Weltschmerz

Il video di Threnody For Those Who Wander Under the Sun, dall’album Illustra Nos (Redefining Darkness Records).

Il video di Threnody For Those Who Wander Under the Sun, dall’album Illustra Nos (Redefining Darkness Records).

Dutch black metallers Weltschmerz just released the first video for the song Threnody For Those Who Wander Under the Sun. The track comes from their 2018 album ‘Illustra Nos’, which was released by Redefining Darkness Records. It showcases the bands development over the last ten years and incorporates more sinister and dissonant elements into its sound.
What the press has written about Illustra Nos so far:

“All in all, Illustra Nos is an incredible black metal album that channels all the greatness of the 90s black metal scene and adds a lot of modern and progressive elements to it, resulting in a unique, yet traditional sound that is sure to be enjoyed by fans of oldschool and modern black metal alike.” – Metal Soliloquy

“In my opinion this is another great sounding recording from Weltschmerz and if you are a fan of raw and aggressive black metal, you should check out this album.” 8/10 – Occult Black Metal Zine

“As far as I am concerned, this is a major step forward for this Dutch band. ‘Illustra Nos’ can serve for both fans of trve nineties black metal as for lovers of the recent wave of atmospheric black metal.” 8/10 – Lords of Metal

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Pressor – Weird Things

Pesanti come macigni, i quattro brani che compongono questo ep non lasciano scampo: nel genere i Pressor sono un gruppo sicuramente da seguire nelle sue prossime mosse.

La lava scende inesorabile dalla lontana Russia e brucia migliaia di chilometri, violentando l’ovest per poi esplodere in un fragoroso boato stoner sludge metal.

Pesantissimo, stonato e psichedelico arriva, trasformando tutto in un letale magma metallico il nuovo lavoro dei Pressor, combo russo dalla discografia che dal 2012 si dipana in ep e split.
Formata da musicisti dal passato doom/death e black metal, la band sforna l’ennesimo e monolitico tsunami di magma vulcanico intitolato Weird Things, composto da quattro brani aperti dal lento incedere della monolitica Heavy State, oppressivo ed ossessivo episodio che sfocia nella più dinamica title track, stone nell’indole pur mantenendo intatta l’anima estrema della proposta.
Gli strumenti formano un muro sonoro invalicabile e Tripping Deep torna a rallentare la corsa, valorizzata da ottimi intrecci ritmici.
Tastiere settantiane fanno da tappeto a Hexadecimal Unified Insanity, traccia conclusiva e brano più americaneggiante del lotto, salutandoci prima d’essere fagocitati dall’onda lavica alzata dai quattro rockers russi.
Pesanti come macigni, i quattro brani che compongono questo ep non lasciano scampo: nel genere i Pressor sono un gruppo sicuramente da seguire nelle sue prossime mosse.

Tracklist
1.Heavy State
2.Weird Things
3.Tripping Deep
4.Hexadecimal Unified Insanity

Line-up
Stas – guitar, vocals
Anton – guitar, vocals
Denis – bass
Danya – drums

PRESSOR – Facebook

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Sulphur Aeon – The Scythe Of Cosmic Chaos

Questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.

Dal più profondo abisso dell’inferno arriva ad oscurare il cielo di questa fine d’anno 2018 The Scythe Of Cosmic Chaos, ultimo di tre mostruosi parti estremi dei deathsters tedeschi Sulphur Aeon.

Un terremoto che a livello underground non lascia scampo, un death metal alimentato da maligne presenza black in un’atmosfera da girone infernale: questo lavoro si colloca tra le migliori produzioni del genere, ad uso e consumo di chi ha storto il naso per la svolta “dark/gotica” dei sempre fondamentali Behemoth.
The Scythe Of Cosmic Chaos porta in sé quell’attitudine senza compromessi che è di molte band che si muovono nei meandri del metal estremo, quindi ancora più violento, oscuro e diabolico degli ultimi spartiti dello storico gruppo polacco.
Il genere è quello, un minimo di confronto con la band di Nergal è quasi dovuto, ma i Sulphur Aeon non sono sicuramente un gruppo da archiviare come cloni di realtà più famose, in questi cinquantun minuti di musica esce prepotentemente il talento estremo del gruppo che si traduce in cascate di riff che bruciano nell’inferno, fiumi di note che creano vortici e mulinelli dove se si cade, si apre una porta per la casa del demonio intento a suonare un death metal maligno, tra potenti mid tempo, atmosfere blasfeme ed un tocco di oscura e gotica ispirazione che ne alza il valore compositivo.
Otto anni dopo l’inizio dell’attività e dopo due album che mettevano le basi per qualcosa di più grande (Swallowed by the Ocean’s Tide del 2013 e Gateway to the Antisphere del 2015) la band tedesca arriva al suo apice compositivo con The Scythe Of Cosmic Chaos, lavoro letteralmente da adorare e ricoo di autentiche perle estreme come Yuggothian Spell, Veneration Of The Lunar Orb e Lungs Into Gills e di magnifiche atmosfere morbose e diaboliche.

