Tyrants – Union

Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

La storia dei Tyrants è iniziata nel 2001 e li ha visti stampare un paio di demo e il primo full length, uscito nel 2011 ed intitolato Ruchus.

La band in questi anni, oltre a qualche variazione in line up, ha reso la sua proposta molto più melodica rispetto al passato, ed il frutto di questa evoluzione è Union, ottimo lavoro di symphonic black metal dai suoni puliti, più di una sferzata heavy/thrash e solos perfettamente incastonati in un sound che convince a più riprese.
Il cantato in italiano non appare forzato come capita spesso, la coraggiosa scelta ripaga la band alzando un tasso di originalità che, a causa del genere suonato, non può essere il punto di forza del gruppo.
Union è un’opera estrema ben delineata, le caratteristiche principali sono quelle che hanno fatto innamorare del genere: cavalcate black/thrash, orchestrazioni che dettano atmosfere e fanno da tappeto alle scorribande metalliche dei protagonisti, attimi di intimistica tensione oscura che esplodono in una furia estrema tenuta sotto controllo dalla componente melodica, sempre ben presente nel sound di questa raccolta di brani. Diversi sono i picchi compositivi, come l’opener Eutanasia, la devastante Io Ti Maledico, Menzogne e la conclusiva Cordoglio, brano che raggiunge i venti minuti di durata, diviso in cinque capitoli che riassumono gli stati emozionali di chi subisce una perdita e risulta un suggestivo quanto perfetto sunto del credo musicale del gruppo nostrano.
Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

Tracklist
1.Eutanasia
2.The cry of sin
3.Io ti maledico
4.The keys of our chains
5.Menzogne
6.Cordoglio
I. Negazione
II. Rabbia
III. Contrattazione
IV. Depressione
V. Accettazione

Line-up
Marco Gulluni – Guitars/Orchestration/ Bass
Andrea Di Nino – Vocals
Diego Tasciotti – Drums
Giovanni Brandolini – Guitars

TYRANTS – Facebook


Descrizione Breve

Sinnrs – Profound

Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.

I Sinnrs sono una giovane e misteriosa entità oscura proveniente dalla Danimarca e Profound è il loro album di debutto.

Nero e Maestus sono i due musicisti che danno vita a questo progetto dal sound che trova le sue ispirazioni principalmente nel black metal sinfonico dei Dimmu Borgir, anche se la musica del combo si nutre pure di death metal e black/death di scuola Behemoth, divenuti una delle principali fonti a cui attingono le nuove leve del metal estremo di matrice sinfonica e melodica di stampo black.
Fredde atmosfere che scendono dalla vicina Scandinavia si mescolano al death metal dei primi masterpiece del gruppo di Nergal, mantenendo sempre un’attitudine melodica che valorizza le oscure ed estreme strade che portano Profound nel nero abisso della fiamma nera.
Dieci brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al genere suonato, dal songwriting che ha il solo limite di risultare altamente derivativo, ma in grado di non deludere gli amanti di queste sonorità e con almeno tre brani sopra la media, Lift My Bones, No Promise To Mankind e Et Sic Incipit.
Il duo danese si pone all’attenzione degli ascoltatori con un’opera di discreta fattura: le atmosfere pregne di malvagia oscurità sono quelle già ascoltate in passato, la parte sinfonica è ben inserita nel contesto estremo del sound e a tratti Profound offre momenti di intenso ed oscuro fascino.

Tracklist
1.Nihil
2.To Derive Even’s Flame
3.The Storm Of I
4.Lift My Bones
5.Renowed Praetorians
6.No Promise To Mankind
7.It Calls Me
8.Et Sic Incipit
9.Watch Her Soul Burn
10.Commemorate None

Line-up
Neo
Maestus

SINNRS – Facebook

Odious – Mirror Of Vibrations

La riedizione di questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.

Anche se Mirror Of Vibrations è un album vecchio di dodici anni, essendo stato pubblicato per la prima volta dagli egiziani Odious nel 2007, vale davvero la pena di parlarne sfruttando l’occasione fornita dalla sua riedizione in vinile curata dall’etichetta canadese Shaytan Productions, che peraltro fa capo ad altri coraggiosi musicisti metal dell’area islamica come i sauditi Al-Namrood.

Infatti questo primo full length degli Odious ci mostra un notevole spaccato di ciò che può diventare il black/death metal quando si va ad intersecare, in maniera competente e non forzata, con le sonorità etniche di matrice mediorientale, eseguite per di più utilizzando strumenti tradizionali come l’oud e la tabla.
Sono innumerevoli i tentativi di far convivere sonorità che, per lo più, finiscono per entrare in collisione con il risultato di offrire in pratica momenti ben distinti, in cui prevalgono l’una o l’altra componente senza mai intrecciarsi sinuosamente come, invece, avviene magistralmente in quest’album.
L’ascolto di brani come For the Unknown Is Horrid o Smile In Vacuum Warnings fornisce più di una buona ragione per innamorarsi di questa band ed approfittare di una versione in vinile nella quale, forse, diviene un po’ meno penalizzante la produzione che è francamente l’unico aspetto rivedibile di un’opera, al contrario, inattaccabile su ogni fronte, inclusa una nuova copertina davvero dal grande fascino.
Chi ama il black sinfonico e non disdegna ascolti di matrice ethnic folk, da un album come Mirror Of Vibrations potrà trarre enormi soddisfazioni in attesa che gli Odious, oggi ridotti a duo con il solo membro fondatore Bassem Fakhri affiancato dal batterista greco George Boulos, diano seguito al secondo album Skin Age, ultima testimonianza discografica risalente al 2015.

Tracklist:
1. Poems Hidden On Black Walls
2. Deaf and Blind Witness
3. For The Unknown Is Horrid
4. Split Punishment
5. Invitation To Chaotic Revelation
6. Smile In Vacuum Warnings
7. Upon The Broken Wings

Line-up:
Rami Magdi – Drums, Percussion
Bassem Fakhri – Vocals, Keyboards, Programming
Alfi Hayati – Bass
Mohamed Hassen – Guitars (lead), Oud
Mohamed Lameen – Guitars (rhythm)

ODIOUS – Facebook

Xaon – Solipsis

Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.

Tornano gli svizzeri Xaon con il successore del già bellissimo debutto licenziato un paio di anni fa ed intitolato The Drift.

