The Cascades – Phoenix

I The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Molti tra quelli un po’ meno giovani che, a cavallo tra gli ani ottanta e novanta, si sono beati delle sonorità gotiche che diedero una meritata fama ai Sisters Of Mercy prima e poi ai The Mission, sono inevitabilmente attratti reunion estemporanee, concerti o nuove uscite dagli esiti contraddittori che vedono ancora all’opera antichi eroi come Andrew Eldritch o Wayne Hussey.

A colmare la voglia di riascoltare qualcosa di simile, ma in una verse più attuale, arrivano i tedeschi The Cacasdes, band tutt’altro che composta da giovanotti imberbi, visto che la sua nascita è avvenuta sempre in quei formidabili anni anche se la trentennale carriera è stata molto meno fortunata rispetto a quella dei mostri sacri citati.
Dopo un lungo silenzio il gruppo guidato da Markus Wild ritorna con un lavoro di inediti che si rivela un vero godimento per chi, ai tempi, consumò le proprie copie viniliche di First And Last And Always e Gods’ Own Medicine; da questi questi indizi si può facilmente dedurre che Phoenix potrà avere tuti i pregi di questo mondo fuorché l’originalità ma, sinceramente, non ce ne può importare di meno.
Brani come Dark Daughter’s Diary e Phase 4 entrano sottopelle a grande velocità e fanno precipitare la memoria in un immaginario fatto di personaggi nero vestiti sempre affascinanti e carismatici, anche se a qualcuno oggi potrebbero apparire irrimediabilmente obsoleti.
Essendo un album uscito nel 2018, Phoenix non si nutre esclusivamente di quelle più antiche pulsioni, ma si aggiorna anche alle derive che il gothic sound ha preso in questi tempi, acquisendo il più lascivo incedere melodico dei The 69 Eyes (The World Is Yours) ma anche le asprezze che coincidono soprattutto con gli episodi in lingua madre (Ihr Werdet Sein), senza dimenticare di omaggiare una band formidabile, pur se avulsa da tale contesto, come gli Hüsker Dü coverizzandone in maniera eccellente il brano Diane.
In definitiva, i The Cascades regalano tredici brani davvero gradevoli e ben costruiti, per un risultato finale che non può esser imprescindibile per la sua marcata derivatività ma che resta decisamente pregevole ed oltremodo ben accetto da parte di noi “diversamente giovani”.

Tracklist:
01. Avalanche
02. Blood Is Thicker Than Blonds
03. Dark Daughter’s Diary
04. Phase 4
05. Station No. E
06. Phoenix
07. Behind The Curtain
08. This World Is Yours
09. Superstar
10. Ihr Werdet Sein
11. Zeros And Ones
12. Diane (Hüsker Dü cover)
13. Für F.

Line-up:
M. W. Wild – Vocals
Morientes daSilva – Guitars
Markus Müller – Keyboards / Programming

THE CASCADES – Facebook

Acolytes Of Moros – The Wellspring

C’è un qualcosa nella musica degli svedesi Acolytes Of Moros che fa capire subito che ci si trova di fronte ad un grande gruppo, con un modo di comporre rivolto al cielo più che alla terra.

C’è un qualcosa nella musica degli svedesi Acolytes Of Moros che fa capire subito che ci si trova di fronte ad un grande gruppo, con un modo di comporre rivolto al cielo più che alla terra.

