Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.
Il symphonic metal, insieme ad un altro paio di generi, dopo un periodo di elevata qualità nelle uscite discografiche trova in questo periodo un momento di stasi.
Certo, i fasti del bellissimo album degli Epica e, a seguire, di varie realtà underground (specialmente italiane) continuano a regalare ottima musica agli amanti dei suoni orchestrali, e le nuove eroine vestite di nero e dalle ugole d’usignolo imperversano dietro ai microfoni delle metal band dal piglio sinfonico o, come nel caso dei francesi Ormyst dalle sonorità molto più vicine al metal progressivo.
Ed infatti questa misteriosa band transalpina (ma sulla pagina Facebook alla voce informazioni, scriverci qualcosina …. magari) capitanata dalla singer Sophia Lawford, novella Tarja Turunen, al metal sinfonico leggermente gotico di preferisce un approccio progressivo, tanto per mettere in luce la bravura tecnica dei componenti ma, al netto di un songwriting discreto, incapace di rendere la musica del gruppo quanto meno originale.
Infatti, nei brani in cui il prog metal prende il sopravvento, la band perde qualcosina in impatto, con la voce che rende palesemente di più sui brani sinfonici, fortunatamente in maggioranza su Arcane Dreams.
Rimane un senso di forzatura nell’ascoltare la pur ottima singer su brani scritti per essere interpretati con una timbrica diversa, mentre su canzoni spiccatamente gotiche come Taste Of Your Tears la voce esce in tutto il suo splendore, richiamando le icone femminili del metal sinfonico.
A fronte di brani buoni nel loro già sentito, in questo debutto prevale l’immaturità artistica di una band al debutto, ancora lontana dal poter percorrere agilmente i sentieri del genere con brani come Following Tree Ghost, Dreamsailor o Randomization.
Il gruppo è giovane, restiamo in attesa di un secondo lavoro che dia ragione al talento della vocalist lasciando più spazio alla sua personalità.
TRACKLIST
1. Beneath the Hat
2. Following Three Ghosts
3. Above Airplanes
4. Taste of Your Tears
5. Lady Shalott
6. Scratching Game
7. Dreamsailor
8. Back to Salem
9. Randomization
10. Arcane Dreams
Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.
Un altra band proveniente dal Canada nel mirino di MetalEyes, questa volta con sonorità power sinfoniche e dalle atmosfere gotiche.
Da Oakville (Ontario) arrivano i Malacoda, un quintetto che può annoverare tra le proprie fila il talento di Jonah Weingarten, tastierista dei prog metallers Pyramaze. Ritualis Aeterna continua nella strada tracciata dal primo album pubblicato nel 2015, con un’affascinante copertina e buone orchestrazioni sinfoniche, viaggiando al ritmo di un gothic power metal dalle tinte horror, molto melodico e a suo modo teatrale, senza forzare troppo sull’aspetto estremo, così da mantenere un appeal discreto anche per chi non è fanatico delle sonorità dalle tinte dark.
Sinfonie di scuola power, molto comuni di questi tempi, si alleano con una forma di teatralità gotica e quindi ne esce un’opera a tratti sontuosa, anche se sviluppata nella durata di un mini cd, ma molte volte questo è più un bene che un male.
E, infatti, Ritualis Aeterna si lascia ascoltare senza patemi, assolutamente perfetto nel coniugare l’horror metal al power di scuola Rhapsody e Kamelot, dunque elegante il giusto e valido nel sostituire l’epicità del gruppo nostrano con atmosfere gotiche. Penny Dreadful è l’opener perfetta in cui tutto il sound è riassunto in quasi sei minuti di ottima musica metal orchestrale, mentre I Got A Letter è più moderna e dark, quasi ottantiana nel suo amalgamare dark rock e metal classico. Pandemonium è il brano top dell’ep, con l’alternanza di cori operistici e growl di estrazione death, The Wild Hunt è teatrale e drammatica e la sua atmosfera oscura valica il confine con la seguente Linger Here, ballad dark wave di respiro rock/pop.
Il gruppo accontenterà gli appassionati del metal elegantemente sinfonico e dalle tinte dark, anche se per uscire dai confini dell’underground servirebbe un colpo d’ala, ma noi ci accontentiamo e promuoviamo i Malacoda.
TRACKLIST
1.Penny Dreadful
2.I Got A Letter
3.Pandemonium
5.The Wild Hunt
6.Linger Here
7.There Will Always Be One
LINE-UP
Cooper Sheldon – Bass
Mike Harshaw – Drums
Brad Casarin – Guitars
Lucas Di Mascio – Guitars, Vocals
Jonah Weingarten – Keyboards, Orchestration
Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.
Quando si ha a che fare con Wormholedeath non bisogna mai dare tutto per scontato altrimenti si rischia di rimanere perennemente un passo indietro alla musica prodotta dai gruppi presi sotto l’ala della label nostrana.
Nei vari generi di cui si occupa (ormai nel metal praticamente tutti) trova il suo spazio il metal sinfonico, anche se dei gruppi fin qui proposti non c’è un gruppo uguale all’altro e tutti di una personalità debordante ed un sound sempre fresco ed a suo modo originale.
Dai Norhod ai Levania, dagli Esperoza ai Tearless (tanto per nominarne alcuni) dall’Italia e dall’estero la label di Carlo Bellotti si circonda di eccellenze, scovando grande musica in giro per il continente e per l’occasione affondando gli artigli nell’anima degli ascoltatori con i francesi Talvienkeli.
Nome difficile da pronunciate , ma musica che vi entrerà dentro come un treno, sotto le note progressive raccolte in una bellissima opera intitolata Hybris.
Metal sinfonico, ma dalle intuizioni progressive sopra le righe, un’eleganza e raffinatezza compositiva che ha del miracoloso per un gruppo al primo full length (di precedente c’è solo Blooming Ep licenziato nel 2014) ed atmosfere dark gotiche che non scadono mai nel banale, ma rimangono a volteggiare come avvoltoi sulle trame intricate e, a tratti, dai rimandi settantiani con cui i Talvienkeli colorano il loro paesaggio musicale.
Capitanata da due ragazze, la singer Camille Borrelly, dotata di un talento interpretativo sopra la media, e dalla bassista Laëtitia Bertrand, che non le manda certo a dire e, con Paul Sordet forma una sezione ritmica tecnicamente ineccepibile, la band si compone ancora delle tastiere di Pierre Cordier e della sei corde di Pierre Besançon.
L’album si sviluppa in un’ora abbondante di musica, nobile e varia, mai scontata e suggestiva nell’alternare momenti in cui lo spartito strizza l’occhio al progressive rock, altri dove il metal si fa spazio tra le linee portanti del sound per avvicinarsi al prog metal classico, e bellissime fughe sinfonico-gotiche, nelle quali il gruppo torna sulla terra mantenendo un alto tasso qualitativo.
