesanti mid tempo dall’andamento altalenante, le songs non risparmiano drammatiche richieste d’aiuto, per ritrovare la strada perduta tra i solchi di Rust, Fliyng To The Mirror, dell’ arrembante Lost ed i ritmi dal sapore orientale della bellissima Arabian Drag.
Non sono pochi i riferimenti che si riscontrano all’ascolto dei brani, non mancano chiaramente i nomi principali della scena stoner americana come Kyuss e QOTSA, ma all’attenzione giungono piacevoli noti sabbathiane ed un velato ma importante richiamo al doom/stoner targato Rise Above (Lee Dorrian docet).
In conclusione un ep che, per gli amanti del genere, sarà sicuramente una piacevole scoperta ed un ottimo ascolto; aspettiamo dunque ulteriori sviluppi, magari con la consacrazione del gruppo sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo- Voice
Fabio Torresan- Guitar
Maci Piovesan- Bass
Luca De Gaspari- Drums

RUDHEN – Facebook

Black Royal – The Summoning PT.2

Un disagio che si può toccare, una caduta nell’abisso del male di vivere da cui non si torna più indietro, l’altra faccia della Finlandia da cartolina e ha l’espressione di un demone perverso.

Finlandia, la terra dei mille laghi, chilometri di lande immerse nel freddo e in una splendida desolazione, per molti stranieri il paradiso, ma per chi ci vive può diventare qualcosa di vicino all’inferno.

Suicidi, alcolismo ed una predisposizione per la depressione e l’occultismo non sono rari, specialmente fuori dalle città.
La musica aiuta non poco e non è un caso che dai paesi scandinavi arrivino molte delle migliori realtà del metal degli ultimi venticinque anni.
I Black Royal sono un gruppo di Tampere, cittadina che ha dato i natali ad un numero altissimo di band, la loro musica esprime e descrive tutto il disagio di chi vive la realtà finlandese, lontana, molto lontana da renne e paesaggi natalizi e molto più vicina ad una provincia disastrata, che ricorda quella americana di Non Aprite Quella Porta.
The Summoning PT.2, come da titolo, segue il primo capitolo uscito lo scorso anno, trattasi di due EP che danno il via alla carriera della band, devota allo stoner/death, un sound che incorpora in parti uguali, sonorità doom settantiane, il più attuale stoner ed il death metal che non può non guardare allo storico estremismo di cui i paesi scandinavi sono famosi.
Licenziato dalla Armless Stranger, questo monolitico pezzo di metallo incandescente, lavico ed estremo ci consegna un gruppo con tutte le potenzialità per diventare una band di culto nella scena underground.
Il loro sound alimentato dal calore insopportabile dell’inferno e dalla potenza inesauribile della lava vulcanica che distrugge ogni cosa al suo passaggio, risulta una creatura abominevole, rabbiosa e cattivissima.
Denuncia sociale, occultismo e culto del bere, un miscuglio pericolosissimo che detona in queste cinque esplosioni, più intro, pesantissime, monolitiche ed a tratti disturbanti.
Black Sabbath ed Entombed drogati di stoner/sludge, un’alchimia di suoni ed umori devastanti che escono prepotentemente dai solchi delle varie, Scorn The Saint, Reclaim The Throne e Demonspawn, un disagio che si può toccare, una caduta nell’abisso del male di vivere da cui non si torna più indietro, l’altra faccia della Finlandia da cartolina e ha l’espressione di un demone perverso.

TRACKLIST
01. Purgatory
02. Scorn The Saint
03. Reclaim The Throne
04. Fireball
05. The Summoning
06. Demonspawn

LINE-UP
Jukka – Drums
Toni – Guitars, Vocals (backing)
Riku – Vocals
Pete – Bass, Vocals

BLACK ROYAL – Facebook

John Holland Experience – John Holland Experience

Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

Trio della fertile provincia cuneese nato in una cantina nel 2013, quando hanno unito le forse Alex Denina, Simone Calvo che abbiamo già avuto modo di ammirare nei Flying Disk e Francesco Martinat.

Questo trio fa un noise stoner molto bello e vario, con una forte attitudine punk, senza disdegnare ottime aperture melodiche. Il disco è condiviso in download libero e presenta molte sorprese, tra le quali spiccano la solidità e la capacità di cambiare registro, come quella di cambiare repentinamente velocità, il tutto con testi intelligenti e con un gusto beat anni sessanta. I John Holland Experience funzionano molto bene, si fanno ascoltare molto bene e sono anche originali, con quel senso della musica e della vita che solo la gaudente provincia cuneese ti sa dare. Un disco molto interessante coprodotto da tante etichette in 500 cd e in free download. Una bella sorpresa, un distorto e marcio blues di provincia.