Nel frattempo la band è diventata un duo formato da Vincent Zermatten alle chitarre e Rob Carson alle orchestrazioni e al microfono (poi raggiunti dl vivo da altri cinque musicisti) e rilascia per la Mighty Music questo monumentale lavoro intitolato Solipsis.
Accompagnato da un bellissimo ed alquanto evocativo artwork, Solipsis risulta un’altra opera di spettacolare metal estremo all’interno della quale vivono in perfetta armonia death melodico, gothic/dark, symphonic black, doom/death e power creando un assalto sonoro, maestoso ed epico.
Su tutta questa tempesta di suoni ed atmosfere si staglia il vocione del singer, che alterna vari toni in una performance sugli scudi, rabbiosa, epica ed evocativa.
Dall’opener Monolith si entra nell’armageddon sonoro creato dai Xaon, una battaglia di note apocalittiche dove le orchestrazioni fanno il bello e cattivo tempo, in un sound che cambia ritmiche e sfumature, cangiante come un camaleonte ma fortemente evocativo in ogni passaggio.
Le melodie che sono la linfa di brani capolavoro come Eros o Cipher non placano la furia estrema con cui il gruppo affronta la materia in un’apoteosi di suoni che creano un sound belligerante, epico e bombastico.
Pensate a cosa potrebbero creare Emperor, Bal Sagoth, Paradise Lost, Dark Tranquillity e Septic Flesh chiusi in una stanza a jammare ed avrete un’idea di come suona questo monumentale e imperdibile lavoro.

Tracklist
1. Monolith
2. Carillon
3. Solipsis
4. Mobius
5. Eros
6. Cipher
7. Beast
8. River
9. Mask

Line-up:
Vincent Zermatten – Guitars
Rob Carson – Vocals/Orchestrations
Live Members
John Six – Bass
Jordan Kiefer – Drums
Onbra Oscouŗa – Guitars
Klin HC – Guitars
Julien Racine – Drums

XAON – Facebook

Laang 冷 – “Haiyáng 海洋

Háiyáng è un lavoro a suo modo sorprendente che ritengo meriti la chance dell’ascolto da parte degli appassionati del black meno canonico e dalle provenienze esotiche.

Diverse sono le particolarità che rendono degno di un ascolto questo esordio marchiato Laang.

Intanto la provenienza geografica, anche se quella di Taiwan non è in assoluto una primizia in ambito black, ma resta comunque un qualcosa di inconsueto; oltre a questo Yáng Tāohái, il musicista che da solo ha curato questo progetto, pubblicando Háiyáng diverso tempo dopo essersi risvegliato dal coma in seguito ad un incidente stradale, ha deciso di descrivere quello stato di anticamera della morte che a suo dire ha vissuto mentre era in quello stato.
Non si può giurare che il tutto sia vero o si tratti di un puro artificio compositivo, fatto sta fatto che l’album si snoda all’insegna di un black metal sinfonico, benché molto sui generis, ricco di passaggi emotivamente rimarchevoli, inframezzati da altri di matrice puramente ambient.
In effetti ciò che colpisce del lavoro è la capacità del musicista asiatico di conferire una certa originalità alla sua proposta, proprio perché l’adesione solo parziale agli schemi del genere risente della provenienza da una scena decisamente lontana (non solo geograficamente) da quelle più conosciute: il risultato è una serie di brani dal buon impatto melodico ma effettivamente dal contenuto piuttosto vario ed evocativo, grazie anche all’apporto del pianoforte che in più di un caso si sostituisce ad un più algido synth.
Particolare è l’uso della voce che non è un consueto screaming di matrice black ma un qualcosa di più sgraziato (accentuato in tal senso da una lingua madre il cui adattamento al metal è tutto da verificare) che sembra, però, ben adattarsi al contesto drammatico che il nostro vuole evocare, la cui punta viene a mio avviso toccata con le notevoli progressioni di un brano davvero particolare come Cāngliáng.
Háiyáng è un lavoro a suo modo sorprendente che ritengo meriti la chance dell’ascolto da parte degli appassionati del black meno canonico e dalle provenienze esotiche.

Tracklist:
1. Chāoyuè Dìyù 超越地狱
2. Shēnyuān 深淵
3. Hilàng 海浪
4. Cāngliáng 蒼涼
5. Yān 淹
6. Jī 羇
7. Yun Miè 殒灭
8. Zǐdàn Kǒng 子弹孔

Line-up:
杨涛海 (Yáng Tāohai)

LAANG – Facebook

Belzebubs – Pantheon Of The Nightside Gods

Una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti.

I Belzebubs sono dei cartoni animati che suonano un ottimo black metal dai forti legami con il death e arrivano fino al numero uno della classifica dei dischi fisici in Finlandia.

Se ciò doveva accadere, sarebbe stato per forza in Finlandia, il paese dove c’è un incredibile e genuino amore per il metal tutto, meglio se estremo. Dopo l’esordio su Century Media con il sette pollici Blackened Call, i nostri arrivano al loro debutto su lunga distanza, ed è un gran bel sentire. Il disco è potente e ben calibrato, è black metal nella sua essenza, ma ci sono tanti altri elementi che concorrono alla sua creazione per farne un disco di metal totale, un vero e proprio atto d’amore verso questa musica. Ad esempio non pochi sono i momenti sinfonici, che vanno ad accrescere il pathos dell’opera. I Belzebubs sono un gruppo vero, i loro membri rilasciano interviste e sono molto presenti, anzi sono molto meglio di certi gruppi in carne ed ossa. Non si sa chi ci sia veramente dietro ai personaggi disegnati dall’ottimo cartoonist finlandese Jp Ahonen, che ha avuto questa idea montata, poi, fino a diventare un grande successo e un grandissimo spot per il metal. Pensate infatti se, fin da bambini o da adolescenti, aveste auto la possibilità di vedere dei cartoni animati di black e death metal, fatti con passione e competenza. Il disco è davvero buono, c’è anche tanto humour ma non si scherza, i Belzebubs sono un vero gruppo e lo si sente soprattutto quando fanno canzoni di oltre otto minuti dalla grande struttura. Basta vedere il video di Cathedrals Of Mourning per capire le immense potenzialità di questo progetto: una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti. Solo gioie dalla Finlandia.