Il trio svedese fa un doom metal molto poco canonico, nel senso che le basi di partenza sono quelle classiche del genere, ma poi si continua per strade non ancora battute. Ad un primo ascolto il suono di The Wellspring potrebbe sembrare minimale, ma è uno dei suoi punti di forza, perché con uno suono ben poco prodotto riescono a tirare fuori delle melodie e delle atmosfere incredibili e molto coinvolgenti. Il groove di questo gruppo è particolare e molto originale, c’è un incessante ricerca di un flusso sonoro che accompagna l’ascoltatore per tutta la durata del disco. Le tracce sono tutte di lunga durata, le narrazioni sono di ampio respiro, ascoltandole non si percepisce che durano molto perché si è totalmente assorti in un suono che ci riporta indietro, in una natura pressoché incontaminata, in cui le stelle alla notte si vedevano ancora e le tenebre erano parte di noi, no n qualcosa da cui fuggire bensì un modo per avanzare nella nostra conoscenza. Come riferimenti musicali si potrebbe dire che c’è molto del doom e qualcosa di gruppi come gli Yob, che spuntano sempre quando le composizioni sono intelligenti e costruite seguendo una struttura. Nonostante esistano dal 2010, questo è l’esordio sulla lunga distanza per gli Acolytes Of Moros, ed è giusto così perché gruppi con questo passo sonoro non possono comporre in fretta, ma necessitano del giusto tempo per far decantare le loro composizioni. Le parti vocali sono eseguite in un modo che accompagna molto bene la musica, come un bardo che canta le sue storie in un ambiente simile a quello raffigurato nella loro copertina. Un disco nettamente sopra la media delle uscite doom metal, comunque in genere di buon livello, e sicuramente molto diversa e assai godibile.

Tracklist
1.Disenthralled from the Trammels of Deception
2.A Yen to Relinquish and Evanesce
3.Forbearance
4.Quotidian
5.Venerate the Dead

Line-up
Christoffer Frylmark – Bass, Vocals
Rasmus Jansson – Drums
Simon Carlsson – Guitars

ACOLYTES OF MOROS – Facebook

MARTYR LUCIFER

Il lric video di Wolf of the Gods, dall’album “Gazing at the Flocks” (Seahorse Recordings).

Il lric video di Wolf of the Gods, dall’album “Gazing at the Flocks” (Seahorse Recordings).

Martyr Lucifer recently released the lyric video for “Wolf of the Gods”

The video has been accomplished by Ciancio Graphics and is the second excerpt from “Gazing at the Flocks”, album released this year by Seahorse Redordings and featuring Adrian Erlandsson (At the Gates, former Paradise Lost) on drums.

La New Wave of Finnish Heavy Metal

Dalla nostra retrospettiva sulla storia culturale e musicale della Finlandia moderna, volta per lo più a presentare una scena notevole ed importante, sono rimasti intenzionalmente fuori alcuni gruppi, di valore, lasciati da parte solo e appunto per trattarli in una sede apposita e appropriata: la presente.

Nel corso degli ultimi cinque lustri, rock ed in particolare metal hanno visto nascere in Finlandia un eccellente numero di nuove band, tutte o quasi dotate di una buona originalità, quindi in linea con il percorso storico nazionale, che ha visto, quasi sempre, gli artisti dell’antica Lapponia muoversi alla ricerca di un’identità personale, non direttamente assimilabile a modelli svedesi o danesi (e lo stesso discorso può farsi ovviamente per la grande scuola norvegese, non solo in ambito black). La cosa si nota, specialmente, quando si parla di estremo, più di rado nel dominio dell’heavy: ad esempio, vi è molto poco da apprezzare nei ruffiani e ripetitivi Battle Beast, che pure vengono spacciati come la new sensation del power mondiale. Il nostro sguardo deve invece rivolgersi altrove.
Nel campo del doom sono assolutamente da annoverare gli Shape of Despair (da pochi anni tornati a calcare le scene su Season of Mist, dopo un periodo d’inattività seguito al mitico debutto), i grandi Swallow the Sun (magicamente sospesi fra il melodic death, il funeral doom ed il folk nordico), i Minotauri (più legati alla grande tradizione dark-doom dei Seventies e, non a caso, pubblicati dalla nostra Black Widow) ed i Profetus.

