Fretting Obscurity – Flags in the Dust

Flags in the Dust è un primo passo che merita un’abbondante sufficienza, perché alla fine i lati positivi superano quelli negativi, ancora troppi però per avvicinare per ora i Fretting Obscurity ai piani alti del genere.

Flags in the Dust è il primo parto discografico dei Fretting Obscurity, in realtà progetto solista del musicista ucraino Yaroslav Yakos.

Il death doom offerto nel corso di quest’ora abbondante è molto ortodosso, anche se possiede un che di antico, che a tratti ci riporta piacevolmente alla memoria album seminali per il genere come Serenades degli Anathema, tanto per citare quella che sembra essere la primaria fonte di ispirazione.
Anche per questo il lavoro si snoda con belle intuizioni melodiche sorrette da uno stile chitarristico un po’ naif ma alla lunga efficace, se è vero che al death doom si richiede soprattutto di produrre emozione e certo non virtuosismi strumentali in serie.
Così, tra dissonanze e distorsioni, il bravo Yaroslav ci introduce alla sua personale interpretazione del dolore che si fa musica, e tutto ciò avviene in maniera convincente, soprattutto se si è amanti, come detto, delle sonorità dei primissimi anni ottanta, anche a livello di resa sonora.
Così, se la title track si fa apprezzare appunto per i rimandi agli esordi dei fratelli Cavanagh, la successiva If There Is No Other Way to Love ‘Em si fa da subito struggente con un solo chitarristico sicuramente perfettibile ma ugualmente toccante, e cresce nel suo andamento più vicino al funeral.
Se Eternal Return è un brano ancora più lungo lungo ma interlocutorio, è senz’altro meglio la conclusiva Funeral Never Ends, nella quale il lavoro chitarristico diviene nuovamente fondamentale per rendere evocativo come merita il sound dei Fretting Obscurity.
Se l’album a livello compositivo non lascia spazio a recriminazioni, qualcosa da rivedere c’è invece dal punto di vista esecutivo e della produzione: la conformazione da one man band non sempre è la causa principale di una resa sonora scarna e perfettibile (i Doomed di Pierre Laube sono la dimostrazione più recente dell’esatto contrario) ma in questo caso forse Yakos avrebbe bisogno di qualcuno con cui confrontarsi, perché la sua conoscenza della materia è fuori discussione, ma la messa in pratica necessita ancora di qualche aggiustamento.
Detto ciò, Flags in the Dust è un primo passo che merita un’abbondante sufficienza, perché alla fine i lati positivi superano quelli negativi, ancora troppi però per avvicinare per ora i Fretting Obscurity ai piani alti del genere.

Tracklist:
1. Flags in the Dust
2. If There Is No Other Way to Love ‘Em
3. Eternal Return
4. Funeral Never Ends

Line up:
Yaroslav Yakos – Everything

VOIVOD

Il video di “Obsolete Beings”, dall’album “The Wake”, in uscita a settembre (Century Media Records).

Il video di “Obsolete Beings”, dall’album “The Wake”, in uscita a settembre (Century Media Records).

I VOIVOD pubblicano il video di “Obsolete Beings”, il primo estratto dal nuovo album “The Wake”, in arrivo il 21 settembre 2018 su Century Media Records. Il video è stato diretto ed editato da Eric Massicotte e Pierre Duplessis.

Di seguito artwork e tracklist di “The Wake”:

1. Obsolete Beings
2. The End Of Dormancy
3. Orb Confusion
4. Iconspiracy
5. Spherical Perspective
6. Event Horizon
7. Always Moving
8. Sonic Mycelium

Oltre che alla versione CD standard jewelcase e in digitale “The Wake” sarà disponibile anche in 2CD Mediabook con un disco bonus di 11 canzoni, i 5 brani dell’EP “Post Society” e 6 brani live registrati durante la crociera 70000 Tons Of Metal, un artwork alternativo, booklet esteso di 32 pagine e 3 adesivi. Di seguito la tracklist del disco bonus:

Post Society – EP:
1. Post Society
2. Forever Mountain
3. Fall
4. We Are Connected
5. Silver Machine

Live at 70000 Tons Of Metal Cruise 2018:
6. Inner Combustion (Live 2018)
7. Order Of The Blackguards (Live 2018)
8. Psychic Vacuum (Live 2018)
9. Lost Machine (Live 2018)
10. Fall (Live 2018)
11. Voivod (Live 2018)

