Zom – Nebulos

Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Gli Zom sono una macchina di riff chitarristici potenti e contenenti un elevato tasso di groove dal gusto forte.

I tre americani provenienti da Pittsburgh non sono certamente un gruppo giovanile e lo si sente molto forte nel disco, hanno una grande esperienza e la usano tutta ed in maniera adeguata. In buona sostanza siamo dalle parti dello stoner fortemente imparentato con il grunge, e non tutti sanno fare questo ibrido, che è tale solo a parole, perché poi viene tutto molto naturale, siamo noi che dobbiamo sempre delimitare il territorio. Il trio è composto da Gero Von Dehn, anche nei Monolith Wielder, gruppo che abbiamo già potuto apprezzare sempre su Argonauta Records, Andrew D’Cagna dei Brimstone Coven e da Ben Zerbe, anche lui gravitante intorno ai Monolith Wielder. Gli Zom sono attivi dal 2014, questo è il loro debutto e sono molto chiari su cosa vogliono essere. Il loro suono è composto da un’importante base chitarristica, con la voce che va ad incastonarsi perfettamente con il lavoro del resto del gruppo, creando un groove molto coinvolgente, che seppur non rappresentando nulla di nuovo riesce ad essere molto incisivo e godibile. Nebulos si rivolge ad una platea ampia di amanti della musica pesante ma non solo, perché anche la componente grunge è ben presente e forma il dna di questo disco. Tutto il disco è pervaso da una consapevole malinconia di fondo, messa mirabilmente in musica e ogni passaggio ha un filo logico. Nebulos è un disco di incontro e di sintesi di diverse maniere di intendere la musica pesante e non solo, ed è un tentativo molto riuscito.

Tracklist
1. Nebulos/Alien
2. Burning
3. Gifters
4. Solitary
5. The Greedy Few
6. There’s Only Me
7. Bird On a Wire
8. Final Breath
9. New Trip

Line-up
Gero von Dehn
Andrew D’Cagna
Ben Zerbe

ZOM – Facebook

Steelpreacher – Drinking With The Devil

Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata.

Dopo lo split con i Dragonsfire e l’uscita del full length Devilution, gli Steelpreacher ritornano sul mercato con il loro lavoro migliore, Drinking With The Devil, licenziato originariamente nel 2008.

Il trio di sfrontati rockers tedeschi è attivo dai primi anni del nuovo millennio, nella loro discografia si contano cinque lavori sulla lunga distanza di cui Drinking With The Devil è il terzo della lista.
La band suona una divertente rivisitazione dell’hard & heavy tradizionale, tra citazioni famose e tanto rock’n’roll, quindi se siete amanti del genere, motociclisti in febbre da raduno o avventori di locali in strade deserte, con tanto di palco dove i gruppi intrattengono gli ospiti dietro a grate che le proteggono dalla pioggia di bottiglie di birra svuotate, gli Steelpreacher sono sicuramente la band che fa per voi.
Riff di potentissimo hard rock, solos heavy, note di blues marcito in fumose cantine ed atmosfere inorgoglite da un approccio old school, sono virtù che ogni rocker dal capello grigio non può non annoverare tra quelle principali di un buon album e Drinking With The Devil da questo lato non sbaglia un colpo.
Ac/Dc (all’irresistibile D.O.A. manca solo la voce del compianto Bon Scott), Motorhead, Saxon, Wasp ed ovviamente gli Accept sono le band da cui gli Steelpreacher hanno pescato per formare il loro sound, che risulta un tributo ai gruppi citati, ma che funziona e come detto diverte non poco.
Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata: gli Steelpreacher ringraziano.

Tracklist
1.Slave to the Cross
2.Hammered and Down
3.Blame It on Booze
4….of War and Vengeance
5.D.O.A.
6.Strung Out
7.Hooked on Metal
8.No One Knows…
9.Hell Bent for Beer
10.Drinking with the Devil

Line-up
Jens “Preacher” Hübinger – lead vocals, guitars
Andy “Mu” Hübinger – bass, lead and backing vocals
Hendrik “Beerkiller” Weber – drums, backing vocals

STEEPREACHER – Facebook

Manach Seherath – Timeless Tales

Esordio sulla lunga distanza per i napoletani Manach Seherath: Timeless Tales risulta un ottimo esempio di metallo epico e tastieristico, ispirato dalle opere dei Virgin Steele.

Dei Manach Seherath vi avevamo parlato tra le pagine metal di In Your Eyes ben tre anni fa, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo composto da tre brani, tutti riproposti in questo esordio sulla lunga distanza.