TRACKLIST
01. Intro
02. Malvagio
03. Elicottero
04. Revival
05. Canzone D’Amore
06. Festa Pesta
07. Tieni Botta
08. Ti Piace

LINE-UP
Simone Calvo : voce, basso
Alex Denina : batteria
Francesco Martinat : voce, chitarra

JOHN HOLLAND EXPERIENCE – Facebook

Atom Made Earth – Morning Glory

I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile

Premessa: Il rock è morto, anzi no!

Lontane dai deliri di certi scribacchini che, alla scomparsa di una bella fetta delle icone rock che hanno imperversato negli ultimi trent’anni di storia della musica contemporanea, hanno creduto di celebrare la messa funebre al genere, ed immersi nelle vicissitudini di una scena underground mai così prolifica e dall’altissima qualità, le ‘zine di riferimento continuano imperterrite a presentarvi realtà di spessore provenienti da ogni parte del mondo.
A fare la voce grossa c’è anche il nostro paese, troppo spesso dimenticato soprattutto dai fans nati sul territorio nazionale e che all’ombra delle luci accese su spettacoli indecorosi trasmessi in tv, o a festival imbruttiti da una ricerca spasmodica del nuovo re del pop melodico, risulta patria di splendide realtà in tutti i generi con cui il rock ed il metal si nutrono.
Morning Glory conferma l’ottima salute che gode il rock nel nostro paese e ci presenta una band formata da quattro straordinari musicisti che, senza barriere e schemi prestabiliti, inglobano nel proprio sound diverse atmosfere, sfumature ed ispirazioni creando musica totale ed assolutamente progressiva.
Non smetterò mai di affermare che album come questo secondo lavoro del gruppo marchigiano sia quanto di più progressivo il rock del nuovo millennio possa riservare ai suoi estimatori, splendidamente strumentale ma intenso, cangiante e tecnicamente ineccepibile.
Non è assolutamente semplice trovare un lavoro di sole note, dove il canto sarebbe un di più, ci pensano gli strumenti a raccontare l’emozionante viaggio che gli Atom Made Earth hanno memorizzato sul loro navigatore musicale in un crescendo di sorprese che vi accompagneranno per tutta la durata dell’opera e la voglia irrefrenabile che avrete di schiacciare il tasto play ancora una volta.
Accompagnato dalla bellissima copertina curata dall’artista argentino Hernàn Chavar, registrato da Gianni Manariti e masterizzato dall’ex leader dei Khanate James Plotkin, Morning Glory è un album di rock progressivo che, da una forte base pinkfloydiana si dirama in più direzioni, e come un fiume in piena trascina con sé svariati mood, passando con disinvoltura dai Goblin allo stoner rock degli anni novanta, da soluzioni funky care a band come i Primus a divagazioni alternative e post rock inglobate in un sound che sprizza psichedelia da tutti i pori.
I sette brani di cui si compone Morning Glory formano una lunga jam che vi trascinerà in un vortice di suoni e colori irresistibile, confermando come detto non solo l’assoluto valore del gruppo di Ancona, ma l’inesauribile falda aurifera di cui si nutre la scena underground dello stivale.

TRACKLIST

1.Noil
2.Thin
3.October Pale
4.Reed
5.Baby Blue Honey
6.staC
7.Lamps Like An African Sun

LINE-UP

Daniele Polverini – Guitars, Loop, Synth, Effects
Nicolò Belfiore – Keyboards, Synth, Piano
Testa “Head” – Drum, Percussions
Lorenzo Giampieri – Bass

ATOM MADEEARTH – Facebook

Attalla – Attalla

Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito.

Attacco sonoro con trip power lisergico dalle lande del Wisconsin. Debutto per questo quartetto americano che usa riffoni potenti e calibrati per portare l’ascoltatore su di un altro piano dimensionale.

Per realizzare il loro piano di straniamento musicale gli Attalla usano l’hard rock, un doom bello duro e cadenzato e anche un bel pò di tenebre.
I titoli dell tracce sono brevi e stringati poiché l’attenzione maggiore deve essere sulla musica, ed ascoltandoli gli Attalla attirano benissimo al nostra attenzione. Sono retrò senza esagerare, hanno un impianto sonoro che è stato costruito negli anni settanta, ma lo attualizzano molto bene. La durezza della loro musica è molto ben calibrata, non esagerano, armonizzandola con la voce che è molto valida. Il risultato è una macchina di suono in veloce e poderoso movimento verso di voi, per aumentare il vostro trip lisergico che qui è garantito. Ottimo debutto, disponibile in cd, cassetta e digitale.