“The Wake” sarà disponibile anche in 2LP, con incisione sul lato D. Disponibile nei seguenti colori:
Black 2LP: Unlimited
Pink 2LP: 100x copies / CM Webshop Europe
White 2LP: 200x copies / CM Webshop Europe
Red 2LP: 300x copies / CM Distro Europe
Silver 2LP: 200x copies / Nuclear Blast
Golden 2LP: 200x copies / Season Of Mist
Transp. sun yellow 2LP: 100x copies / CM Webshop USA

Inoltre i VOIVOD pubblicheranno un EP in formato 7″, disponibile dal 31 agosto, in occasione dell’inizio del tour. Conterrà la canzone “Always Moving” e “Order Of The Blackguards (Live 2018)” come B-Side. Limitatissimo a 100 copie, di seguito i dettagli:

Black 7Inch: 500x copies / CM Distro Europe
Lilac 7Inch: 100x copies / CM Webshop Europe
Clear 7Inch: 200x copies / CM Distro Europe
Transp. red 7Inch: 200x / Band edition on tour

Da oggi parte anche il pre-order del disco, disponibile a questo link.

I VOIVOD saranno in Italia a breve per tre date, in compagnia dei Nightrage:
18.09.2018 Bologna (Italy) – Locomotiv
19.09.2018 Rome (Italy) – Largo
20.09.2018 Milan (Italy) – Santeria Social Club

VOIVOD’s “The Wake” is the highly anticipated successor to 2013’s “Target Earth” album as well as the 2016 mini-album “Post Society”. The album was recorded and mixed by Francis Perron at RadicArt Recording Studio in Canada and its artwork (as well as the art for the attached singles, to be seen above!) was once again created by VOIVOD drummer Michel “Away” Langevin.

VOIVOD, who are currently celebrating their 35th band-anniversary, will begin a first European touring run in support of “The Wake” with rotating support by Maggot Heart (from 7th until 16th Sept), Nightrage (from 18th until 26th Sept) and Bio-Cancer (from 28th Sept until 20th Oct) on September 7th. Here is a list of all dates:

VOIVOD – European Tour 2018:
07.09.2018 Prague (Czech Republic) – Futurum *
08.09.2018 Poznan (Poland) – U Bazyla *
09.09.2018 Warsaw (Poland) – Hydrozagadka *
10.09.2018 Krakow (Poland) – Kwadrat *
11.09.2018 Bratislava (Slovakia) – Randal Club *
13.09.2018 Cluj-Napoca (Romania) – Flying Circus Pub *
14.09.2018 Belgrade (Serbia) – Elektropionir *
15.09.2018 Budapest (Hungary) – Durer Kert *
16.09.2018 Vienna (Austria) – Szene *
18.09.2018 Bologna (Italy) – Locomotiv **
19.09.2018 Rome (Italy) – Largo **
20.09.2018 Milan (Italy) – Santeria **
21.09.2018 Winterthur (Switzerland) – Gaswerk **
22.09.2018 Seyssinet Pariset (France) – Ilyade **
24.09.2018 Barcelona (Spain) – Boveda **
25.09.2018 Madrid (Spain) – Nazca **
26.09.2018 Porto (Portugal) – Hard Club **
28.09.2018 Marseille (France) – Jas’ Rod ***
29.09.2018 Paris (France) – Petit Bain ***
30.09.2018 Nantes (France) – Ferrailleur ***
02.10.2018 Southampton (UK) – The Joiners ***
03.10.2018 Cardiff (UK) – The Globe ***
04.10.2018 Leeds (UK) – Temple Of Boom ***
05.10.2018 Glasgow (UK) – Cathouse ***
06.10.2018 Manchester (UK) – Rebellion ***
07.10.2018 London (UK) – Underworld ***
09.10.2018 Brussels (Belgium) – Magasin 4 ***
10.10.2018 Amstelveen (The Netherlands) – P60 ***
11.10.2018 Eindhoven (The Netherlands) – Dynamo ***
12.10.2018 Cologne (Germany) – Luxor ***
13.10.2018 Hamburg (Germany) – Logo ***
14.10.2018 Copenhagen (Denmark) – Pumpehuset ***
15.10.2018 Stockholm (Sweden) – Klubb Nalen ***
17.10.2018 Helsinki (Finland) – Tavastia ***
18.10.2018 Tampere (Finland) – Klubi ***
20.10.2018 Oslo (Norway) – John Dee ***

