BASTIAN

Il video di ‘It’s Just A Lie’, dall’album Grimorio in uscitsa a luglio (Sliptrick Records).

Il video di ‘It’s Just A Lie’, dall’album Grimorio in uscitsa a luglio (Sliptrick Records).

Bastian – It’s Just A Lie [Official Video]
Taken from the album: Grimorio | 2018
Videomaker: Skyline Services (Siracusa)
Actors: Sebastiano Conti, Roberta Fontana

Italian rock group Bastian are back with their first material from the forthcoming album Grimorio, released via Sliptrick Records on July 31st. The official video is for the track It’s Just A Lie which addresses one of the dark themes to be found across the heavy, hard, Black Sabbath (Ozzy era) inspired songs.

Here’s what leader Sebastiano Conti had to say about It’s Just A Lie; “The song speaks of the countless sentences that the church inflicted in the Middle Ages on women accused of witchcraft (torture, burnings, etc.). All a colossal lie that precisely from the title to the song. The women were only guilty of venerating the pagan rites of mother earth, of nature, of rain. This was all contained in a cauldron of superstition, religion and ignorance that persecuted thousands and thousands of innocent victims.”

Bastian are:
Sebastiano Conti – Guitar | Nicklas Sonne – Vocals | James Lomenzo – Bass | Federico Paulovich – Drum

+Mrome+ – Noetic Collision On The Roof Of Hell

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.

Benchè sia il loro full length d’esordio, si capisce fin dalla prima nota di questo Noetic Collision On The Roof Of Hell che gli +Mrome+ sono musicisti in possesso di solide basi che provengono da un attività iniziata addirittura alla fine del secolo corso (infatti, l’unica uscita precedente con questo monicker raccoglie tracce demo edite tra il ’97 ed il ’99).

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.
Death, thrash, black, a tratti anche sludge, vanno a confluire in una tracklist che convince proprio perché, nonostante la sensibile differenza di fondo che si può riscontrare tra un brano e l’altro, utilizza un collante formidabile come la capacità di scrittura e una tecnica solida e al servizio di una forma canzone sempre ben delineata.
Infatti, Noetic Collision On The Roof Of Hell non è il classico lavoro sperimentale con il quale musicisti estrosi saltabeccano senza preavviso da una genere all’altro spiazzando anche l’ascoltatore più scafato: le varie pulsioni stilistiche confluiscono normalmente all’interno dei singoli brani senza che questo vada a frammentare il risultato d’insieme, così le sfuriate thrash hardcore di Locust Follows Words hanno lo stesso diritto di cittadinanza dello sludge di Piss & Laugh o del death di Colors, e convivono al meglio con la cover di How the Gods Kill di Danzig.
Ecco, una delle cartine di tornasole della creatività di una band è il metodo utilizzato per coverizzare brani altrui: la maggior parte esegue una versione piuttosto aderente all’originale accelerandola o rallentandola, indurendola o conferendo comunque un qualcosa attinente allo stile musicale praticato; i +Mrome+, invece, stravolgono una delle brani simbolo del nerboruto statunitense facendolo diventare una traccia completamente nuova e differente, mantenendo di fatto il solo testo e, sia pure sufficientemente deviato, il riff che segue il chorus.
Credo che tutto questo basti per incuriosire il giusto chi ha voglia di scoprire nuovi nomi, e il passo successivo è quello di fare una capatina sulla pagina bandcamp dei +Mrome+ per farsi un’idea della loro proposta, che risulta sufficientemente originale pur senza ricorrere a sperimentalismi cervellotici.

Tracklist:
1.Colors
2.Crush the Moon
3.Migration Cult
4.How the Gods Kill (Danzig cover)
5.Trust
6.Generation Anthem
7.Piss & Laugh
8.Locust Follows Word
9.Magister Figurae Morte
10.The Arsonist

Line-up:
Key V – vocals, guitars
P – drums

Jester Beast – The Lost Tapes of… Poetical Freakscream

Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Viene riproposto in una nuova veste e migliorato in modo sensibile nella produzione un album storico della scena thrash metal tricolore: si tratta di Poetical Freakscream dei piemontesi Jester Beast, gruppo che all’epoca dell’uscita (1991) formava insieme a Broken Glazz, Gow e Negazione la punta dell’iceberg della scena metallica piemontese, allora una delle più attive nello stivale.