Il gruppo attivo dal 2012 per volere del cantante Mich Crown, arriva finalmente alla pubblicazione di questo intenso lavoro, un notevole esempio di heavy metal melodico ed epicheggiante, strutturato sul gran lavoro delle tastiere e dall’impatto che trova la sua natura nella scuola ottantiana, anche se i suoni e gli arrangiamenti sono assolutamente al passo coi tempi.
La maggiore fonte di ispirazione per la band partenopea sono a mio parere i Virgin Steele: la band di David DeFeis aleggia sulla composizione dei nuovi brani, che si allontanano dalle atmosfere dark che erano rinvenibile nel vecchio demo, per abbracciare il sound dello storico gruppo epic metal statunitense.
Le tracce che compongono la parte inedita dell’album includono una vena epico declamatoria stimolante, con melodie che valorizzano il mood metallico dall’anima epica, mentre i duelli tra tastiere e chitarre sono supportati da una sezione ritmica presente e rocciosa.
The Waters Of Acheron ha un compito introduttivo, mentre si entra nel vivo con The Cursed Collector e la splendida Sword In The Mist, che accelera i ritmi e ci consegna il primo chorus epico.
Chasing The Beast ha nei refrain melodici il suo punto di forza, mentre Asleep: the Legend of a Heart pt.1 è sinfonica quel tanto che basta per farne un brano perfettamente bilanciato tra suoni tradizionali e moderno metal sinfonico.
I tre brani già editi sul primo demo portano alla conclusione questo ottimo lavoro, grazie al quale i Manach Seherath si confermano gruppo da seguire con attenzione e consigliato agli amanti del metal melodico ed epico.

Tracklist
1 – The Waters of Acheron
2 – The Cursed Collector
3 – Swords in the Mist
4 – Chasing the Beast
5 – Asleep: the Legend of a Heart pt.1
6 – Restless: the Legend of a Heart pt.2
7 – Arti Manthano: a Timeless Trilogy pt.1
8 – Timeless: a Timeless Trilogy pt.2
9 – All in All: a Timeless Trilogy pt.3

Line-up
Mich Crown – Vocals
Cyrion Faith – Keyboards
Gianluca Gagliardi – Guitars
Lukas Blacksmith – Bass
Carlo Chiappella – Drums

MANACH SEHERATH – Facebook

INTER ARMA

Il video di “An Archer in the Emptiness”.

Il video di “An Archer in the Emptiness”.

Richmond’s INTER ARMA share the live video for “An Archer in the Emptiness” on a new episode of Overcoast Music’s Sessions series. Filmed and recorded live on-location inside Richmond’s beautifully haunting Byrd Park Pumphouse, the performance serves a powerful testament to the city’s creative, innovative, and artistic heartbeat as well as its connection with a deep and rich cultural history. The episode of Overcoast Sessions is in support of the Virginia Tourism Corporation’s “Virginia Is For Lovers” campaign.

Watch the full live video for “An Archer in the Emptiness” on Overcoast Music’s YouTube channel AT THIS LOCATION.

A full collection of INTER ARMA videos and live performances is available via YouTube HERE.

Paradise Gallows is out now on CD/2xLP/Digital via Relapse Records. Physical orders, including limited vinyl colors and bundles, are available via Relapse.com at this location, and digital orders can be found at Bandcamp HERE. Watch their music video for “Summer Drones” HERE.

INTER ARMA are:
T.J. Childers – Drums, guitars, lap steel, keyboards, synthesizers, noise, vocals
Trey Dalton – Guitars, keyboards, vocals
Joe Kerkes – Bass
Mike Paparo – Vocals
Steven Russell – Guitars

Pissboiler – In The Lair Of Lucid Nightmares

I Pissboiler possiedono un’indole irrequieta che li porta ad esplorare territori contigui al funeral con grande proprietà e fluidità.

Gli svedesi Pissboiler sono un’altra delle interessanti novità portati alla luce dalla Third I Rex.

Il trio scandinavo esordisce su lunga distanza con questi In The Lair Of Lucid Nightmares, lavoro la cui base di partenza è un funeral doom che viene ampiamente contaminato da una componente sludge, oltre che da pulsioni droniche che trovano eccellente sfogo nell’ultima traccia.
L’interpretazione dei Pissboiler  è comunque abbastanza ortodossa nell’opener Ruins of the Past, dove il sound si trascina con tutto il suo penoso carico di dolore , senza far venire meno la caratteristica principale del genere che è la reiterazione di accordi dolentemente melodici.
Questi svedesi, però, possiedono un’indole irrequieta che li porta ad esplorare territori contigui al funeral con grande proprietà e fluidità, e il tutto viene evidenziato nei disturbati dieci minuti di Pretend It Will End, nel corso dei quali i suoni si fanno più aspri ma senza che scemi l’atmosfera ottundente che avvolge l’intero lavoro.
La lunga traccia finale Cutters, come detto, è un delirio drone rumoristico che attrae e respinge allo stesso tempo, un aspetto che diviene tratto comune quando la componente claustrofobica finisce per soffocare gli sporadici spunti melodici.
Ma questo è un modo di intendere la materia funeral che non fa sconti, andando a scavare nelle carni esacerbando il dolore invece che lenirlo: i Pissboiler con In The Lair Of Lucid Nightmares dimostrano che non c’è un modo giusto od uno sbagliato di approcciare il genere, perché a fare la differenza è sempre il filo sottile, eppure ugualmente solido come quelli tessuti da un ragno, che riesce indissolubilmente a unire il sentire dei musicisti con quello degli ascoltatori.

