Millencolin – SOS

Racconti di giorni come tutti e quindi dove non tutto va bene anzi, ma con la ferma sicurezza che musica come contenuta quella in Nothing sia un qualcosa che ci accompagna da tanti anni e che lo farà ancora per molto.

Quando sei in giro dal 1992 e hai pubblicato otto dischi, hai creato un sottogenere del punk rock chiamato softcore, non è facile dire ancora qualcosa, invece i Millencolin riescono sempre a darci delle gioie in questi anni difficili.

Il mondo gira sempre peggio ma loro ci sono sempre, e dopo quattro anni dal precedente True Brew ci regalano un altro grande disco. Non aspettatevi grandi stravolgimenti o innovazioni incredibili, ma qualcosa di ancora più profondo e difficile, ovvero la capacità di reinventarsi e di continuare ad essere interessanti e piacevoli, portando avanti dei temi ben precisi. I Millencolin hanno una declinazione unica di un suono comune e diffuso come il punk rock tendente all’hardcore melodico, hanno attraversato molte epoche, fin dai loro inizi sulla mitica etichetta svedese Burning Heart, in un momento di grande visibilità per quel suono e quelle tematiche. Nel 2019 questi svedesi ci sono ancora, sono cresciuti con noi e fanno sempre musica piena di qualità e di grande melodia, e ci parlano di vite che sono le nostre. Canzoni come quella che dà il titolo al disco rendono ben chiaro cosa sia il gruppo svedese, ovvero qualcosa che quando ci metti il cuore sopra non ti delude mai. SOS è tra l’altro uno dei loro episodi migliori in una discografia che non ha mai conosciuto grandi cadute, ma solo qualche momento di stanca con dischi magari non troppo convinti, cosa che ci sta per un gruppo che ha sempre dimostrato la giusta insofferenza verso l’inumana industria discografica che ti porta a stare anni lontano dalla tua famiglia (infatti i Millencolin si presero una pausa di due anni fra il 1997 ed il 1999). Qui c’è tutto quello che un loro fan accanito si aspetta da loro, melodie gentili che esplodono e non ti lasciano più, softcore al cento per cento. Il softcore non è qualche pratica porno per impiegati o donne educate, ma un modo di fare punk rock adeguato alla propria vita e al proprio modo di essere, non tutti siamo skinhead che vanno all’assalto dei mods sulla spiaggia di Brighton. Vite che sembrano normali, ma fatte di pezzi che necessitano di grande maestria per tenerli assieme senza far crollare il tutto. Racconti di giorni come tutti e quindi dove non tutto va bene anzi, ma con la ferma sicurezza che musica come contenuta quella in SOS sia un qualcosa che ci accompagna da tanti anni e che lo farà ancora per molto. Non è un tornare indietro a tempi ormai andati, ma è andare avanti con suoni, parole e visi che invecchiano senza che la trama cambi. Grazie Millencolin, come sempre, c’eravate al mio esame di maturità e ci siete oggi che vi ascolto con mia figlia.

Tracklist
01. SOS
02. For Yesterday
03. Nothing
04. Sour Days
05. Yanny & Laurel
06. Reach You
07. Do You Want War
08. Trumpets & Poutine
09. Let It Be
10. Dramatic Planet
11. Caveman’s Land
12. Carry On

Line-up
Nikola Sarcevic – Vocals & bass
Mathias Färm – Guitar
Erik Ohlsson – Guitar
Fredrik Larzon – Drums

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Queensrÿche – The Verdict

The Verdict è un ritorno più che valido e che permette al gruppo di affrontare nuovi tour con la consapevolezza di essere ancora una band con molto da dire e non una sorta di auto-cover band come appaiono tanti reduci dagli anni ottanta.

La curiosità rispetto a come avrebbe suonato il nuovo album di una delle band più influenti del metallo progressivo mondiale non era poca, a quattro anni di distanza dall’ultimo lavoro che, per un gruppo con quasi quarant’anni di carriera sulle spalle, possono diventare un’eternità.

