Dischordia – Thanatopsis

I cultori del technical detah metal avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile ma assolutamente affascinante.

Technical death metal brutale e a tratti progressivo, il sound del trio americano chiamato Dischordia si può riassumere così.

Il gruppo proveniente dall’ Oklahoma, attivo dal 2010, arriva al traguardo del secondo full length dopo aver dato alle stampe un paio di ep e Project 19, primo lavoro sulla lunga distanza targato 2013.
Da dire c’è che Josh Fallin (batteria), Keeno (chitarra e voce) e Josh Turner (voce, basso) i loro strumenti li sanno maneggiare più che bene, ma si nota pure un songwriting sufficientemente ispirato, tanto che Thanatopsis esce dal calderone delle opere di genere solo tecnica e virtuosismi.
Una valanga di cambi di tempo, un lavoro delle sei corde disumano e atmosferiche parti progressive dove non mancano neppure soavi note di un flauto, danno al lavoro quei cambi di atmosfere e sfumature che facilitano l’ascolto di questo mastodonte della durata di quasi un’ora, tantissimo per il minutaggio medio nei lavori del genere.
Il growl alterna parti death ad un più efferato brutal, infierendo senza pietà anche quando la tensione si alleggerisce un poco, ma sono solo attimi, perché brani intricati e violenti come The Curator, Bone Hive e la conclusiva The Traveler, non concedono tregua destabilizzando e violentando i padiglioni auricolari con una serie di trovate davvero sopra le righe (la marcetta in controtempo di The Traveler lascia a bocca aperta).
I cultori del genere avranno di che gioire all’ascolto di Thanatopsis, un album difficile, ma assolutamente affascinante.

TRACKLIST
1.Thanatopsis I: The River
2.Thanatopsis II: The Road
3.Thanatopsis III: The Ruin
4.The Curator
5.22°
6.An Unlikely Story
7.Bone Hive
8.Madness
9.The Traveler

LINE-UP
Josh Fallin – Drums
Keeno – Guitars, Vocals
Josh Turner – Vocals, Bass

DISCHORDIA – Facebook

The Ritual Aura – Tæther

Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.

Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.

Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive.
Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.

TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being

LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals

THE RITUAL AURA – Facebook

Zeit – The World Is Nothing

Questo hardcore è suonato molto bene, è estremo e molto interessante, con interessanti linee melodiche e giusti sconfinamenti in molti generi, dal technical death metal, al math, al noise ed altro ancora.

Ristampa in cd a cura di diverse etichette del primo disco di questo gruppo hardcore veneziano.

La loro proposta è un concentrato di velocità e potenza, molto vicino al chaotic hardcore e al percorso tracciato dai Converge e gruppi affini. La potenza degli Zeit non è inferiore alla loro tecnica, che è notevole, e tutto ciò si va a sposare con un’ottima capacità compositiva, che fa di questa prima prova sulla lunga distanza un gran disco. Questo hardcore è suonato molto bene, è estremo e con interessanti linee melodiche e giusti sconfinamenti in diversi generi, dal technical death metal, al math, al noise ed altro ancora. In The World Is Nothing troviamo la giusta tensione ed il giusto pathos che devono essere presenti in un buon disco hardcore, ma qui dentro c’è di più. Molti gruppi sono potenti, calibrati e fanno sensazione, ma l’hardcore deve scavarti qualcosa dentro, ed in questo gli Zeit sono molto bravi. Come detto il disco ha visto la luce in cd grazie alla collaborazione fra diverse belle realtà musicali, e gli Zeit collaborano anche musicalmente e non con alcune realtà veneziane, come Trivel Collective e Venezia Hardcore, facendo parte di una florida scena assieme a gruppi come gli Slander, ma gli Zeit sono maggiormente metallici e contundenti.
Un debutto di grande hardcore, let’s mosh.

TRACKLIST
01. World And Distances
02. Weaving
03. Distance And Difference
04. Disguised
05. Chasing The Void
06 Tautologies
07. Lack Of Parts
08. No Conception
09. The Walls Of The World
10. Past Meanings

LINE-UP
Alessandro Maculan – Guitar
Sebastiano Busato – Voices
Gabriele Tesolin – Bass
Francesco Begotti – Drums

ZEIT – Facebook

Azooma – The Act Of Eye

The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal.

Arriva sul mercato tramite la Xtreem il debutto sulla lunga distanza dei notevoli Azooma, band iraniana che aveva stupito con il primo ep licenziato un paio di anni fa, A Hymn Of The Vicious Monster, e del quale ci eravamo occupati all’epoca si In Your Eyes.

Ci avevamo visto giusto allora, visto la qualità altissima di questo nuovo lavoro del gruppo proveniente dalla città di Mashhad.
Gli Azooma suonano un death metal progressivo, tecnicamente sono dei mostri, ma il bello risulta l’emozionalità altissima dei loro brani, oscuri, estremi ma tremendamente coinvolgenti, anche per l’ottimo uso, a tratti, di atmosfere prese in prestito dalla loro cultura, così lontano dalla nostra, ma estremamente affascinante.
The Act Of Eye è un concept diviso in otto capitoli, altrettanti atti di un’opera estrema progressiva tutta da seguire nelle sue scorribande tra le varie anime del death metal, ora brutale, ora ultra tecnico, ora stupendamente progressivo, un vagabondare perdendosi nell’anima oscura di questi musicisti, tra ritmiche destabilizzanti, attimi progressivi dai richiami crimsoniani e del death classico.
Aiutati dal mastermind della label e vocalist degli Avulsed, Dave Rotten, sulla prima traccia (Act 1-Plague Of Predator), il quartetto iraniano si supera e con questo lavoro imprime il suo marchio sul genere proposto: a conferma di tutto ciò arriva come un uragano di note due brani capolavoro come Act 3 – The Ocular Dominance, undici minuti di perfetto connubio tra il progressive rock sperimentale dei King Crimson, il death metal tecnico dei Death e l’oscura brutalità dei Morbid Angel, e la splendida orchestralità di Act 4 – Erosion of Shadows, symphonic/technical/progressive death metal che entusiasma non poco.
Vi ho parlato di soli due brani, ma potrei prendervi per mano e, nominandoli tutti, accompagnarvi tra i meandri di quest’opera senza tempo ne confini, vi lascio invece con ancora in testa la spettacolare Act 5-Non Entity Of Visions, talmente varia nelle atmosfere e nelle ritmiche da farla sembrare almeno tre brani uniti in un solo gioiello estremo, e con l’invito a non perdervi una sola nota di questa bellissima opera di musica totale.