Tracklist:
1. Ruins of the Past
2. Stealth
3. Pretend It Will End
4. Cutters
Line-up:
Pontus Ottosson – Guitars
Karl Jonas Wijk – Drums, Guitars
LG – Vocals (lead), Bass

PISSBOILER – Facebook

Greyfell – Horsepower

Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e synth.

Un’avanguardia, per sua definizione, è un qualcosa che va avanti, marca il sentiero per chi da dietro la vuol seguire, fa nascere cose che ancora non c’erano.

I francesi Greyfell fanno questo e tanto altro, con un suono composto da elementi conosciuti ed usati ma totalmente rielaborati in una sintesi davvero molto efficace. Prendete per quanto riguarda le chitarre un suono ribassato ma non lentissimo, uno sludge doom tanto per intenderci, aggiungete un cantato molto alla Pentagram a volte basso a volte possente, un basso sgusciante, una batteria psichedelica e tastiere che permeano l’atmosfera che vi circonda, e sarete forse arrivati ad un decimo del suono di questi francesi. Il loro particolare impasto sonoro è una psichedelia profondamente altra, dove tutto non è ciò che sembra, e lo scenario muta in continuazione. Certamente vi sono elementi riconoscibili e tutto l’impianto non è totalmente inedito, ma è il tocco dei Greyfell che lo rende una cavalcata davvero senza freni in mezzo agli dei serpenti generati dal grembo di funghi allucinogeni. Non è tanto la potenza, che è tanta, ma è la saturazione mentale che generano nell’ascoltatore, i Greyfell ti catturano la mente e ti fanno volare lontano, ti scagliano per spiegarla meglio. Il disco che esce per Argonauta Records è totalmente fato in autonomia, e il suono è costruito molto bene, in maniera molto chiara e sequenziale come fosse un film. Qui si degustano i fiori del male, come diceva un connazionale dei Greyfell, e il tutto è pervaso da un dolce incantesimo malvagio, che vive di groove pesante e voli nelle varie sfere grazie alle tastiere e ai synth, aggiunti in questo disco, una scelta che ha pagato moltissimo. Molto intenso, molto etereo, una prova di vera avanguardia.

Tracklist
1. The People’s Temple
2. Horses
3. No Love
4. Spirit of the Bear
5. King of Xenophobia

Line-up
Boubakar – Bass
Thierry – Drums
Clément – Guitars
Hugo – Vocals

GREYFELL – Facebook

Loch Vostok – Strife

Non credo che con questo settimo album i Loch Vostok troveranno il successo, ma sicuramente vanno tenuti in considerazione per la buona qualità dei loro lavori ed un pizzico di originalità che nel genere certo non guasta.

Poco conosciuti dalle nostre parti, tornano i death metallers svedesi Lock Vostok con il settimo lavoro della loro già lunga carriera.

Una band dal sound che per molti non sarà né carne né pesce, ma se avete buone orecchie per sentire vi troverete al cospetto di una band di death metal melodico, dal taglio progressivo e moderno alternato a rabbiose e devastanti parti più classicamente estreme.
Nato all’alba del nuovo millennio il quintetto di Uppsala, capitanato dal cantante e chitarrista Teddy Möller, ha attraversato questi primi anni del nuovo secolo creando musica estrema di buon livello con album che, senza essere, dei capolavori hanno sempre mantenuto una buona qualità.
Anche questo nuovo Strife viaggia sui binari di un sound che unisce in modo sagace le atmosfere descritte in precedenza, mantenendo un impatto estremo ed un appeal melodico sufficiente a non perdersi all’interno del platter, arrivando tranquillamente alla fine tra ritmiche core che si alternano a veloci ripartenze, solos di estrazione classica, atmosfere progressive e metallo dal piglio doom che affiora tra i brani più oscuri.
Ottimo l’uso delle voci: come ormai di prassi in questi generi si alternano growl, scream rabbiosi e clean vocals molto belle a seconda del mood dei brani in continuo sviluppo così da non dare (come la musica) sicuri punti di riferimento.
Non ci si annoia tra le note di Strife, i Loch Vostok sono aperti ad ogni ispirazione, mantenendo un’attitudine estrema che risulta l’arma vincente delle ottime Summer, Yurei, Ventilate e Consumer.
A tratti la band sembra ispirata da una versione melodic death dei Nevermore, ma sono attimi di un songwriting vario ed interessante.
Non credo che con questo settimo album i Loch Vostok troveranno il successo, ma sicuramente vanno tenuti in considerazione per la buona qualità dei loro lavori ed un pizzico di originalità che nel genere certo non guasta.

Tracklist
1. Babylonian Groove
2. Summer
3. The Apologists Are The Enablers
4. Cadence
5. Forever
6. Yurei
7. Purpose
8. Ventilate
9. Consumer
10. Expiry Date Of The Soul Of Man

Line-up
Teddy Möller – Lead vocals, guitars
Jimmy Mattson – Bass, vocals
Niklas Kupper – Guitars, vocals
Fredrik Klingwall – Keyboards
Lawrence Dinamarca – Drums

LOCH VOSTOK – Facebook

Sufffer In Paradise – Ephemere

I Suffer In Paradise tornano dopo circa un anno e mezzo con un nuovo lavoro che conferma ampiamente ciò che era già più di una sensazione, ovvero quella di trovarci al cospetto di una band in grado di fornire un’interpretazione superlativa del funeral doom melodico.