Ed invece The Verdict risulta un album fresco e potente, in cui le sfumature progressive sono meno in risalto che in passato e dove il mestiere del nuovo vocalist (ed in questo caso anche batterista, per la defezione dello storico Scott Rockenfeld) si fa sentire eccome.
Attenzione ho parlato di mestiere e non di talento, volutamente, e non perché Todd La Torre non ne abbia, anzi, ma è indubbio che la sua prova vocale copre il buco lasciato da Geoff Tate definitivamente, tirando fuori grinta e quel poco di personalità che forse mancavano nei due lavori precedenti, richiamando quando lo si richiede il leggendario singer, mettendosi in gioco pure come batterista e facendo il suo egregiamente, senza far gridare al miracolo in tutti e due i casi.
The Verdict dunque è un album in cui la parte del leone la fanno le canzoni, potenti e metalliche, valorizzate da una produzione moderna e cristallina, con refrain e chorus dal tasso melodico di categoria superiore, anche se ovviamente l’olimpo del metal progressivo non è più cosa per lo storico gruppo di Seattle.
L’album, se lo si prende per quello che è, non delude: l’errore di paragonare il nuovo corso della band con il passato remoto sarebbe troppo facile e non darebbe il giusto risalto ad una tracklist che se, invece, la si confronta con tante opere odierne, merita un posto di rilievo.
Blood Of The Levant, brano che parla della guerra in Siria ed apertura epico drammatica per uno degli album più U.S. power dell’intera discografia dei Queensrÿche, mette subito in chiaro l’atmosfera che regna in The Verdict: Light-Years, la potentissima Propaganda Fashion, lo splendido mid tempo di Bent sono le gemme metalliche che fanno di questo nuovo album un ottimo motivo per tornare a parlare del gruppo, ormai saldamente in mano al chitarrista Michael Wilton.
The Verdict è un ritorno più che valido e che permette ai Queensrÿche di affrontare nuovi tour con la consapevolezza di essere ancora una band con molto da dire e non una sorta di auto-cover band come appaiono tanti reduci dagli anni ottanta.

Tracklist
1. Blood of the Levant
2. Man the Machine
3. Light-years
4. Inside Out
5. Propaganda Fashion
6. Dark Reverie
7. Bent
8. Inner Unrest
9. Launder the Conscience
10. Portrait

Bonus Disc (European Box Set Edition Only)
1. I Dream in Infrared (Acoustic)
2. Open Road (Acoustic)
3. 46° North
4. Mercury Rising
5. Espiritu Muerto
6. Queen of the Reich – Live 2012
7. En Force – Live 2012
8. Prophecy – Live 2012
9. Eyes Of A Stranger – Live 2012

Line-up
Todd La Torre – Vocals, Drums
Michael Wilton – Guitar
Parker Lundgren – Guitar
Eddie Jackson – Bass

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Buckcherry – Warpaint

I Buckcherry non hanno raccolto quello che ci si aspettava all’indomani dell’uscita dei primi due lavori, anche per scelte compositive del suo leader mal digerite da molti fans e addetti ai lavori, e in tal senso anche Warpaint non fa eccezione, per cui prendere o lasciare.

La Century Media ha deciso di andarci giù duro con il rock ‘n’ roll e a distanza di una settimana l’uno dall’altro mette sul mercato i nuovi lavori di due icone del genere, almeno per quanto riguarda le ultime battute del vecchio secolo: gli svedesi Backyard Babies e gli statunitensi Buckcherry.

Neanche il tempo di riabbracciare Borg e Dregen che quell’animale rock’n’roll di Josh Todd reclama la giusta attenzione per sè stesso e la sua band, a distanza di un anno dal suo secondo album solista con Josh Todd & The Conflict, progetto a cui questo nuovo lavoro deve non poco.
Rock’n’roll di scuola Aerosmith, hard rock e divagazioni mainstream e nere, fanno di Warpaint un lavoro duro e deciso, con la band convincente nel proporre un rock d’assalto, americano fino al midollo, ma lontano dal rock’n’roll del capolavoro Time Bomb.
Oggi i Buckcherry sono una band moderna, dai non pochi rimandi alternative che sommati al rock stradaiolo e sporco formano un sound che dividerà non poco i fans, facendo storcere il naso a quelli della prima ora.
Todd continua ad essere una tigre, vero mattatore di brani come la title track, Head Like a Hole e The Vacuum, mentre perde qualcosina quando attenua la voglia di far male per ballad che tanto sanno di già sentito.
Warpaint è dunque un album che alterna brani d’assalto ad altri in cui la band perde quella carica esplosiva che permette all’ascoltatore di perdonare qualche spunto moderno di troppo, anche se l’interpretazione del leader che emana carisma da tutti i pori è come sempre sopra la media.
I Buckcherry non hanno raccolto quello che ci si aspettava all’indomani dell’uscita dei primi due lavori, anche per scelte compositive del suo leader mal digerite da molti fans e addetti ai lavori, e in tal senso anche Warpaint non fa eccezione, per cui prendere o lasciare.

Tracklist
1.Warpaint
2.Right Now
3.Head Like A Hole
4.Radio Song
5.The Vacuum
6.Bent
7.Back Down
8. The Alarm
9. No Regrets
10.The Hunger
11.Closer
12.The Devil’s In the Details

Line-up
Josh Todd – vocals
Stevie D. – guitar, backing vocals
Kelly LeMieux – bass, backing vocals
Kevin Roentgen – guitar, backing vocals

BUCKCHERRY – Facebook

RONNIE ABEILLE

Il video di “Streets Of Poison”, dall’album “Hell Or Nothing” di prossima uscita (Agoge Records).