Support bands:
* Maggot Heart (from 7th until 16th Sept)
** Nightrage (from 18th until 26th Sept)
*** Bio-Cancer (from 28th Sept until 20th Oct)

VOIVOD – Live 2018:
29.07.2018 Montreal (Canada) – Heavy Montreal Festival https://www.heavymontreal.com/en/artists
04.08.2018 Lévis (Canada) – Festivent https://festivent.ca/artistes/
18.08.2018 Las Vegas (USA) – Psycho Las Vegas Festival https://www.vivapsycho.com
25.08.2018 Winnipeg (Canada) – SOS Fest

More on VOIVOD and “The Wake” to follow soon…

Negli Abissi del Fato: l’epopea dei Manilla Road

La recente scomparsa di Mark Shelton (1957-2018), voce e chitarra dei Manilla Road, immensa e storica cult band, impone – non solo agli appassionati ed ai conoscitori – una adeguata opera di ricostruzione e di ripensamento circa quanto da lui magnificamente realizzato con la sua band, nel corso di oltre quattro decenni.

I Manilla Road nascono nel Kansas, a Wichita nel 1976. Inizialmente, vista l’epoca, sono influenzati dal classico hard rock americano, ma subito mostrano, per precisa volontà di Shelton, il proposito di forgiare uno stile personale, che possa permettere di individuarli in maniera precisa, tra i moltissimi colleghi d’oltreoceano. La formazione, un trio, è composta, oltre che da Shelton, dal fedele bassista Scott Park e dal batterista Rick Fisher. Tra il 1977 ed il 1978, il gruppo si fa conoscere attraverso le sue infuocate esibizioni dal vivo, per lo più nei locali del suo stato d’origine. Nel 1979, la band entra in sala di registrazione, per incidere un nastro, i cui pezzi, all’insegna di un hard prog molto potente e d’ispirazione fantascientifica, vanno a far parte, di lì a breve, del mini-LP Invasion (pubblicato nel 1980, dalla Roadster), forte dei primi classici: la spaziale Far Side of the Sun, che oltrepassa gli otto minuti, la breve ma eroica Centurian War Games, la suite di quattordici minuti The Empire.

Sempre nel 1979, in dicembre, il combo di Shelton suona nella sua città natale: la testimonianza su compact di quel concerto uscirà, per la Shadow Kingdom, nel 2010, con il titolo After Midnight: solo cinque brani, ma Pentacle of Truth, Chromaphobia e Herman Hill già lasciano il segno e fanno intravedere i futuri giorni di gloria, plumbei ed affascinanti, come il fuoco che alimentava secoli fa il crogiolo degli alchimisti.
Nel 1981, i Manilla Road registrano quindi il più oscuro e tenebroso Mark of the Beast, permeato di influenze vagamente sabbathiane e tra le primissime realizzazioni del nascente US metal. Il disco, rimasto allora inedito, verrà pubblicato solo moltissimi anni dopo, dalla Monster (che, insieme alla Rockadrome, ha ristampato anche classici dimenticati di Winterhawk, Sorcery, Poobah, Jerusalem, Saint-Anthony’s Fyre, Ashbury, Militia, Anvil Chorus, Full Moon e Legend, tra gli altri). Materiali da Mark of the Beast si ritrovano oggi anche in Dreams of Eschaton, raccolta doppia di inediti live e studio, risalenti tutti al periodo 1979-1981 dei Manilla Road, fatta uscire recentemente dalla sempre benemerita HR Records.
In questa prima fase del loro percorso artistico, i Manilla Road cominciano a dare corpo al loro stile epic metal. La cosa emerge soprattutto dall’ascolto di Metal (1982) e Crystal Logic (1983). Canzoni quali Enter the Warrior, Defender (da quel momento parola magica per ogni true metal fan), Queen of the Black Coast, Cage of Mirrors, la tetra Necropolis, Flaming Metal System e l’evocativa Veils of Negative Existence segnano un’epoca ed aprono una strada, incarnando attraverso il pentagramma gli scenari della tradizione guerriera di matrice sword and sorcery – quella per capirci di scrittori del calibro di Robert Erwin Howard (il creatore tra gli altri di Conan il Barbaro e Kull di Valusia), Lyon Sprague de Camp, Lin Carter e Fritz Leiber – fatta di maghi e sortilegi, spade e incantesimi, torri e contrade medievali, draghi e mostri da combattere. E’, di fatto, l’invenzione di un genere, per nulla pacchiano o autoindulgente, in anticipo sui Manowar. Una terra altra per tutti coloro che avvertono il disagio della realtà e il bisogno spirituale di evaderne verso altri mondi.