Dopo il bellissimo esordio su lunga distanza This Dead Is World, risalente al 2016, che riprendeva in parte il materiale edito nel demo uscito all’inizio di questo decennio, i Suffer In Paradise tornano dopo circa un anno e mezzo con un nuovo lavoro che conferma ampiamente ciò che era già più di una sensazione, ovvero quella di trovarci al cospetto di una band in grado di fornire un’interpretazione superlativa del funeral doom melodico.

Come era prevedibile, anche per l’appartenenza ad un filone musicale nel quale non si è molto inclini a soverchie variazioni sul tema (e per chi lo ama questo è pregio e non difetto), il trio russo si stabilizza sulle coordinate del precedente lavoro, prendendo quali riferimenti maestri del genere quali Ea, Skepticism e Profetus e per restare in area ex sovietica, anche i mai abbastanza rimpianti Comatose Vigil.
Ephemere si rivela così un album di rara bellezza e profondità, con i ragazzi di Voroneh che si dimostrano in grado di imprimere ad ognuna delle sei lunghe tracce (più outro) quel dolente afflato melodico che eleva il funeral a forma d’arte musicale suprema: se la title track, posta in apertura, rappresenta l’ideale manifesto musicale dei Suffer In Paradise, è affidato alla successiva My Pillory il compito di scaraventare l’ascoltatore in quegli abissi di disperazione propedeutici ad una catartica risalita.
The Swan Song of Hope inizia portando con sé il marchio dei migliori Worship, con il valore aggiunto di arrangiamenti tastieristici che sono il tratto comune fondamentale dell’intero lavoro e che, nello specifico, rende questo brano qualcosa di una bellezza a tratti insostenibile; con The Wheels of Fate il sound si inasprisce nella parte finale mentre The Bone Garden e Call Me to the Dark Side riconducono il tutto ad un piano di funesta accettazione di un dolore che, seppur latente, è compagno fedele dell’esistenza di ciascuno.
Posso solo aggiungere che, a fini statistici, è un peccato che nel suo lungo peregrinare attraverso l’Europa il cd inviato dalla Endless Winter sia arrivato solo poco prima della fine dell’anno, perché Ephemere avrebbe meritato l’inserimento nella lista delle miglior uscite del 2017, con menzione quale opera di punta del settore funeral, ma in fondo chi se ne importa: quello che importa è l’aver ricevuto la conferma che i Suffer In Paradise hanno tutti i crismi per raccogliere l’eredità dei Comatose Vigil e degli Abstract Spirit (sperando sempre che entrambe le band si rifacciano vive, prima o poi), perpetuando la tradizione di recente consolidamento del funeral doom russo.

Tracklist:
1. Ephemere
2. My Pillory
3. The Swan Song of Hope
4. The Wheels of Fate
5. The Bone Garden
6. Call Me to the Dark Side
7. Outro

Line-up:
A.V. – Guitars, Vocals
Defes Akron – Keyboards, Drum programming
R. Pickman – Bass

Rotting Kingdom – Rotting Kingdom

Licenziato dall’attivissima Godz Ov War, questo ottimo mini cd è composto da tre brani medio lunghi che formano una lunga litania oscura di death metal old school.

Tre brani bastano ai Rotting Kingdom per presentarsi al meglio sulla scena doom/death mondiale con il loro ep di debutto omonimo.

Licenziato dall’attivissima Godz Ov War, questo ottimo mini cd è composto da tre brani medio lunghi che formano una lunga litania oscura di death metal old school, ricco delle atmosfere dark e malinconiche che hanno fatto la fortuna dei My Dying Bride, probabilmente il gruppo che più ha ispirato la musica del combo statunitense.
Vario e colmo di riferimenti ai primi passi delle storiche band del genere, i Rotting Kingdom non dimenticano che il doom ha una sua origine classica, e Pentagram e Solitude Aeturnus si mescolano alle trame estreme e romantiche della sposa morente e dei primi Paradise Lost come si evince dalla seconda traccia, The Castle Of Decay, brano incentrato su passaggi più tradizionali rispetto alle atmosfere dark e decadenti dell’iniziale Adrift In A Sea Of Souls.
Il riff ripetuto che annuncia la conclusiva Demons In Stained Glass porta venti di morte sul sound del gruppo e si intensificano le ritmiche per quella che è la traccia più death metal del lotto.
Ovviamente nei suoi dieci minuti di durata i rallentamenti non mancano, con richiami agli olandesi Asphyx (maestri in queste sonorità), ed un finale che sfuma lento e inesorabile, creando un’atmosfera di paziente attesa per un prossimo full length assolutamente da non perdere.
Votata alla parte più atmosferica del death metal, la band americana, formata alla scuola europea, è una delle migliori novità del genere di questo inizio anno: per gli amanti di queste sonorità un album da non perdere.