Ovviamente la teatralità la fa da padrona (sono francesi, l’hanno nel sangue), e con note ed atmosfere d’altri tempi e la stupenda voce che intona canti suggestivi, veniamo trasportati in un sogno musicale, ora lieve e dolcissimo, ora elettrizzato da una tensione che si fa drammatica, ma mai violenta.
Le due parti di Hybris (Part II: Dégénérescence e Part I: Bienveillance) poste in apertura e chiusura dell’opera sono in pratica il sunto della musica del gruppo di Lione, ma a sentir bene l’album regala emozioni a profusione anche tra le loro dirimpettaie tra cui Raining Moon, raffinato brano attraversato da una ventata dark wave, e Atlas, brano prog simphonic gothic che esplode in un trionfo di note sontuose.
Un album intenso ed entusiasmante per una band sopra la media che non mancherà di sbalordire gli amanti del genere, grazie a quel pizzico di originalità compositiva capace di fare la differenza.
TRACKLIST
1.Hybris Part II: Dégénérescence
2.Burning Flesh
3.Immortal
4- The Explorer
5.Quill Of Dust
6.Atlas
7.Raining Moon
8.Deadly Nightshade
9.Scream-Her
10.Hybris Part I: Bienveillance
LINE-UP
Camille Borrelly – Vocals
Pierre Cordier – Keyboards
Pierre Besançon – Rhythm Guitars
Laëtitia Bertrand – Bass
Paul Sordet – Drums
Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi.
Finalmente arriva il tempo del debutto per i Disharmony, gruppo greco di black metal sinfonico. Formati nel 1991, si sciolsero nel 1995 producendo tre demo ed un ep di culto sulla label Molon Lave, per poi riprendere recentemente le attività, culminate in questo disco.
Lo stile dei Disharmony fa riferimento alla vecchia scuola del black ellenico, fortemente legata all’aspetto epico sia del suono che dei testi. La forza dei Disharmony sta nella loro capacità di fondere molte cose diverse all’interno del loro suono, dagli elementi più vicini al suono classico del symphonic black metal, a cose più minimali e quasi recitate. Infatti si ha la netta impressione che questo disco sia come un atto teatrale, che parte da lontano per arrivare fino a noi. Il disco è pieno di pathos, di forza narrativa, e di immagini mentali molto forti. Il tortuoso cammino gruppo di questo gruppo rassomiglia al percorso di un fiume sotterraneo che ha finalmente trovato il modo di sgorgare in superficie sfogando tutta la sua potenza. Il disco è molto particolare e va approcciato con una mente aperta per poterlo apprezzare in tutta la sua ricchezza, che è molto grande e particolare. I Disharmony non sono affatto un gruppo comune e lo dimostrano con questo disco, che è al di sopra della media, e può essere considerato un nuovo inizio per loro. Le soluzioni sono molteplici per tutta la durata del disco, non facendo mai annoiare l’ascoltatore, introducendo anche qualche elemento di novità nel genere, a volte piuttosto stantio. Un lavoro epico, e forte, che narra di un mondo che non è il nostro, tutto da scoprire.
TRACKLIST
1. Invocation – Troops Of Angels
2. The Gates Of Elthon
3. Elochim
4. Summon The Legions
5. War In Heaven
6. Rape The Sun
7. Praise The Fallen
8. Whore Of Babylon
9. The Voice Divine
10. Third Resurrection
I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.
Beh, che dire di un gruppo privo di timori nell’affrontare il complesso mondo del metal dai richiami sinfonici con personalità ed una punta di originalità che, col tempo daranno ragione al suo modo di intendere e suonare il genere?
Intanto partiamo dalla cosa più importante: i Dharma Storm sono italiani, precisamente di Ladispoli (Lazio), sono attivi dal 2009 (anche se la line up si consolida due anni dopo) e hanno all’attivo un ep, uscito tre anni fa, che ha dato la possibilità al quintetto di girare per i palchi dello stivale metallico.
Passiamo a questo ottimo esordio, Not An Abyss Prey, alla sua ora abbondante di durata ed al suo sound che varia appunto tra i generi appartenenti alle correnti che fanno capo al metal classico, sviluppatisi in questi anni.
I Dharma Storm non patiscono sicuramente la tensione dell’esordio ignorando chi giudicherà il loro sound troppo dispersivo e partono a vele spiegate nella tempesta metallica tra passaggi di grintoso thrash metal, tappeti sinfonici, pause in cui le atmosfere folk ricamano di raffinatezza popolare molti brani, ed ottime parti ritmiche che richiamano l’eleganza del metal progressivo.
Un lungo navigare in acque che si calmano per poche miglia, prima di tornare a torturare il sinuoso veliero ormai allo stremo sotto le sferzate thrash metal dei Dharma Storm: una menzione per il gran lavoro delle tastiere sempre presenti e colpevoli di donare un tocco epico a brani come la cavalcata sinfonica che apre l’album (Immortal Crew), la varia Blackout, l’agguerrita (nelle parti chitarristiche) Emerged e la spettacolare Live Together…Die Alone, lunga suite strumentale che funge da sunto compositivo di questo ottimo debutto.
I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.
TRACKLIST
1.Immortal Crew
2.Night of the Burning Skulls
3.Blackout
4.Trail of Tears
5.Across the Line of Time
6.Emerged
7.The Possessed One
8.God Is Gone
9.Live Togheter..Die Alone
10.Jolly Roger
LINE-UP
“Brandy” Marco De Angeli – voice
“Mingo” Nicholas Terribili – drum
“Harry” Daniele Castagna – guitar
“Bois” Dario La Montagna – keyboard
“Piece” Gianluca Lancianese – bass guitar
I Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.
In campo estremo, il nuovo lavoro della storica band indiana Demonic Resurrection rischia di diventare uno dei migliori album di questo 2017 appena iniziato.
Il gruppo di Mumbai ha creato un’opera estrema completa ed ambiziosa, un concept sui dieci avatar di Vishnu, dio della conservazione secondo la mitologia Indù, raccontati in ognuna delle dieci tracce che compongono Dashavatar.
Che i Demonic Resurrection non fossero un gruppo come tanti lo si era già capito dopo il precedente lavoro, The Demon King, album che aveva letteralmente folgorato il sottoscritto, grazie al loro death metal sinfonico che sfociava nel mare in tempesta del black metal capitanato dai norvegesi Dimmu Borgir.
Un gruppo capace di cambiare pelle da un album all’altro, rimanendo nei confini della musica estrema già dai primi lavori (il primo lavoro Demonstealer è targato 2000, mentre il successore A Darkness Descends uscì cinque anni dopo).
Ancora The Return To Darkness del 2010 ed appunto The Demon King confermarono il valore di questa splendida e devastante realtà asiatica che, con questo nuovo album, va oltre le più rosee aspettative, non solo per l’ambizioso concept ma per un songwriting che aggiunge al death/black sinfonico spettacolari ed intuitive parti progressive, in un tempestoso sound valorizzato dal voci pulite, interventi di muse dalla voce ipnotica , l’uso di strumenti e sfumature tradizionali e, come gli uragani che nella stagione delle piogge si abbattono sul loro paese, sfuriate di metal estremo spettacolare.
