Blizzen – Genesis Reversed

Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

Puro heavy metal old school racchiuso in questo buon Genesis Reversed, primo lavoro sulla lunga distanza dei tedeschi Blizzen, giovane band attiva da un paio di anni e con già due lavori alle spalle, il primo demo omonimo e l’ep Time Machine dello scorso anno.

L’album si sviluppa su una raccolta di brani che pescano a piene mani dalla new wave of british heavy metal, ed in parte dal power/speed, lasciato a qualche ritmica più veloce e sostenuta, poi Genesis Reversed è tutto un susseguirsi di piacevoli cliché direttamente dagli anni ottanta.
I Maiden sono i padrini di una buona fetta del songwriting del gruppo, così come la vena epica di Warlord e Stomwich fa del disco un buon esempio di metal melodico e dalle reminiscenze epiche.
E Giove aiuta il gruppo a vincere la sua battaglia (come illustrato dalla copertina che dice molto sul mood imperante nell’album), con le chitarre che richiamano ritmiche di quel metal vecchio stampo ancora nei cuori di molti fans, con la voce melodica e le ritmiche che alternano mid tempo a fughe con qualche accelerazione convincente.
Il lavoro fila liscio fino alla fine, i brani scivolano tra solos maideniani e cori epici, la produzione in linea con le sonorità proposte risulta senza infamia e senza lode e la band non fa mancare qualche scintilla metallica che alza il valore dell’intera opera come nelle piacevoli metal songs The Beast Is on Your Back , The World Keeps Still e Bestride the Thunder.
Genesis Reversed è un album consigliato agli amanti delle sonorità classiche, figlie di quel metal ottantiano che nell’underground continua imperterrito a sfornare dalla sua covata buoni gruppi e album piacevoli, lontani dall’estremismo sonoro di questi anni e con un orecchio sempre attento alla melodia.

TRACKLIST
1. Intro – Anthem To A Distant Star
2. Trumpets Of The Gods
3. Masters Of Lightning
4. The Beast Is On Your Back
5. Hounded For Good
6. Genesis Reversed
7. Gone Wild
8. The World Keeps Still
9. Devil In Disguise
10. Bestride The Thunder
11. Skid Into Death

LINE-UP
Daniel Stecki – Vocals, Bass
Andi Heindl – Guitar
Marvin Kiefer – Guitar
Gereon Nicolay – Drums

BLIZZEN – Facebook

Grand Magus – Sword Songs

We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus….unitevi al coro.

Sword Songs, nuovo lavoro degli svedesi Grand Magus è più di quanto heavy metal si può ascoltare quest’anno, epico, guerresco, esaltante ed attraversato da uno spettacolare sentore manowariano.

La band di JB Christoffersson taglia definitivamente i ponti con lo stoner/doom e le reminiscenze Spiritual Beggars (ex gruppo di JB e Ludwig Witt) per inoltrarsi nelle lande dove dei e uomini combattono una guerra che dura da quando esistono il sole e la luna, e le canzoni che raccontano di spade, scudi spezzati ed eroici guerrieri trovano in quest’opera una delle massime espressioni.
Una band prolifica i Grand Magus, dall’alba del nuovo millennio con le vele spiegate ha fatto rotta verso il Valhalla del metal mondiale con una serie di album rocciosi di cui, probabilmente, Iron Will del 2008 era, fino ad ora, il picco più alto, con un sound perfettamente bilanciato tra la granitica forza dello stoner/doom e l’epicità del metal tradizionale.
Sword Songs è composto da nove inni metallici che rinverdiscono le gesta di Manowar ed in parte Bathory, un sanguinario quadro dove i colori predominanti sono il rosso del sangue ed il grigio dell’acciaio, di cui le spade sono forgiate.
Sword Songs è tutto un susseguirsi di mid tempo, chorus epici che si ripetono all’infinito, solos che emanano sentore di punte affilate che si fanno spazio tra le carni, inni di guerra da cantare quando il nemico è in ritirata o sotto un palco, messo a ferro e fuoco dai tre guerrieri svedesi in preda a deliri di conquista.
Dopo la monolitica opener Freja’s Choice, un muro di watt innalzato dal gruppo come il castello di Grande Inverno ci travolge con l”epicità di Varagian e della seguente Forged In Iron – Crowned In Steel, dove i Manowar vengono sedotti dalla vergine di ferro per uno dei brani cardine di questo lavoro, heavy metal epico alla massima potenza.
Ci si destreggia tra lo scontro cercando di rimanere vivi, mentre gli inni metallici si sprecano, così come l’alternanza tra attimi di velocità e monolitica potenza, (Master Of The Land, Frost And Fire), così che l’album continua a mantenere forte l’atmosfera fiera instaurata dal primo minuto dell’opener.
Every Day There’s A Battle To Fight chiude l’opera, una marcia verso la gloria, un esaltante inno metallico che il gruppo guerriero intona mentre il campo di battaglia si avvicina e si può sentire l’alito fetido del nemico davanti a noi.
Un lavoro clamoroso che sarà divinizzato da tutti i true defenders, pregno di quel metal tradizionale troppe volte sottovalutato e che rilancia alla grande i Grand Magus come band di culto nel panorama heavy mondiale; un disco che ha nella propria tracklist brani che diventeranno classici nella discografia del gruppo e soprattutto in sede live.
We are warriors, defenders of steel, cantano i Grand Magus … unitevi al coro.