Tracklist
1.Adrift In A Sea Of Souls
2.Castle Of Decay
3. Demons In Stained Glass

Line-up
Anton Escobar – Vocals
Kyle Keener – Guitar
Chuck Mcintyre – Bass
Clay Rice – Guitar
Brandon Glancy – Drums

ROTTING KINGDOM – Facebook

Into Coffin – The Majestic Supremacy Of Cosmic Chaos

Gli Into Coffin con questo album si elevano al livello dei più funesti cantori dei peggiori incubi dell’uomo.

Credo che una delle ipotesi più terrorizzanti per ogni essere umano sia l’eventualità di risvegliarsi all’interno di una bara collocata circa sei piedi sottoterra …

E’ normale, quindi, che una band denominata Into Coffin sia autrice di un sound annichilente, capace di rendere tangibile il senso di soffocamento e la disperata alternanza tra il parossismo ed il deliquio che precede una morte vera e mai cosi invocata.
Questi tre figuri provenienti da Marburg mettono in scena due lunghi brani per una mezz’ora scarsa di death/black doom asfissiante, spaventoso nel suo monolitico incedere: un qualcosa che davvero riesce a scuotere anche la coscienza più assopita, attirandola in un vortice di alienazione al quale non è possibile sottrarsi.
I rallentamenti morbosi sono propedeutici ad un crescendo inarrestabile, una colata di lava che pare risalire le pendici vulcaniche, partendo da uno stato semisolido per divenire incandescente e ridurre in cenere tutto ciò che incontra sul suo passaggio
The Majestic Supremacy Of Cosmic Chaos è un epche possiede quel quid in più rispetto ad offerte di simile tenore: devo ammettere che questa forma di doom, per quanto apprezzabile, l’ho sempre ritenuta alla lunga piuttosto prevedibile in virtù della totale assenza di sbocchi o aperture atmosferiche, ma gli Into Coffin vanno al di là di ogni tipo di considerazione di genere, perché l’intensità che viene espressa in ogni attimo del lavoro è a dir poco sorprendente, e probabilmente ineguagliabile in un’offerta di questo tipo.
In sede di presentazione il trio tedesco viene associato ad una band seminale come gli Winter ma, a mio avviso, il loro valore va ben oltre, e sono certo di non esagerare.
Gli Into Coffin con questo album si elevano al livello dei più funesti cantori dei peggiori incubi dell’uomo e a questo punto, per completare il luttuoso cammino, conviene fare un passo indietro andando a recuperare il full length del 2016 intitolato Into a Pyramid of Doom, uscito sempre per Terror Of Hell Records.

Tracklist:
1. Crawling In Chao
2. The Evanescence Creature From Nebula’s Dust

Line-up:
G. – Bass & Vocals
J. – Drums
S. – Guitars & Vocals

INTO COFFIN – Facebook

Monolithe – Nebula Septem

Ancora una volta i Monolithe fanno centro, dimostrando che si può conservare la propria identità anche apportando diverse variazioni al tema portante, che resta pur sempre l’ideale accompagnamento sonoro dei viaggi intrapresi dalla nostra immaginazione al di là del tempo e dello spazio.

Sono passati quindici anni da quando i Monolithe pubblicarono il proprio album  d’esordio.