Accompagnato da una bellissima copertina raffigurante la divinità e le sue dieci diversificazioni, Dashavataresplode in tutta la sua magniloquenza già dall’opener Matsya-The Fish, per poi non scendere più sotto l’eccellenza con una serie di piccole opere dove atmosfere prog, sfumature folk e magnifiche orchestrazioni si fondono in un sound unico (Kurma-The Tortoise), con la sensazione da parte di chi ascolta di essere al cospetto non solo di una bellissima opera estrema ma soprattutto di pura arte pregna di magia. Vamana-The Dwarf, Rama-The Prince, l’ipnotizzante Buddha-The Teacher sono i brani che hanno maggiormente colpito l’anima del sottoscritto, ma sono sicuro che al prossimo ascolto saranno altri quelli che illumineranno la stanza, mentre Vishnu ed i suoi avatar sono magnificati dalla musica di questo straordinario gruppo asiatico.
Lo avevamo scritto in precedenza e lo ribadiamo, i Demonic Resurrection non sono solo una delle migliori band provenienti dal continente asiatico, ma possono tranquillamente posizionarsi vicino alle più blasonate realtà occidentali.
TRACKLIST
1.Matsya – The Fish
2.Kurma – The Tortoise
3.Varaha – The Boar
4.Vamana – The Dwarf
5.Narasimha – The Man-Lion
6.Parashurama – The Axe Wielder
7.Rama – The Prince
8.Krishna – The Cowherd
9.Buddha – The Teacher
10.Kalki – The Destroyer of Filth
La quantità di materiale, la straordinaria performance dei protagonisti e il dispendio tecnico per la realizzazione fanno di Vehicle Of Spirit un acquisto obbligato per gli amanti dei Nightwish e degli appassionati di musica da vedere
Che dire che non sia già stato detto su questo mastodontico prodotto firmato dalla symphonic metal band più famosa del pianeta?
Beh, intanto pur essendo legato alla discografia della band nell’era Turunen, devo riconoscere a Floor Jansen (mostruosa in queste performance) di essere l’unica vera erede della divina Tarja, molto meno operistica nell’approccio, ma ad oggi sicuramente più adatta al sound del gruppo finlandese.
In secondo luogo l’utilità di un prodotto come il dvd, che nell’era del web secondo il mio parere diventa molte volte obsoleto, ma qui assolutamente valorizzato da una quantità/qualità eccellente.
La band, divenuta nel suo genere la più amata e seguita dai fans del metal sinfonico, rilascia questo monumentale dvd che in tre dischetti offre due interi concerti, non esattamente uguali nella scaletta così da offrire ai fans quasi una trentina di brani live, più un dvd bonus con altre registrazioni e curiosità.
Wembley Arena di Londra e Ratina Stadion di Tampere sono due luoghi apparentemente così lontani, ma uniti nell’assistere alla performance di quello che ormai si può certo considerare un gruppo spettacolare, per il quale l’elemento visivo è importante quanto la musica e dove anche i minimi dettagli sono curati in modo altamente professionale.
Aggiungiamoci poi un sound che molto ha del cinematografico, specialmente negli ultimi lavori e che trasporta questa sua caratteristica dal vivo con un dispendio di attrezzature e supporto tecnico strabiliante ed assolutamente invidiabile anche per le maggiori band di massa.
Con un pubblico in visibilio, i Nightwish confermano il loro predominio sul genere: l’entrata dietro al microfono della valchiria olandese ha ricreato quel mood emotivo che la pur brava Olzon non aveva saputo mantenere dopo la dipartita della Turunen, anche se, diciamolo, non era tutta colpa sua.
Sei brani dall’ultimo lavoro con l’accoppiata Shudder Before The Beautiful e Yours Is An Empty Hope ad aprire i concerti che poi, come già scritto, avranno delle varianti proprio per dare più interesse all’opera una volta registrata, con una scaletta che, personalmente, vede primeggiare quella del concerto in terra inglese.
Ma sono dettagli, l’importanza di questo mastodontico prodotto per i fans del gruppo è sicuramente epocale, mentre potrebbe essere un buon motivo per dare a Cesare quel che è di Cesare da parte di chi non riesce ancora oggi ad entrare in sintonia con la musica di Tuomas Holopainen e compagnia.
La quantità di materiale, la straordinaria performance dei protagonisti e il dispendio tecnico per la realizzazione fanno di Vehicle Of Spirit un acquisto obbligato per gli amanti dei Nightwish e degli appassionati di musica da vedere, rivelandosi un importante traguardo professionale per una della band che più ha influenzato gli ultimi vent’anni di muisica metal.
TRACKLIST
Disc 1 “Wembley”
1. Shudder Before the Beautiful
2. Yours is an Empty Hope
3. Ever Dream
4. Storytime
5. My Walden
6. While Your Lips are Still Red
7. Élan
8. Weak Fantasy
9. 7 Days to the Wolves
10. Alpenglow
11. The Poet and the Pendulum
12. Nemo
13. I Want my Tears Back
14. Stargazers
15. Ghost Love Score
16. Last Ride of the Day
17. The Greatest Show on Earth
Disc 2 “Tampere”
1. Shudder Before the Beautiful
2. Yours is an Empty Hope
3. Amaranth
4. She is My Sin
5. Dark Chest of Wonders
6. My Walden
7. The Islander
8. Élan
9. Weak Fantasy
10. Storytime
11. Endless Forms Most Beautiful
12. Alpenglow
13. Stargazers
14. Sleeping Sun
15. Ghost Love Score
16. Last Ride of the Day
17. The Greatest Show on Earth
Disc 3 – Extras
1. Weak Fantasy (Vancouver)
2. Nemo (Buenos Aires)
3. The Poet and the Pendulum (Mexico City)
4. Yours Is an Empty Hope (Joensuu)
5. 7 Days to the Wolves (Espoo)
6. Sleeping Sun (Masters of Rock)
7. Sahara (Tampa Bay)
8. Edema Ruh (acoustic) (Nightwish Cruise)
9. Last Ride of the Day (Rock in Rio) feat. Tony Kakko
10. Élan (Sydney)
11. Richard Dawkins Interview (Wembley)
LINE-UP
Floor Jansen – Vocals
Marco Hietala – Vocals, bass, Guitars
Emppu Vuorinen – Guitars
Tuomas Holopainen – Keyboards
Troy Donockley – Uillean Pipes, Tin & Low Whistles, Bouzouki, chorus
Kai Hahto – Drums
Gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano.