Tracklist
1. Cathedrals Of Mourning
2. The Faustian Alchemist
3. Blackened Call
4. Acheron
5. Nam Gloria Lucifer
6. The Crowned Daughters
7. Dark Mother
8. The Werewolf Bride
9. Pantheon Of The Nightside Gods

Line-up
Samaël – drums
Hubbath – vocals, bass
Sløth – guitars, vocals
Obesyx – lead guitars

BELZEBUBS – Facebook

Kull – Exile

Questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia del metal degli ultimi 25 anni, ascoltando questo album d’esordio dei Kull si troverà a pensare d’essersi imbattuto in una band clone dei Bal-Sagoth.

L’impressione sarebbe più che giustificata, se non fosse che questo gruppo ha tutti i diritti di riprendere in maniera fedele quelle sonorità epiche e magniloquenti trattandosi, di fatto, degli stessi Bal-Sagoth con un diverso vocalist al posto del declamatorio fondatore Byron Roberts.
Il perché i fratelli Maudling (accompagnati dall’altro membro storico Alistair MacLatchy e da Paul Jackson, entrato nella band dopo l’uscita dell’ultimo full length) non abbiano utilizzato il monicker originale non è dato saperlo, ma è probabile che possa avere a che fare con diritti sul suo utilizzo: fatto sta che questo Exile lo si può considerare lecitamente sia l”esordio dei Kull sia il settimo album dei Bal-Sagoth.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa, si può dire che il lavoro mantiene in pieno le caratteristiche ben conosciute da chi ama e da chi odia la storica band, per cui l’effetto divisivo resta tale e quale; quel che cambia è che Tarkan Alp è vocalist più tradizionale di Byron, nel senso che interpreta i brani con un più canonico e vario approccio da cantante black metal, optando per l’evocativo recitato utilizzato continuativamente dal predecessore solo a tratti.
Se vogliamo, questo fa pendere l’ago della bilancia a favore di quel minimo di discontinuità che conferisce ai Kull lo status di band a sé stante, anche se è è innegabile che a cavalcate come Vow of the Exiled, A Summoning to War o Aeolian Supremacy, per non parlare dell’intro strumentale Imperial Dawn, bastano poche note per svelare agli ascoltatori chi si nasconda dietro ai Kull.
Exile nel complesso appare più ruvido (persino troppo, sentendo un brano come Of Stone and Tears) rispetto alle uscite dei Bal-Sagoth del nuovo millennio, complice anche il trademark vocale di Alp e una minore predominanza della tastiere di Jonny Maudling, nonostante questo resti lo strumento che fa e disfa all’interno dell’opera; nel complesso questo rende il tutto più vicino per impatto a Starfire Burning upon the Ice-Veiled Throne of Ultima Thule che non a The Power Cosmic, cosa che a un fan della prima ora dei Bal-Sagoth come il sottoscritto non può che far piacere.
In definitiva, questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Tracklist:
01. Imperial Dawn
02. Set-Nakt-Heh
03. Vow of the Exiled
04. A Summoning to War (Dea Bellorum Invicta)
05. Horde’s Ride
06. An Ensign Consigned
07. Pax Imperialis
08. By Lucifer’s Crown (Lapis Exillis)
09. Of Stone and Tears
10. Aeolian Supremacy: Wrath of the Anemoi
11. Of Setting Suns and Rising Moons

Line-up:
Tarkan Alp – Vocals
Chris Maudling – Guitars
Jonny Maudling – Keyboards/synths
Alistair MacLatchy – Bass
Paul “Wak” Jackosn – Drums

KULL – Facebook

Vereor Nox – Vereor Nox

Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Incredibile concept album sul videogioco Dark Souls, pieno di ottimo symphonic black metal e di archetipi eterni come la Luce e la Tenebra.

Ascoltando l’ultimo lavoro dei Vereor Nox si viene catapultati all’istante in una miriade di mondi , risucchiati dalla Fiamma nell’eterna lotta fra Luce e Tenebra, fra bene e male, ma con molte più sfumature. Il gruppo è attivo dal 2014 su idea di Kronos (Gianluca Moreo) e Fenrir (Beatrice Traversin), con lo scopo di suonare black metal e trattare temi introspettivi ma anche mitologici, e gli uni non escludono affatto gli altri, anzi. Questo ultimo lavoro, il secondo su lunga distanza per il gruppo, richiede molta attenzione perché musicalmente possiede una varietà e una ricchezza non comuni, oltre ad uno studio sui testi davvero notevole. Il punto di partenza è il videogioco giapponese Dark Souls, che volendo dare una definizione disperatamente riduttiva è un rpg dark fantasy, ma in realtà è molto di più ed infatti in questo disco c’è un grande approfondimento. In pratica i Vereor Nox, intorno all’universo del videogioco compongono, un’opera ispirata dal black metal mediterraneo classico, e molto forte è la componente sinfonica che, come un coro greco, interviene nelle situazioni di maggior pathos. Come detto c’è un grande lavoro concettuale dietro il lavoro, ma la musica non è da meno, rafforzata da un grande padronanza tecnica; c’è solo una cosa che non è al suo massimo livello in questo disco, ed è la produzione, perché senza questa sbavatura saremmo davanti forse al disco dell’anno italiano in tale ambito. I Vereor Nox riescono sempre a trovare la soluzione adatta, aiutati da un grande senso della melodia, e producono un album che merita ripetuti ascolti per cogliere il tutto, perché è sterminato quanto l’universo di Dark Souls. Ogni canzone ha molteplici passaggi nascosti, c’è un bel ritornello e sotto si trova una linea di basso ipnotica, oppure una doppia cassa incessante mentre la chitarra esegue degli arpeggi da sogno. Molto adeguata è anche la durata delle canzoni, che non debordano mai. Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Tracklist
1. Within The Flames
2. My Dear Sister
3. Born Under The Moon
4. The Crossbreed
5. The Silence In The Cathedral
6. Void
7. Dense Of Nothingness
8. Your Grave

Line-up
Fenrir (Beatrice Traversin) – vocals & lyrics
Gwyn (Emiliano Bez) – guitars, backing vocals, main composer
Seath (Ivano Lo Iacono) – bass, composer

VEREOR NOX – Facebook

Deorc Absis – The Nothingness Transfiguration

Il suono dei Deorc Absis oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto.

Black death metal dissonate e schizofrenico, molto tecnico e davvero inusuale.