TRACKLIST
1.Act 1 – Plague of Predator
2.Act 2 – Umbra of Mirth
3.Act 3 – The Ocular Dominance
4.Act 4 – Erosion of Shadows
5.Act 5 – Non-Entity of Visions
6.Act 6 – Flare of Flames
7.Act 7 – Objectivity of Oblivion
8.Act 8 – The Eyes: A Tale of Sight and Shadows

LINE-UP
Shahin Vaqfipour – vocals
Ahmad Tokallou – guitar
Farid Shariat – bass
Saeed Shariat – drums

AZOOMA – Facebook

Noise Trail Immersion – Womb

Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore.

Pesantissimo esordio discografico per questo gruppo torinese, dedito ad un hardcore metal nerissimo, con incursioni nel death metal e nel math, con inaspettate e bellissime aperture melodiche.

I Noise Trail Immersion sono un gruppo che ha sicuramente attinto a Converge, The Secret e Dillinger Escape Plan, e la loro capacità più grande è di essere partiti da qui per intraprendere un cammino totalmente nuovo e ricchissimo. Anche grazie all’ottima produzione si possono sentire canzoni cariche di furia, di tecnica, di melodie da scoprire e tanta voglia di coinvolgere l’ascoltatore. Quello che vi aspetta in questo disco è un nero ed oscuro viaggio, ma sarà molto piacevole, poiché è da tempo che non si ascoltava un lavoro simile nel genere, che poi non è un genere musicale tout court bensì una maniera di sentire. I Noise Trail Immersion ci portano in bui corridoi dove ci aspettano bestie sconosciute e umani che potrebbero essere i nostri cari, ma li vedrete come personaggi di SIlent Hill. L’assalto sonoro è notevole, ma ciò che colpisce di più è al straordinaria capacità di colpire l’ascoltatore per poi innalzarlo con aperture bellissime. Ogni canzone si fa ascoltare fino in fondo, ogni canzone è un piccolo movimento di un’opera più grande, dove tutto è incastonato perfettamente in un’apocalisse sonora e di sentimenti sublime.
Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore. Bellissimo, e pensare che al primo ascolto non mi era piaciuto.

TRACKLIST
1.Border
2.In Somnis
3.Light Eaters
4.Placenta
5.Womb
6.Organism
7.Hypnagogic
8.Tongueless
9.Birth

LINE-UP
Membri
Fabio – vox
Davide – guitar
Daniele – guitar
Lorenzo – bass
Paolo – drums

NOISE TRAIL IMMERSION – Facebook

Unison Theory – Arctos

Ci sono molti gruppi che sono simili agli Unison Theroy ma molto pochi hanno la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i grandi gruppi

Potenza e tecnica per questo debutto sulla lunga distanza degli Unison Theory, un gruppo davvero molto interessante.

La loro proposta sonora è un groove metal potente ed al di sopra delle maggioranza delle produzioni attuali. Il suono di Arctos è un possente monolite che al suo interno nasconde una miriade di stanze e cunicoli, dove gli Unison Thoery ci conducono per farci sentire il gelido soffio della potenza del loro suono. Il progetto Unison Theory ha subito diversi stop, dovuti ai purtroppo frequenti problemi di line up, ma Arctos è la migliore risposta a tutto ciò. Ci sono molti gruppi che sono simili ma pochi possiedono la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i migliori. Ascoltando Arctos si comprende subito che siamo di fronte ad una band molto particolare e peculiare, che ha dalla sua davvero tanti pregi: nella loro musica si sente la vera passione per il metal e una continua ricerca sonora in questo ambito, che sta dando molti frutti. Un debutto davvero azzeccato e molto ma molto potente. Gli Unison Theory sono un gruppo che sta andando in una direzione ben precisa e che farà la gioia di molti.

TRACKLIST
1. DeepEye
2. Omega feat. Rafael Trujillo (Obscura)
3. Arrigetch: The Devil’s Passage
4. Project Shockwave feat. Tommaso Riccardi (Fleshgod Apocalypse)
5. Grendel
6. Level IV
7. Polar Sentinel
8. The Price Of Eternity

LINE-UP
Alexander Startsev – screams
Omar Mohamed – guitars
Simone Tempesta – drums

Marco Mastrobuono – bass guest

UNISON THEORY – Facebook

Burial in the Sky – Persistence of Thought

Un buon album che gli amanti del technical death metal apprezzeranno sicuramente.

Ottimo lavoro da parte dei Burial In The Sky, duo di polistrumentisti e funamboli della sei corde provenienti dalla Pennsylvania.