Il doom atmosferico, con o senza tocchi ambient, è un genere che va, oggi, molto di moda – persino troppo – ma pochi rammentano che a contribuire a crearlo sono stati anche due gruppi finlandesi dal talento indiscutibile. I primi sono stati i Nattvindens Grat: nel 1995 il loro epico e misterioso debut A Bard’s Tale fu un autentico lampo di melodie ancestrali ed arcane, ritmi cadenzati, suoni cristallini quanto potenti, atmosfere medievali e porzioni più (classicamente) rock, sulla scia degli Amorphis più suggestivi. Un capolavoro irripetibile. Buono, anche se più accattivante, fu il successivo Chaos Without Theory, anche a livello lirico meno giostrato rispetto all’esordio su tematiche rinascimentali di magia naturale nordeuropea. Altro progetto imprescindibile per la nascita e la affermazione di ciò che oggi chiamiamo atmospheric doom fu quello dei Legenda fondati nel 1996 da Kimmo Luttinen (batterista e chitarrista degli Impaled Nazarene): un vero e proprio masterpiece il loro Autumnal, fin dal titolo e dalla malinconica copertina. Il disco, con tocchi gotici in stile primi Paradise Lost, vide la luce nel 1997, bissato l’anno dopo dal suo seguito Eclipse.
Passando al death metal, sono da segnalare gli Omnium Gatherum, con diversi lavori in carniere e non privi di gusto melodico, i pionieri e avanguardistici Demilich (una vera meteora), nonché tutte quelle band, di area totalmente underground, rimaste nell’oscurità, con accordature basse e sonorità tra il cupo e l’ipnotico: Demigod, Abhorrence, Xysma, Disgrace e Convulse. Fantastici e assai più conosciuti i Wolfheart (il cui nome viene dal classico dei Moonspell): death melodico, con aperture black, ogni volta a livelli molto alti, come in occasione dell’ultimo, Constellation of the Black Light (2018). Maggiormente spostati su territori BM, invece, i grandissimi Horna, quindi Musta Surma, Sargeist, Nattfof ed i fenomenali Satanic Warmaster, questi ultimi con aperture in taluni passaggi al più oscuro folk nordico. Da avere, di black metal finnico, pure Verge, Wyrd, Desolate Shrine e Witsaus, tra gli altri, nonché – tra black e doom – i seminali quattro lavori degli Unholy, magistrali ed attivi nella prima metà dei Nineties, incredibilmente evocativi.
Molti gruppi si sono poi mossi, ieri come oggi, sul confine (mobile) tra black death, groove death e death doom. Ricordiamo in proposito, tra meteore del passato e nuove leve odierne, i Depravity, Anguish, Messiah, Putrid, Funebre, Adramelech, Lubrificant, Cartilage, Vomituritium, God Forsaken, Paratroops, Mordicus, Chaosbreed, Purtenance, Corporal Punishment, Hateform, Phlegethon, Necropsy, Obfuscation, Mythos, Protected Illusion, Goretorture, Belial, Nomicon, Sotajumala, Immortal Souls, Infera, Cadaveric Incubator e Deathbound. Grandiosi poi, nella scena death-core, sono i Carnifex.
Una realtà a sé stante sono stati i Beherit, nati addirittura nel 1989, molto legati alle scienze occulte ed alla demonologia siriaca. Sino al 1993, hanno suonato un black-death decisamente underground: quattro demo tape, due mini, uno split e due album, davvero neri e glaciali, che – insieme ai carioca Sarcofago – hanno di fatto fondato il war metal, influenzando acts come Impiety, Grave Desecrator, Revenge, i connazionali Archgoat e naturalmente Blasphemy e Marduk. Tra il 1994 ed il 1995, si è verificata, nel sound e nell’approccio stilistico dei Beherit, la svolta in direzione del dark ambient di matrice elettronica.
Un altro immenso gruppo finnico che è partito dal black per approdare a sonorità sperimentali sono gli Oranssi Pazuzu, il cui nome deriva dalla mitologia babilonese. Nati a Tampere, nel 2007, hanno in discografia quattro album, un EP ed uno split (con i Candy Cane).
Il loro è un eccelso BM, ricco di atmosfere progressive e spaziali, a tutti gli effetti fantascientifiche, siderali e futuristiche.