TRACKLIST
01. Freja’s Choice
02. Varangian
03. Forged In Iron – Crowned In Steel
04. Born For Battle (Black Dog Of Brocéliande)
05. Master Of The Land
06. Last One To Fall
07. Frost And Fire
08. Hugr
09. Everyday There’s A Battle To Fight

LINE-UP
Fox – Bass, Vocals (backing)
JB – Guitars, Vocals (lead)
Ludwig – Drums

GRAND MAGUS – Facebook

Buffalo Summer – Second Sun

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.

Irresistibile, assolutamente irresistibile, un concentrato di hard rock settantiano, dove il blues ci mette lo zampino e trasforma questi quaranta minuti di musica in una totale e travolgente immersione in quelle note immortali create dal dirigibile zeppeliniano e dai Bad Company, con un pizzico di hard rock metallizzato di scuola Whitesnake e southern alla Lynyrd Skynyrd, vi basta?

Se siete veri rockers Second Sun, secondo lavoro dei Buffalo Summer, band britannica ma che si muove agevolmente tra i solchi del rock americano, diventerà uno dei vostri ascolti abituali.
Il gruppo gallese torna un album di rock come si faceva un po’ di anni fa, composto in primo luogo da belle canzoni dai ritmi trascinanti e dai riff corposi, pregni di quel groove, figlio del blues ma amico, molto amico, del sound con cui si muovono le band odierne.
Poi, quando la sei corde di Jonny Williams si mette il cinturone ed il cappello da cowboy (Levitate), i brividi scorrono lungo la pelle come l’acqua nel letto del Mississipi, ed il gruppo britannico si trasforma in una rock’n’roll band sudista da applausi.
Un quartetto che vede, oltre all’axeman, Andrew Hunt a rinverdire i fasti della coppia Plant/Rodgers, ed una sezione ritmica che più sanguigna non si può (Darren King al basso e Gareth Hunt alle pelli).
Difficile trovare una canzone che non vi farà saltare dal vostro divano in preda a convulsioni rockettare, presi e sballottati da brani micidiali come la coppia d’apertura Money/Heartbreakin’ Floorshakin’, stupendi affreschi di hard rock blues, mentre la zeppeliniana As High As The Pines risulta una clamorosa song dal mood settantiano.
Non rimane per voi che fare spallucce a qualsivoglia istinto modernista e buttarvi nelle atmosfere impolverate dalla sabbia che si alza al passaggio di questa tromba d’aria rock southern blues, partita dal Galles, passata per gli States e ormai al massimo della sua forza nel far danni in tutto il globo.
Il riff di Priscilla è più di quanto vicino agli zep in versione southern si possa immaginare, così come la conclusiva Water To Wine profuma di strade da percorrere con il sole negli occhi e la voglia di rock’n’roll style.
Prodotto da Barret Martin (Screaming Trees, Queens Of The Stone Age), Second Sun è un album bellissimo, che raccoglie l’eredità del sound delle band storiche di cui si nutre e lo porta con forza e fierezza nel nuovo millennio.