Con Samus Paulicelli,drummer dei Decrepith Birth ed ex Abigail Williams, Will Okronglis (chitarra e voce) e James Tomedi (chitarra, basso e tastiere) debuttano sulla lunga distanza dopo due ep rilasciati rispettivamente nel 2013 (anno di fondazione) e 2014.
Il loro death metal, molto tecnico e alquanto brutale, si impreziosisce di atmosfere progressive con accelerazioni devastanti, blast beat, per poi trasformarsi in attimi di sulfuree e delicate parti armoniche, e ripartire infine a velocità impazzite verso universi sconosciuti.
Musicalmente il tutto è perfettamente bilanciato e smorza quel senso di forzato, comune ad opere del genere, merito di un buon songwriting e dell’importanza che il gruppo dà alle parti estreme.
L’atmosfera progressive vive nelle melodie settantiane di cui i Burial In The Sky fanno uso, prendendo spunto dai Pink Floyd e dallo spirito psichedelico dei loro primi album, mentre come una belva in agguato la parte estrema si catapulta con tutta la sua ferocia sullo spartito, così da risultare un continuo botta e risposta tra le due facce del sound.
La grande tecnica non inficia la buona presa dei brani, specialmente i primi tre che vanno a comporre un mini concept (Entry I, Entry II e Entry III), mentre nella seconda parte sono le armonie intense e brutali di Galaxy Of Ghosts a fare la parte del leone.
Un buon album che gli amanti del technical death metal apprezzeranno sicuramente.

TRACKLIST
1.Entry I
2.Entry II
3.Entry III
4.Anchors
5.Galaxy of Ghosts
6.Dimensions Divide

LINE-UP
Will Okronglis – Guitars (rhythm), Vocals
James Tomedi – Guitars, Keyboards, Bass

BURIAL IN THE SKY – Facebook

Saturno – Thou Art All

La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani.

Con il primo lavoro dei ferraresi Saturno ci troviamo al cospetto di un’opera di death metal tecnico e brutale, racchiusa in cinque brani per quindici minuti di musica dal titolo Thou Art All.

Il quartetto nostrano confeziona questo antipasto alla propria carriera mettendo subito in chiaro che qui si fa death metal tripallico, progressivamente brutale e squisitamente tecnico, dai rimandi ai gruppi storici statunitensi (padri del genere) , ma con una personalità da veterani.
Non manca nulla a Thou Art All per farsi apprezare: buona tecnica esecutiva, impatto enorme, blast beat alternati a parti dalle ottime varianti ritmiche, vorticosi solos, il tutto accompagnato da un growl come il genere richiede.
La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani, anche nel metal estremo, così che l’opener Creator e l’accoppiata Preserver/Birthrope non mancano di lasciare un’ ottima impressione sulle potenzialità in mano ai Saturno.
Il gruppo merita il giusto supporto ed una spinta verso il traguardo importantissimo del primo full length, parola di MetalEyes!

TRACKLIST
1.Creator
2.Devotion
3.Preserver
4.Birthrope
5.Destroyer

LINE-UP
Tommaso Pellegrini – Guitars
Alessio Giberti – Guitars
Nicola Donegà – Bass
Nico Malanchini – Drums

SATURNO – Facebook

The Burning Dogma – No Shores Of Hope

No Shores Of Hope è un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Uno pensa: chi te lo fa fare di passare gran parte del tempo libero a tenere in piedi, assieme a qualche altro malato di mente, una webzine dalla quale non ci si guadagna nulla ?

La risposa sta, come il veleno, nella coda: chi l’ha detto che non ci si guadagna? Per esempio, se non fossero stati gli stessi The Burning Dogma ad inviarmi il promo del loro disco ai fini di una recensione, quante probabilità avrei avuto di ascoltarlo? Diciamo ben poche.
Ecco, la vera ricompensa di chi si dedica ad un (non) lavoro come questo è proprio quella di scoprire e godersi realtà ai più sconosciute ma capaci di produrre musica del tutto all’altezza di nomi ben più pubblicizzati.
No Shores Of Hope è il primo full length di questa band bolognese che, già da qualche anno, prova ad agitare i sonni dell’apparentemente placida Emilia con un death metal dai tratti progressivi e sinfonici e, probabilmente, l‘essere giunti alla prova della lunga distanza senza aver affrettato i tempi deve aver giovato non poco alla resa finale del lavoro.
Il sound dei The Burning Dogma è nervoso, oscuro e cangiante, a volte quasi in maniera eccessiva a causa di fulminei cambi di tempo che possono disorientare l’ascoltatore meno scafato o, comunque, meno propenso ad approfondire i contenuti di un album complesso ma dotato di grande fascino.
Un umore disturbante che si addice a No Shores Of Hope, un concept che affronta temi magari non nuovissimi ma sempre attuali, come il degrado dell’umanità e la necessità di lottare affinché tale deriva si arresti, in modo da poter trascorrere al meglio un esistenza destinata prima o poi ad una fine ineluttabile: la rappresentazione di tutto questo avviene tramite un death metal tecnico, che si sviluppa tra pulsioni melodico/sinfoniche e rallentamenti di matrice doom, arricchito da inserti elettronici presenti per lo più nei brevi intermezzi strumentali.
Lo screaming quasi di matrice black esibito da Andrea Montefiori viene talvolta alternato ad un più canonico robusto growl, ed anche questa varietà vocale finisce per costituire un ulteriore elemento di discontinuità in un album che è ricco di sorprese e di spunti eccellenti, oltre che di una serie di brani la cui pesantezza è stemperata sia dalla tecnica, che i musicisti mettono al servizio del songrwriting (e non viceversa), sia dagli spunti melodici che segnano un po’ tutti brani.
Spiccano, in una tracklist priva di punti deboli, la più catchy Skies Of Grey, ammorbidita da una bella voce femminile, la spigolosa Nemesis e No Heroes Dawn, parte centrale della trilogia Dawn Yet To Come, dove viene riproposto un frammento tratto da Inpropagation, traccia d’apertura della pietra miliare Necroticism …, quale doveroso omaggio ad una band come i Carcass alla quale sicuramente i The Burning Down si ispirano, specie nelle piuttosto ricercate evoluzioni chitarristiche.
No Shores Of Hope, quindi, si rivela un album di grande pregio, che in un mondo normale porterebbe alla ribalta della scena i The Burning Dogma … ma del resto sono proprio loro i primi ad affermare, con il loro concept, che di normale, in questo mondo, c’è rimasto ormai ben poco.