 


Intanto, la creatura di Shelton partecipa alla raccolta US Metal III, curata da Mike Varney, e tramite un tour statunitense in compagnia di Krokus e Ted Nugent vede crescere la propria fama. Nel 1984, l’arrivo del nuovo bassista Randy Foxe sposta l’asse ritmico dei Manilla Road verso lidi più veloci: ne è la prova il capolavoro Open the Gates, più moderno nel suono, puro come cristallo di roccia, vero grande classico a cavallo tra speed ed epic metal. Forte anche di un’ottima produzione, il disco è il primo della band a venire distribuito anche in Europa, grazie alla francese Black Dragon. Al LP viene inoltre allegato un extended play di dodici pollici e sedici minuti in tutto. Lo stile elaborato da Open the Gates – che, tramite pezzi come Metalstrom, la title-track, la cosmica Astronomica, Fires of Mars, The Ninth Wave, le antesignane del fantasy metal The Road of Kings e Hour of the Dragon, dà voce musicale e narrativa a leggende arturiane e miti nordici – si trova confermato dai due lavori successivi: The Deluge (1986) e Mystification (1987). Il primo è consacrato al diluvio biblico ed ai misteri e terrori del mare, con tracce splendide, quali Shadow in the Black, Isle of the Dead, Eye of the Sea, Taken by Storm (che apre la via al pirate metal dei Running Wild), The Drowned Lands e la più inquietante Hammer of the Witches, traduzione in musica del Malleus Maleficarum (1484) degli inquisitori domenicani Sprenger e Kramer. Il secondo disco è, invece, un omaggio al grande Edgar Allan Poe: un brano come Masque of the Red Death, tratto appunto dal racconto La Maschera della Morte Rossa (portato sugli schermi, negli anni Sessanta, da Roger Corman, con la fotografia barocca di Nicholas Roeg) è altamente rappresentativo ed emblematico in tal senso, ma non sono da meno la iniziale Up From the Crypt, Children of the Night, Haunted Palace e Dragon Star, tutte intrise d’una suggestiva atmosfera esoterico-occulta e neo-gotica. Perché anche questo è dark-sound, la cosa non va mai dimenticata. Nell’estate del 1988 esce poi Roadkill, una raccolta dal vivo che conferma i MR al massimo della forma pure sul palcoscenico.
Dopo Poe, Lovecraft. Dal solitario di Providence e dalla sua saga di orrore fantascientifico, il colto e raffinato Shelton tra l’ispirazione letteraria per Out of the Abyss, apparso nel 1989 per la Leviathan e capace di affiancare al solido verbo dell’epic metal inattese ma opportune aperture thrash. Return of the Old Ones – i Grandi Antichi di HPL, appunto – è il brano-simbolo del disco. Nondimeno echi lovecraftiani risuonano altresì in From Beyond e A Touch of Madness, pezzi forti (insieme a Book of Skelos ed alla mitologica The Prophecy) del successivo capitolo in studio: The Courts of Chaos, pubblicato nel 1990. Intanto, il messaggio musicale dei MN veniva in parte raccolto ed aggiornato dai floridiani Iced Earth.
Il primo progetto solista di Shelton – prima cioè dei più dark Hellwell e di Obsidian Dreams – vide la luce nel 1991, intitolato The Circus Maximus, ma pubblicato ancora a nome Manilla Road. Mark, evidentemente, sperava con questo disco di far finalmente raggiungere al proprio gruppo la meritata notorietà, anche al di fuori dei confini americani. Purtroppo, il 1991 fu l’anno in cui i Metallica, con il pur buono black album, tradirono il thrash, messo in crisi – insieme a epic, speed e class metal – da Nevermind dei Nirvana e dall’avvento della moda alternative. Quasi nessuno si accorse pertanto di The Circus Maximus, ispirato all’antica Roma e ai suoi fasti gladiatorii, e si aprì, per tutto l’heavy più classico e tradizionale, una crisi decennale. Vittima dell’indifferenza generale, Shelton si ritrovò costretto a sciogliere temporaneamente i Manilla Road, in attesa di tempi migliori. Questi vennero al principio della nuova decade, che vide come sappiamo letteralmente una rinascita di ogni branca – epic metal incluso, dunque – della nostra musica. I Manilla Road tornarono così alla grandissima, nel 2001, con Atlantis Rising, che, edito dalla Iron Glory, attingeva in quattro libri – quattro suite, di fatto – tanto ad Atlantide e Lemuria, quanto alle leggende scandinave ed a Tolkien. Un vero classico moderno, si potrebbe dire.
Le fortezze nascoste, i castelli imponenti e misteriosi ed i duelli all’ultimo sangue furono, già dalla bella copertina, gli elementi che fornirono la trama a Spiral Castle, uscito nel 2002, per la nostrana Black Widow. Ormai Mark aveva ritrovato la sua originale vena creativa. O, se si vuole, ri-creativa (di miti, leggende e tradizioni arcane e ancestrali, provenienti dal Grande Passato, rese con un metal roccioso e stentoreo, elegante ed all’occorrenza sepolcrale, enfatico e magniloquente). Anche Gates of Fire (stampato dalla Battle Cry, nel 2005) non fu di certo da meno: tre complesse ed articolate trilogie, che guardavano questa volta, oltre che alle gesta dei re (un leitmotiv ricorrente nell’universo dell’epic metal e dei Manilla Road in particolare), ai Giganti del racconto biblico e dell’archeologia spaziale, nonché alle antiche virtù dei combattenti di Roma e Sparta.
Nel 2007 apparve nei negozi il mini Clash of Irons, split dal vivo registrato l’anno prima, giusto per riempire il vuoto temporale in attesa della nuova fatica dei MR. La My Graveyard Production – nel 2008 – si incaricò di licenziare il fantastico Voyager, con cui Shelton e compagni (dalla rinascita vi fu una autentica girandola di musicisti nella line-up dei Manilla) si misuravano, questa volta, con le storie vichinghe e norrene, nonché con il fascino dell’ignoto, racchiuso negli oceani solcati secoli fa dai drakkar dei navigatori nordici.
Ottimi sono stati pure i due lavori successivamente realizzati dal gruppo di Shelton: Playground of the Damned (2011) e il criptico Mysterium (2013), quest’ultimo pubblicato dalla Golden Core. Nel primo, riecheggia ancora il fantasma di Poe (Into the Maelstrom) e in Fire of Asshurbanipal Shelton si confronta la storia della monarchia assiro-babilonese. Nel secondo abbiamo un’ulteriore manciata di anthems epici: The Battle of Bonchester Bridge, la crowleyana Do What Thou Will, The Calling, la title-track e Only the Brave. Come se il tempo non fosse mai passato, cristallizzatosi nello spazio altro dell’immaginazione fantastica e della storia più lontana possibile dallo squallido presente.