TRACKLIST
1.Light
2.Haze
3.Lust
4.Thorn
5.Veil
6.Doom

LINE-UP
Cody Stieg – Lead Guitar/Vocal
Brian Hinckley – Rhythm Guitar
Bryan Kunde – Bass
James Slater – Drums

ATTALLA – Facebook

Le Scimmie – Colostrum

Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente.

Se si volesse dare un nome ed una connotazione alla musica de Le Scimmie si potrebbe dire stoner estremo, o ambient stoner.

In realtà Le Scimmie vanno ascoltate e soppesate fisicamente, poiché creano una barriera sonora che è una forza che ci porta in dimensioni diverse dalla nostra.
Nati a Vasto nel 2007 come devastante duo, Le Scimmie pubblicano nello stesso anno un ep chiamato L’Origine, per poi incidere nel 2010 la prima fatica su lunga distanza Dromomania. Il cammino era cominciato e con esso una certa evoluzione sonora, la creazione di un territorio potente e primordiale, una forza sonica notevole che scava dentro cose e persone. In alcuni passaggi si possono sentire in loro echi e lezioni degli Ufomammut, ma non è certamente un difetto, anche se sono solo alcuni passaggi e non vi sono copie od imitazioni.
Colostrum nasce dopo anni di silenzio ed un grosso cambiamento, ovvero l’ingresso nel gruppo di un terzo musicista, Simone D’Annunzio, da sempre dentro al mondo de Le Scimmie ed ora agli effetti sonori dopo una carriera spesa tra l’ambient ed il noise. Il risultato è forte ed oscuro, quasi un magia sessuale e musicale che scaturisce da una parte della nostra psiche molto forte e che giace addormentata, ma che quando urla esce fuori pesantemente. Ci sono maggiormente elementi ambient e di atmosfera rispetto a prima, e tutto è molto strutturato e funzionale. Un disco di terra e di sangue.

TRACKLIST
1. Colostrum
2. Crotalus Horridus
3. Triticum
4. Helleborus

LINE-UP
Angelo “Xunah” Mirolli.
Gianni Manariti.
Simone D’Annunzio.

LE SCIMMIE – Facebook

DENIZEN

I Denizen saranno la prima band straniera, in questo caso francese, ad esibirsi all’Argonauta Fest che si svolgerà a Vercelli alle Officine Sonore dalle 18.00 di sabato 7 maggio. Prima di farvi conquistare dal loro fuzz rock, ecco una bella intervista con loro.

iye Come è nata la vostra band ?

Siamo una band heavy stoner rock dal sud della Francia. Esistiamo dal 2003. Abbiamo iniziato come amici con il Noise Hardcore. Dopo aver ascoltato un sacco di band Classic e stoner rock, finalmente abbiamo incluso queste influenze nella nostra musica.

iye Quali sono le vostre influenze ?

Troppe ! Ma possiamo citare Clutch, Kyuss, Fu Manchu e tutta la classica scena stoner rock, così come alcune bande più pesanti come Taint, The Melvins, Coalesce. E Black Sabbath, naturalmente.

iye Come siete entrati in contatto con l’Argonauta Records ?

Argonauta è un’etichetta che promuove molto le sue band. Quindi, li conosciamo grazie alla loro promo e ogni grande band che stanno sostenendo. Quindi siamo stati molto felici quando Gero ci ha mandato la sua prima e-mail dove ci diceva che gli piaceva il nostro album!

iye Cosa vi aspettate dall’Argonauta Fest ?

Buoni gruppi, buona birra, molta gente e finalmente incontreremo la squadra Argonauta. –

iye Progetti futuri ?

Stiamo scrivendo un nuovo disco, e faremo uno split con una super band inglese di cui non possiamo ancora dire il nome.

denizen1

iye Tell something on the band origin

We are a Heavy Stoner Rock band from south of France. We exist since 2003. We first started as friends playing Hardcore Noise stuff. After listening a lot of Classic and Stoner Rock bands, we finally included these influences in our music.

iye What are your influences?