Tracklist:
01. Waves Of Solitude
02. The Breach
03. Enigma Of The Unknown
04. Skies Of Grey
05. Feast For Crows
06. Burning Times
7. Distant Echoes
08. Hopeless
09. Dying Sun
10. Nemesis
11. Dawn Yet To Come – 1. Drowning
12. Dawn Yet To Come – 2. No Heroes Dawn
13. Dawn Yet To Come – 3. Uscimmo A Riveder Le Stelle

Line-up:
Maurizio Cremonini – Lead Guitar
Diego Luccarini – Rhythm Guitar
Giovanni Esposito – Keys
Antero Villaverde – Drums
Simone Esperti – Bass
Andrea Montefiori – Vocals

THE BURNING DOGMA – Facebook

VIII – Decathexis

Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni

Poco più di due anni fa mi ero trovato ad elogiare il primo full length dei sardi VIII, autori in quel frangente, con il loro Drakon, di un black metal dalle ampie sfumature doom e ricco di passaggi evocativi e melodici.

Le cose sono cambiate non poco nel lasso di tempo intercorso tra quell’uscita ed il qui presente Decathexis, non tanto dal punto di vista qualitativo che, come vedremo, non ha subito alcun contraccolpo, bensì da quello riferito all’approccio stilistico: gli VIII sono oggi una realtà dedita ad un black avanguardista che può essere avvicinabile ai parti più recenti della scuola francese, reso però con una personalità ed un tocco di follia che ne accentua la peculiarità.
Ed è proprio da un concept basato su stati di alterazione mentale (Decathexis significa, a grandi linee, ad una forma patologica di progressivo disinteresse e distacco nei confronti della realtà circostante) che DrakoneM, sempre aiutato dal fido drummer Mark, prende le mosse per sviluppare un lavoro impressionante per come la materia viene plasmata a piacimento senza che, alla fine, il risultato finale ne risenta particolarmente a livello di fluidità.
Non era semplice, infatti, concentrare in un solo album una simile quantità di influssi, corrispondenti ad altrettanti cambi di scenario ed atmosfera, mantenendo saldo il controllo delle composizioni senza farsi sopraffare dalla propria vis sperimentale.
Fin dall’incipit di Symptom, infatti, si intuisce che Decathexis offrirà una cinquantina minuti all’insegna di un’imprevedibilità, abbinata ad un’estremizzazione del suono che va oltre i semplici canoni del black o del death: gli VIII suonano quello che si può definire a buon titolo avantgarde metal, senza che tale definizione appaia pomposa o inadeguata
Così le incursioni del sax, strumento che da chi ascolta metal estremo viene normalmente visto come il fumo negli occhi, sono solo uno dei simboli del disagio che gli VIII traducono in musica: i tre brani, la cui delimitazione appare più una necessità che non una conseguenza logica, per cui potrebbero essere anche dieci od uno soltanto, non lasciano punti di riferimento certi ed è quasi impossibile prevedere quale direzione prenderà il sound.
Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni, rischiando del loro con l’abbandono di strade più confortevoli ma ottenendo un risultato davvero soddisfacente, che lascia quale unico interrogativo la reazione di chi ha seguito le prove del passato al cospetto di una sterzata così decisa e violenta inferma al proprio modus operandi.
Poco male, visto che auspicabilmente DrakoneM e Mark dovrebbero ottenere nuovi e numerosi consensi per un album che va assaporato, comunque, mantenendo un’ampia apertura mentale.

Tracklist:
1. Symptom
2. Diagnosis
3. Prognosis

Line-up:
DrakoneM – Guitars, Bass, Synth, Vocals (additional)
Mark – Drums

VIII – Facebook

Meshuggah – The Violent Sleep of Reason

Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

Giunta ormai all’ottavo album in studio, la macchina perversa dei Meshuggah è tornata con un altro monolite d’acciaio tecnico e inesorabile.

Mi approccio all’ascolto quasi timoroso al cospetto di una band oserei direi essenziale per la natura stessa della sua proposta rivoluzionaria e innovativa, mai strettamente commerciale e, bisogna dirlo, con un approccio alla musica tra i più impegnativi e così dannatamente heavy. Così, prendiamo fiato e immergiamoci a ruota libera nei meandri di questo violento sonno della ragione. Nei 7 minuti dell’opener Clockworks vi sembrerà di essere pestati a sangue grazie a una sezione ritmica pesantissima e assassina che vi lascerà storditi in attesa di alienarvi con Born In Dissonance. La chirurgica MonstroCity vi sezionerà accuratamente e successivamente vi ricucirà abilmente con le corde affilate dell’allucinante solista di Thordendal . L’incubo tortuoso di By The Ton potrebbe temporaneamente lenire le vostre ferite attraverso le mani lente e inesorabile di uno psicopatico, ma non c’è tregua, perché la title track e Ivory Tower vi frantumeranno le ossa a martellate. Il maelstrom di Stifled vi opprimerà come un tiranno implacabile illudendovi solo attraverso brevi innesti disarmonici a base di synth e solos estranianti. Il tunnel di Nonstrum vi ingannerà per alcuni secondi per poi sminuzzarvi come schiacciati da una Tunnel Boring Machine. La pressione sul vostro cranio aumenterà dall’impellente incedere di Our Rage Won’t Die e con la mortifera Into Decay si chiude egregiamente un ennesimo lavoro di considerevole qualità. The Violent Sleep of Reason vi sequestrerà, e per un’ora potrete deliziarvi nei vortici ipnotici e nel dolore profondo concepito da Kidman e soci. Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