Realmente instancabile e con un fuoco creativo sempre acceso, Shelton, nel 2012, dà vita a un side project, denominato Hellwell, dove la necessità primaria è quella di suonare su tematiche più vicine al classico horror, accompagnato da E.C. Hellwell (keyboards, synth) e da Johnny Benson (drums). L’opera Beyond the boundaries of sin presenta brani dominati dall’interplay tra la chitarra del leader e le tastiere, mentre i suoni sono molto più oscuri e pesanti, rispetto alla band madre. Le tematiche sono incentrate su storie orrorifiche ben diverse dai “soliti” testi, come in Eaters of the dead, tratto dall’omonimo racconto di Michael Crichton o come in Acheronomicon, suite basata su una breve storia, mai pubblicata, del sodale E.C. Hellwell. Come affermò Shelton, i Manilla sono l’alfa e gli Hellwell rappresentano l’omega, che si ripresentò, nel 2017, con un secondo capitolo Beyond the demon’s eyes, ancora più intricato ed elaborato, abbracciando anche forti influenze dark prog (The last rites of Edward Hawthorn); in questa seconda opera, si rivede anche un drummer storico dei Manilla, Randy “Trasher” Foxe, attivo nella band dal 1985 al 1990. Gli Hellwell non hanno mai svolto concerti live ed hanno rappresentato una diversa faccia della medaglia di un uomo che ha sempre avuto un forte impulso creativo, sempre all’insegna di una musica di qualità figlia di letture e di una cultura superiore. Nel 2015, Mark pubblica un progetto molto sentito, Obsidian Dreams, dove sono racchiuse nove songs composte in circa quindici anni; quest’opera non ha nulla a che fare con il metallo epico dei Manilla, ma esplora le sue personali radici, dai genitori entrambi musicisti alla provenienza dal Kansas, stato di country music. Songs di bellezza adamantina, pure, vere rette da una chitarra che disegna terse melodie e dà una voce particolarmente sentita ed a suo agio anche in traiettorie molto diverse; sentire oggi Burned o Blood upon the snow, per citarne solo due, è come una lama che si conficca profondamente nel cuore. Disco passato totalmente inosservato, anche perché lo stesso anno i Manilla Road tornano con un progetto importante come The Blessed Curse, incentrato sull’epopea di Gilgamesh; disco doppio, con una prima parte nel tipico ed ispirato stile, grande chitarra sempre suonata magistralmente e vocals giocate tra Mark e “Hellroadie” Patrick, splendide songs come Tomes of Clay o come The Muses Kiss dimostrano che la classe è cristallina e che i Manilla sono imprescindibili. Il secondo disco, chiamato After the Muse, non legato al concept, presenta una serie di brani, sempre gradevoli, ma dediti a un suono con influenze southern e predilige aromi acustici in alcuni tratti. Attività live intensa e si arriva al 2017, quando puntuale la band si ripresenta con To Kill a King, purtroppo, alla luce dei recenti fatti, ultima opera, e la classe rifulge ancora una volta proponendo grandi songs fluide, intense, sincere. Non ci sono altre parole, “chapeau” ad un Artista che in quarant’anni di musica ci ha donato momenti indimenticabili, proponendoci la sua incontaminata arte. La stessa che rifulge anche nel progetto Riddlemaster (del 2017), con Shelton ed il primo batterista dei Manilla, Rick Fisher: un solo disco dal titolo Bring the Magick Down, più legato a sonorità hard rock anni Settanta. Quasi un ritorno alle origini. La parola Origine, del resto, riveste come noto, per chi ha trasposto in musica la più epica sword and sorcery, un grande ed autentico significato.