Alcuni degli Oranssi Pazuzu, inoltre, collaborano anche con gli sludge-doomsters Dark Buddha Rising, di fatto i Neurosis della Finlandia, viste le complesse architetture di drone metal occulto che sanno con abilità manipolare.

Chiudiamo con i Circle, lo straordinario gruppo che, non senza orgoglio, è il simbolo stesso della NWOFHM. Nati nel 1991, i finlandesi vantano oggi una discografia a dir poco sterminata, tra mini, dischi, live, partecipazioni a compilation e tributi. Nel loro particolarissimo metal trovano posto tra le altre istanze space e kraut, ambient e prog, math-core e grind. I Circle sono impareggiabili, nella loro disinvolta (e matura) capacità di mescolare le carte, passando dall’hard zeppeliniano ai bagliori cosmici dei primissimi Pink Floyd, dal rumorismo tedesco di Faust/Neu/Can alle oscure dissonanze dei King Crimson (periodo 1973-74). Sono la perfetta sintesi di passato e presente, di art rock e di metal. Attrazione dell’olandese Roadburn Festival, si sono aperti al post rock ed hanno sperimentato con i sintetizzatori come pochi altri, in questi ultimi vent’anni.

I membri dei Circle, inoltre, suonano o hanno suonato anche in altri gruppi o progetti paralleli, di ragguardevole interesse, dedicati a tutti o quasi i generi musicali, che coprono la gamma storica dell’hard & heavy: si va infatti dagli stoners Pharaoh Overlord agli AOR Falcon di Frontier (il miglior disco nel settore in Finlandia, dai tempi degli Heartplay, che uscirono per la tedesca MTM), dai feroci Steel Mammoth agli altrettanto duri Krypt Axeripper (entrambi i gruppi a cavallo tra speed metal, crust punk e black-grind), dagli Iron Magazine agli Extroverde, dai Plain Ride Almosta ai Lusiferiinin, per citare, qui, soltanto alcune delle sigle sotto le quali i Circle hanno operato ed operano tuttora. Qual è il significato di tutto ciò? Dimostrare semplicemente la vitalità del metal finnico e più nella fattispecie illustrare la bellezza di tutti i generi che albergano all’interno di esso, dagli scenari più solari e melodici, sino a quelli dark e sperimentali. Versatili al pari di pochissimi altri, i Circle amano pertanto tutta la musica. Una vera e propria lezione, per coloro che ascoltano, solo in base ai propri gusti soggettivi, unicamente alcuni generi. Oltre al metal – in ogni sua forma e declinazione, come si è detto – i Circle amano alla follia il kraut rock spaziale della Germania anni ’70, su tutti i leggendari Faust. Non casualmente, il rinato gruppo di Wumme ha inciso per la loro etichetta, la Ektro, il live Kleine Welt, registrato nel 2006-07 e prodotto dai Circle nel 2008.
Segnalare in questa sede i migliori dischi dei Circle non è certamente un’impresa facile, alla luce di qualità e quantità delle loro infinite produzioni. Senz’altro, occorre procurarsi senza indugi Rautatie (2010), Hollywood (edito dalla Viva Hate di Berlino), Tulikoira e Forest (forse i loro dischi più dark metal), Telescope (inciso in concerto, al Cairo di Wurzburg, nel 2003), Raunio (naturalistico e quasi folk), Taantumus e Prospekt (orientati sullo sludge-drone), Soundcheck (registrato dal vivo, il 31 di ottobre 2009, nella loro terra) ed i più recenti Sunrise (um omaggio alla West Coast degli anni d’oro) e Terminal (apparso per la Southern Lord nel 2017). Una band veramente formidabile, che sa fare la storia in questo delirante terzo millennio.