TRACKLIST
01. Clockworks
02. Born In Dissonance
03. MonstroCity
04. By The Ton
05. Violent Sleep Of Reason
06. Ivory Tower
07. Stifled
08. Nostrum
09. Our Rage Won’t Die
10. Into Decay

LINE-UP
Jens Kidman – vocals, rhythm guitar
Fredrik Thordendal – lead guitar, rhythm guitar, synth
Mårten Hagström – rhythm guitar
Dick Lövgren – bass guitar
Tomas Haake – drums

MESHUGGAH – Facebook

L’Incendio – L’Incendio

Questi ragazzi hanno una concezione molto avanzata del metal e, partendo da un death metal originale, vi aggiungono novità, riuscendo a creare un suono davvero inusuale.

Debutto per questa metal band di Imola, nata dalle ceneri dei Xipe Totec.

Questi ragazzi hanno una concezione molto avanzata del metal e, partendo da un death metal originale, vi aggiungono novità, riuscendo a creare un suono davvero inusuale. I loro riferimenti sono difficile da dare, perché sconfinano in vari sottogeneri del death, ma i nomi non sono importanti. L’importante è che abbiamo tra le mani un debutto notevole, tecnico e potente, con ottimi intarsi di melodia. Il gruppo suona molto bene e con una produzione con più mezzi a disposizione in sede di produzione riuscirebbe a far risaltare maggiormente il tutto. Si alternano parti più pesanti a pezzi con un respiro più ampio, il tutto di ottima qualità. Le idee sono tante ed in qualche frangente la voglia di fare porta la band a strafare, ma sono tutti segnali positivi. Dischi come questo, di qualcosa che può essere definito metal trasversale, sono quelli che regalano maggiori soddisfazioni. Le canzoni di L’Incendio seguono composizioni che sono strutturate in maniera progressive, a volte con il superamento della ripetizione strofa-ritornello, andando più in là. Le sperimentazioni di giovani band sono sempre da seguire con attenzione, e qui partendo da una buona tecnica si va a cercare in profondità. Il disco è molto interessante ed accende una notevole attesa per le loro prossime prove. Alcune cose devono essere aggiustate, ma con questo talento e con questa forza di volontà si possono fare grandi cose.

TRACKLIST
1.Zion Ruins
2.Immanent
3.The Abyss
4.Smile On!
5.The Nation of Dreams
6.YouTumor
7.5 is the new 6 /
8.Zatemniat
9.L’Incendio part 1 & 2

L’INCENDIO – Facebook

Colosso – Obnoxious

I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

I portoghesi Colosso, con un monicker simile, non potevano che dedicarsi ad un metal pesante oltre misura, e così è in effetti, anche se la strada percorsa per triturare i padiglioni auricolari degli ascoltatori è molto meno scontata di quella intrapresa da biechi mazzuolatori senza arte né parte.

La band di Oporto, guidata dal fondatore Max Tomé , ha intrapreso solo all’inizio di questo decennio il proprio percorso di progressivo annichilimento, e Obnoxious è la seconda prova su lunga distanza che ci mette di fronte ad una realtà di assoluto spessore.
Un death metal tecnico, che ogni tanti sconfina nel djent, ma in misura non stucchevole, con una pesante componente industrial che lascia spazio a passaggi più riflessivi, andando a formare una mistura accattivante ma soprattutto convincente per la fluidità con cui la materia viene manipolata.
Furra, sperimentazione ed un pizzico di melodia: ecco la miscela che rende vincente Obnoxious nei suoi quaranta minuti di intensità a tratti parossistica, segnati da una prestazione d’assieme impeccabile per esecuzione ed esaltata da una produzione adeguata.
I Colosso offrono una prestazione, appunto, “colossale”, e anche quando alcuni riferimenti si fanno un po’ più scoperti (gli imprescindibili Fear Factory nella magnifica A Noxious Reflection) il tutto viene reso in maniera talmente efficace da far passare qualsiasi altra considerazione in secondo piano.
Obnoxious è emblematico di quella che dovrebbe essere la via maestra da seguire per chi si cimenta con un metal estremo ma dalle sembianze più moderne: lontani dal tecnicismo fine a sé stesso di certo djent o dalla freddezza chirurgica dell’industrial di maniera, i ragazzi lusitani portano una violenta sferzata di aria fresca in un ambito che ultimamente ha proposto più di una prova asfittica, anche da parte di nomi già affermati.
I Colosso non rappresentano il futuro del death più tecnico e sperimentale, ne sono già il presente …

Tracklist:
1. In Memoriam
2. The Unrepentant
3. Of Hollow Judgements
4. As Resonance
5. Soaring Waters
6. Seven Space Collisions
7. To Purify
8. Sentience
9. A Noxious Reflection

Line-up:
Max Tomé – Guitars, Vocals
André Lourenço – Bass
Marcelo Aires – Drums
António Carvalho – Guitars
André Macedo – Vocals

COLOSSO – Facebook

Second To Sun – The First Chapter

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.

Il disco dei Second To Sun è una magnifica opera sonora, composta da diversi strati, molti livelli di lettura e stili ricchi e assai differenti tra loro.