Tracklist
1.Cult of Starry Wisdom
2.Yuggothian Spell
3.The Summoning of Nyarlathotep
4.Veneration of the Lunar Orb
5.Sinister Sea Sabbath
6.The Oneironaut – Haunting Visions Within the Starlit Chambers of Seven Gates
7.Lungs into Gills
8.Thou Shalt Not Speak His Name (The Scythe of Cosmic Chaos)

Line-up
T. – Guitars, Bass
M. – Vocals
D. – Drums
S. – Bass
A. – Guitars

SULPHUR AEON – Facebook

San Leo – Y

Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste.

Il duo riminese San Leo è un gruppo che usa la musica per contornare un universo profondo e tutto da scoprire.

Le composizioni sono molto ben strutturate e sono assolutamente slegate dalla forma canzone, possiedono un ritmo ed una vita tutta loro e molto particolare; questo è l’ultimo capitolo della trilogia comincia con XXIV nel 2015 e proseguita con Dom nel 2017, un lungo percorso esoterico di ricerca sia spirituale che musicale. La musica vera e profonda, con un significato anche nel suono oltre che in ciò che si vuole dire, è come questa dei San Leo, che non ha in pratica un genere di riferimento, ma scaturisce da una sorgente profonda che è arcaicamente insita dentro di noi. I titoli lunghi, in un’era come la nostra connotata dal simbolismo dell’eiaculazione precoce in cui tutto deve essere veloce e chiaro, sono già poesie e prese di posizione di per sé, e si accompagnano benissimo alla musica. Il duo chitarra e batteria è una forma diffusa nel mondo della musica, e ne abbiamo alcuni validi esempi anche qui in Italia, ma dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora in questo ambito, perché questo è un processo alchemico che non vi lascerà come prima. Inutile cercare di usare qui la dicotomia musica facile e comprensibile versus musica difficile e intellettuale: qui c’è la musica che ricerca, che va incessantemente avanti, senza fermarsi per farsi acclamare. Le idee sono molte e tutte molto valide e ben congegnate, il dipanarsi della trama ha un senso ben compiuto, che però cela moltissimo di quello che non si vede e che si deve scoprire, e per tutti avrà un significato diverso, perché siamo tutti ricettori differenti. Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste. Y è un disco incredibile per una traiettoria musicale unica in Italia, supportata da varie e notevoli etichette italiane.

Tracklist
1) Una presenza, una doppia entità nascosta nell’ombra: tra le fenditure del legno risiedeva il riflesso
del vero volto
2) La lama in attesa, la vertigine di un gesto inesorabile, l’eco sinistra delle urla del re
3) Lasciami precipitare come pioggia di meteore: a me fuoco e distruzione, a me catastrofe e
rinascita
4) Nella risacca udì la voce della mutazione marina, un mormorio di ossa tramutate in conchiglie

Line-up
Marco Tabellini – guitar
Marco Migani – drums

SAN LEO – Facebook

Un mito di Francia: i Massacra dal thrash al death

I transalpini Massacra, per quanto grandi e fondamentali, non vengono mai adeguatamente ricordati dalla storiografia metal. Eppure, si tratta di una band storica e di livello assoluto. Sono stati i primi in Francia e tra i primissimi in Europa a traghettare il thrash nella direzione del death metal, insieme ai più longevi connazionali Loudblast.