Too many ! But we can mention Clutch, Kuyss, Fu Manchu and all the classic Stoner Rock scene as well as some heavier bands like Taint, The Melvins, Coalesce. And Black Sabbath of course.

iye How did you get in touch with Argonauta Records?

Argonauta is a label which promotes a lot their bands. So, we know them thanks to their promo and every great bands they are supporting. So we were very happy when Gero send us his first email telling us he liked our album!

iye What are your expectations for Argonauta Fest?

Good bands, good beer, great and numerous people and finally meeting Argonauta crew!

iye Future plans?

We’re currently writing songs for a new album and a split with a super English band (but we can’t tell more at the moment). We expect to tour again at the end of the year.

Monolith – Mountain

I Monolith fanno musica piacevole, con bei riferimenti ma anche con parti originali molto valide.

Secondo disco per questi tedeschi, devoti ai Black Sabbath e al doom rock di qualità.

Dopo una utile e breve gavetta i nostri danno alle stampe nel 2014 il loro primo sforzo sulla lunga distanza con titolo Dystopia che ha ricevuto un’ottima accoglienza e ha permesso loro di calcare diversi palchi. Nella primavera del 2015 Jann Worthmann entra nel gruppo in qualità di bassista, e ciò porta allo spostamento del notevole cantante Ralf Brummerloh dal basso alla chitarra. Con la formazione ormai stabile il gruppo comincia a scrivere Mountain che si discosta dal precedente in quanto ha derive maggiormente rock, pur mantenendo sempre un impianto doom. I Monolith fanno musica piacevole, con bei riferimenti ma anche con parti originali molto valide. I loro momenti migliori sono quando si perdono nelle jams, che non sono molte in questo dico ma rappresentano degli ottimi momenti. Band in continua crescita.

TRACKLIST
1. Mountain
2. Vultures
3. Standing Tall
4. High Horse
5. Moonshine Medication
6. Lies & Deceit
7. Tide
8. Blackbird

LINE-UP
Ralf Brummerloh – Vocals & Guitar
Ron Osenbrück – Guitar
Jann Worthmann – Bass & Backing Vocals
André Dittmann – Drums & Backing Vocals

MONOLITH – Facebook

Witches Of Doom – Deadlights

Ritorno coi fiocchi per le streghe capitoline, Deadlights continua a mantenere il gruppo sul podio delle migliori realtà del genere uscite dal nostro underground negli ultimi anni: un’opera ed una band da amare senza riserve.

A distanza di un paio d’anni tornano i Witches Of Doom, eccellente band nostrana che tanto aveva impressionato con il primo lavoro, quell’Obey che raccoglieva tra i propri solchi quarant’anni di musica oscura, partendo dall’hard rock settantiano dei Black Sabbath, passando per il dark ottantiano e finendo nel doom/stoner di fine millennio.

Un album che finì nella mia playlist di fine anno e non poteva essere altrimenti, vista l’alta qualità del songwriting e le influenze del gruppo che, come spiriti, passavano tra i solchi delle canzoni, senza mettere in secondo piano una personalità debordante, confermata in questo Deadlights, licenziato dalla label americana Sliptrick Records e pronto a conquistare le anime oscure che vagano nel mondo dell’underground metal/rock.
Ancora una volta a prenderci per mano ed accompagnarci nel nuovo sabba delle streghe romane è il singer Danilo Piludu, senza esagerare uno dei migliori cantanti in circolazione nel genere, eclettico, passionale e dotato di una forza interpretativa devastante, un’ugola dark che nelle sue corde vocali racchiude quel tanto che basta di Danzig, Jyrki69, Andrew Eldritch, conferendogli un mood settantiano che rende la sua voce tremendamente efficace ed ipnotica.
I suoi compari non mancano di costruire una cattedrale musicale gotica che si erge nella notte buia e che appare come d’incanto tra la nebbia, con questa volta e specialmente nella prima parte del disco una componente elettronica più accentuata.
Difficile parlare di un lavoro che non lascia un punto di riferimento, alternando con sagacia atmosfere new wave e dark, a molte parti gothic rock, pur avendo sempre presente la componente stoner, che rende le songs ossianiche e liturgiche, litanie oscure destabilizzanti, incantesimi a base di musica rock nera come la pece.
Dopo il bellissimo debutto non era così facile ripetersi, ma già dall’opener e singolo Lizard Tongue si intuisce che la qualità mostrata in passato è rimasta inalterata, ed il brano esplode tra elettronica, stoner con un Piludu sontuoso, in versione Glenn Danzig.
Gli accordi orientaleggianti che compaiono in Run With The Wolf, fanno da preludio ad una delle molte top songs del lavoro: il basso pulsa come i battiti di un cuore nero, spettrale e lasciva ma non pregna di esplosioni elettriche devastanti, Deface risulta un brano capolavoro così come la metallica Homeless, granitica ed emozionale, geniale nel proporre accordi dal sapore western (Fields Of The Nephilim) su una devastante base elettro/stoner.
Si continua a viaggiare sulle ali dei corvi posati sui campanili della famigerata cattedrale e sul piccolo cimitero gotico antistante, mentre Black Voodoo Girl, la superba Mater Mortis ( brano strumentale dove il doom metal incontra lampi e scariche elettroniche per tre minuti circa di geniale musica oscura) e Gospel Of War ci invitano al finale doorsiano con I Don’t Want To Be A Star, brano che chiude l’album con magnifiche atmosfere settantiane deviate da sfumature dark psichedeliche e conferma la totale genialità di questa fantastica band nostrana.
Ritorno coi fiocchi per le streghe capitoline, Deadlights continua a mantenere il gruppo sul podio delle migliori realtà del genere uscite dal nostro underground negli ultimi anni: un’opera ed una band da amare senza riserve.