TRACKLIST
1.Money
2.Heartbreakin’ Floorshakin’
3.Make You Mine
4.Neverend
5.As High As The Pines
6.Light Of The Sun
7.Levitate
8.Into Your Head
9.Little Charles
10.Priscilla
11.Bird On A Wire
12.Water To Wine

LINE-UP
Jonny Williams-Guitar
Andrew Hunt-Vocals
Darren King-bass
Gareth Hunt-drums

BUFFALO SUMMER – Facebook

Epidemia – Leprocomio

Dalle viscere di Quito tornano ad infettare i nostri padiglioni auricolare con il virus nauseabondo e mortale del death metal i terrificanti Epidemia

Dalle viscere di Quito, capitale dell’Ecuador, tornano ad infettare i nostri padiglioni auricolare con il virus nauseabondo e mortale del death metal i terrificanti Epidemia, band attiva già dai primi anni del nuovo millennio.

Dieci anni sono passati dal primo album, Mutilador de cuerpos uscito nel 2006, poi solo un paio di demo ed una compilation fino al concepimento di questo nuovo e brutale assalto sonoro dal suggestivo e quanto mai malsano titolo di Leprocomio.
Uno zombie che si nutre delle carni piagate dei malati terminali di una malattia terribile, una clinica degli orrori dove l’inferno è di casa ed il death metal old school dai rimandi brutal fa da colonna sonora al banchetto a base di arti smembrati, vesciche putrefatte e sangue marcio, questo è, se volete il concept di questa band estrema che spacca come non mai.
Un sound oscuro e tremebondo, velocità e mid tempo, un growl animalesco e chitarre che sanguinano sotto l’emorragia che si manifesta, causata dal maltrattamento subito dai due axeman sudamericani.
Il quintetto non si fa pregare, recupera tutta la sua dirompente forza e ci massacra con questo tsunami di metal estremo, debitore dei nomi storici del death, ma dall’assoluta compattezza, dall’enorme impatto e da un’attitudine che non sfigura di certo al cospetto di act più famosi.
Trentacinque minuti di tempesta metallica, compatta come un monolite di insana violenza, questo è Leprocomio che la Satanath Records immette sul mercato confermandosi label attenta alle realtà estreme in giro per il globo.
Massiccio e brutale, il sound del gruppo si avvicina per impatto alle meraviglie estreme di gruppi come Cannibal Corpse, Dying Fetus e Suffocation; inutile menzionarvi un brano rispetto ad un altro, immergetevi in questo armageddon di suoni e brutalità clamorosamente splatter, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1. Leprocomio
2. Retribución homicida
3. Redención del engendro
4. Miseria introspectiva
5. Agonistes en el inframundo
6. Cadáveres poseídos
7. Necroticismo
8. Existencia repulsiva

LINE-UP
Daniel Villareal – Drums
Adrian Salazar – Vocals
Daniel Murillo – Bass
Juan Carlos Cahuasquí – Guitars
Roberto Amores – Guitars (lead)

EPIDEMIA – Facebook

Deathstorm – Blood Beneath the Crypts

I Deathstorm il loro mestiere lo sanno fare bene, attitudine ed impatto non mancano, così come una buona produzione che dell’album ne valorizza il sound.

Conosciuto fino al 2010 come Damage, questo gruppo austriaco ha trovato un nuovo monicker ed una buona continuità di uscite discografiche e, oggi, sotto l’ala della High Roller Records licenzia il suo secondo lavoro sulla lunga distanza.

Dal primo ep nel 2011 a cui sono seguiti altri due lavori minori (un split ed il precedente The Gallows EP dello scorso anno) la band di Graz ha dato alle stampe il primo full length, As Death Awakes, un concentrato di thrash metal teutonico dai rimandi old school.
Ovviamente il nuovo lavoro non cambia di una virgola la strada intrapresa dal quartetto, suonare il più veloce e truculento possibile, così come hanno fatto per anni i nomi storici del genere.
La triade Sodom-Kreator-Destruction ispira le note estreme che fuoriescono dal sound dei Deathstorm, un discreto esempio di thrash metal old school, feroce e senza compromessi.
Un assalto senza soluzione di continuità questo Blood Beneath The Crypts, una trentina di minuti cavalcando lo stallone estremo che corre velocissimo travolgendo ogni cosa al suo passaggio.
Pochi mid tempo, quindi, e tanta furia, sono le peculiarità dell’album, chiaro che il genere è quello e l’ascolto è consigliato ai soli amanti del vecchio thrash metal europeo, sensazione confermata da brani dall’impatto frontale devastante come l’opener Deathblow, Murder of a Faceless Victim, la splendida e potentissima I Conquer e la conclusiva I Saw the Devil.
I Deathstorm il loro mestiere lo sanno fare bene, attitudine ed impatto non mancano, così come una buona produzione che dell’album ne valorizza il sound.
Se siete fans dei suoni old school e della scuola europea cresciuta negli anni ottanta, Blood Beneath The Crypts è senza dubbio un ascolto consigliato.