Il gruppo si costituì nel 1986 a Franconville, nell’Ile-de-France, attorno al leader Fred Duval (voce e chitarra, dopo un inizio come batterista), con Pascal Jorgensen (basso), Jean-Marc Tristani (chitarra) e Chris Palengat (batteria), tutti appassionatissimi di heavy classico e di speed metal. Tra il 1987 e il 1989, i Massacra registrarono tre demo tapes e nel 1990, per la tedesca Shark, apparve finalmente il disco di debutto, lo straordinario e pionieristico Final Holocaust, dal titolo del loro secondo nastro, inciso nel 1988. Fu un esordio davvero fenomenale, che rileggeva in termini personali e originali la lezione europea di Protector, Kreator, Coroner, Pestilence, Merciless, Cancer e Messiah, guardando anche a quanto giungeva allora dagli USA (Possessed, Sadus, Morbid Angel, Master, Morbid Saint) e dal Sud America (Sepultura).
La fanfara annuncia Apocalyptic Warriors un brano essenziale (tratto dal demo culto Nearer from Death), che racchiude nei suoi cinque minuti di puro orgasmo sonoro, quanto di meglio abbia potuto offrire – in quegli anni – il combo francese. Un Death Metal veloce, impreziosito dai classici mid-tempo thrash che, nei primi anni novanta, rappresentavano il core di un qualsiasi brano death. Si arrivava dal thrash ottantiano, e nessuno poteva (e riusciva, anche volendo) esimersi dal reinterpretare il genere di Destruction, Kreator, e Sodom, qualora avesse voluto approcciarsi all’emergente Death Metal (almeno per quanto riguarda l’Europa). Accelerazioni improvvise (ma mai casuali) calate in una caldaia di thrash ribollente, in una fusione perfetta, tra due generi simili per tanti versi, in un connubio matrimoniale quasi perfetto. Suoni sporchi di fango e grezzi come il marmo ancora da scolpire si, come nel secondo brano Researchers of Tortures, fondamento di tale amalgama, ma lindi e candidi nella loro purezza primeva . Certo, la corsa perdifiato di Sentenced For Life (anch’esso dal demo del 1989), faceva già desumere che i Massacra fossero più propensi a ritmi veloci ed accelerazioni , in una ricerca della velocità più tipica dei un Death Metal emergente, che del consolidato thrash europeo – siamo nel 1990 – già allora realtà imprescindibile. Ma lo spedito drumming di Chris Palengat non è mai violenza fine a se stessa; come in War Of Attrition (uno dei brani più famosi del combo francese), che risulta essere un meraviglioso ed ordinato cagliostrico miscuglio di mid-tempo thrash e scale Death. La sapiente bravura del drummer emerge in tutto il suo splendore nel brano successivo – Trained to Kill – vera ovazione per i tedeschi Kreator (ad onor del vero il compianto Fred “Death” Duval canta proprio “alla Petrozza” impreziosendo ulteriormente il brano).
Rivista ma non troppo, la famosa title track del citato “cult” del 1989. Nearer from death è un’ulteriore conferma di quanto i Nostri sapessero il fatto loro. Un capolavoro assoluto che ha ispirato centinaia di band dal 1990 ad oggi. Insegnare si sa, diventa facile solo quando si è imparato bene. E i Massacra hanno saputo trarre dall’esperienza di band primeve tutto l’essenziale, per trasmettere il loro sound originale (per quegli anni) e soprattutto sono riusciti a debuttare con un album che non conosce down ma solo up; mai cadute, in un’iperbole di favolosi brani, come nei successivi – meno famosi ma non per questo meno affascinanti – Final Holocaust ed Eternal Hate, che insieme alla finale The Day Of Massacra (auto celebrazione ed elogio a violenza e distruzione) ci accompagnano alla fine di un album che era già storia nel 1991, e che ora è oramai leggenda.

Lungi dal cullarsi sugli allori e incuranti della crisi che iniziava ad innescarsi nel movimento thrash, i Massacra proseguirono lungo la propria strada, continuando a perfezionare il loro perfetto mix di thrash e di death primevo, con i successivi Enjoy the Violence (1991) e Signs of the Decline (1992), altri due dischi stupendi, creativi e violenti, tecnici ed ottimamente suonati, sorretti da una scrittura musicale sempre più matura, con testi solo in apparenza banali e capacità non comuni.
Ripetere il successo di un debutto/capolavoro è per pochi – se non per quasi pochissimi – ed in effetti, Enjoy The Violence – uscito l’anno successivo di Final Holocaust, nel 1991 – è un album che perde un po’ del primitivo pathos che il combo aveva trasmesso alle moltitudini, donandoci però in cambio un album maturo, adulto, completo sotto ogni punto di vista. Una struttura studiata nei minimi dettagli, senza mai sbavature o eccessive cadute, che consacra i francesi a veri Prime Mover del genere, elargendo sapienti “consigli” a cui hanno attinto centinaia di band, nel mondo di allora, sino ai giorni nostri. E così Enjoy The Violence scivola via gradevole (grazie anche ad una produzione di gran lunga superiore a quella del debutto) come sabbia tra le dita, ma non senza lasciarci granelli di erudita musica, da cui raccogliere l’essenziale. Brani come la title-track o Gods of Hate e ancora Atrocious Crime ci colpiscono come un pugno nello sterno, facendoci barcollare, ma non arretrare, coraggiosamente spavaldi, “petto in fuori”, pronti ad accogliere nuove percosse. L’incontro con l’Obituariana Full Of Hatred, rinnova la nostra consapevolezza della capacità dei Massacra, di sapere attingere dal passato, rieditare e rinnovare, interpretando soggettivamente quanto il “mercato” di allora proponeva. Brano splendido, lento quanto basta, dopo tanta furia sonora, che però non tarda ad arrivare, nella cortissima Seas Of Blood, semplice nella sua struttura di alternanze mid and up, che sciorina, in soli due minuti (!) una serie impressionante di cambi, in un lasco di tempo davvero breve, mostrando bravura e capacità uniche, come nell’ultima Agonizing World, il loro pezzo più floridiano (pare uscito da un album dei Morbid Angel di allora).
Anche nei brani un po’ più minimalisti ed essenziali dell’album quali Near Death Experience e Sublime Extermination, i Massacra sono capaci di trasmettere all’ascoltatore un’energia unica, che ci assorbe totalmente, proiettandoci con la mente ai primi novanta quando, ciò che oggi appare semplice e scontato, allora era novità, coraggiosa sperimentazione e – soprattutto – difficile creazione, poiché, quando sei un Prime Mover, non puoi certo copiare, quello che nessuno, prima di te, ha mai realizzato.