Nati addirittura nella prima metà degli anni ottanta, i Jester Beast purtroppo, dopo il primo demo Destroy After Use, licenziato nel 1988 e questo unico full lenght, si fermò fino al 2012, anno di uscita dell’ep The Infinite Jest.
La F.O.A.D. Records si prende carico di pubblicare questa nuova edizione dello storico lavoro, una mastodontica opera che vede, oltre a Poetical Freakscream nella più potente versione pre-mix, an che The Lost Tapes of… Poetical Freakscream, che riserva un bonus cd con il demo Destroy After Use ed una manciata di brani live risalenti al 1988.
Capitanati dal chitarrista C.C. Muz, i Jester Beast mostrarono a tutti d’essere un gruppo dall’impatto unico e dotato di un’ottima tecnica, ma penalizzato da un mixaggio approssimativo e incompleto che fece di Poetical Freakscream un’opera riuscita a metà, per fortuna oggi ascoltabile in una veste più consona alla qualità della musica proposta.
Il sound poggiava le sue basi sul thrash furioso degli Slayer (specialmente nel primo demo) e su quello più elaborato dei Voivod (tanto che Michael “Away” Langevin, batterista della formazione canadese, curò in seguito artwork e logo sull’ep The Infinite Jest) ma attraversato da un’attitudine hardcore: il tutto rese i Jester Beast una delle realtà più importanti dell’allora scena underground.
Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Tracklist
1.Freak Channel 9
2.Illogical Theocracy
3.Jester Day
4.Claustrophobic Autogamic
5.Swan Ain’t Die
6.Poetical Freakscream
7.Mother
8.D.A.U.
9.Unidentified Body

“Destroy Ater Use” – Demo 1988
10.Mother
11.Destroy After Use
12.Hypnotized
13.Clustrophobic Autogamic
14.Outro

Live in Treviso, 16/04/1988
15.Hypnotized
16.Psychopathic
17.Dream Over Dream
18.Labyrinth
19.Suck My Powerful Dick
20.Still Born

Line-up
STEO ZAPP – Vocals
CC MUZ – Guitar
ROBY VITARI – Drums
PIETRO “DURACELL” GRASSILLI – Bass

JESTER BEAST – Facebook

Satori Junk – The Golden Dwarf

Il lavoro denota un notevole miglioramento rispetto al già valido primo disco del 2015, perché qui siamo proprio su un altro livello, con i Satori Junk che mostrano una maggiore consapevolezza dei loro mezzi proponendo una formula arricchita.

Seconda prova sulla lunga distanza per i Satori Junk, gruppo milanese di doom psichedelico e stoner, i quali con questo lavoro si migliorano non poco, proponendosi come uno dei gruppi italiani più interessanti nell’ambito.

Fin dalla bellissima intro recitata si intuisce che sarà una lunga discesa verso gli abissi che abbiamo creato e che culliamo nelle nostre teste. Partendo dallo stile che hanno sempre portato avanti, ovvero musica pesante con tastiere aliene, i Satori Junk rendono maggiormente pesante il loro suono e anche più acido, per lunghe cavalcate sotto piogge sporche, corse sotto relitti di imperi troppo grandi per cadere, e ancora attraverso volti sfigurati da nuove droghe. Quando poi spunta il theremin, la magia dei Satori Junk è ormai compiuta e siete catturati, così ascolterete il disco più e più volte, perché ha un fascino magnetico e maledetto, come tutte le cose veramente belle e gustose. Le canzoni sono tutte di ampio respiro e si fanno apprezzare per la loro tenebrosità ed acidità. Ciò che fa risaltare i Satori Junk rispetto agli altri gruppi è questa commistione di tastiere quasi space rock con un suono corrosivamente lento, in una miscela difficilmente rintracciabile in altri lidi. Come detto tutto il lavoro denota un notevole miglioramento rispetto al già valido primo disco del 2015, perché qui siamo proprio su un altro livello, con i Satori Junk che mostrano una maggiore consapevolezza dei loro mezzi proponendo una formula arricchita. Chiude il disco un’incendiaria e acidissima cover di Light My Fire dei Doors, ma il vero godimento è prima.

Tracklist
1.Intro
2.All Gods Die
3.Cosmic Prison
4.Blood Red Shrine
5.Death Dog
6.The Golden Dwarf
7.Light My Fire (The Doors cover)

Line-up
Luke Von Fuzz – Vocals, Synth, Keys, Theremin, Flute
Chris – Guitars, Analog Synth, Sequencer
Lory Grinder – Bass
Max – Drums

SATORI JUNK – Facebook

Fractal Gates – The Light That Shines

Ospiti importanti come Jari Lindholm (Enshine, ex-Slumber, ex-Atoma) e Ben Ellis (Scar Symmetry) e il lavoro di Swanö, impegnato nella masterizzazione e nel missaggio, non fanno che valorizzare un album già di per sé ottimo sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello di risultare un album melodic death metal dalla denominazione di origine controllata.

The Light That Shines è il nuovo album dei transalpini Fractal Gates, band attiva da una decina d’anni  che, sotto la supervisione del guru svedese Dan Swanö,  licenzia questo bellissimo esempio di death metal melodico che vi farà tornare al tempo in cui il genere consegnava le sue opere più riuscite.