The First Chapter segue un’impetuosa narrazione, là dove il metal viene usato come codice da integrare con altri linguaggi come il folclore, per creare un punto d’incontro che serve da base per raccontare storie altrimenti dimenticate.
Il tutto è strumentale e non potrebbe essere altrimenti, dato che ogni parola sarebbe estranea in questa cascata di note, vite e sogni spezzati. Lo stile è un metal super tecnico, con intarsi di djent e post metal, ma uno degli elementi più importanti è il folclore. Ogni canzone ha genesi e semantica diverse, ma tutte raccontano qualche accadimento, ed in più fanno sentire le musiche delle genti coinvolte. Red Snow narra degli avvenimenti accaduti al passo Dyatlov, dove vennero uccise nove persone, o dai locali o da qualcosa che sarebbe meglio non nominare nemmeno. In questa canzone i Second To Sun ci fanno sentire anche in fondo al pezzo dei loro rimaneggiamenti di pezzi tipici delle popolazioni di quei luoghi. E questo disco, grazie alla sua musica, tra Meshuggah e dintorni e un certo grado di distopia, regala grandi gioie, qui il metal diventa moderno narrando storie e visi antichi. La potenza e la tecnica dei Second To Sun fanno davvero la differenza, anche perché non sono usate affatto a caso, ma sempre con consapevolezza e sapienza. Quando poi il metal dei russi si fonde con il folk dei canti finlandesi riarrangiati, o con composizioni di popoli così lontani dalla nostra tecnocrazia, è qui che si raggiungono i momenti più alti del disco, che viaggia su di una qualità media davvero ragguardevole. La cosa migliore che si possa dire di questo disco è affermare la sua originalità, che continua la tradizione di dischi come Roots dei Sepultura, pur essendone molto diverso nell’essenza, parlando di popoli antichi e facendolo con un metal moderno e propositivo, molto differente rispetto al folk metal. Potrebbe sembrare un disco ostico ma non lo è, perché imponenti impalcature musicali nascondono al loro interno melodie importanti che vengono palesate in tutta la loro potentissima bellezza.
Un disco che riempe e che fa vedere dove dovremmo volgere il nostro sguardo, sia davanti che dietro di noi.
Potenza, tecnica e grandiosità.

TRACKLIST
1.Spirit Of Kusoto
2.Red Snow
3.Me Or Him
4.Land Of The Fearless Birds
5.The Blood Libel
6.Narčat
7.Virgo Mitt
8.Chokk Kapper (Bonus Track)
9.Narčat (Demo Version, Bonus Track)

LINE-UP
Vladimir Lehtinen
Theodor Borovski
Aleh Zielankievič

SECOND TO SUN – Facebook

Duality – Elektron

Un album riuscito che offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di un gruppo sopra la media

Death metal, jazz e musica classica, uniti ad un buon spirito progressivo: Elektron, primo lavoro di questa band italiana, si può certamente spiegare in così poche parole.

Nati nell’ormai lontano 2002 i Duality arrivano solo ora al primo lavoro sulla lunga distanza: nella loro discografia compaiono solo due mini cd. il primo demo uscito più di dieci anni fa e l’ep Chaos_Introspection, del 2011.
Si sono presi quindi il loro tempo per arrivare al traguardo del full length, ma il risultato non può che essere soddisfacente, sia per la band che per i fans del technical death metal nobilitato da partiture classiche e jazz/fusion.
Il genere, portato all’attenzione degli appassionati di musica estrema da gruppi storici come Cynic e Atheist, per certi versi ormai non sorprende più, ma non è questa la virtù principale di Elektron, che si snoda piacevolmente lungo otto brani dove la furia del death metal incontra e va a braccetto con queste differenti atmosfere, all’apparenza lontane, ma come ben sanno gli amanti di questi suoni, mai così vicini ed in armonia.
Il metal estremo del quale il gruppo fa buon uso si avvicina a soluzioni più moderne e core, la violenza sprigionata e l’ottima produzione risaltano il lavoro delle chitarre e, soprattutto, della sezione ritmica davvero sopra la media, mentre l’appropriato uso del violino e la pregevole tecnica strumentale alzano la qualità generale del disco.
Non manca, a mio parere, come in molte opere di questo tipo, una vena progressive, magari nascosta tra le pieghe delle sfumature jazz/fusion, ma presente ad un ascolto attento, facilitato dal songwriting dal buon livello del gruppo marchigiano.
La sensazione che Elektron lascia è quella di un album che, pur nella sua non facile interpretazione, specialmente per chi non è avvezzo a tali sonorità, tiene molte porte aperte per fare in modo di entrare dentro all’anima del disco senza troppa fatica; la musica scorre come l’acqua cristallina di un ruscello, senza trovare ostacoli, i vari passaggi dalle parti estreme a quelle jazzate sono perfettamente bilanciate, così come l’ottimo growl porta con sé la rabbia estrema mantenendo il mood core.
Un album da ascoltare nella sua interezza, non si riscontrano cedimenti per tutta la sua durata lasciando agli undici minuti della conclusiva Hanged On A Ray Of Light il compito di riassumere il credo musicale del gruppo italiano.
Sicuramente un album riuscito che, anche se non porta grosse novità, offre sicuramente all’ascoltatore la piacevole sensazione di essere al cospetto di una band sopra la media: il futuro ci dirà se, finalmente, i Duality troveranno quella costanza nelle uscite discografiche che diventa basilare per non essere dimenticati in fretta.

TRACKLIST
1. Six Years Locked Clock
2. Azure
3. Chaos_Introspection
4. Along the Crack
5. Motions
6. Plead for Vulnerability
7. Hybrid Regression
8. Hanged on a Ray of Light

LINE-UP
Tiziano Paolini – Bass
Dario Fradeani – Drums
Diego Bellagamba – Guitars
Giuseppe Cardamone – Vocals, Guitars, Violin

DUALITY – Facebook

Solinaris – Deranged

Deranged risulta un album piacevole, specialmente nelle parti dove il metal estremo lascia che le ottime parti progressive prendano il sopravento

Debutto sulla lunga distanza per questa band estrema proveniente dal Quebec, fondata nel 2012 dal cantante e tastierista Eric Labrie e dal chitarrista Bernard Giroux, raggiunti da Jean-Daniel Villeneuve all’altra chitarra, Jonathan Piché al basso e Lucas Biron alle pelli.