Ci volle relativamente poco perché la band francese, guidata da Sylvain Bégot, si ritagliasse un suo status di culto presso gli estimatori del funeral doom, soprattutto perché a livello concettuale, invece di ripiegarsi sulle sventure terrene, tentava di elevarsi verso un sentire cosmico con risultati ugualmente angoscianti, a ben vedere.
Ogg, ad accompagnare il leader, tra i membri originari è rimasto solo l’altro chitarrista Benoît Blin, visto che per la prima volta i Monolithe non si avvalgono della voce di Richard Loudin, cosicché in Nebula Septem le parti vocali sono state registrate da Sebastien Pierre (Enshine, Cold Insight), mentre in sede live il ruolo verrà assunto dal terzo chitarrista Remi Brochard.
Come si può intuire dal titolo siamo arrivati alla settima puntata su lunga distanza per la band transalpina (alla cui discografia vanno aggiunti anche i due Interlude, importanti Ep usciti tra Monolithe II e Monolithe III) e tale numero ricorre in maniera puntuale sia nel numero dei brani che nella loro durata, ma al di là di questi aspetti, è confortante constatare come la cadenza di uscite ormai annuale non abbia per nulla scalfito la qualità degli album.
Nebula Septem per certi versi sorprende, perché se in Epsilon Aurigae certe aperture progressive potevano far presagire un ulteriore incremento della componente melodica, il suono al contrario pare addirittura inasprirsi, senza che venga comunque mai meno la propensione atmosferica e l’afflato cosmico che è tratto distintivo dei Monolithe.
Se IV resta, anche a detta dello stesso Bégot nel corso dell’interessante documentario Innersight, l’album più riuscito nella discografia dei nostri, qui andiamo molto vicini al raggiungimento di quel livello, sebbene sia da mettere subito in chiaro che, per un’assimilazione soddisfacente, sono necessari diversi ascolti, in modo da riuscire a cogliere ogni volta sfumature diverse pur se racchiuse in un “monolite” sonoro molto compatto, eretto dalle tre chitarre e sostenute da un eccellente lavoro tastierisco, dal growl magnifico di Pierre e da una base ritmica molto più attiva e in evidenza rispetto alle abitudini del genere.
Del resto la collocazione dei Monolithe nell’ambito del funeral doom appare più una convenzione che non una reale fotografia delle loro attuali sonorità, definibili più correttamente come un metal estremo cosmico e avanguardista, non troppo distante per approccio neppure da certe forme di black/space atmosferico.
Nebula Septem, per come è strutturato, va assorbito nella sua interezza, perché parlare dei singoli brani sarebbe abbastanza inutile: basti sapere comunque che almeno i primi ventotto minuti sono superlativi (dovendo scegliere mi prendo l’accoppiata Burst in the Event Horizon / Coil Shaped Volutions), mentre l’incipit da videogame di Engineering the Rip potrebbe risultare spiazzante per cui è bene dire che il tutto dura ben poco, prima che la galassia musicale denominata Monolithe ricominci ad abbattersi come di consueto sull’ascolatore, fino a chiudere i giochi con lo strumentale Gravity Flood, spruzzato di elettronica all’avvio e poi melodico e dolente come da copione doom.
Ancora una volta i Monolithe fanno centro, dimostrando che si può conservare la propria identità anche apportando diverse variazioni al tema portante, che resta pur sempre l’ideale accompagnamento sonoro dei viaggi intrapresi dalla nostra immaginazione al di là del tempo e dello spazio.

Tracklist:
1. Anechoic Aberration
2. Burst in the Event Horizon
3. Coil Shaped Volutions
4. Delta Scuti
5. Engineering the Rip
6. Fathom the Deep
7. Gravity Flood

Line-up
Benoît Blin – Guitars
Sylvain Bégot – Guitars, Keyboards, Programming
Olivier Defives – Bass
Thibault Faucher – Drums
Rémi Brochard – Guitars, Vocals
Matthieu Marchand – Keyboards

Sebastien Pierre – Vocals

MONOLITHE – Facebook

Lady Beast – Vicious Breed

L’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Heavy metal is the law … da Pittsburgh, Pennsylvania, alla conquista dei cuori metallici di tutto il mondo i Lady Beast con Vicious Breed ci regalano mezzora di metallo classico duro come la roccia che si trova sul monte dove i fabbri forgiano le spade per gli dei del metallo pesante.

Capitanati dalla vocalist Deborah Levine, classica singer d’acciaio come le eroine degli anni ottanta e lontana dagli stereotipi delle vocalist odierne, più modelle che vere streghe metalliche, i Lady Beast arrivano con Vicious Breed al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe due album omonimi ed un ep.
Heavy metal che più classico non si può, tra crescendo maideniani, riff taglienti alla Judas Priest e mid tempo pesanti come gli spadoni tenuti dalle braccia di muscolosi semidei, guerrieri dell’eterna lotta tra il bene e il male, combattuta in un mondo parallelo dove l’unica colonna sonora possibile alle vicende narrate sono i Saxon di Strong Arm Of The Law, gli Iron Maiden di Killer ed i Judas Priest di British Steel.
Ho detto tutto, il sound di Vicious Breed è quanto di più scontato troverete in giro per l’underground metallico, il problema che di questa musica non ci si stanca mai, la band tiene il passo con una raccolta di buoni brani e la voglia di rispolverare il giubbotto di pelle con le toppe d’ordinanza è forte, dopo appena due o tre brani.
D’altronde lo scopo dei Lady Beast è quello di suonare heavy metal nel modo più puro possibile e ci riesce bene grazie ad un’ottimo rifferama che fa di alcuni brani delle piccole gemme di musica dura come The Way, Get Out e la potentissima title track.
Un album che diverte ed incatena allo stereo dall’inizio alla fine: l’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Tracklist
1. Seal The Hex
2. The Way
3. Lone Hunter
4. Always With Me
5. Get Out
6. Every Giant Shall Fall
7. Sky Graves
8. Vicious Breed

Line-up
Deborah Levine – Vocals
Andy Ramage – Guitars
Chris Tritschler – Guitars
Greg Colaizzi – Bass
Adam Ramage – Drums

LADY BEAST – Facebook

Ilienses Tree – Edda

Una band del genere è assolutamente pronta a giocarsi la carta del full length, lo dicono la qualità della musica creata e la cura nei dettagli che emergono all’ascolto di Edda.

Gli Ilienses inaugurano con l’ep Edda la collaborazione con la Maculata Anima Rec.