Il video di “Streets Of Poison”, dall’album “Hell Or Nothing” di prossima uscita (Agoge Records).

E’ uscito “Streets Of Poison”, singolo e video del cantante e fondatore della band indie/punk/hard rock Dancing Scrap, Ronnie Abeille.

Il brano, presto disponibile in tutto il mondo su tutte le piattaforme digitali, anticipa il primo album solista “Hell Or Nothing”, la cui uscita è prevista nel 2019 con la produzione di Agoge Records.

L’album sarà caratterizzato da sonorità industrial-gothic-dance e vedrà la partecipazione di Kory Clarke della band americana punk-hard rock Warrior Soul.

RONNIE ABEILLE: https://www.facebook.com/R.Abeille/
AGOGE RECORDS: http://www.agogerecords.com

“Don’t wanna be a ridiculous preacher, a manipulator or someone like that, but we have to learn many things in this life, for example the meaning of peace and respect.”

The track will be included on “Hell Or Nothing”, first solo album of Ronnie Abeille, singer and founder of the indie / punk / hard rock band Dancing Scrap.
The album will be out in 2019.

Illimitable Dolor – Leaden Light

Il death doom atmosferico degli Illimitable Dolor trova qui la sua ideale sublimazione, grazie ad un songwriting che in ogni suo frammento è finalizzato ad evocare emozioni struggenti, anteponendo l’aspetto melodico a qualsiasi altra sfumatura stilistica.

Quando gli Illimitable Dolor circa due anni fa apparvero sulla scena, nonostante il valore intrinseco del bellissimo album d’esordio, c’era la sensazione che potessero rappresentare solo un estemporaneo progetto parallelo ai The Slow Death, band che forniva buona parte della line up, in virtù anche delle motivazioni che erano alla base della loro formazione, ovvero l’omaggio a quello che fu per anni il vocalist di quella band, Greg Williamson, scomparso nel 2014.

In realtà, l’uscita di diversi singoli e lo split album con i Promethean Misery hanno mantenuto ben attivo il gruppo, cosicché questo nuovo Leaden Light non arriva inatteso ma costituisce ugualmente una piacevole sorpresa.
Infatti il death doom atmosferico degli Illimitable Dolor trova qui la sua ideale sublimazione, grazie ad un songwriting che in ogni suo frammento è finalizzato ad evocare emozioni struggenti, anteponendo l’aspetto melodico a qualsiasi altra sfumatura stilistica.
Ciò che ne deriva sono cinquanta minuti nel corso dei quali il genere viene offerto al suo massimo livello sconfinando sovente nel funeral a livello ritmico e mantenendo sempre al massimo la tensione emotiva.
Leaden Light, in fondo, dimostra che per scrivere un grande disco in ambito doom non serve fare voli pindarici ma è sufficiente incanalare l’ispirazione all’interno di una struttura ben delineata che non lascia spazio a divagazioni, volta com’è ad avvolgere l’ascoltatore in una cappa di malinconia che alla lunga diviene un confortevole approdo.
Gli Illimitable Dolor, che oggi al trio dei fondatori Stuart Prickett (chitarra e voce), Yonn McLaughlin (batteria e voce) e Dan Garcia (basso) aggiungono il tastierista Guy Moore, prendono il meglio delle band europee ed americane dedite al genere, vi inseriscono quella dose necessaria di plumbea drammaticità dei conterranei Mournful Congregaton e da tutto ciò fanno scaturire cinque tacce stupende, commoventi e cullanti, tra le quali spiccano l’opener Armed He Brings The Dawn, la traccia più lunga del lavoro, con la quale gli australiani avviluppano in maniera irrimediabile l’ascoltatore nelle loro spire per poi annichilirlo emotivamente con il capolavoro Horses Pale And Four, semplicemente una delle migliori dimostrazioni di funeral/death doom atmosferico ascoltate negli ultimi tempi.
Leaden Light è l’ennesimo grande disco che il genere sta offrendo in questo periodo e, ovviamente, chi ama simili sonorità non può fare a meno di gioire soprattutto quando proposte di tale livello non provengono dai nomi più noti e consolidati della scena, bensì da band relativamente nuove e sicuramente meno conosciute: la certezza che queste sonorità saranno il nostro consolatorio rifugio anche negli anni a venire, è una delle poche che ci restano di questi tempi, per cui teniamocela ben stretta …

Tracklist:
1. Armed He Brings The Dawn
2. Soil She Bears
3. Horses Pale And Four
4. Leaden Light Her Coils
5. 2.12.14

Line-up:
Stuart Prickett – Guitars, Vocals (The Slow Death, Horrisonous)
Yonn McLaughlin – Drums, Vocals (The Slow Death, Nazxul)
Dan Garcia – Bass (The Slow Death)
Guy Moore – Keyboards (ex-Elysium)

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