Lost Reflection – Trapped In The Net

Ritorno con il terzo album di Fabrizio Fulco ed i suoi Lost Reflection, band hard & heavy tra tradizione britannica ed attitudine street rock.

Torna Fabrizio Fulco con i suoi Lost Reflection, band che prende il nome dalla famosa canzone dei leggendari Crimson Glory, con il terzo album licenziato dalla Hellbones Records.

La band prende vita nel 1996, ma il primo album è targato 2011, anche perché Fulco nel 2005 si trasferisce negli States per prendere il posto come bassista nei Ben Jackson Group, progetto del chitarrista dei Crimson Glory.
Il ritono in Italia coincide con la ripresa delle attività con i Lost Reflection e vengono pubblicati due lavori: Florida (2011 SG Records) e Scarecrowd (2014 SG Records).
L’hard & heavy suonato dal gruppo è però lontano da quanto fatto dalla storica band statunitense e più orientato verso un buon mix tra la tradizione britannica ed attitudine street rock.
Trapped In The Net è composto da dieci brani che si muovono tra questi due generi, dando vita ad un metal scontato ma gradevole, dalle ritmiche hard rock e da cavalcate di stampo new wave of british heavy metal.
God Of Hate, opener dell’album è un brano tra Saxon e Motley Crue, mentre Together As One ricalca gli schemi del metal losangelino di metà anni ottanta.
Questa alternanza continuerà per tutto l’album, che risulta una discreta opera di metal old school sanguigno e potente, con qualche dettaglio da perfezionare (la voce a tratti leggermente forzata), ma con un buon lavoro strumentale.
Cavalcate metalliche e hard rock stradaiolo ed irriverente come One Night In Your Bed trovano libero sfogo tra lo spartito di Trapped In The Net che vede all’opera, oltre a Fulco ( chitarra, basso e voce), Max Sorrenti (chitarra) e Max Defender Moretti (batteria).
La cover del leggendario Derek Riggs valorizza Trapped In The Net, che risulta così un buon ritorno per il musicista nostrano e la sua band.

Tracklist
1.God of Hate
2.Together as 1
3.Into The Social Network
4.Brand New Love Brand New Life
5.One Night In Your Bed
6.My Promised Land
7.Hollywood Dream
8.Master of Your Soul
9.Homeless Boy
10.No More Blood

Line-up
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars, Bass
Piero Sorrenti – Guitars
Max Defender Moretti – Drums
PJ (live bassist)

line up attuale
Fabrizio Fulco – Vocals, Guitars
PJ – Bass
Max Defender Moretti – Drums

LOST REFLECTION – Facebook

Hypnos – The GBG Sessions

The GBG Sessions è un album che difficilmente troverà estimatori nei seguaci del rock odierno,  rimanendo legato strettamente al decennio settantiano e a quelle band che ne hanno decretato l’assoluta importanza nella storia del rock.

Band che non lascia trapelare molte informazioni, i rockers svedesi Hypnos tornano con un album sulla lunga distanza, questo discreto esempio di hard rock vintage intitolato The GBG Sessions.

Non avevamo più notizia del gruppo da quattro anni e dal singolo The Mountain, che troviamo pure su questo album composto da otto brani dove riff su riff si accavallano e costruiscono un muro sonoro, che va dai Black Sabbath ai Thin Lizzy, passando per i Kiss e a tratti per le band che del revival settantiano hanno decretato il successo (Spiritual Beggars).
Niente di nuovo dunque, specialmente se le operazioni nostalgiche vi lasciano indifferenti, anche perché gli Hypnos fanno di tutto per confondervi, ipnotizzandovi con piccole jam psichedeliche nel bel mezzo di brano hard rock come Hands Of Evil, facendovi credere di essere nel bel mezzo degli anni settanta con il vostro armadio colmo di jeans a zampa di elefante e giubbotti con le frange.
Il quintetto, dalla sua, ci fa partecipi di un sound diretto, suonato senza troppa attenzione ai diabolici particolari tecnici odierni, ma con uno spirito rock’n’roll che non lascia dubbi sull’attitudine dei musicisti coinvolti, rockers d’altri tempi, specialmente quando il blues di Nightmares alza di molto la temperatura sulla montagna dove la band continua a jammare con la sanguigna 1800.
The GBG Sessions è un album che difficilmente troverà estimatori nei seguaci del rock odierno,  rimanendo legato strettamente al decennio settantiano e a quelle band che ne hanno decretato l’assoluta importanza nella storia del rock.

Tracklist
1.Aint No Fool
2.Border Patrol
3.Hands Of Evil
4.Nightmares
5.Looking Out
6.1800
7.The Mountain
8.Gimme! Gimme! Gimme!

Line-up
Linus
Oskar
Pontus
Anton
Hampus

HYPNOS – Facebook

Keys Of Orthanc – Dush agh Golnauk

Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria.

Keys Of Orthanc è il nome di questa nuova one man band che si affaccia sulla scena black metal.

Come fanno ampiamente intendere monicker e titolo dell’album è l’immaginario tolkeniano a dominare a livello lirico nel lavoro del musicista del Québec (che per eliminare ogni fraintendimento si presenta come Dorgul).
L’interpretazione che ne deriva non può che risentire di tutto questo, per cui sono atmosfere per lo più epiche a caratterizzare l’opera, anche se le pulsioni pagan folk sono meno accentuate a favore di un incedere più malinconico.
A livello compositivo Dorgul si fa valere ma la produzione non è nitida come dovrebbe, per cui purtroppo gli spunti melodici non emergono come dovrebbero, soffocando per esempio le buone intuizioni dei due brani centrali Witchking e Mor Gashnum.
Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria; d’altro canto, considerati i mezzi che mette a disposizione l’odierna tecnologia, ignorare questo aspetto non dovrebbe essere così complicato.