Il gruppo nel 2015 finisce di registrare Deranged, uscito solo ora e licenziato sotto l’ala della Cimmerian Shade Recordings.
La proposta dei canadesi è un death metal tecnico e progressivo, dove da copione le sfuriate estreme lasciano spazio a fughe verso lidi jazz, fusion in un altalenante cambio di atmosfere.
Molto importante nel sound le armonie acustiche, punto di forza di Deranged, mentre nelle parti estreme una produzione leggermente deficitaria non valorizza appieno l’enorme mole di lavoro dei Solinaris.
La prima parte del cd sfoga quasi tutta la sua vena estrema, la title track, Torture Chronicles e Blind torturano i padiglioni auricolari con sferzate estreme tecnicissime, stacchi e ripartenze care ai gruppi dediti al genere, mentre il cuore dell’album è lasciato in mano alle atmosfere progressive di Chloroform e Field of Trees, dove la sei corde di Giroux prende in mano il sound e ci conduce in lidi acustici dalle reminiscenze folk.
Si riparte in quarta per un finale in crescendo, gli ultimi tre brani con in testa la conclusiva Red Rain tornano a far male, non rinunciando ad un finale atmosferico.
Deranged risulta un album piacevole, specialmente nelle parti dove il metal estremo lascia che le ottime parti progressive prendano il sopravento, un debutto tutto sommato positivo per i Solinaris.
Se siete amanti del genere e di gruppi come Cynic, Atheist e Pestilence, un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1.Intro
2.Deranged
3.Torture Chronicles
4.Blind
5.Murder
6.Chloroform
7.Field of Trees
8.November
9.Phobopath
10.Red Rain

LINE-UP
Eric Labrie – Vocals and keys
Bernard Giroux – Acoustic guitars and solos
Jean-Daniel Villeneuve – Electric guitars and solos
Jonathan Piché – Fretless bass
Lucas Biron – Drums
Alexandra Lacasse – Saxophone

SOLINARIS – Facebook

Slave One – Disclosed Dioptric Principles

Accompagnato da una splendida copertina, l’album è composto da sette brani posizionati esattamente tra il death metal tecnico degli Obscura ed il suono progressivo degli storici Cynic.

E’ arrivato, anche per i transalpini Slave One il momento di licenziare il debutto sulla lunga distanza.

La death metal band francese, attiva dal 2009, si era fermata ad un demo e al mini cd uscito nel 2012 dal titolo, Cold Obscurantist Light.
Il nuovo lavoro, uscito quindi quattro anni dopo e propostoci dalla Dolorem Records, segna un passo importante per la band, la quale ci investe con il suo death metal tecnico e progressivo, colmo di sfumature jazz/fusion, anche se l’approccio dei nostri rimane alquanto brutale, specialmente nel growl, ed in molte delle ritmiche di cui è composto il sound di Disclosed Dioptric Principles.
Accompagnato da una splendida copertina, l’album è composto da sette brani posizionati esattamente tra il death metal tecnico degli Obscura ed il suono progressivo degli storici Cynic.
La band sa suonare, questo è evidente, e lo dimostra in queste songs dove sfuriate estreme, sfumature orientaleggianti e buoni inserti progressive/fusion alimentano un songwriting vario, dove non mancano le sorprese e le atmosfere oscure tengono la tensione a livelli altissimi.
Il fulcro del lavoro risultano gli undici minuti di Liquid Transcendental Echoes, una suite dove il gruppo sfoggia tutta la sua bravura, anche se qualche passaggio cervellotico di troppo, molto spesso fa perdere all’ascoltatore il filo del discorso musicale elaborato dal gruppo.
Gran lavoro, sotto l’aspetto tecnico di tutti i musicisti, dalla sezione ritmica varia e potente , alle asce che ricamano solos su solos e riffoni pesanti ed oscuri che seguono la lezione dell’angelo morboso, mentre gli inserti orientaleggianti e i cori monastici aggiungono un’aura mistica al concept musicale di Disclosed Dioptric Principles.
L’opera si conclude con i ritmi latini di Degenesis, il brano che più guarda ai maestri Cynic.
Riassumendo, gli Slave One risultano un’ottima band sotto l’aspetto tecnico, l’album piacerà non poco ai fans dei gruppi descritti e a cui il gruppo deve non poco, manca forse un minimo di fluidità in più, a volte le songs danno l’impressione di spezzarsi e ricominciare d’accapo, un dettaglio sicuramente migliorabile, resta comunque in generale una sensazione positiva.

TRACKLIST
1. Deus Otiosus
2. The Antikythera Mechanism
3. Obsidian Protocol Achievement
4. For Shiva Whispered The Universe
5. Aeon Dissonance
6. Liquid Transcendental Echoes
7. Degenesis

LINE-UP
Nicolas P.-Vocals
Benoit-Guitar
Nicolas S.-Guitar
William S.-Guitar
Seb S.-Drums

SALVE ONE – Facebook

Blade of Horus – Monumental Massacre

La durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno sì che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che merita ogni brano

Cultura egizia e sci-fi sono un connubio vincente sia sul grande schermo sia nel mondo delle sette note, infatti sono molte le realtà che attingono al sapiente ed antico popolo del Nilo, il primo a studiare l’immenso mare di stelle sopra la propria testa.