Caronte è tornato dagli inferi per traghettarci tra lo spartito di questa magnifica opera, sontuoso esempio di musica metal fuori categoria, ed assolutamente non catalogabile nelle troppo semplici coordinate del power progressive, anche se le atmosfere sono simili a quelle create dai Symphony X.
Tornano i Starbynary del vocalist Joe Caggianelli (ex Derdian) e del chitarrista Leo Giraldi, con questo secondo lavoro, prima parte di una trilogia sulla Divina Commedia che non poteva non iniziare con l’Inferno.
La band nostrana aveva già ammaliato gli appassionati del genere con lo stupendo debutto uscito sul finire del 2014 (Dark Passenger), album di una qualità artistica elevatissima dove, oltre ai musicisti italiani, si poteva godere delle prestazioni del bassista dei Symphony X, Mike Lepond.
Un turbinio di fughe power tra ritmiche ed atmosfere progressive, con un vocalist in stato di grazia ed una manciata di musicisti sopra la media, questo era il primo full length del gruppo italiano, ma se si pensava ad un risultato impossibile da ripetersi non si erano fatti i conti con gli Starbynary e la loro voglia di stupire regalando per la seconda volta un emozionante viaggio culturale e musicale.
Discesa all’inferno e risalita, allegoria di vita dove dramma e teatralità enfatizzano lo scorrere dell’esistenza umana, declamandone difetti e peccati, sottolineandone la precarietà ma anche evidenziandone la divina grandezza e
la nobile maestosità: è il viaggio di Dante attraverso il quale poter scrutare all’interno dell’animo umano fino a perdersi in un vortice di emozioni!
Lasciata la Bakerteam per la romana Revalve, altra label nostrana che praticamente non sbaglia un colpo, gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano, così come lo sono le emozioni che l’ascolto di queste perle metalliche suggeriscono.
Di non umano ci sono i cinque musicisti e la loro bravura strumentale al servizio di un songwriting stellare, ed è così che, trasportati dalle varie The Dark Forest, dalla ballad In Limbo che la band trasforma con un crescendo entusiasmante in un mid tempo oscuro, da Medusa And The Angel che non lascia tregua nella sua atmosfera cangiante; Paolo e Francesca, poi, dispensa brividi con un Caggianelli superlativo ed il piano di Stars ci conduce ad undici minuti finali di delirio progressive power metal dalle tinte darkeggianti ed infernalmente gotiche.
Ci si rincorre così tra fughe di aggressivo power metal oscuro, atmosfere di sofferta tregua orchestrale violentate da ripartenze velocissime e mid tempo potentissimi in cui il vocalist incanta con vocalizzi teatrali, mentre Caronte ci lascia sulla riva del fiume e ci si mette in cammino verso l’appuntamento con la seconda parte di questa trilogia creata dagli straordinari Starbynary.
Il 2017 è partito benissimo e conferma il trend degli ultimi anni, che sono stati forieri di grande musica per il metal tricolore: non perdetevi questo album per nessun motivo.
TRACKLIST
1.The Dark Forest (Canto I)
2.Gate of Hell (Canto III)
3.In Limbo (Canto IV) 04 –
4.Paolo e Francesca (Canto V)
5.Medusa and the Angel (Canto
6.Seventh Circle (Canto XII-XIII-XIV)
7.Malebolge (Canto XVIII)
8.Soothsayers (Canto xx)
9.Ulysse’s Journey (Canto XXVI)
10.The Tower of Hunger (Canto XXXII-XXXIII)
11.Stars (Canto XXXIV: I Lucifero, II Cosmo, III Finally Ascendant)
LINE-UP
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo- Keyboards and Piano
Sebastiano Zanotto – Bass
Andrea Janko – Drums
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo dei Sirgaus, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.
La ricchezza culturale e la soddisfazione di un “non” lavoro come le fatiche dietro ad una webzine musicale, sono ripagate nel conoscere e vivere il percorso di fulgidi talenti dello spartito, che probabilmente non si sarebbero mai raggiunti ed approfonditi come semplici fruitori delle sette note, anche perché dubito (pur augurandolo ai protagonisti) che questi eroi della sacra arte possano trovare quel successo che, in un mondo guidato dalla bellezza e non dal denaro, avrebbero già ampiamente raggiunto.
Ma non credo che a Mattia Gosetti e Sonja Da Col, tornati come Sirgaus con questa nuova ed affascinate opera, interessi granché, molto più probabile che al duo proveniente dalla provincia di Belluno, come musicisti di altri tempi e affascinanti artisti di un teatro che compare dal nulla e scompare alla fine di ogni spettacolo, basti creare e lasciare la loro arte a chi la sa apprezzare.
Dopo il bellissimo Sofia’s Forgotten Violin, concept album licenziato nel 2013 e finito nella mia personale play list di fine anno, Mattia Gosetti, compositore e musicista sopraffino, aveva messo a riposo i Sirgaus per uscire a suo nome con il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, un’opera portata sul palco di un teatro con la cantante e moglie in veste di attrice.
Era il 2015 e questo splendido esempio di musica contemporanea tra rock, metal e operetta finì ancora una volta tra gli album più belli dell’anno, almeno per il sottoscritto, ancora una volta qui a raccontarvi (non a recensire) delle gesta di questi talenti persi tra le montagne dolomitiche. Il Treno Fantasmaè un’altra opera rock sontuosa, più oscura e dark musicalmente parlando rispetto ai lavori precedenti, meno epica rispetto a Il Bianco Sospiro Della Montagna, anche per la storia che, pur lasciando al centro delle vicende la terra d’origine del duo, lascia le tematiche sulla guerra per affrontare i cambiamenti frutto dello sviluppo e dei tempi in cui viviamo.
Molti ospiti accompagnano l’ennesimo viaggio musicale dei Sirgaus, dai cantanti Matteo Scagnet, Denis Losso, Michaela Dorenkamp e il figlio della coppia Diego Gosetti, alle pelli di Salvatore Bonaccorso, la chitarra di Daniele Bressa, ed il violino del sempre presente Fabio “Lethien” Polo dei folk metallers nostrani Elvenking.
Quasi ottanta minuti sul treno fantasma in una folle corse tra le trame orchestrali create da Gosetti, drammatiche e perfette nel raccontare le vicende dei protagonisti, nell’affrontare cambiamenti e scelte per continuare una vita lontana da casa o stretta tra i vicoli dei piccoli paesi di una montagna che sta stretta alle nuove generazione, fermi davanti ad un cavalcavia, linea di confine tra la solitudine e la tradizione della montagna e la caotica vita nella grande città. A Train To The Mountains segna il ritorno della protagonista verso il paese dopo cinque anni, le melodie orchestrali mantengono linee malinconiche, mentre si fanno più dirette e metallicamente sinfoniche nella bellissima Fischia Nella Notte.