Tracklist:
1. Satum
2. Ringwraiths
3. Witchking
4. Mor Gashnum
5. The White Wizard
6. Outro

Line up:
Dorgul – All instruments, Vocals

KEYS OF ORTHANC – Facebook

HOGS

Il video di Stinking Like A Dog, dall’album Fingerprints (Red Cat).

Il video di Stinking Like A Dog, dall’album Fingerprints (Red Cat).

Gli HOGS ci dimostrano che l’auto ironia unita al groove della loro musica è l’arma migliore per ballare a ritmo di rock ‘n’ roll, lasciandosi alle spalle le problematiche della vita quotidiana, tematica centrale del pezzo.
Nasce così il video di “STINKING LIKE A DOG”, primo singolo estratto dal nuovo album del quartetto rock fiorentino “Fingerprints”, uscito questa primavera per Red Cat Records e 7Hard.

Regia di “Notubers” (Simone Brogi ed Eugenio Palagini), riprese @ Agility Dog di Empoli.
Ringraziamo Luciano Pucci ed i suoi splendidi “attori” (Airyn, Micheal, Lars, Bellina, Jinn, Twenty, Attila, Baby, Dj, Mila, Splendore).

CONTATTI BAND:
Homepage: www.hogsband.com/

Facebook: www.facebook.com/hogsband

Youtube: www.youtube.com/channel/UCXla5VyvN7zkAjuuoudFYjg

LABEL:
www.redcatpromotion.com
http://www.7hard.de/

Majesty Of Silence – Zu dunkel für das Licht

Il sound teatrale e straripante di enfasi fatica a raggiungere l’obiettivo, perché con un simile approccio è senz’altro importante un buon talento compositivo (e fin qui ci siamo), ma lo è altrettanto, se non di più, un senso della misura che fa decisamente difetto ai Majesty Of SIlence.

Un altro ritorno dopo oltre un decennio di silenzio: questa volta sono gli svizzeri Majesty Of Silence a rifarsi vivo dopo un lungo oblio iniziato nel 2006, dopo l’uscita del loro quarto full length.

Tutto sommato il momento scelto per ripresentarsi sulla scena sarebbe anche quello giusto per chi si dedica ad un genere come il symphonic black che, in effetti, negli ultimi anni era finito fuori dai radar della maggior parte degli appassionati, fino al recente rientro in pompa magna dei Dimmu Borgir e alla luce del gradito recupero ad alto livello degli stessi Cradle Of Filth.
Dimezzati rispetto alla formazione originale (sono rimasti i soli Peter Mahler e Christian Geissmann), gli elvetici cii sommergono con un album come Zu dunkel für das Licht entro il quale non si fanno mancare nulla, riversandoci tutto quanto sarebbe lecito attendersi da interpreti di questa frangia metallica che non ha mai avuto la sobrietà tra le sue caratteristiche principali.
E’ cosi che il sound teatrale e straripante di enfasi fatica a raggiungere l’obiettivo, perché con un simile approccio è senz’altro importante un buon talento compositivo (e fin qui ci siamo), ma lo è altrettanto, se non di più, un senso della misura che fa decisamente difetto dell’Argovia.
Ecco, se Dani Filth vi appare in certi momenti fastidiosamente verboso, andando a sovrastare costantemente le trame musicali dei suoi compagni, non è nulla rispetto a quanto accade con i Majesty Of Silence i quali, per ottanta minuti, ci sommergono incessantemente con le proprie strepitanti liriche in tedesco, facendomi persino venire in uggia una lingua che personalmente adoro in certi ambiti ambiti musicali.
Peccato, perché questo lavoro, con le dovute sfrondature farebbe tutto un altro effetto; nei frangenti più solenni e teatrali affiorano persino reminiscenze dei Devil Doll, mentre i passaggi sinfonici riportano necessariamente ai Dimmu Borgir, e non è un caso se sono per lo questi momenti quelli in cui si rimpiange maggiormente la bulimia verbale che affligge alcuni passaggi magnifici, disseminati in buona quantità specialmente nella seconda metà dell’opera (Traurige Geschicht’, Rudi, Sonne, Erlösung).
Probabilmente il tutto sarà anche funzionale al racconto (ed evidentemente cose da dire ce ne sono in quantità) ma si giunge alla fine dell’opera abbastanza estenuati nonostante l’abitudine a certi ascolti e la relativa buona predisposizione.
Le migliori band attuali, non solo in ambito estremo, ci stanno insegnando che la musica aumenta la sua efficacia quando si toglie piuttosto che aggiungendo, e il sound dei Majesty Of Silence è “troppo” sia per minutaggio che per interpretazione del genere, con l’aggiunta puntuale anche di una voce femminile che c’entra come i cavoli a merenda.
Ecco, è per tutti questi motivi che il ritorno della band svizzera non va oltre una sufficienza derivante dall’apprezzamento per un’espressione musicale non banale, ma che necessita di una necessaria revisione per poter raggiungere in futuro un livello più consono al potenziale dimostrato a tratti.

Tracklist:
1. Der Untergang
2. Das Feuer
3. Der Zahn der Zeit
4. Unerwarteter Besuch
5. Endstille
6. Dem Engel noch zuhören
7. Klangfeind – Neuzeithasser
8. Traurige Geschicht’
9. Rudi
10. Sonne
11. Weisse Welt
12. Zweiundzwanzig
13. Erlösung
14. Stille

Line up:
Peter Mahler: Guitars, Vocals
Christian Geissmann: Guitars, Bass, Vocals

MAJESTY OF SILENCE – Facebook