Warhammer – Massimo Pagliaro

Gabriels – Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers

Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tra i molti talenti della scena della scena metallica tricolore, il tastierista e compositore Gabriels è uno dei più attivi, dai Platens ai molti progetti a cui ha prestato il suo estro, fino alla sua ottima carriera solista che lo ha visto impegnato con il concept dal tragico tema riguardante i fatti dell’11 settembre 2001 (Prophecy) e in seguito l’inizio della saga Fist Of The Seven Stars, con il primo capitolo (Act 1, Fist Of Steel) uscito un paio d’anni fa, del quale questo nuovo lavoro è il seguito.

Tra le due opere il tastierista nostrano ha registrato Over the Olympus – Concerto for Synthesizer and Orchestra in D Minor Op. 1, uscito all’inizio dell’anno e riuscito esperimento nel suo coniugare la musica classica di un’orchestra con i suoni moderni del suo synth.
La firma con Rockshots Records porta dunque alla seconda opera che racconta il mondo del manga giapponese “Hokuto no Ken”, di Tetsuo Hara and Buronson, e le avventure di Kenshiro, uno dei personaggi più noti al grande pubblico.
Come ci ha piacevolmente abituati, Gabriels si contorna di ottimi musicisti e cantati della scena metal nazionale ed internazionale, un gruppo numeroso di ospiti che valorizza il sound creato per la storia che poggia, ovviamente sullo strumento principale suonato dal nostro, ma lascia comunque spazio ad ogni protagonista impegnato nel fare di Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers l’ennesima splendida opera.
Una decina di cantanti, con Wild Steel nei panni di Ken, una serie di ottimi chitarristi, ed una sezione ritmica che vede alternarsi cinque bassisti ed altrettanti batteristi (dei quali scoprirete i nomi in fondo alla recensione per non fare torto a nessuno, visto il livello assoluto di ciascuno) aiutano così Gabriels in questa nuova avventura dal sound rock/metal, melodico e progressivo, a tratti animato dal power, valorizzato da virtuosi interventi solistici del sempre ispiratissimo synth, ma senza mai perdere il filo del racconto in musica, piacevole da ascoltare e, a tratti, esaltato da una vena epica che glorifica bellissime melodie metal/prog.
Più di un’ora di esperienza uditiva tutta da vivere, mentre i personaggi della storia compaiono nella nostra mente al suono delle melodie metalliche incastonate tra lo spartito dell’opener The Search Of Water Bird, della bellissima prog/aor End Of Cobra, dell’epico incedere di Scream My Name e della monumentale Myth Of Cassandra.
Fist Of The Seven Stars Act 2 – Hokuto Brothers risulta l’ennesima opera di spessore per Gabriels, una conferma per chi conosce la sua musica, un’autentica sorpresa se l’album in questione risulta il primo incontro con il talentuoso tastierista e compositore.