L’esordio degli italiani Deorc Absis per l’etichetta americana Redefining Darkness Records è uno di quei dischi che colpiscono duro e che stupiscono. La levatura tecnica è elevata, come notevole è la capacità compositiva, le tre canzoni sono strutturate in maniera labirintica, e dentro ci sono molte cose. Il loro suono oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto. Il gruppo ha un impatto violento, ma non esibisce solo la potenza, preferendo l’effetto dell’insieme alla singola voce musicale. E il risultato è un suono molto originale, che crea un effetto cinematografico sull’ascoltatore, nel senso che il racconto procede per racconti di immagine, e la lunga durata delle tracce permette uno sviluppo esauriente delle stesse. Si potrebbe pensare che tre pezzi possano essere pochi, ma tre canzoni con questa intensità e con questa densità richiedono un’attenzione speciale, con un occhio di riguardo per la qualità, che con un numero maggiore di pezzi potrebbe diluirsi, mentre qui rimane inalterata. Una ricerca notevole permea questo disco, e la poetica musicale messa in campo qui è rivolta verso il futuro, usando elementi del passato ma guardando sempre avanti.
Il lavoro del gruppo è notevole, una menzione speciale va all’incredibile basso di Marcello Tavernari che costruisce fisionomie mostruose, colonna portante del suono dei Deorc Absis. L’esordio è notevole e merita attenzione, musica estrema fatta con passione e competenza.

Tracklist
1.Stasis
2.Epanastasis
3.Metamorphosis

Line-up
Claudio Miniati: Vocals
Alessandro D’Antone: Guitars
Marcello Tavernari: Bass
Marco Taiti – Drums

DEORC ABSIS – Facebook

Hecate Enthroned – Embrace of the Godless Aeon

Chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di alcuni brani ben costruiti, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva.

Quando una band fin dai suoi esordi viene subito additata quale copia di un’altra di successo emersa precedentemente, tale nomea diviene poi molto difficile da scrollarsi di dosso.

Certo che quando si parla di un gruppo come gli Hecate Enthroned, in giro ormai da un quarto di secolo, tutto questo appare paradossale ma è in effetti innegabile che la band inglese abbia vissuto la propria carriera sotto l’ombra ingombrante dei Cradle of Filth, finendo sempre per trovarsi un passo indietro rispetto alle mosse di Dani e soci, anche nei momenti può opachi attraversati da questi ultimi.
Questo ultimo album, Embrace of the Godless Aeon, è solo il secondo negli ultimi 15 anni per gli Hecate Enthroned, e se questo poteva indurre a pensare ad un’evoluzione stilistica o ad uno scostamento rispetto ai propri modelli ci si sbaglia di grosso, perché alla fine tutto appare per assurdo più filthiano di quanto non lo sia oggi la stessa band del Suffolk.
Chiaramente, chi apprezza queste sonorità non potrà fare a meno di ascoltare con moderata soddisfazione l’incedere familiare di brani ben costruiti come Revelations in Autumn Flame e Silent Conversations with Distant Stars, o apprezzabilmente solenni come Erebus and Terror, all’interno di un lavoro la cui carenza di personalità non viene sufficientemente compensata da una adeguata brillantezza compositiva. Lo stesso ricorso ad una voice femminile come quella di Sarah Jezebel Deva, protagonista nei migliori album dei Cradle Of Filth, non è certamente un qualcosa che possa far presupporre un distacco, anche parziale, dal solco stilistico seguito in tutti questi anni.
Poi, a ben vedere, come spesso ribadiamo in tali contesti, la derivatività di una proposta non è mai un ostacolo insormontabile a patto che ciò sia associato ad un impeto ed una freschezza capaci di spazzare via gli strati di polvere che ricoprono sonorità ascoltate centinaia di volte negli ultimi vent’anni.
Per esemplificare ciò che intendo, basti confrontare questo parto degli Hecate Enthroned con quello dei coreani Dark Mirror Ov Tragedy, capaci di inserire su uno scheletro compositivo altrettanto debitore delle band guida del symphonic black tutti quegli elementi di interesse e le brillanti intuizioni melodiche che, purtroppo, si rinvengono solo in minima parte in in questo discreto e poco più Embrace of the Godless Aeon.

Tracklist:
1. Ascension
2. Revelations in Autumn Flame
3. Temples That Breathe
4. Goddess of Dark Misfits
5. Whispers of the Mountain Ossuary
6. Enthrallment
7. The Shuddering Giant
8. Silent Conversations with Distant Stars
9. Erebus and Terror

Line-up:
Nigel – Guitars
Dylan Hughes – Bass
Andy – Guitars
Pete – Keyboards
Gareth Hardy – Drums
Joe Stamps – Vocals

HECATE ENTHRONED – Facebook

Dark Mirror Ov Tragedy – The Lord Ov Shadows

I Dark Mirror Ov Tragedy riescono nell’impresa di unire gli stilemi del symphonic black con una maestosità orchestrale degna dei migliori Rhapsody, con il particolare non da poco di non risultare stucchevoli: un motivo in più per avvicinarsi a quest’ottimo album senza particolari remore.

I Dark Mirror Ov Tragedy sono probabilmente la band di punta del movimento metal coreano.