Signs Of The Decline, forse è stato solo un album sfortunato, o forse (visto il titolo) si è un po’ portato sfortuna da solo. Fatto sta che nel 1992, i Massacra avevano – purtroppo – già perso l’appeal degli esordi; molto più di quanto ci si aspettasse.
Intendiamoci, l’album è il risultato di finimenti artistici, dovuti principalmente all’improvement degli strumentisti. Qui, il frontman Tristani da il meglio di se stesso con riff sapienti, potenti e curati. Il nuovo drummer Limmer è una vera macchina da guerra e le parti vocali di Jorgensen – oramai totalmente growl – sono impressionanti. Il Death oramai la fa padrone, dimenticando quasi totalmente le fasi thrash, che tanto hanno caratterizzato gli esordi. Brani come Evidence of Abominations o Mortify Their Flesh sono veri calci in bocca, traumatici nella potenza e scioccanti nella velocità; ma quando ti accorgi che Excruciating Commands risulta molto simile alla precedente Traumatic Paralyzed Mind, forse realizzi che qualcosa è cambiato. Quando hai la consapevolezza che stai ascoltando qualcosa di bello ma di già sentito, alla fine, un ottimo album – quale è Signs Of The Decline – lascia un po’ di amaro in bocca; e non basta l’ultima (perfetta) track – Full Frontal Assault – a farti cambiare opinione. Un brano Morbid Angel style, direttamente (forse troppo) da Blessed Are The Sick, ma strutturata nel corpo del mid-tempo centrale, come un brano dei Pantera, anzi, forse, troppo Pantera, quasi un preludio al definitivo (e triste) cambiamento del 1994.

Dopo tre album, purtroppo, l’etichetta non rinnovò loro il contratto e i Massacra approdarono così in casa Vertigo, distribuita dalla Phonogram. Quando, dopo un anno di pausa, nel 1994, uscì il nuovo disco in studio, intitolato Sick, si intuì subito che molta magia si era persa: di fronte a nuove mode e tendenze musicali, con il nuovo batterista Matthias Limmer, i Massacra provarono senza successo a cercare rinnovate ed ulteriori direzioni sonore, guardando da un lato ai Metallica ed ai Demolition Hammer, dall’altro al nascente groove metal. Intendiamoci: Sick non era certo spregevole, anzi, però non era sincero nel suo cambiamento e in molti, tra fans e critici, provarono nostalgia per i primi tre capolavori del combo francese. La nuova strada intrapresa dai Massacra fu tuttavia confermata, nel 1995, da Humanize Human, pubblicato dall’inglese Rough Trade con un nuovo avvicendamento alle percussioni (ora dietro le pelli sedeva Bjorn Crugger) ed una tendenza al groove ancor più marcata e insistita. Il riscontro, peraltro, fu minimo. Intanto Fred Duval iniziò a avere gravi problemi di salute e, quando un brutto male se lo portò via – il 6 giugno 1997, all’età di soli ventinove anni –, il gruppo si sciolse. Alcuni membri dei Massacra confluirono nel progetto industrial metal Zero Tolerance, i quali realizzarono per la Active Records un disco, passato sotto silenzio. In poco più di dieci anni – come una candela che brucia da ambo le parti – tutto era finito ed uno dei più grandi gruppi francesi di sempre si era infine consegnato alla storia. Postume sono apparse, in seguito, le due compilation Apocalyptic Warriors Part 1 (2002) e Day of the Massacra (2013). I primi tre indimenticabili dischi della band, nel 2014, sono stati finalmente ristampati dalla Century Media ed ancora risplendono in tutta la loro luce. Vi è non poca nostalgia nelle parole di chi scrive, anche per l’irripetibile stagione di cui i Massacra sono stati alfieri e protagonisti di assoluto primo piano a livello internazionale.

(a cura di Dazagthot e Michele Massari)