Pur con le sue differenze, Il Treno Fantasma mette in evidenza l’eleganza orchestrale della scrittura di Gosetti, già ampiamente dimostrata sui lavori precedenti, valorizzata dalla particolare e teatrale voce della Da Col, mentre l’opera viaggia spedita sui binari dell’eccellenza con perle come La Versione Di Girollino, La Regina Del Sottosuolo e L’Impero Cadente.
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo di questo compositore nostrano, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.
TRACKLIST
1.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi
2.Incontro Sul cavalcavia
3. A Train To The Mountains
4.Fischia Nella Notte
5.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (seconda parte)
6.Un secco ramo
7.Riparerò Questi binari
8.Il Bosco Nero
9.La Versione Di Girollino
10.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (terza parte)
11.La Regina Del sottosuolo
12.Il Folle Piano
13.La Rivalsa Di Girollino
14.Carbone Per La Mia Fornace
15.L’Impero Cadente
16.La Strada Verso Il Crescere
LINE-UP
Mattia Gosetti – Basso, Chitarra, Orchestrazione, Produzione
Sonja Da Col – Voce
Denis Losso, Matteo Scagnet, Michaela Dorenkamp, Andrea Sonaglia, Diego Gosetti – cantanti ospiti
Fabio Lethien Polo – Violino Elettrico
Daniele Bressa – Chitarra Solista
Salvatore Bonaccorso – Batteria
La musica sontuosamente sinfonica trova negli stilemi del genere la sua linfa, per poi arricchirsi di suggestioni emozionanti ed atmosfere che passano dal sinfonico al metal, oppure che fondono all’unisono i due generi ancora una volta in modo del tutto naturale.
Senza starci a girare troppo intorno, gli Enemy Of Reality hanno creato un’opera bellissima e colma di pathos, ma non crediate di trovarvi al cospetto di un album originale, Arakhneè infatti il classico lavoro di metal sinfonico con molti pregi e sinceramente nessun difetto, inciso con l’aiuto di diversi importanti ospiti della scena metallica: un concept epico che si nutre della tradizione letteraria greca e di quel quid teatrale/cinematografico fondamentale nell’economia dell’opera.
Questo ottimo gruppo ellenico si è formato solo tre anni fa ed ha un full length alle spalle, Rejected Gods del 2014, passato quasi inosservato, mentre venivano preparati i cannoni per sparare quest’anno una serie di bordate sinfoniche devastanti con Arakhne, magnifico lavoro che vede la partecipazione di Christos Antoniou (Septicflesh, Chaostar), Giménez Ailyn (Sirenia), Mike LePond (Symphony X), Androniki Skoula (Chaostar), Maxi Nil (Jaded Stella, ex Visions of Atlantis), Jeff Waters (Annihilator), Fabio Lione (Rhapsody Of Fire, Angra) e Chiara Malvestiti (Therion / Crysalys).
L’album è stato registrato da George Emmanuel (Rotting Christ) e narra del mito di Arakhne, giovane tessitrice invidiata da tutte le Muse per i suoi splendidi lavori, ma soprattutto dalla dea Atena gelosissima della giovane della Lidia, la cui sorte non è difficile da immaginare anche per chi non ha familiarità con la mitologia.
La prima cosa che salta all’orecchio è la magnifica voce della singer Iliana, operistica, interpretativa e teatrale, suggestiva nei vocalizzi classici come solo migliore Turunen, mentre l’impianto sonoro è dei più epici e sinfonici sentiti ultimamente.
Rispetto per esempio all’ultimo disco degli Epica, massima espressione del genere ma moderno nell’approccio, gli Enemy Of Reality confezionano un’opera d’altri tempi, dando vita alle storie che si svolgono nella culla della cultura mediterranea con un’emozionante serie di atmosfere specchio delle antiche vicende trattate.
La musica sontuosamente sinfonica trova negli stilemi del genere la sua linfa, per poi arricchirsi di suggestioni emozionanti ed atmosfere che passano dal sinfonico al metal, oppure che fondono all’unisono i due generi ancora una volta in modo del tutto naturale. Nouthetisis, Showdown e In Hiding sono i brani migliori di un’opera che si rivela un’autentica sorpresa e riesce a dare ossigeno ad un genere che era sul punto di venire soffocato da album e gruppi troppo di maniera.
TRACKLIST
1.Martyr
2.Reflected
3.Weakness Lies Within
4.Time Immemorial
5.Nouthetisis
6.Afraid No More
7.Showdown
8.The Taste of Defeat
9.In Hiding
10.I Spare You
11.A Gift of Curse
LINE-UP
Thanos – Bass
Philip Stone – Drums
Steelianos Amoiridis – Guitars
Iliana Tsakiraki – Vocals
Leonidas Diamantopoulos – Keyboards
Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Forever risulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.
Questi cinque ragazzi che con i loro strumenti accompagnano la giovanissima sirena Jennifer Haben, ex artista pop con la precedente band (Saphir), senza avere ancora un album all’attivo nel 2014 salivano, per la prima delle tre volte, sul palco del Wacken Open Air, forti di un contratto firmato con la Airforce1 Records, costola della major Universal.
Lo scorso anno nientemeno che Sascha Paeth (Heaven’s Gate, Avantasia) produsse il debutto, Songs of Love and Death, ed ora siamo già al secondo album, sempre con la poderosa spinta della Universal, intitolato Lost In Forever.
E ammettiamolo, perdersi per sempre tra le trame sinfoniche dei Beyond The Black è un attimo: anche questo secondo album, infatti, ha tutto per portare il nome del gruppo negli ambienti altolocati del metal patinato e da classifica.
La giovane età della singer, dal tono vocale da teenager che attira inevitabilmente le attenzioni delle sue emuli coetanee, abbinata ad un sound sinfonico in bilico tra il metal power dei Rhapsody meno pomposi e le melodie pop gotiche degli Evanescence, accentuano la sensazione di un gruppo dal successo pianificato, anche se, al netto di qualche difetto nel songwriting che sa molto di già sentito, la produzione cristallina e gli arrangiamenti orchestrali sono un bel sentire anche per gli appassionati più attempati.
Tutto funziona in questo lavoro, un album composto da hit metal melodici, sinfonici, pacatamente gotici, drammatici il giusto ed epici quel tanto che basta per far alzare più di un pugno al cielo ai ragazzi del centro Europa e non solo, visto che, a parte il nostro paese, la band ha ovviamente trovato una buona posizione nelle varie classifiche rock.
Dall’opener Lost In Forever, alla splendida Beautiful Lies per passare direttamente all’ epicità rhapsodiana della fenomenale Dies Irae, Lost In Forever è un riuscito esempio di metal sinfonico composto con lo scopo ben preciso di piacere a più persone possibili, dimostrandosi ruffiano, potente e, diciamolo pure, cantato molto bene.
Vedremo se i Beyond The Black diventeranno davvero la new sensation del metal europeo, nel frattempo Lost In Foreverrisulta un album ottimo per ascoltare musica deliziosamente metallica senza impegnarsi troppo.