Dazagthot
(in collaborazione con Michele Massari e Massimo Pagliaro)

RED B. – Night’s Callin’

Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Torna a ruggire uno dei personaggi storici del metal tricolore, Red Bertoldini, batterista e cantante dei Dark Lord (è dello scorso anno la reunion) e di un’altra manciata di gruppi, con un nuovo album solista sotto il monicker di RED B.

Night’s Callin’ è il suo terzo lavoro, dopo Red Bertoldini, uscito nel 2014 e Just Another Hero dell’anno successivo: qui il vocalist veneto è accompagnato da tre ottimi musicisti come Tony T. alla batteria, Edo alla chitarra e Gilberto Ilardi al basso.
Night’s Callin’ risulta un graffiante esempio di hard & heavy classico, con le sue radici ben piantate tra gli anni ottanta ed il decennio precedente, con il cantante che non accusa minimamente il passare degli anni e ruggisce da par suo su brani potenti ed agguerriti come Fallin’ Through The Sky ed Everybody, avvio esplosivo di questo ottimo lavoro.
Sfumature southern accompagnano il singer sulle ballad I’ve Been Killing e The End, mentre la conclusiva A Man In The Mirror ricorda la Blindman degli Whitesnake del classico Ready An’ Willing.
Il resto dell’album varia tra scelte stilistiche orientate verso l’hard & heavy ottantiano (Into The Street e la title track) ed altre in cui un’anima blues si impadronisce della bellissima Bad Woman, brano che sembra uscito dalla tracklist dell’unico ed irripetibile album frutto della collaborazione tra David Coverdale e Jimmy Page.
Night’s Callin’ è un’opera senza tempo come senza tempo è un genere come l’hard’n’heavy classico quando è composto da belle canzoni suonate e, soprattutto, cantate alla grande da un’artista di spessore come Red Bertoldini.

Tracklist
1.Fallin’ Though The Sky
2.Everybody
3.I’ve Been Killing
4.Into The Street (Intro)
5.Into The Street
6.Night’s Callin’
7.Lookin’ Stars From The Sea
8.The End
9.Bad Woman
10.A Man In The Mirror

Line-up
Red Bertoldini – Lead Vocal
Tony T. – Drums
Edo – Guitars
Gilberto Ilardi – Bass

RED B. – Facebook

Marius Danielsen – Legend Of Valley Doom-Part 2

Settanta minuti immersi nel mondo epico fantasy creato da Danielsen, per quella che ad oggi è una delle più riuscite opere del genere e che, sul finire degli anni novanta avrebbe sicuramente trovato più gloria: una considerazione che non sminuisce certo il valore artistico di Legend Of Valley Doom-Part 2.

L’Oscuro Lord sconfisse Valley Doom e King Thorgan cadde in battaglia. I Doomiani della Valle sono costretti così a fuggire verso i loro alleati ad ovest, nel regno di Eunomia.
Spetta al Re Guerriero guidare il popolo di Valley Doom verso la salvezza e, insieme King Eunotrian e Arigo the Wise hanno bisogno di trovare un modo per sconfiggere il Signore Oscuro.