Il sound moderno, ma che non ha nulla a che fare con la frangia “americana” guidata dagli ultimi In Flames e Soilwork, una produzione di livello assoluto, tappeti tastieristici che seguono il mood sci-fi del disco senza compromettere l’attitudine tradizionale del genere ed un ottimo songwriting, fanno di The Light That Shines un lavoro imperdibile, straordinariamente melodico, affascinante e ricco di suggestive atmosfere space.
Ospiti importanti come Jari Lindholm (il vocalist della band transalpina, Sébastien Pierre, è suo partner negli Enshine) e Ben Ellis (Scar Symmetry), e il lavoro di Swanö, impegnato nella masterizzazione e nel missaggio, non fanno che valorizzare un album già di per sé ottimo sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello di risultare un album melodic death metal dalla denominazione di origine controllata.
Qualche inevitabile riferimento ai primi In Flames ed ai tanti progetti di Swanö (specialmente nell’uso di qualche stop & go e del suono dei tasti d’avorio) conferiscono ai brani un appeal davvero notevole, e la tracklist riserva uno serie di piccoli gioielli death metal, nei quali la melodia, oltre che negli arrangiamenti, vive nei solos tornando come una volta a far parlare di metal classico riferendosi all’approccio solistico della chitarra.
Breath Of Life (con quel riff che tanto sa di Edge Of Sanity), Infinity, la progressiva Faceless e la straordinaria Reborn, sono i brani più rappresentativi di un album che non uscirà tanto facilmente dai lettori degli amanti del melodic death metal, qui riportato su ottimi livelli dalla band francese.

Tracklist
01. Visions X
02. Breath of Life
03. Chasing the Line
04. Infinity
05. Bound by Time
06. Dreams Apart
07. Visions XI
08. Faceless
09. Arise
10. Reborn
11. The Light That Shines

Line-up
Stéphane Peudupin – Guitars and composition
Sébastien Pierre – Vocals, keyboards and composition
Arnaud Hoarau – Guitar
Antoine Verdier – Bass
Jeremy Briquet – Drums

FRACTAL GATES – Facebook

Grave Lines – Fed into the Nihilist Engine

Quando la produzione è in mano al mastermind degli Esoteric, Greg Chandler, bisogna prestare parecchia attenzione e non lasciarsi sfuggire l’arte che ne deriva.Un’ora di suoni doom, sludge, darkwave plumbei, oscuri e meritevoli di entrare nella nostra carne e nel nostro cervello.

Quando la produzione è in mano al mastermind degli Esoteric, Greg Chandler, bisogna prestare parecchia attenzione e non lasciarsi sfuggire l’arte che ne deriva.

Anche in questo caso è cosi perché i Grave Lines, quartetto londinese di recente costituzione che nel 2016 ha esordito con Welcome To Nothing, meravigliano con un’opera possente, intensa, abbastanza personale e decisamente pesante. I quattro musicisti provengono tutti da realtà underground britanniche (alcune come Dead Witches, Centurion’s Ghost, Throne) e per l’etichetta New Heavy Sounds, che ci ha fatto conoscere i meravigliosi Mammoth Weed Wizard Bastard, ci regalano un’ora di suoni doom, sludge, darkwave plumbei, oscuri meritevoli della nostra massima attenzione. L’idea di alternare brani lunghi con brani più brevi non è chiaramente la più originale ma crea un’atmosfera intossicante, tesissima e indomabile. L’opener Failed Skin (14 minuti) inquadra il loro suono su coordinate lente, scandite dalla voce decisa di Jake Harding che, per certi toni, può rammentare Michael Gira (Loss/Betrayal), mentre le chitarre lentamente creano il brano che sale, cresce, imponente, maestoso, epico intrecciando tempeste sonore aggrovigliate su tormenti interiori in cerca di uno spiraglio di luce. Siamo solo all’inizio ma le sensazioni sono quelle giuste, la band sembra già matura e conscia del proprio potenziale; i musicisti esplorano la negatività insita nelle nostre relazioni personali e ogni nota è carica di tensione spasmodica come in Silent Salt, dove l’effetto ipnotico indotto dalla reiterazione chitarristica mostra il lento cammino di un io rabbioso incatenato ma voglioso di ribellarsi. Gli artisti riescono, anche all’interno di un genere monolitico, a variare le atmosfere aggrappandosi ad aromi darkwave molto pronunciati, le linee di synth di Loathe/Displace (mi ricordano, ma probabilmente non è voluto, alcune linee di Eyeless in Gaza) disegnano atmosfere stranianti particolari, suggestive, mentre le vocals sono disturbanti nella loro tersa esposizione. La ritmica tribale di The Greae aggiunge altra “darkness” e introspezione, condotta su note di basso insistenti che introducono lentamente le distorte melodie chitarristiche, mentre, dopo la breve parentesi di Guilt/Regret, il tutto si suggella con gli undici minuti di The Nihilist Engin, dove la devozione a certi suoni di matrice Neurosis viene fuori in tutta la sua imponenza, conducendoci per mano verso abissali territori heavy progressive. Una grande sorpresa, grande musica e grandi sensazioni.

Tracklist
1. Failed Skin
2. Shame/Retreat
3. Self Mutilation by Fire and Stone
4. Loss/Betrayal
5. Silent Salt
6. Loathe/Displace
7. The Greae
8. Guilt/Regret
9. The Nihilist Engine

Line-up
Julia Owen – drums,backing vocals,synth,keys
Stgr’n Matt – bass,backing vocals,acoustic guitar
Oliver Irongiant – guitars
Jake Harding – vocals,lyrics

GRAVE LINES – Facebook