TRACKLIST
01. Lost In Forever
02. Beautiful Lies
03. Written In Blood
04. Against The World
05. Beyond The Mirror
06. Halo Of The Dark
07. Dies Irae
08. Forget My Name
09. Burning In Flames
10. Nevermore
11. Shine And Shade
12. Heaven In Hell
13. Love’s A Burden
LINE-UP
Jennifer Haben – lead vocals
Nils Lesser – lead guitar
Christopher Hummels – rhythm guitar & backing vocals
Erwin Schmidt – bass
Tobias Derer – drums
Michael Hauser – keyboards
Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.
Un altro gruppo si affaccia sulla scena symphonic gothic metal tricolore, si tratta dei toscani Aenigma.
La band licenzia il suo primo lavoro, questo ep dal titolo The Awakening, sette brani compresi di intro e cover (Song Of Durin della cantante Eurielle) per un mezz’oretta di symphonic gothic metal ben strutturato, dal piglio cinematografico, che alterna potenza power, atmosfere epic/folk ed una buona ma mai invadente parte orchestrale.
Nata tre anni fa ed arrivata al debutto dopo qualche assestamento nella line up, la band lascia sicuramente un’ottima impressione sull’ascoltatore, le sue carte sono tutte al posto giusto e The Awakening si presenta come un album professionale sotto tutti gli aspetti.
Chiaro che il genere, ormai, non lascia particolare spazio all’originalità, e le influenze dichiarate dal gruppo sono più o meno quelle che si riscontrano all’ascolto dei brani ma, complici la buona prova della singer (Caterina Bianchi) ed un impatto heavy sostenuto dal tappeto orchestrale prodotto dalle tastiere, The Awakeningfunziona e risulta sicuramente un’ottima partenza per gli Aenigma.
Subito dopo l’intro la band si gioca il jolly con il suo brano migliore, Your Ghost: un symphonic power metal dai tratti gothic, pregno di melodia, potente nelle ritmiche e dall’ottimo appeal. Silence lascia ai tasti d’avorio il compito di aprire le danze, il chorus è ancora una volta azzeccato, mentre il brano in generale segue le coordinate del suo predecessore. Unleash The Storm lascia spazio alla bellissima e già citata Song Of Durin, canzone dalle atmosfere epic/folk interpretata con delicata maestria dalla Bianchi, qui in versione elfica, mentre il power metal di Weakness e le ottime orchestrazioni della conclusiva The Darkest Side ci accompagnano al finale di questo buon lavoro.
Al primo lavoro gli Aenigma confermano di essere una band dal buon potenziale, del resto le caratteristiche principali per piacere ai fans del genere ci sono tutte.
TRACKLIST
1. Intro
2. Your ghost
3. Silence
4. Unleash the storm
5. Song of Durin(Eurielle Cover)
6. Weakness
7. The darkest side
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.
Accompagnato da una splendida copertina che ha ricordato al sottoscritto le atmosfere del romanzo I Pilastri Della Terra di Ken Follett, arriva sul mercato Crucified Dreams, ep di tre brani con cui gli Windshades debuttano per la nostrana Atomic Stuff che ha messo a disposizione della band i suoi studi di registrazione ed il talento di Oscar Burato, che si è occupato di registrazione, mixaggio e masterizzazione.
Il gruppo proveniente dalla provincia di Mantova e fondato lo scorso anno dalla cantate Chiara Manzoli e dal batterista Carlo Bergamaschi, ci propone un buon metal dalle trame gotiche, dove le ritmiche serrate fanno da contrasto alla voce dai rimandi classici ed operistici della singer, mantenendo in primo piano un ottimo impatto heavy.
Si potrebbe parlare di un mix ben assortito di heavy metal (nel buon lavoro delle due chitarre si riscontrano rimandi agli Iron Maiden) e sonorità dark/gothic, con la parte sinfonica inesistente se non per l’uso della voce operistica.
Non male, Crucified Dreamssi ritaglia un suo spazio nel genere, l’impatto terremotante della sezione ritmica, i solos taglienti ed un ottimo impatto si placano solo nella parte iniziale di Resurrection, mentre in generale il gruppo imprime la giusta dose di potenza al proprio sound, non facendo mancare una buona dose di velocità, sempre in contrasto con la sublime voce della cantante. Metafora è attraversata da sali e scendi maideniani, Resurrection parte delicata e prepara l’ascoltatore alla danza metallica, con la cantate che ispirata, fa volare la sua voce sulle scariche elettriche ed oscure degli strumenti, mentre la conclusiva title track risulta il brano più estremo del gruppo, su cui il gruppo alterna potenti mid tempo a veloci fughe al confine tra heavy e thrash.
Bravi e a loro modo originali, gli Windshades risultano una bella sorpresa ed un nome su cui i fans del genere possono tranquillamente puntare, aspettando il probabile arrivo del primo full length.
Un oscuro scrigno musicale che, alla sua apertura, esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.
La tanto bistrattata rete nel corso degli ultimi decenni ha dato la possibilità a molte realtà di farsi conoscere, specialmente quelle nate in paesi ai confini del mondo musicale e, in questo caso, metallico.
I paesi dell’Europa dell’est per esempio, solo pochi anni fa praticamente sconosciuti a livello musicale, hanno trovato nel web la possibilità di far conoscere le loro scene, qualitativamente notevoli come in Russia, dove la musica è storicamente una parte importante della crescita culturale e non un fastidioso ripiego come per esempio nel nostro paese.
Noi fin dai tempi di Iyezine, abbiamo sempre dato il giusto spazio alle varie scene mondiali, missione che portiamo avanti con entusiasmo anche sulla nuova testata metallica a nome MetalEyes e le soprese non mancano di certo, cominciando dagli Atonismen e dal loro bellissimo primo album, Wise Wise Man.
Il trio di San Pietroburgo è un gruppo nuovo di zecca formato dal polistrumentista e cantante Alexander Orso e dai due chitrarristi Alexander Senyushin e Child Catherine.
Il loro nuovo lavoro è quanto mai riuscito, visto che nel proprio sound ingloba vari suoni ed influenze, per un mix letale ed estremo di gothic, dark, elettronica e death metal molto affascinate.
Atmosfere horror, sadiche parti elettroniche, una voce personalissima e teatrale, ritmi marziali, orchestrazioni sinfoniche, ed accelerazioni estreme, fanno parte di questo oscuro scrigno musicale che alla sua apertura esplode in un caleidoscopio di note industrial gothic death metal.
Pensate ad una jam tra i primi Crematory, i Rammstein, e le sinfonie dark di una tra le miriadi di gothic metal band sparse per il globo, ed avrete un’idea del sound malato, destabilizzante e molto estremo del gruppo russo, che dà il meglio di sé quando l’elettronica diventa padrona del sound, con parti industrial dark malatissime e destabilizzanti.