Tracklist
01.The search of water bird
02.Cobra clan
03.End of Cobra
04.I see again
05.Scream my name
06.Miracle land
07.I’m a genius
08.Looking for your brother
09.Myth of Cassandra
10.Reunion
11.Legend of fear
12.King of fist

Line-up
Wild Steel (Shadows of Steel) as Ken
Jo Lombardo (Metatrone, Ancestral) as Ray
Rachel “Iron Majesty” Lungs as Mamiya
Dario Grillo (Platens, Violet Sun) as Toky
Alfonso Giordano (Steel Raiser) as Wiggle
Iliour Griften (Beto Vazquez’ Infinity, Clairvoyant) as Amiba
Antonio Pecere (Crimson Dawn) as Raoul
Dave Dell’Orto (Drakkar, Verde Lauro) as Jagger
Beatrice Bini (Constraint, Vivaldi Metal Project) as Aylee
Matt Bernardi (Ruxt) as Cobra Boss

Guitars:
Antonello Giliberto
Francesco Ivan Sante dall’ò
Stefano Calvagno (Metatrone)
Antonio Pantano (Arcandia)
Tommy Vitaly
Frank Caruso (Arachnes)
Daria Domovik (Concordea)
Andrew Spane
Stefano Filoramo

Bass:
Dino Fiorenza (Metatrone)
Beto Vazquez (Beto Vazquez’s Infinity)
Adrian Hansen
Fabio Zunino
Arkadiusz E. Ruth (Path Finder)

Drums:
Mattia Stancioiu (ex-Vision Divine, ex- Labirynth)
Simone Alberti (Gabriels)
Giovanni Maucieri (Gabriels)
Michele Sanna (Coma)
Salvo Pennisi

GABRIELS – Facebook

Surgery – Absorbing Roots

Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola.

I deathsters slovacchi Surgery sono nati all’alba del nuovo millennio e ci hanno messo quasi dieci anni per licenziare il loro primo lavoro, l’ep Pulled by the Rope.

Dopo due anni, esattamente nel 2012 i cinque musicisti provenienti da Poprad debuttarono sulla lunga distanza con l’album Descent seguito sei anni dopo da questa fialetta di nitroglicerina old school chiamata Absorbing Roots.
Il genere offerto è death metal scandinavo, debitore delle storiche band che fecero fuoco e fiamme nei primi anni novanta, con un tocco melodico che per ispirazione non esce dai confini della penisola: Absorbing Roots è servito in tutta la sua carica estrema, esplosivo, a tratti un vero tornado di note da far battere il piedino a gente come Entombed ed At The Gates.
La title track mette subito in chiaro la natura assolutamente devota al genere dei Surgery, quindi niente di innovativo, ma perfettamente in grado di far rivivere l’impatto dei primi leggendari lavori usciti venticinque anni fa dalla scena svedese.
Il refrain lo si canta dopo il primo minuto, mentre Clinic Death, il riff melodico di Paradise su cui il gruppo costruisce un brano in stile Edge Of Sanity, Hands In Chains, potente e dal micidiale groove entombiano, valorizzano un lavoro sicuramente di nicchia ma da scoprire se siete amanti di queste sonorità.
Peccato per la copertina, brutta in verità, ma a noi interessa la musica, quindi Absorbing Roots è assolutamente promosso e consigliato.

Tracklist
1.Absorbing Roots
2.Clinic Death
3.Image in the Mirror
4.Paradise
5.River in Silence
6.Hands in Chains
7.Mental Demise
8.Grime
9.Depressive Reality

Line-up
Rastislav Šelleng – Vocals
Rado Body – Guitars
Miroslav Tatranský – Guitars
Peter Mikolaj- Drums
Robo “Hrdza” Hanečák – Bass

SURGERY – Facebook