La band sarda offre un metal che ha nei passaggi doom/death il proprio punto di forza, e l’orgoglio di appartenere ad una terra leggendaria si rispecchia in un sound estremo ma fortemente epico: queste sono le caratteristiche che rendono peculiare il sound degli Ilienses Tree, i quali come valori aggiunti immettono un ottimo songwriting ed un guerresco approccio alla materia estrema, che divengono poi i tramiti per un elegante viaggio lungo la storia secolare dell’isola.
Edda è un’opera interessante e ricca di sonorità che passano dal doom/death classico al death/black, e resta incollata perfettamente al padiglione uditivo grazie a tremende sfuriate estreme, in un mastodontico marciare tra mid tempo nei quali l’epicità dilaga, con non pochi riferimenti ad alcune leggende del panorama death/doom metal: ritroviamo così i primi Anathema e Paradise Lost arricchiti da una solennità che ricorda i Primordial, e Candlemass /Penance nelle jam di doom metal classico.
Tutto ciò rende tutti i brani che compongono Edda dei potenziali classici all’interno dei quali le citazioni esaltano l’atmosfera di brani epici ed oscuri come Ragnarok o Agony, cuore nero e pulsante sangue di questo album.
Una band del genere è assolutamente pronta a giocarsi la carta del full length, lo dicono la qualità della musica creata e la cura nei dettagli che emergono all’ascolto di Edda.

Tracklist
1.Edda
2.The Birth
3.Ragnarok
4.Agony
5.Dark Age

Line-up
Maurizio Meloni – Vocals
Claudio Kalb – Bass
Simone Milia – Guitar
Francesco Carboni – Guitar
Giammarco Vacca – Drums

ILIENSES TREE – Facebook

AERODYNE

Il lyric video di “We All Live A Lie”, dall’album “Breaking Free”(Street Symphonies Records & Burning Minds Music Group).

Il lyric video di “We All Live A Lie”, dall’album “Breaking Free”(Street Symphonies Records & Burning Minds Music Group).

“Breaking Free” è stato rilasciato il 15 Dicembre 2017 via Street Symphonies Records / Burning Minds Music Group.

“BREAKING FREE” – LINK PER L’ACQUISTO

CD:

http://www.burningmindsgroup.com/shop/83

Digital:

– Amazon Digital: https://www.amazon.com/Breaking-Free-Explicit-Aerodyne/dp/B077TSCY6C/ref=sr_1_1?s=dmusic&ie=UTF8&qid=1515427444&sr=1-1-mp3-albums-bar-strip-0&keywords=aerodyne
– ITunes: https://itunes.apple.com/us/album/breaking-free/1317952257
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Exterior Palnet – Dorsa

Dorsa rappresenta l’esordio per la band di Zagabria, capace di fare centro al primo colpo con questo breve ma intenso lavoro intriso di un’aura cosmica.

Gli Exterior Palnet fanno parte di una scena croata che, riguardo al black metal, sta cominciando a fornire segnali interessanti.

Dorsa rappresenta l’esordio per la band di Zagabria, capace di fare centro al primo colpo con questo breve ma intenso lavoro intriso di un’aura cosmica, parzialmente debitore nei confronti di innovatori quali Deathspell Omega e Blut Aus Nord, ma ugualmente in possesso di una cifra personale che resta ben impressa dal primo all’ultimo minuto dell’opera.
Come sempre accade, lo spartiacque in album di questo genere è costituito dal grado di intensità che i musicisti si rivelano in grado di immettere nel loro sound: fin dalle prime note Dorsa fa presagire che il viaggio interstellare sarà periglioso ma ricco di soddisfazioni, veleggiando senza interruzione tra le sette tracce che lo compongono.
Sia nei momenti più riflessivi sia quando fanno girare i motori a pieni giri, gli Exterior Palnet danno la sensazione di possedere un innato controllo della materia e, oggettivamente, una traccia come II è una delle cose migliori ascoltate in tempi recenti in ambito black metal, esaltata poi da una registrazione ottimale per la quale i ragazzi croati si sono affidati agli studi di registrazione di Brad Boatright in quel di Portland.
Volendo fare i pignoli, potrebbe non trovare consensi unanimi l’uso della voce, che è una sorta di recitato urlato in stile Mr.Curse degli A Forest Of Stars, ma sinceramente si tratta solo di un dettaglio, all’interno di un disco che convince e sorprende sempre più dopo ogni ascolto, ed è davvero incredibile dover sopportare i continui piagnistei di chi rimpiange i bei tempi andati, quando mai come in questo periodo storico ci sono state così tante band capaci di offrire album di livello superiore alla media.
Dorsa è uno di questi, regalato da una band la cui provenienza da una nazione dalla ridotta tradizione in materia di metal estremo, paradossalmente, favorisce un approccio meno vincolato a modelli ben definiti: da ascoltare come se si trattasse della soundtrack di un film ambientato nello spazio, ma ovviamente senza il canonico happy ending.

Tracklist:
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI
7. VII

Line-up:
Josip Vladić – Drums, Songwriting
Bruno Čavara – Guitars, Bass, Percussion, Songwriting
Mario Bošnir – Keyboards
Tomislav Hrastovec – Vocals, Lyrics

EXTERIOR PALNET – Facebook

Tribulation – Down Below

Un album per le anime notturne, ispirato e coinvolgente, sempre in bilico tra death metal melodico e dark rock.