Si passa così da brani potentissimi di oscuro ed orchestrale gothic metal (la title track e la stupenda Sorry), devastanti esempi di musica estrema moderna, maligna e terrorizzante come i due remix e la splendida Almagest.
Album affascinate, molto curato e maligno il giusto per farvi attraversare da voglie strane di bondage, frustini e torture assortite.
TRACKLIST
1.Almagest
2.Sorry
3.My Tale
4.Wise Wise Man
5.Wiegenlied
6.In Timeless Clamor
7.Wise Wise Man (dark-mix)
8.Wise Wise Man (industrial-mix)
LINE-UP
Alexander Orso – All instruments, Vocals
Alexander Senyushin – Guitars
Child Catherine – Guitars
La raffinatezza e l’eleganza delle orchestrazioni e della chitarra immette direttamente The Reins Of Life nel novero delle opere senza tempo.
Esporre un articolo che non ricalchi pensieri ampiamente elaborati in altre occasioni rimane un’impresa, così come essere del tutto originali suonando musica che da anni è una delle più seguite del panorama metallico, ma i Degrees Of Truth sono l’ennesima band nostrana che, con un songwriting di alto livello e una preparazione strumentale adeguata al genere, aggiunge un pizzico di elettronica al symphonic prog metal e consegna agli amanti di queste sonorità un gioiello di valore assoluto.
La band milanese, formata da Gianluca Parnisari solo lo scorso anno, debutta con The Reins Of Life, opera che non delude, ci presenta un altra singer dall’ugola d’oro (Claudia Nora Pezzotta) e ci ammalia con un metal progressivo elegante e raffinato, mai troppo debordante e sinfonico quanto basta per mandare in brodo di giuggiole i fans di orchestrazioni, musica classica ed altre diavolerie.
L’elettronica conferisce al sound un tocco moderno così che l’album possa tranquillamente posarsi sugli scaffali dei negozi, in un millennio in cui il mercato dimentica in fretta band e album, anche quelli che meriterebbero più tempo per essere apprezzati, mentre la raffinatezza e l’eleganza sia delle orchestrazioni che della sei corde immette direttamente The Reins Of Life nel novero delle opere senza tempo.
L’album si presenta con il bellissimo lavoro di Gustavo Sazes (Kamelot, Angra, Arch Enemy, Temperance) sull’artwork, la benedizione della storica label Underground Symphony e un lotto di brani molto belli con picchi qualitativi altissimi, magari leggermente prolisso, ma assolutamente da godere di tutte le sue atmosfere, sfumature e melodie.
Benché l’elettronica tenga l’opera ben salda nel presente, la mia sensazione all’ascolto di brani come la title track, Civilization e Pillar Of Hope è stata quella di entrare in una elegante corte del diciassettesimo secolo, al cospetto di dame eleganti, sfarzose tavole imbandite, signorotti dai modi raffinati e dalle voglie peccaminose, duelli dove il male fa capolino tra i pizzi e merletti (Fine Art Of Havoc, estremizzata dalla voce in growl), in un’apoteosi di suoni progressivi, dove il metal è nobilitato come nella migliore tradizione sinfonica.
Un altra opera tutta made in Italy che non deve essere ignorata.
TRACKLIST
01. Pattern
02. Finite Infinite
03. The Reins Of Life
04. Evolution
05. Civilization
06. Subtle Borderline
07. The World Beneath My Feet
08. Fine Art Of Havoc
09. The Grim Lesson
10. Deep Six
11. Pillar Of Hope
Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti
Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.
La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista. Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosisconferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa, e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.
TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis
LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass
Una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.
Ecco il classico album che, ammettiamolo, mette in difficoltà chiunque si approcci all’ascolto con mire di giudizio da scrivere su di una pagina cartacea o quella virtuale di una webzine.
Non mancheranno le (a mio modo di vedere) scontate track by track e pure qualche giudizio non troppo positivo, rimane, sempre per il sottoscritto ovviamente, il sentore di essere al cospetto del disco symphonic metal definitivo, quello che in altre ere musicali, meno soggette all’usa e getta ormai abituale anche nel metal, si sarebbe posato sul gradino più alto del genere come esempio fulgido e spettacolare e ci sarebbe rimasto per sempre. The Holographic Principle è un monumentale lavoro di settanta minuti, con il quale gli Epica sono andati oltre le più rosee aspettative: d’altronde, che la band della splendida sirena Simone Simons e dell’ex After Forever Marc Jansen avesse qualcosa in più lo si era capito già dai primi lavori, mantenendo un’ottima qualità in tutti gli album precedenti e alzando l’asticella ad ogni prova, fino ad arrivare al punto più alto, non solo della loro musica ma, probabilmente di tutto un genere.
Prodotto come al solito da Joost van den Broek assieme a Mark Jansen e mixato da Jacob Hansen, la nuova opera del gruppo olandese suscita emozioni, travolgendo con una valanga di note magniloquenti: le sinfonie registrate live dall’orchestra conferiscono un suono caldo, corposo e potente senza mettere in secondo piano le chitarre, anzi, le sei corde sono molto più presenti che sui lavori precedenti, grintose metalliche e affiancate da una sezione ritmica terremotante, così da esplodere all’unisono con la sontuosa parte orchestrale, la splendida voce della singer e chorus che entrano direttamente nell’anima.
I testi, che alternano argomenti terreni con la visione fisica e filosofica di Jansen, possono rappresentare un dettaglio per chi dà importanza solo all’aspetto musicale, ma nel contesto dell’album tutto appare perfettamente in equilibrio, una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.
La tradizione olandese che nel genere ha i suoi natali nei primi anni novanta, quando la scena dei Paesi Bassi sfornò le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato uno dei generi più amati dai fans, ha influito non poco sulla crescita degli Epica e non è un caso se ora incoroniamo proprio un gruppo di quelle parti come campione del metal sinfonico.
Se volete dei titoli di riferimento, questa volta lascio che sia The Holographic Principle a mostrarvi i suoi tesori, sappiate che siamo nella perfezione assoluta.
Disco dell’anno e tanti saluti dall’olimpo dove risiedono i grandi.
TRACKLIST
1. Eidola
2. Edge Of The Blade
3. A Phantasmic Parade
4. Universal Death Squad
5. Divide And Conquer
6. Beyond The Matrix
7. Once Upon A Nightmare
8. The Cosmic Algorithm
9. Ascension – Dream State Armageddon
10. Dancing In A Hurricane
11. Tear Down Your Walls
12. The Holographic Principle – A Profund Understanding Of Reality
LINE-UP
Mark Jansen – Guitars, Vocals
Coen Janssen – Keyboards
Simone Simons – Vocals
Ariën van Weesenbeek – Drums, Vocals
Isaac Delahaye -Guitars, Vocals
Rob van der Loo -Bass
E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.
Pare davvero di essere tornati ai tempi dei migliori Angra e non solo quelli dell’arrivo di Falaschi nel combo brasiliano, ma a quel gruppo che clamorosamente irruppe sulla scena metallica con i primi stupendi lavori.
