Probabilmente in Azerbaigian il cognome Guliyev ben si associa ad un’idea di velocità: il formidabile Ramil (che oggi batte però bandiera turca per motivi prettamente economici) è campione europeo e mondiale in carica dei 200 metri, mentre il qui presente Emin, pur non dedicandosi all’atletica leggera, dimostra una rapidità compositiva da sprinter di razza.
Il musicista azero, dall’avvio della sua avventura solista denominata Violet Cold avvenuta nel 2013, ha infatti pubblicato infatti oltre quaranta lavori tra singoli, ep e album su lunga distanza (in tal senso Kosmik è l’ottavo), senza contare che mentre scriviamo è già uscito un nuovo ep.
Se come sempre resta qualche dubbio sulla capacità di questi stakanovisti delle sette note nel focalizzarsi su ogni singola uscita, in modo da non disperdere il talento che madre natura ha messo loro a disposizione, va anche detto che tale modus operandi appare leggermente meno penalizzante allorché il genere offerto è, come in questo caso, un post black dalle ampie aperture melodiche derivanti da una forte componente post rock e shoegaze.
Kosmik si rivela così una buona esibizione in questo specifico ambito musicale e, se vogliamo, il suo problema principale è proprio quello d’essere un po’ dispersivo, nel senso che si fatica ad individuare un nucleo centrale in grado di fungere da elemento compattatore per i diversi ingredienti musicali messi sul piatto.
Emin possiede un giusto melodico tutt’altro che banale e questo consente alla maggior parte delle sue composizioni di esibire quei passaggi in grado di catturare l’attenzione dell’ascoltatore, ma purtroppo viene più di una volta diluito rischiando di finire compresso tra pulsioni etniche (Contact e Black Sun) e classiche (Ai(R), omaggio a J.S. Bach) condensando il meglio nelle quattro tracce centrali in cui l’anima black si sposa più efficacemente con le aperture atmosferiche, con menzione d’onore proprio per la bellissima title track.
Kosmik è un disco che in qualche modo fa arrabbiare, perché si percepisce chiaramente che con una minore frenesia compositiva, una maggiore cura a livello di produzione e nell’uso della voce e, in definitiva, recuperando quel dono della sintesi di cui sono carenti per definizione i musicisti iperproduttivi, il nome Violet Cold avrebbe tutti i numeri per attrarre, indipendentemente dalla sua provenienza esotica.
Finora così non è, per cui non ci resta che apprezzare quanto di buono ci propone il buon Emin Guliyev, con il rammarico e la consapevolezza che il tutto potrebbe essere di levatura ben superiore.
Tracklist:
1. Contact
2. Black Sun
3. Mamihlapinatapai
4. Space Funeral
5. Ultraviolet
6. Kosmik
7. Ai(R)
Line-up:
Emin Guliyev – Everything