TRACKLIST
01. Lizard Tongue
02. Run With The Wolf
03. Deface (The Things That Made Me A Man)
04. Winter Coming
05. Homeless
06. Black Voodoo Girl
07. Mater Mortis
08. Gospel For War
09. I Don’t Want To Be A Star

LINE-UP
Federico “Fed” Venditti – guitar
Jacopo Cartelli – Bass
Danilo “Groova” Piludu – Vox
Andrea “Budi” Budicin – Drums
Graziano “Eric”Corrado-keyboard

WITCHES OF DOOM – Facebook

Diana Spencer Grave Explosion – O

L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

0 come tondo, espressione di perfezione geometrica anche nel suono, allucinazioni che ritornano in visioni cicliche.

I Diana Spencer Grave Explosion sono un gruppo pugliese di stoner, space, psych e pure fuzz, ed esordiscono con questo ep di tre pezzi, molto ben composto, sognante e fumoso. Come molti altri gruppi, i numi tutelari dei Diana Spencer Grave Explosion sono i soliti della musica pesante, dai Kyuss ai Neurosis con una spruzzata in alcuni momenti di post rock. La band suona molto dal vivo e ciò lo si nota durante l’ascolto. Ci sono elementi sia in nuce che effettivi che fanno pensare che il gruppo pugliese in futuro farà ancora meglio, poiché possiede solide basi. L’elemento forse più forte della loro musica è l’escapismo sonoro, il disegnare ampi territori nei quali la nostra mente possa correre libera. Un esordio molto positivo.

TRACKLIST
1. Space Cake
2. Avalanche
3. Long Death to the Horizon

LINE-UP
Piercarlo Resta – vocals, guitar.
Costantino Temerario – vocals, guitar, synth. Francesco Maria Antonicelli – vocals, guitar. Giampaolo Giannico – bass.
Gianluca Girardi – drums

DIANA GRAVE EXPLOSION – Facebook

Algoma / Chronobot – Split 12”

Uno split godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Split album per due band canadesi, Algoma e Chronobot, con i primi già trattati in questa sede in occasione del full length d’esordio Reclaimed by the Forest del 2014.

Questa operazione, oltre a consentirci di ascoltare nuovo materiale, mette in luce le differenze tra due band che, se prese separatamente, potrebbero essere considerate simili tra loro a causa della comune appartenenza alla scena sludge doom.
In effetti tale collocazione si addice maggiormente agli Algoma, molti più aspri, grezzi e distorti, con l’utilizzo prevalente di uno screaming quale soluzione vocale ed il ricorso frequente ad un’effettistica disturbante; i Chronobot, invece, sono maggiormente orientati ad uno stoner ugualmente deformato ma leggermente più tradizionale: qui la voce è più vicina alla timbrica di un Matt Pike e la componente psichedelica si manifesta con una certa continuità.
Diciamo pure che i Chronobot si rivelano senz’altro meno ostici all’ascolto e che i loro tre brani mostrano una versione del genere ugualmente ruvida ma ricca di soluzioni notevoli, inclusa una chitarra solista in puro stile Bevis Frond (per chi se lo ricorda); i due brani degli Algoma mantengono, invece, la band dell’Ontario sul proprio aventino musicale: zero compromessi e nessuna intenzione di scendere a patti con qualsivoglia tentazione melodica, soluzione alla portata di molti giusto per un quarto d’ora, ma tutta da verificare sulla lunghezza di un album intero per gli ascoltatori meno pazienti o poco avvezzi a tali sonorità.
Uno split comunque godibile, stonato e drogato, come da copione di una recita alla quale abbiamo già assistito più volte, ma che continua ugualmente a piacere non poco.