La Crime Records licenzia il secondo capitolo della saga fantasy Legend Of Valley Doom, creata dal musicista cantante e compositore norvegese Marius Danielsen, un passato nei Darkest Sins ed un presente a giocarsela con Tobias Sammet ed i suoi Avantasia a chi farà sognare di più gli amanti delle power metal opera.
Legend Of Valley Doom-Part 2 non si discosta né dal primo capitolo né dalle tante opere che qualche anno fa invasero il mercato metallico classico sulla scia dei primi bellissimi lavori di Avantasia, Rhapsody e quello che rimane il maggior responsabile di questa invasione, Land Of The Free, capolavoro inarrivabile dei Gamma Ray.
Epico, piacevolmente orchestrale senza essere ridondante e valorizzato da una serie una quantità di ospiti infinita, l’opera non cambierà sicuramente le sorti della musica ma rimane un bellissimo esempio di power metal che prende ispirazione dalle varie scuole europee, legato indissolubilmente a coordinate stilistiche che conosciamo benissimo.
Si diceva degli ospiti: a parte gli amici e colleghi dei Darkest Sins, già presenti nel primo capitolo, c’è veramente di che stropicciarsi occhi e orecchie per la qualità e la quantità di talenti impegnati a valorizzare gli undici brani dell’album (vi rimando quindi ai dettagli in calce all’articolo), un esercito di musicisti e cantanti chiamati a raccontare le vicende di questo secondo capitolo.
Settanta minuti immersi nel mondo epico fantasy creato da Danielsen, per quella che ad oggi è una delle più riuscite opere del genere e che, sul finire degli anni novanta avrebbe sicuramente trovato più gloria: una considerazione che non sminuisce certo il valore artistico di Legend Of Valley Doom-Part 2.

Tracklist
1. King Thorgan’s Hymn
2. Rise of the Dark Empire
3. Gates of Eunomia
4. Tower of Knowledge
5. Visions of the Night
6. Crystal Mountains
7. By the Dragon’s Breath
8. Under the Silver Moon
9. Angel of Light
10. Princess Lariana’s Forest
11. Temple of the Ancient God
12. We Stand Together
13. Tower of Knowledge (Vinny Appice Version / CD-BONUSTRACK)
14. Crystal Mountains (Vinny Appice Version / VINYL-BONUSTRACK)

Line-up
Vocals:
Michael Kiske (Helloween, Avantasia, Unisonic)
Tim Ripper Owens (ex-Judas Priest)
Blaze Bayley (ex-Iron Maiden, Wolvesbane)
Olaf Hayer (ex-Luca Turilli, Symphonity)
Michele Luppi (Whitesnake, ex-Vision Divine)
Daniel Heiman (ex-Lost Horizon, Harmony)
Mark Boals (ex-Yngwie Malmsteen)
Alessio Garavello (ex-Power Quest, A New Tomorrow)
Mathias Blad (Falconer)
Jan Thore Grefstad (Highland Glory, Saint Deamon)
Diego Valdez (Helker, Iron Mask)
Raphael Mendes (Urizen)
Per Johansson (Ureas)
Kai Somby (Intrigue)
Simon Byron (Sunset)
Anniken Rasmussen (Darkest Sins)
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Marius Danielsen (Darkest Sins)

Bass:
Jari Kainulainen (ex-Stratovarius, Masterplan)
Magnus Rosén (ex-HammerFall)
Barend Courbois (Blind Guardian)
Jonas Kuhlberg (Cain’s Offering)
Giorgio Novarino (ex-Bejelit)
Rick Martin (Beecake)

Guitars:
Bruce Kulick (ex-KISS)
Matias Kupiainen (Stratovarius)
Jennifer Batten (ex-Michael Jackson)
Tom Naumann (Primal Fear)
Tracy G (ex-Dio)
Jens Ludwig (Edguy)
Jimmy Hedlund (Falconer)
Timo Somers (Delain)
Olivier Lapauze (Heavenly)
Luca Princiotta (Doro)
Andy Midgley (Neonfly)
Mike Campese
Billy Johnston (Beecake)
Sigurd Kårstad (Darkest Sins)
Marius Danielsen (Darkest Sins)

Keyboards:
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Steve Williams (Power Quest)

Drums:
Stian Kristoffersen (Pagan’s Mind)
Vinny Appice (ex-Dio, ex-Black Sabbath) – On bonus tracks
Choirs:
Marius Danielsen (Darkest Sins)
Peter Danielsen (Darkest Sins)
Jan Thore Grefstad (Highland Glory, Saint Deamon)
Anniken Rasmussen (Darkest Sins)
Alessio Perardi (Airborn)

MARIUS DANIELSEN – Facebook