Una gradita sorpresa è questo nuovo album degli svedesi Tribulation, attivi dall’alba del nuovo millennio prima come Hazard e poi dal 2004 con l’attuale monicker, con il quale hanno dato alle stampe una manciata di lavori minori e quattro full length di cui questo Down Below è sicuramente il migliore.

Il death metal pregno di attitudine black degli esordi infatti si è trasformato in un metal dalle tinte horror, che prende dal death l’oscurità e la pesantezza in qualche ritmica, ma lascia alle melodie dark il compito di rendere sempre più convincente la proposta del gruppo.
Il sound di questo lavoro, infatti, si potrebbe tranquillamente annoverare tra il death metal melodico, ricamato di neri pizzi dark rock, valorizzato da riff doom dark ed atmosfere melanconicamente horror.
A tratti nei brani affiora una raffinatezza compositiva che non ti aspetti e che fa di brani come The Lament o Lady Death dei perfetti esempi di dark rock appesantiti dalla componente metal, quel tanto che basta per accontentare i fans dei primi Katatonia, dei Sentenced o dei Sisters Of Mercy.
La band lascia fuori dal suo mondo inutili parti in clean per lasciare ad uno scream profondo il compito di accompagnare la musica, e la scelta non può che risultare felice, mantenendo intatta la parte estrema che lotta con le splendide melodie dark/evil di Cries From The Underworld e soprattutto Lacrimosa, brano top di questo nuovo lavoro targato Tribulation.
Death metal e dark rock, un connubio di certo non originale ma che nel sound di Down Below trova una dimensione consona, nobilitato dalle splendide melodie create da una band che mantiene alta la qualità della sua proposta con The World, brano alla Fields Of The Nephilim che lascia spazio al gran finale, con Here Be The Dragon e le sue oscure sinfonie dark.
Un album per le anime notturne, ispirato e coinvolgente, sempre in bilico tra death metal melodico e dark rock, pregno di splendide atmosfere horror ed oscuro quanto basta per piacere incondizionatamente a chi si bea del freddo abbraccio delle tenebre.

Tracklist
01. The Lament
02. Nightbound
03. Lady Death
04. Subterranea
05. Purgatorio
06. Cries From The Underworld
07. Lacrimosa
08. The World
09. Here Be Dragons

Line-up
Johannes Andersson – Bass, Vocals
Adam Zaars – Guitars
Jonathan Hultén – Guitars
Jakob Johansson – Drums

TRIBULATION – Facebook

 

Abysmal Grief – Blasphema Secta

Gli Abysmal Grief hanno sempre fatto della creatività e dell’immaginario il proprio punto di forza, e questo, per chiunque sia in odore di metal, o soprattutto di doom, è un vero toccasana.

Dopo vent’anni di attività, gli Abysmal Grief dimostrano di non essere ancora paghi per il cammino tracciato e, dopo aver ascoltato questo nuovo album, Blasphema Secta, non possiamo che rallegrarcene.

Sicuramente nessun fan si aspettava passi indietro da parte della band genovese, che ci regala ancora un doom di altissima qualità e dagli scenari sempre più tetri.
Il fattore magia domina per tutta la durata del disco, aiutato dall’utilizzo di violini e sintetizzatori, ma non solo. È proprio il lato oscuro a soggiogarci fin dall’intro, preannunciando che ne saremo immersi fino alla fine. Gli Abysmal Grief hanno sempre fatto della creatività e dell’immaginario il proprio punto di forza, e questo, per chiunque sia in odore di metal, o soprattutto di doom, è un vero toccasana. Ogni intermezzo dai tratti gotici comunica solennità mista a vero e proprio terrore, come nella esemplare When Darkness Prevails, che non lascia spazio a fraintendimenti e rappresenta letteralmente la manifestazione di spiriti indomiti.
La gran varietà strumentale e vocale di ogni brano è scandita dalla batteria e da riff di chitarra in grado di causare talvolta potenti scapocciate, talvolta un clima cupo ma mai banale. Blasphema Secta rispecchia perfettamente ciò che viene annunciato già dalla copertina: l’esaltazione e la ritualità del male. Proprio ciò che cerca chi ascolta gli Abysmal Grief.
Una chicca da non perdere di vista per gli amanti del genere: il doom degli Abysmal Grief percorre sempre una strada propria, aprendosi ad orizzonti inediti.

Tracklist
1. Intro (The Occult Lore)
2. Behold the Corpse Revived
3. Maleficence
4. Witchlord
5. When Darkness Prevails
6. Ruthless Profaners

Line-up
Lord Alastair – Bass
Lord of Fog – Drums
Regen Graves – Guitars
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

MONOLITHE

Il video di Burst In The Event Horizon, dall’album Nebula Septem di prossima uscita (Les acteurs de l’ombre productions).

Il video di Burst In The Event Horizon, dall’album Nebula Septem di prossima uscita (Les acteurs de l’ombre productions).