Tracklist:
Side A
1. Algoma – Phthisis
2. Algoma – Electric Fence
Side B
3. Chronobot – Red Nails
4. Chronobot – Jerry Can
5. Chronobot – Sons of Sabbath

Line-up:

Algoma
Kevin Campbell – Bass/Vocals
Boyd Rendell – Guitar/Vocals
JV- Drums

Chronobot
Dafe – Guitars, Vox and Cosmic FX
Quinton – Lead Guitar
Cody – Psych Battery
Scott – Bass
Darius – Keys/FX

ALGOMA – Facebook

CHRONOBOT – Facebook

Lightsucker – Zammal

Per chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

Stoner suonato senza tregua, ed in maniera che fa emergere questa band finlandese sopra le altre di questo genere ora molto inflazionato.

Ascoltando i Lightsucker si può godere della loro ricchezza stilistica, poiché possiedono un modo notevole di fare stoner e sludge, molto diretto e potente, colate laviche messe in musica, movimenti sinuosi di un serpente nel deserto. Attivi dal 2013 nella cittadina di Lahti, i Lightsucker avevano al loro attivo solo un demo , Carved In Cockstone del 2014, e poi questo disco che è un rimarchevole esordio. Ci sono elementi che li rendono diversi, quali la potenza ed il tiro, molto superiori alla media. Chi vuole sentire vero stoner e ottimo sludge questo è il disco giusto.

TRACKLIST
1. 1 %
2. Solitary Confinement
3. Control Zone
4. Doomsday Artillery
5. Written While Stoned
6. All Out Reset
7. Sulfur & Jimson Weed
8. Aesthetics of Emptiness
9. Continental Landmass Dictator

LINE-UP
Tomi – Vocals.
Jussi – Bass.
Matti – Drums.
Atte – Guitar.

LIGHTSUCKER – Facebook

Sunnata – Zorya

Il sound proposto è uno dei più estremi in circolazione ma i Sunnata lo maneggiano con buona disinvoltura

La scena polacca è sicuramente più famosa per il death ed il black metal, generi che in quella terra hanno trovato terreno fertile in questi ultimi anni, ma scavando nell’underground ci si può imbattere in realtà che fanno proprie sonorità che guardano all’hard rock o, come in questo caso, allo stoner estremo.

Doom e sludge riempiono di potenza fuzz il sound di questa minimale band di Varsavia, nata solo tre anni fa, ma con già un precedente album all’attivo, Climbing the Colossus del 2014.
Conosciuto fino al 2013 come Satellite Beaver, il quartetto torna con un monolitico lavoro di cinque brani, dalla durata media che si assesta sui dieci minuti, quindi lunghe jam di sporco sludge potentissimo, riff massicci e qualche accenno più melodico che riporta la band sulle strade più sicure dello stoner.
Si parte con l’opener Beasts Of Prey e si capisce subito che l’ascolto sarà di quelli tosti, i quattro cerimonieri polacchi non vanno troppo per il sottile, il magma elettrico sprigionato dagli strumenti investe l’ascoltatore e la band, compatta, crea questo vortice sonoro, che attanaglia lo stomaco, come una morsa, dolorosa e senza tregua.
Per essere un’autoproduzione Zorya esce alla grande, il volume di potenza sprigionato è altissimo anche se, nelle lunghe jam, a tratti l’atmosfera si attenua un poco (Long Gone), per riesplodere in un’attimo in tutta la sua distruttiva e debordante potenza minimale.
E New Horizon deflagra in un’esplosione di sonorità fuzz, una lunga cerimonia di dolore, lenta e inesorabile, con gli strumenti al limite e la voce che arriva come da un altro mondo, melodicamente drammatica.
Un martello sonoro e brano più riuscito di questo album, la song è quella più vicino al doom, anche se qualche elemento noise tiene il sound ancorato alle più moderne sonorità sludge.
Per gli amanti del genere Zorya è un ascolto sicuramente consigliato, il sound proposto è uno dei più estremi in circolazione, ma la band lo maneggia sempre con buona disinvoltura.