Un concept lirico che viene usato anche nel metal estremo e Monumental Massacre, primo lavoro degli australiani Blade Of Hours, non ne è che l’ultimo esempio.
Il gruppo nato nella terra dei canguri è formato da tre musicisti di provata esperienza nel mondo del metal, come il vocalist Eric Jenkins ex di Torture Inc., Putrefaction, War Faction e Eviscerator, Ivan Ellis e James Buckman, chitarristi provenienti dagli Eviscerator, così da poter considerare i Blade Of Hours una continuazione di quella band attiva dal 2011 al 2015.
L’album, che esce per la Lacerated Enemy Records in questo inizio d’anno, andando ad infoltire le truppe celesti del death metal tecnico e brutale, si apre con un’intro fantascientifica, le astronavi arrivate da galassie lontane si posano sulla sabbia del deserto e ne escono esseri dalle intenzioni bellicose, proprio come la musica del gruppo, che fin dalla titletrack dà avvio al massacro estremo fatto di intricatissimo brutal death.
Grande la prova del trio, tra growl di estrazione brutal e vortici di riff che si incastrano alla perfezione sul tappeto ritmico programmato, con corse a perdifiato sui manici delle asce, cambi di ritmo e solos molto ben congegnati.
Inhumane Experimentations e Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness sono i brani che colpiscono maggiormente, anche se la durata ridotta dell’ep e l’ottimo songwriting fanno si che Monumental Massacre scorra via senza far perdere all’ascoltatore l’attenzione che meritano branidall’elevato spessore tecnico, elargito tra questa tempesta di suoni potentissimi.
Il technical death metal è questo, prendere o lasciare, perciò non aspettatevi particolari novità da questa raccolta di brani, se non un buonissimo lavoro di genere.

TRACKLIST
1. Intro
2. Monumental Massacre
3. Succumb to the Overwhelming Stench of Necrophagia
4. Inhumane Experimentations
5. Death of a Spartan King
6. Descent into the Cosmic Realm of Everlasting Madness
7. Return of the Dark Gods

LINE-UP
James Buckman – Guitars
Ivan Ellis Guitars – Drum programming
Eric Jenkins Vocals – Lyrics

BLADE OF HORUS – Facebook

Cult of Lilith – Arkanum

I musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi così da rendere facile assimilare il loro violento death metal tecnico.

Islanda e Italia, mai così vicine se si parla di questa nuova band, con base sull’isola più a nord d’Europa, una piccola terra in mezzo al freddo mare del nord, ma molto attiva in ambito musicale, specialmente quando volgiamo lo sguardo e l’udito ai suoni metallici.

Infatti il gruppo di Reykjavík, attivo da appena un anno, è di fatto un duo, con Daniel Thor Hannesson (chitarra) e Jon Haukur Petursson (voce), aiutati dal batterista nostrano Alessandro Vagnoni, in forza ai Dark Lunacy, e Manuele Pesaresi, a cui è stato affidato il mixaggio del disco ai Dyne Engine Studio.
Pur essendo alla prima esperienza i musicisti islandesi mettono sul piatto una buonissima tecnica, al servizio di cinque brani che, nelle loro vorticose scale, risultano fluidi, così da non rendere faticosa l’assimilazione del loro violento death metal tecnico.
Gran lavoro del nostro Vagnoni, valore aggiunto alle pelli, ed ottima la produzione, abbastanza cristallina per far risaltare il sound proposto, un death metal che abbonda di groove, violento, ipertecnico e dall’ottimo impatto.
Growl vario, ritmiche serrate e funamboliche, sfumature tastieristiche perfettamente incastonate in un sound che prende per mano l’attitudine old school e l’accompagna verso l’inizio di una storia musicale che promette scintille estreme.
Le tracce hanno una durata medio corta, non stancando nel loro svolgimento, tutte con un’anima diversa abbastanza per renderle riconoscibili dopo pochi ascolti, ora tempestate dal veloce vento del nord, ora pesanti come macigni dove la sei corde impazza con solos intricati, ma dal buon appeal.
Con influenze che stanno tutte nella storia del genere (Spawn Of Possession, Death), Arkanum è una buona partenza per i Cult Of Lilith: un prodotto altamente professionale, ma per le band che arrivano da quei paesi non è certo una novità.

TRACKLIST
1. Abaddon
2. Tomb of Sa’ir
3. Arkanum
4. Detested Empress
5. Night Hag

LINE-UP
Daniel Thor Hannesson – Guitars
Jon Haukur Petursson – Vocals

Alessandro Vagnoni – Drums

CULT OF LILITH – Facebook

Seriously Mentally Damaged – Enlightened By Obscurity Ep

I Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perchè hanno orizzonti metal molto vasti.

Dei ragazzi seppur non professionisti possono fare ottime cose, e i genovesi Seriously Mentally Damaged ne sono la dimostrazione.

Ciò che colpisce di più ascoltando questo ep è la rabbia pura, l’incazzatura distillata in note precise, violente ed incombenti, che sono metal ma ne vengono dalle calche umane dell’hardcore. Loro fanno un death molto tecnico, che cangia a seconda del momento, ora death, ora quasi vicino al nu metal in certi momenti, soprattutto per il cantato, arrivando a lambire territori post metal, anche se per una breve durata.
Questo è il loro terzo ep e sono uno dei più gruppi più interessanti che abbia ascoltato ultimamente. La doppia voce mi fa ricordare, anche per la rabbia espressa, un gruppo che era meno metal ma molto simile, i Raging Speedhorn che tante gioie mi hanno regalato, ma i Seriously Mentally Damaged possono andare oltre, perché hanno orizzonti metal molto vasti. Rabbia, velocità, precisione aumentati dall’ottima produzione di Fabio Palombi al Blackwave Studio.
Devastazione sonica ed è subito amore.

TRACKLIST
1. Kill The King
2.The Plague of Unreason
3.Strength To Fight Back

LINE-UP
Betsy – Vocals
Bory – Guitar, Bass and Drum Programming
Bruce – Vocals
Ste – Vocal

SERIOUSLY MENTALLY DAMAGED – Facebook