In effetti il loro symphonic black, per quanto fortemente debitore di chi il genere l’ha codificato (Cradle of Filth e Dimmu Borgir), è decisamente di ottima fattura, provvisto di spunti melodici importanti e arrangiamenti orchestrali ineccepibili.
Qui si determina alla fine lo spartiacque tra chi apprezza tali soluzioni in ambito black e chi non le digerisce proprio; di sicuro chi appartiene alla prima delle due categorie troverà più di un motivo di soddisfazione da questo quarto full length della band asiatica. Il sound è decisamente monopolizzato da un lavoro tastieristico di gusto classico sul quale si abbatte lo screaming filthiano del vocalist Material Pneuma, con il tutto reso  più peculiare dal bel contributo della violino dell’ospite Arthenic, ma la differenza tra i copisti senz’anima e i musicisti di spessore, che si ispirano a chi è venuto prima rielaborandone la lezione, sta tutta in una sola parola: talento.
Questa band di Seul ne ha parecchio da vendere, soprattutto per la capacità di creare melodie avvincenti inserite all’interno di un involucro sonoro affascinante, magnificamente orchestrato dal pregevole tocco della tastierista Genie, che spesso tocca inattese vette di lirsmo alternandosi con altrettanto significativi assoli chitarristici.
Altro punto di forza di questo The Lord Ov Shadows è la varietà delle soluzioni offerte, ed è proprio grazie ai cambi di ritmo, alle repentine aperture melodiche od acustiche, talvolta anche di matrice folk, alternate alle sfuriate di natura estrema, che i Dark Mirror Ov Tragedy riescono a ritagliarsi una cifra stilistica personale quanto basta per renderne la proposta fresca e a tratti entusiasmante, nonostante non si possa definire certo innovativa.
Tre lunghi brani più due eleganti intermezzi atmosferici (uno dei quali con tanto di notevole voce lirica) formano un album di valore difficilmente eguagliabile di questi tempi in ambito symphonic black, sottogenere del quale i Dark Mirror Ov Tragedy interpretano al meglio i pregi e riducono al minimo sindacale quello che molti considerano un difetti (l’indubbia magniloquenza esibita dai coreani non può certo essere nelle corde di tutti di ascoltatori); I Am the Lord Ov Shadows, lunghissima traccia conclusiva, è una sorta di apoteosi di queste sonorità grazie alla quale la band asiatica riesce nell’impresa di unire gli stilemi del symphonic black con una maestosità orchestrale degna dei migliori Rhapsody, con il particolare non da poco di non risultare stucchevoli: un motivo in più per avvicinarsi a quest’ottimo album senza particolari remore.

Tracklist:
1. Chapter I. Creation of the Alter Self
2. Chapter II. Possession
3. Chapter III. The Annunciation in Lust
4. Chapter IV. Acquainted with the Nocturnal Devastation
5. Chapter V. I am the Lord Ov Shadows

Line-up:
Material Pneuma – Vocals
Gash – Guitars
Senyt – Guitars
Reverof – Bass
Confyverse – Drums
Genie – Keyboards

Guests:
Yama Darkblaze – Vox
Binna Kim – Soprano
Arthenic – Violin

DARK MIRROR OF TRAGEDY – Facebook

Disciples Of The Void – Disciples Of The Void

Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

L’offerta attuale in campo black metal è molto ampia e variegata, questo per parlare della quantità, mentre invece se esaminiamo il lato qualitativo ci si accorge che è non è altissima.

Molti gruppi fanno black metal, nato nella selvaggia Scandinavia degli anni novanta ed arrivato fino a noi e che andrà oltre le nostre esistenze, essendo un genere molto soggettivo ma fino ad un certo punto, perché la nera grandiosità si riconosce subito. Il debutto omonimo del duo finlandese Disciples Of The Void è un gran bel disco potente, maestoso grazie a venture sympho importanti. L’incedere di Disciples Of The Void è quello del grande gruppo black metal, il passo sicuro che rivolta l’ascoltatore, quella voglia di spaccare le ossa a chi si avvicina a questo suono, l’impetuosità e il talento assoluto nel cambiare tempo in men che non si dica, andando ad occupare il gradino superiore dell’aggressione. Il misterioso duo si rifà apertamente alla seconda ondata del genere e certamente quello è il punto di partenza, ma i Disciples Of The Void vanno oltre, confezionando un assalto black e sympho a tutto tondo. Non c’è un momento di tregua o di pace e, come in una caccia infernale, il tutto si svolge in maniera veloce eppure indelebile: il muro sonoro delle chitarre, della batteria, la voce ed il resto si fondono assieme come un assalto di una cavalleria pesante maledettamente diabolica. Per quanto riguarda la musica non ci sono grosse novità od innovazioni, e non sarebbe nemmeno il posto giusto per cercarli, mentre sarebbe auspicabile che ci fosse un maggior numero di album come questo in giro. Mettere assieme impeto, tecnica e forza bruta è cosa da molti gruppi, ma aggiungere a tutto ciò una dose di ottima melodia e un’impronta totalmente personale, questa non è affatto cosa da tutti e i Disciples Of The Void ci riescono benissimo.
Un folle assalto alla civiltà nel quale siamo immersi, un escapismo di marca satanica e puramente black metal senza requie, che lascia stupiti e vogliosi di ricominciare per un debutto come non se ne sentivano da tempo.

Tracklist
01. Ad Gloriam Invictus Satana
02. Dominion
03. The Apocalypse Reign
04. Enter The Void
05. Per Aspera Ad Noctum
06. The Harvest
07. The Heirs Of Wormwood
08. Choronzon
09. Home Of The Once Brave ( Bathory Cover )

DISCIPLES OF THE VOID – Facebook

ACOD – The Divine Triumph

La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente.

Con un incondizionato assalto black death metal con forti accenni sinfonici, i francesi ACOD puntano tutto sulla notevole potenza di fuoco e su una composizione molto precisa e funzionale.

Il gruppo viene da Marsiglia e si inserisce nel solco della tradizione metal francese che stupisce sempre per la notevole varietà di soluzioni. Qui i generi si fondono e i codici musicali dei sottogeneri vengono usati per arrivare al risultato finale che è notevole. Lo stile potrebbe ricordare quello dei Behemoth di qualche anno fa, ma il loro tiro è maggiore di quello del gruppo polacco in alcuni frangenti. Le orchestrazioni sono composte benissimo dal gruppo e da Richard Fixhead, ex Tantrum. Spesso nel metal le parti orchestrali sono eseguite in maniera tale da risultare avulse dal contesto, o peggio, quasi sgradevoli all’orecchio, ma in questo caso invece sono un ulteriore valorizzazione del lavoro del gruppo e sono quindi molto piacevoli. L’incedere del quarto disco del trio marsigliese è incessante e lascia una scia di sangue dietro di sé, con l’ascoltatore che rimane pienamente soddisfatto da quanto sta ascoltando. La carriera degli ACOD fino a qui era già soddisfacente, ma questo disco è molto al di sopra della media e dovrebbe essere il definitivo trampolino per una formazione musicale che, in questo frangente, ha prodotto davvero una grande uscita, potentissima e molto coinvolgente. Non c’è un secondo di noia o di riempitivo, è tutto furia e devastazione, antiche storie e nuovi demoni, e il gruppo dimostra di possedere un marchio immediatamente riconoscibile, che è forse la cosa più difficile oggi, in ambito metal e non.