TRACKLIST
1. Beasts of Prey
2. Zorya
3. Long Gone
4. New Horizon
5. Again and Against

LINE-UP
DOB – Bass
ROB – Drums
GAD – Guitars
SZY – Guitars, Vocals

SUNNATA – Facebook

Temple of Dust – Capricorn

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Otto brani, otto viaggi lisergici nella musica dura, otto composizioni che si nutrono di heavy rock, psichedelia, stoner e sostanze illegali, otto danze sabbatiche, litanie messianiche che portano allo sfinimento fisico e mentale.

Capricorn, debutto sulla lunga distanza dei lombardi Temple Of Dust, prodotto rigorosamente in vinile dalla label romana Phonosphera Records, non concede nulla in facili melodie, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare dalle note sporcate dal blues, violentato da noise e fuzz e dal cantato ruvido e allucinato da effetti e riverberi, come in un trip lungo quaranta minuti.
La band, nata in Brianza da un’idea del bassista/cantante Miky Bengala, a cui si aggiungono il chitarrista Mr. Diniz ed il batterista Beppe Gagliardi, arriva all’esordio dopo due ep, Capricorn del 2014 e Requiem For The Sun dello scorso anno, con questo album che riprende tutti i brani contenuti nei precenti lavori.
Difficile trovare una descrizione precisa per la musica del gruppo, inglobate nel sound del trio vivono molte anime, imprigionate da questo terribile demone lisergico in un unico spartito.
Capricorn va ascoltato come una lunga jam dove al suo interno umori diversi compongono una sola lunga danza messianica, drogata di psichedelia, stravolta da elettricità noise, appesantita dal groove stonerizzato e dalle reminiscenze sludge, un altare costruito con pietra vulcanica e reso monolitico da una gettata di cemento lavico dalla pesantezza sovraumana.
Non un minuto di questo lavoro è concesso a note in linea con le mode di questi tempi, la base su cui si staglia questo tempio di musica, che più underground di così non si può, riconduce agli anni settanta e verrà sicuramente apprezzata dagli amanti di Blue Cheer, Hawkwind e Black Sabbath.
Dalla title track fino alla conclusiva White Owl è un lungo discendere nella bocca di un vulcano verso il centro della terra, per incontrare il demone carceriere e tentare di liberare le anime imprigionate nel sound di Capricorn, ma non ci riuscirete, capitolerete prima, molto prima.

TRACKLIST
1.Capricorn
2.Temple of Dust
3.Requiem For The Sun
4.Szandor
5.Thunder Blues
6.Goliath
7.Lady Brown
8.White Owl

LINE-UP
Miki Bengala- Vocal, Bass
Mr. Diniz-Guitar
Beppe Gagliardi-Drums

TEMPLE OF DUST – Facebook

Mr.Bison – Asteroid

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard e southern rock.

Stoner rock suonato molto bene da due chitarre e una batteria, con una forte influenza hard rock e southern rock.

I Mr.Bison vengono da Cecina per migliorare la nostra triste vita, con un suono che non può non farti muovere, molto rock nella sua essenza profonda, e molto stoner nel suo outfit. Dal debutto del 2011 sono cambiate un po’ di cose per questo gruppo che sta compiendo un percorso molto valido nell’ambito stoner rock, senza lasciarsi influenzare dall’esterno. Asteroid è il loro lavoro più potente e strutturato, con una fortissima vocazione rock nella totalità del genere. I Mr.Bison hanno un groove loro molto bello e particolare, e pur non facendo un genere originale lo fanno molto bene, con molti elementi diversi. Il disco è molto piacevole e vario, induce a diversi ascolti ed è il lasciapassare per gustarseli dal vivo.

TRACKLIST
1.BLACK CROW
2.WISKER JACK
3.FULL MOON
4.HANGOVER
5.BURN THE ROAD
6.RUSSIAN ROULETTE
7.RESIST
8.CANNIBAL
9.PRISON
10.HELL

MR.BISON – Facebook

Tombstoned – II

I Tombstoned sono un gruppo particolare e qui lo confermano nettamente, producendo un disco fantastico.

Tornano questi giganti finlandesi del doom rock, con il secondo capitolo su lunga distanza.