Era nell’aria il disco della vita per il gruppo brasiliano, già il precedente Unfold, anche se lasciava entrare nella propria anima qualche soluzione moderna, risultava un grande album metal, con Falaschi convincente e ormai coinvolto al 100% dalla sua nuova avventura.
Sono passati tre anni e l’arrivo di questo nuovo lavoro pone la band brasiliana sul podio dei migliori act alle prese con il power metal dalle sfumature progressive e splendidamente melodico.
Chiusa la parentesi modernista aperta in alcuni frangenti sul lavoro precedente, gli Almah tornano a suonare quello che la loro tradizione dice di saper fare meglio, toccando picchi elevatissimi , difficilmente raggiunti da un po’ di anni a questa parte, anche se la qualità dei loro lavori non è mai scesa sotto un buon livello. E.V.O torna a far risplendere quel tipo di power metal melodico che ha fatto scuola, colmo di soluzione melodiche, ariose aperture orchestrali e quel tocco latino, irresistibile per molti e che ha sempre differenziato la scena sudamericana da quella europea per l’eleganza ed il talento ritmico innate nei musicisti brasiliani.
Basterebbe Age Of Aquarius, opener del disco, un brano arioso, positivo, stupendamente melodico ed impreziosito da orchestrazioni da musical, per prendere il largo e fare il vuoto nelle opere del genere, ma E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.
Il giro di piano che trascina Indigo, malinconico e dalle sfumature dark, il power metal di classe di Higher, l’hard rock ruffiano e melodico di Infatuated, l’unica concessione a soluzione moderne nell’aggressiva Corporate War, l’arioso refrain della magnifica Speranza, il power prog colmo di soluzioni raffinate e dall’irresistibile ritornello di Final Warning, sono solo pochi dettagli di un’opera piena di sorprese nel suo comunque essere classicamente metallica.
Gli Almah questa volta hanno messo in campo tutte le loro armi per vincere questa battaglia e ci sono riusciti senza fare prigionieri, album di un’altra categoria, consigliarvelo è il minimo.
TRACKLIST
1.Age Of Aquarius
2.Speranza
3.The Brotherhood
4.Innocence
5.Higher
6.Infatueted
7.Pleased To Meet You
8.Final Warning
9.Indigo
10.Corporate War
11.Capital Punishment
Un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi.
Gli Oniricide sono una band metal nata e cresciuta a Torino da qualche anno: il loro nuovo album Revenge Of Souls è un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi e restare così sospesi a mezz’aria già dal primo ascolto.
All’interno dei dieci brani è possibile ascoltare, infatti, prog e power metal, il tutto contornato da orchestrazioni sinfoniche, ispirate a musiche dei film e videogiochi, senza dimenticare la notevole influenza della musica classica. Si possono trovare, inoltre, influenze più marginali come il folk di Becoming A Different Man, il pop-rock della ballad The Illusion of The Abyss, per finire nel rock-blues in alcuni assoli di chitarra. Revenge Of Souls, uscito a febbraio 2016, si presenta come una buona opera che indica ben delineate traiettorie di crescita e che, senza ombra di dubbio, sarà un ottimo antipasto per tutto ciò che verrà dopo.
TRACKLIST
1. Oneiros
2. Revenge of Souls
3. Noxy
4. Vision from the Mirror
5. Gipsy and the Cards
6. A Good Place to Die
7. The Illusion of the Abyss
8. The Beast
9. Mother of Pain
10. Becoming a Different Man
LINE-UP
Luca Liuk Abate – Bass
Daniele Pelliccioni – Drums, Keyboards
Andrea Pelliccioni – Guitars
Mara Cek Cecconato – Vocals
Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena
La nostrana Revalve è considerata dal sottoscritto alla stregua di uno scrigno musicale colmo di piccoli gioielli metallici: dalle sonorità estreme passando da quasi tutti i generi che compongono l’universo della nostra musica preferita, l’etichetta nostrana non sbaglia un colpo regalando ai fans sempre ottimi lavori e band sopra la media.
Ultima opera arrivata sulla mia scrivania è il secondo album dei veneti Afterlife Symphony, album che si colloca senza dubbio tra le migliori uscite di questo ultimo scorcio dell’anno in corso.
La band, come detto, è al secondo lavoro sulla lunga distanza e segue di tre anni l’esordio Symphony of Silence, album che aveva trovato non pochi estimatori tra gli addetti ai lavori.
In un genere inflazionato come il metal sinfonico dai rimandi gotici non è poi così difficile cadere nell’ovvio e nel già sentito, allora le virtù che fanno la differenza sono riscontrabili nell’abilità degli artisti nel creare melodie accattivanti, mantenendo ben salda la componente metallica, cosa che al gruppo veneto riesce benissimo. Moment Between Lives porta con se qualcosa di diverso già nel concept, molto maturo ed intimista: l’uomo davanti alle sue domande e alle sue scelte che nel corso della vita si pone e deve affrontare tra amori, paure, rabbia, sogni ed introspezione, non male e molto affascinate in un mondo ormai di superficialità conclamata e punto in più per la giovane band.
Il concept viene accompagnato da una colonna sonora che vede come protagonista l’ottima interpretazione della singer Anna Giusto, accompagnata dal metal suonato dai suoi compagni d’avventura, robusto nelle ritmiche, a tratti bombastico quel tanto che basta per rendere il suono molto cinematografico e valorizzato da un lavoro chitarristico elegante, mai invadente ma perfetto nel drammatizzare le atmosfere intimiste dei brani.
Un album da assaporare con la dovuta calma, mentre l’anima metallica si scontra con quella sinfonica in un susseguirsi di colpi di scena, potentissime ripartenze tragicamente rabbiose e raffinati momenti di apparente calma, prima che la tempesta di umori e dubbi torni ad impadronirsi del protagonista sotto forma di metallo fortemente espressivo.
Paragoni ed influenze le lascio all’ascoltatore, personalmente ho trovato più Epica e primi Within Temptation che i soliti Nightwish, ma sono dettagli; fatevi accompagnare in questo viaggio tra spiritualità e realtà da tracce molto intriganti come The Abyss, Under The Sleeping Tree, ed il capolavoro Novembre (part II), ne uscirete più ricchi …
TRACKLIST
1 – Half-Moon Night
2 – The Abyss
3 – Under the Sleeping Tree
4 – My Existence to You
5 – Broken Breath
6 – Dreamer’s Paradox
7 – Seventh
8 – Last Hope
9 – Novembre, Pt. 1
10 – Novembre, Pt. 2
11 – Genesis of Eternity
LINE-UP
Anna Giusto – Vocals
Stefano Tiso – keyboards and piano
Eddy Talpo – Rhythm and lead guitars
Nicolas Menarbin – bass
Antonio Gobbato – Drum and percussions