Tracklist
01. L’ascension des abysses
02. Omnes Tenebrae
03. Road To Nowhere
04. Broken Eyes
05. Between Worlds
06. Tristis Unda
07. Sanity Falls
08. The Divine Triumph
09. Fleshcell
10. Beyond Depths
11. Sleeping Shores

Line-up
Fred – Vocals
Jerome – Guitars/Bass
Raph – Drums

ACOD – Facebook

Runeshard – Dreaming Spire

Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi.

Metal epico, dungeon synth, symphonic black metal, una delle migliori colonne sonore per un videogioco come se ne facevano negli anni ottanta, maestoso e cavalleresco.

Il duo ungherese dei Runeshard, qui al loro debutto, è una delle cose maggiormente originali che potete trovare in ambito metal e non solo. I Runeshard vi prenderanno per mano e vi porteranno in un mondo che è come quello della splendida copertina, draghi, castelli su vette innevate e cavalieri che combattono, insomma cose che piacciono molto a chi ama il metal che si lega al fantasy. Musicalmente la loro proposta è un misto di black metal sinfonico, epic metal e anche una bella dose di dungeon synth, che nei territori dell’est europeo ha sempre avuto una buona diffusione e produzione costante. Questo sottogenere è uno strano ed azzeccato miscuglio di arcaicismo e fantasy messa in musica. I Runeshard vanno però oltre il dungeon synth e fanno una miscela tutta loro di tanti generi e sottogeneri, arrivando ad un risultato notevole, orecchiabile e credibile che ricorda il meglio del sympho black metal degli anni novanta. Questi ungheresi hanno una grande facilità a cambiare registro, facendo canzoni veloci e ben costruire, dove le tastiere sono l’impalcatura sulla quale si innestano felicemente gli altri strumenti per una musica totalmente epica e votata alla narrazione fantasy. Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi. Per i Runeshard è un ottimo inizio di una saga che li porterà lontano, e noi con loro.

Tracklist
1.The Coronation
2.Dreaming Spire
3.Crimson Gates
4.Atlantean Sword

RUNESHARD – Facebook

Veratrum – Visioni

Il mini album “Visioni” dei Bergamaschi Veratrum, ci dimostra per l’ennesima volta – senza per forza fare del puerile campanilismo – quanto il nostro paese non abbia nulla da invidiare nel campo del black metal, in termini di capacità strumentali e di creatività musicale, a nazioni simbolo quali Norvegia, Svezia e Grecia.

Gli italiani Veratrum (death/blacksters con già all’attivo un demo, due album e due ep, compreso l’oggetto di questa recensione) devono il loro nome ad una particolare pianta (il Veratro, dal latino ‘vere’ – veramente e ‘atrum’ – nero) molto tossica, che annovera, tra le sue principali caratteristiche, quella di possedere il rizoma, una sorta di radice che si sviluppa (in genere orizzontalmente e quindi non in profondità) sotto terra.

Il rizoma permette la nascita di nuove gemme, anche se, in superficie, la pianta al termine del suo flusso vitale, muore.
Jung metaforizzò il rizoma:
“La vita mi ha sempre fatto pensare a una pianta che vive del suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò che appare alla superficie della terra dura solo un’estate e poi appassisce, apparizione effimera.” (Da sogni, ricordi e riflessioni).
Parafrasando, la vera natura dell’esistenza è inaccessibile (nel sottosuolo, eterna ed insondabile), mentre ciò che vediamo e viviamo giornalmente, risulta effimero e forse troppo spesso illusorio.
È questa, a mio modo di vedere, la chiave di lettura, di questo ep autoprodotto (uscito al momento unicamente in formato digitale): ricondurre il tutto ad un semplice album black death risulterebbe ingiustamente riduttivo per il quartetto di Bergamo.
Qui il sapore visionario (Visioni, appunto) ed onirico della vera essenza della vita universale, viene espresso in maniera ermeticamente sublime. Il messaggio che assimiliamo durante l’ascolto (il cantato in lingua madre, ci permette di assaporarne le mille sfumature) è di un qualcosa di non detto, di non visto, di metaforicamente sotterraneo, ma che ogni essere umano sa che esiste, e semplicemente lo disconosce, volutamente, forse per ignoranza, forse per atavico terrore.
“La verità non è sempre ciò che appare”- ci dice Tim Burton; occorre andare oltre, oltre il vero.
E allora ci immergiamo nel magistrale black death sinfonico del brano Oltre il Vero, dove i nostri ci accompagnano attraverso profezie di mondi sconosciuti, insegnandoci a vedere ad occhi chiusi. Musicalmente, un armonico mix di mid tempo death, intervallato da pesantissimi cadenzati tempi thrash, fa da cornice ad un black sinfonico, imponente, maestoso, mentre lo scream e il growl duettano alla perfezione, dettandone i ritmi sino alla fine, quasi facciano parte della base ritmica, e non delle parti vocali. Un bell’assolo, arricchito da un coro strepitoso e da synth tanto imponenti da sembrare suonati a quattro mani, ci conducono alla fine del brano: “Oltre il vero, Oltre il cosmo”. Dopo la breve Per Antares, più che un brano, un vero e proprio rituale cosmico dedicato alla Gigante Rossa della Costellazione dello Scorpione – Antares, ci godiamo L’Alchimista, brano essente di un Universo, al di là degli Universi conosciuti, che irrompe con un blast beat quasi perfetto, veloce, d’effetto, ed un scream malignamente oscuro; qui si va oltre il semplice tremolo, denotando una buona padronanza delle chitarre da parte di Haiwas e Rimmon. Non tarda a subentrare l’influsso death, che rallenta sì il brano, ma che ne orchestra divinamente la struttura. Ed è proprio l’alternanza di black e death, armoniosamente miscelati dai synth e da antiche salmodie, ad arricchire un brano mai monotono, da assaporare, ad occhi chiusi, godendone le visioni, che esso ci provoca. “Vedrò lo Scorpione, il suo occhio rosso…” cantano i nostri, ed il viaggio verso verità inimmaginabili, al di là del mondo conosciuto, è quasi terminato. Visioni ed onirico, riferimenti ad Antichi Dei ancestrali, di un testo che pare scritto da (o in omaggio di) H.P.Lovecraft, rappresentano il corpo del brano La Stella Imperitura, la cui anima musicale, maestosamente sinfonica, si solidifica, diventando un tutt’uno con il corpo. Clean, growl e scream danzano, al ritmo di un meraviglioso black, a tratti terribilmente veloce, ed oramai pregno di basi death metal che rendono il sound dei Veratrum, uno splendido connubio di due stili musicali, simili tra loro, ma che, solo se sapientemente armonizzati, come in Visioni, sanno dispensare linfa vitale e musicale. “Qui siamo pronti per salire…” prima strofa del brano che ci prepara al lungo viaggio, fermi sulla soglia, di Limen Operis, ultima chicca strumentale, leggiadro e soave accompagnamento, verso verità sconosciute.
Resta la speranza di veder uscire Visioni anche su cd, il digitale non mi appaga… scusate se sono un tradizionalista, vecchio o meglio antico, almeno quanto Cthulhu.