Dopo un ottimo album omonimo nel 2013 pubblicato dalla fondamentale Svart Records, che li ha portati a suonare al Roadburn di quell’anno, ecco il nuovo capitolo. Ed è al livello del precedente, se non migliore, ma i Tombstoned vanno ascoltati ed assaporati disco dopo disco. Rispetto all’esordio alcune cose sono cambiate, il suono è sempre un piacevolissimo doom rock fortemente influenzato dagli anni settanta, ma per niente derivativo. Vivendo in nazioni differenti i membri del gruppo hanno accentuato il carattere jam session dei loro brani, ed il risultato è ottimo, lunghi riff con ottime melodie che sanno dove andare e cosa fare. il tutto con composizioni di ottima qualità.
I Tombstoned non hanno vissuto tempi facili ultimamente e la loro musica è più oscura rispetto al passato, anche il cantato è mutato, divergendo dall’iniziale carattere sabbatiano per trovare qualcosa di più simile al post punk. II è un disco molto affascinante e con un timbro dominante e forte. L’approccio totalmente analogico all’incisione da quel tocco di calore che rende ancora più magica questa musica. I Tombstoned sono un gruppo particolare e qui lo confermano nettamente, producendo un disco fantastico.

TRACKLIST
1. Pretending to Live
2. Brainwashed Since Birth
3. Time Travels
4. And I Told You
5. Haven’t We Seen All This Before
6. You Can Always Close Your Eyes
7. Remedies

LINE-UP
Akke – Drums
Olavi – Bass
Jussi – Guitar & Vocals

TOMBSTONED – Facebook

Veuve – Yard

Album che cresce con gli ascolti, Yard è un nuovo ed ottimo gioiellino di genere, che va ad affiancare le uscite sopra la media di questa prima parte del 2016

L’invasione di gruppi dediti ai suoni stonati nel nostro paese non conosce ostacoli, ormai da nord a sud, isole comprese, le danze sabbatiche si sprecano e con queste anche le ottime band intente a proporre, ciascuna a modo loro, sound monolitici e magmatici.

Elevators To The Grateful Sky, Desert Hype, Mutonia, sono solo alcuni dei gruppi che, negli ultimi tempi, hanno realizzato ottimi lavori, chi amalgamando il genere con suoni psichedelici, chi con l’alternative e chi, come i Veuve, con il sound settantiano di sabbatiana memoria.
Yard è il primo lavoro sulla lunga distanza per il trio di Spilimbergo, che arriva pesante come un meteorite in caduta libera sulla Terra, dopo un ep e la firma con The Smoking Goat Records.
Lunghe litanie in cui armonie acustiche lasciano spazio a violente e potenti esplosioni di lento incedere doom metal, una voce delicata che, come l’immagine angelica risvegliata da un fantastico e celestiale trip, ci accompagna tra i deserti bruciati dal sole, dove i miraggi ed i flash visivi sono gli unici compagni del nostro girovagare per ritrovare la strada perduta: questo è ciò che evoca il sound dei Veuve, caratterizzato da un basso che, come il battito di un cuore allo stremo, si accoppia con il drumming, un tappeto di ritmiche dal lento incedere, che a tratti varia di poco la velocità per accompagnare la sei corde, ora urlante riff stonati, ora più noise oriented, ma soprattutto protagonista di bellissime armonie acustiche.
L’album si sviluppa come una danza sabbatica, interrotta da tempeste e sfuriate di metallo stonato, il gruppo compatto ci invita alla sua jam lunga più di una quarantina di minuti dove i brani si susseguono, prima lungo un sentiero tranquillo, mentre susseguentemente, col passare dei minuti l’aggressività si fa arrembante, il dolce trip si trasforma in un incubo in cui fantasmi settantiani trasformano le dolci armonie vocali in grida di disperata ricerca di quella pace ora lontana; la sensazione di drammaticità diventa soffocante nelle ottime trame delle varie, Yeti, Witchburner e Pryp’jat’, un’escalation di heavy, doom, stoner emozionante che ha preso il posto dell’aura sognante dell’opener We Are Nowhere, ormai lontana anni luce dal mood intenso e cluastrofobico di questo esaltante trittico finale.
Album che cresce con gli ascolti, Yard è un nuovo ed ottimo gioiellino di genere, che va ad affiancare le uscite sopra la media di questa prima parte del 2016.

TRACKLIST
1. We Are Nowhere
2. Days Of Nothing
3. Mount Slumber
4. 40.000 Feet
5. Flash Forward
6. Yeti
7. Witchburner
8. Pryp’jat’

LINE-UP
Andrea Carlin – Drums
Felice di Paolo – Guitar
Riccardo Quattrin – Bass & Vocals

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