Tracklist
1.Oltre il Vero
2.Per Antares
3.L’Alchimista
4.La Stella Imperitura
5.Limen Operis

Line-up
Haiwas – Vocals, Guitars, Orchestrations
Rimmon – Guitars, Vocals
Marchosias – Bass
Sabnok – Drums

VERATRUM – Facebook

Grimorium Verum – Revenant

Non ci troviamo al cospetto di qualcuno che occupa i piani alti del symphonic black ma neppure di musicisti relegati nei bassifondi , anzi: Andy Felon e Roma Diamond meritano un plauso per un’offerta che non deluderà alla fine chi predilige queste sonorità.

Il recente ritorno dei Dimmu Borgir, campioni indiscussi del symphonic black metal, potrebbe e dovrebbe far accendere nuovamente i riflettori su un sottogenere che ha sempre continuato ad offrire ottime band rimaste, però, nell’ombra a causa dello scemare dell’interesse dei fans per questo sonorità, causa appunto la lunga contumacia dei nomi di punta.

I russi Grimorium Verum non possono essere certo considerati dei neofiti, visto che i loro primi passi risalgono alla fine dello scorso millennio, anche se il primo full length è datato 2008, seguito poi da quelli successivi pubblicati con precisa cadenza triennale.
Revenant è così l’ultimo in ordine di tempo e ci dimostra una band di buono spessore, capace di maneggiare con disinvoltura e buon gusto melodico una materia insidiosa per il forte rischio di debordare che è insita nelle sue caratteristiche.
Forse dieci brani ed un’ora di durata sono un qualcosa di troppo per uno stile musicale così pieno e quindi a forte rischio di saturare l’ascoltatore: ciò non toglie che il buon gusto melodico dei nostri consenta loro di mettere in scena ottime tracce come l’opener The Born Son of the Devil, The Light of Dark Father e The Great Serpentine Saint, esemplari nella loro sintesi tra sonorità estreme, l’impeto atmosferico delle tastiere e le repentine incursioni melodiche della chitarra solista.
Insomma, al netto della prevedibile mancanza di spunti innovativi, l’operato dei Grimorium Verum è decisamente apprezzabile perché Revenant scorre via piuttosto bene senza neppure annoiare nonostante qualche soluzione tenda alla lunga a ripetersi.
Non ci troviamo al cospetto di qualcuno che occupa i piani alti del symphonic black ma neppure di musicisti relegati nei bassifondi , anzi: Andy Felon e Roma Diamond meritano un plauso per un’offerta che non deluderà alla fine chi predilige queste sonorità.

Tracklist:
1. The Born Son of the Devil
2. The Kingdom of the Pain
3. The March of the Northern Kings
4. Blind Faith in Nothing
5. The Light of Dark Father
6. Revenant
7. The Circus of the Dark Illusion
8. Sacred Temple of Blood
9. The Great Serpentine Saint
10. The Resurrected on the Devil’s Hands

Line up:
Andy Felon – Guitars, Bass, Programming
Roma Diamond – Vocals

GRIMORIUM VERUM – Facebook

Tenebra Arcana – Luna ep

Come debutto quello dei Tenebra Arcana è uno dei più impressionanti e belli degli ultimi anni, e dentro ha tante cose che gli amanti del metallo più nero apprezzeranno.

Primo lavoro in download libero degli italiani Tenebra Arcana, che escono con il loro ep Luna.

Nato nel 2018 tra Milano e Lodi, il gruppo debutta con il proprio black metal classico e con elementi sinfonici, ma fatto soprattutto di rabbia e velocità, che sono le componenti essenziali di questo suono. La voce che canta prevalentemente in chiaro, ma non disdegna qualche passaggio in growl, mette in evidenza i testi che sono da seguire con attenzione. L’impatto è notevole, e fin dal primo pezzo prende corpo un massacro senza requie, con momenti di notevole coinvolgimento dell’ascoltatore. Pur essendo un gruppo esordiente i Tenebra Arcana hanno le idee molto chiari, sono devoti al nero metallo e possiedono una notevole cultura musicale che si riverbera nella loro musica. Quest’ultima è sul black metal sinfonico classico, ma in alcune cavalcate sonore il gioco delle due chitarre evidenzia un avvicinamento più moderno al genere, ed il tutto si fonde con tenebrosa armonia. La lunghezza non eccessiva dell’ep ci fa apprezzare le ariose composizioni che sono tutte sopra i quattro minuti e mezzo, a parte la prima e l’ultima canzone. Come debutto quello dei Tenebra Arcana è uno dei più impressionanti e belli degli ultimi anni, e dentro ha tante cose che gli amanti del metallo più nero apprezzeranno. Extra Black Metal nulla salus.

Tracklist
1.Darkness fall
2.The fall
3.Tenebra Arcana
4.Luna
5.Ecate mater nocte

Line-up
Gemy – voice & keyboards
Goro – voice & guitar
Gabriel – guitar
Teone – bass
Darkror – drums

TENEBRA ARCANA – Facebook

Dimmu Borgir – Eonian

Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica.

Decimo disco per gli amatissimi o odiatissimi norvegesi Dimmu Borgir, ed è un’opera che ha avuto una lunghissima gestazione, essendo uscito sette anni dopo Abrahadabra.

Tanto tempo è passato in mezzo a molti problemi, molti cambi di formazione, l’abbandono di Mustis e Ics Vortex, con tutte le polemiche e problematiche legati a questi avvenimenti. Come sempre però arriva la musica e tutto si sistema. Eonian è un album che non sposta di molto il discorso musicale portato avanti fin dal 1993 da questi norvegesi, ma amplifica la parte sinfonica e melodica non perdendo però in potenza. I Dimmu Borgir sono cambiati rispetto agli esordi, ora sono un po’ meno veloci e hanno acquisito maggiore solennità e anche una maggiore inquietudine di fondo, poiché il suono è diventato più da incubo. Se prendiamo Eonian come disco in sé si può tranquillamente affermare che sia un buon esempio di symphonic black death con forti intarsi di musica classica. Ovviamente essendo dei Dimmu Borgir dividerà sempre il pubblico fra chi li ama e chi li odia per gli eccessi sonori e la poca finezza .
Questo ultimo disco non dirà la parola definitiva sui Dimmu Borgir, ma li continuerà a far apprezzare ai loro fans e ne conquisterà di nuovi perché possiede un innovazione del loro suono, quasi un cercare di legare la loro visione musicale al metal moderno, senza però venirne snaturati. Ad esempio, un elemento molto importante di Eonian sono i cori, che aggiungono davvero una grande intensità, soprattutto quando si intersecano con le tastiere ed il resto del gruppo. Un disco dalla gestazione sofferta ma che ripaga l’attesa, e che soddisferà molti palati diversi. I mondi descritti da questo disco sono in qualche altra dimensione rispetto alla nostra, e gli antichi guardiani ci guardano. Per chi cerca qualcosa di diverso dai Dimmu Borgir questo non è il posto adatto. Mentre chi li ama o vuol sentire un symphonic black death di spessore, qui c’è tutto.

Tracklist
1. The Unveiling
2. Interdimensional Summit
3. ÆTheric
4. Council of Wolves and Snakes
5. The Empyrean Phoenix
6. Lightbringer
7. I Am Sovereign
8. Archaic Correspondence
9. Alpha Aeon Omega
10. Rite of Passage

Line-up
Shagrath – vocals
Silenoz – guitars
Galder – guitars

Current live line-up:
Daray – drums
Gerlioz (Brat) – keys

DIMMU BORGIR – Facebook

Coldawn – …In The Dawn

Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso.

Chi fa parte di una band sa quanto sia difficile provare e suonare, anche se si è vicini di casa o a distanza di pochi chilometri.

Davvero difficile immaginare come sia gestire un gruppo dislocato in tre continenti, ovvero Sudamerica, Europa e Oceania. Eppure, sicuramente grazie al fondamentale aiuto della rete, ecco qui il buon disco di debutto dei Coldawn: la band suona un black metal molto arioso e con forti innesti musicali classici, quasi un’orchestrazione, per poi esplodere in cavalcate in stile blackgaze, una definizione molto alla moda ma che rende abbastanza bene l’idea. Per capire meglio il tutto bisogna assolutamente ascoltare con attenzione questo …In The Dawn, perché racchiude in sé una grande melodia ed un grande lavoro musicale e di composizione. La visione dei Coldawn è grande e potente, questo disco è solo l’inizio di un percorso musicale che sarà fecondo, perché già ascoltando questo lavoro si viene trasportati lontano, si chiudono gli occhi e si va lontano. Il titolo è assai azzeccato, perché tutto il lavoro dà l’impressione di un qualcosa che si apre sotto le prime luci del sole, e la speranza seppur malconcia c’è ancora. I Coldawn disegnano un bell’affresco sonoro, con colori molto particolati e grande sapienza compositiva, dando l’impressione di avere molto da dire. Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso. Tre continenti, un esordio che fa sognare e che lascia molto soddisfatti.

Tracklist
1.Spectral Horizon
2.My Escape
3.The Essence
4.Only Moments
5.La Primavera No Llegara Esta Vez
6….In the Dawn
7.This: Over
8.My Destiny

Line-up
Ausk
B.
Tim Yatras
B. M.

COLDAWN – Facebook

Lumnos – Ancient Shadows Of Saturn

Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto.

Black metal che si unisce ad una musica dal respiro cosmico, e qui la musica del male diventa uno fra gli elementi in gioco, non il più importante, perché l’attenzione deve essere catturata dall’insieme.

Lumnos è un progetto di Breno aka Putrefactus, un brasiliano che suona molte cose, e che ha diversi progetti musicali in piedi, tra i quali Lumnos per l’appunto. Questo disco è il suo esordio con questo nome, e per l’occasione ha arruolato per incidere B.M. dai Sky Forest and Unknown dai Lost Sun, i quali danno un buon valore aggiunto all’opera. Il disco è un viaggio cosmico, lento e poderoso verso pianeti lontani, la meta non è importante, la cosa fondamentale è gustarsi il viaggio. Lumnos imprime alla sua musica una forza notevole, andando oltre il concetto di black metal atmosferico, qui ampiamente superato per un qualcosa di nuovo e di ancora più avanti come concetto. I sintetizzatori e il piano hanno un ruolo molto importante, e il black metal è la base per partire verso nuovi orizzonti musicali, alcuni passaggi sono quasi orchestrali e forse con il supporto di un’orchestra il disco sprigionerebbe una potenza ancora maggiore. Nonostante questo la sua spazialità è immensa, il suono è anche molto intimo e potrebbe essere un sottofondo per meditare, totalmente slegati dalla zavorra della nostra quotidianità, soli con l’arma più potente che abbiamo : il nostro pensiero. Le tracce sono cinque e tutte di lunga durata, e ciò grazie alla bravura di Breno diventa un pregio e non un difetto, perché ci si immerge davvero in questo spazio immenso. L’elettronica si bilancia perfettamente con il black metal e con la parte più classica, in un modo al quale molti hanno accennato, ma che solo qui si compie pienamente. Un disco rarefatto e di una delicatezza incredibile, al contempo forte e poderoso come un corpo umano che tenta di rimanere attaccato al suo pensiero ormai volato lontano. Un esordio molto positivo, una prova che va ascoltata molte volte e ogni volta mostrerà una faccia diversa: una scelta azzeccata per l’esordio della sublabel della Avantgarde Music, la Flowing Downward.

Tracklist
1.I am Born From a Star
2.Primordial Darkness
3.Ancient Shadows of Saturn
4.No Soul Is Near
5.Existentialism
6.Crystal Clouds, Diamond Sun (Bonus Track)

LUMNOS – Facebook