TRACKLIST
1. Deathblow
2. Splendid Mutilation
3. Murder of a Faceless Victim
4. Immortalized Sinner
5. I Conquer
6. Enter the Void / Dunwich
7. Verdunkeln
8. I Saw the Devil

LINE-UP
Mac – Bass, Vocals
Ferl – Guitars (lead)
Steindl – Guitars (rhythm)
Mani – Drums

DEATHSTORM – Facebook/a>

Destruction – Under Attack

I gruppi storici, di solito, vivono di luce riflessa emanata dalle opere che li hanno resi famosi, non il gruppo tedesco che con Under Attack scrive una delle sue pagine più importanti

Quante volte abbiamo nominato la famosa sacra triade del thrash metal teutonico, Sodom-Kreator-Destruction, per descrivere le opere di giovani metallari alle prese con il sound che queste icone del metal estremo hanno reso immortale ?

Una scuola quella tedesca che, diversamente da quella statunitense, ha sempre viaggiato su territori estremi, amalgamando il thrash con lo speed e lasciando all’aggressione tout court il compito di spezzare colli ai metallari da almeno una trentina d’anni.
Under Attack è l’ultimo figlio dello spirito santo della sacra triade, i Destruction di Schmier, un razzo impazzito lanciato per distruggere pianeti, un meteorite di metallo devastante che si abbatte sulla terra ed appunto distrugge ogni cosa.
Possiamo sicuramente sorvolare su accenni alla storia di questa storica band, se non conoscete il trio di Lorrach non potete considerarvi veri metallari, ed il fatto che questo nuovo lavoro non si discosti di una virgola dai precedenti lavori risulta solo un dettaglio.
Il thrash metal teutonico di cui il gruppo è maestro non richiede idee originali o grosse novità, per essere apprezzato dagli ascoltatori serve un songwriting sopra la media, un impatto devastante e tanto mestiere, e la band non difetta di alcuna di queste virtù, confezionando un album che semplicemente è legge per chiunque ami il genere.
Un gruppo che non conosce il passare degli anni, questi sono i Destruction del 2016, ed il nuovo album spara dieci missili terra aria, di thrash metal veloci come la luce, accompagnati dal drummer granitico Vaaver, dalla sei corde che trafigge con solos che sono schegge impazzite che cadono sul pianeta e dalla voce inconfondibile di uno Schmier, signore e padrone di un certo modo di concepire il metal d’assalto.
Un assalto appunto che inizia e termina senza un caduta di tono, nemmeno un minuto da poter considerare un riempitivo, mentre i testi che accompagnano questa famigerata decina di songs, dimostrano come questi inesauribili thrashers sono sul pezzo rispetto alle problematiche di questo inizio millennio (terrorismo, corruzione e cyberbullismo).
Compatto, oscuro, bestiale, una battaglia senza tregua, questo è Under Attack, aperto dalla bellissima title track e colmo di pregiati pezzi di thrash old school perfettamente a suo agio in questi anni di modern metal, come Pathogenic o Dethroned, due bolidi metallici che senza freni travolgono, precisi e perfetti nel regalare violenza musicale, o presi per la gola dalla perfezione di Conductor Of The Void e Generation Nevermore, picchi qualitativi di questo mostruoso lavoro.
I gruppi storici, di solito, vivono di luce riflessa emanata dalle opere che li hanno resi famosi, non il gruppo tedesco che con Under Attack scrive una delle sue pagine più importanti, confermandosi, e non poteva essere altrimenti, come gruppo guida del thrash metal europeo.

TRACKLIST
1. Under Attack
2. Generation Nevermore
3. Dethroned
4. Getting Used to the Evil
5. Pathogenic
6. Elegant Pigs
7. Second to None
8. Stand Up for What You Deliver
9. Conductor of the Void
10. Stigmatized

LINE-UP
Schmier – Basso, Voce
Mike – Chitarra
Vaaver – Batteria

DESTRUCTION – Facebook

Gorgosaur – Lurking Among Corpses

Un album che è da considerare come una pietra preziosa, un massacro coinvolgente e dannatamente perfetto nel suo riecheggiare il sound padre di tutto quello che di estremo in musica è sceso dalle terre del nord.

In terra scandinava si suona death come si faceva nei primi anni novanta, l’underground accoglie questi figli dimenticati del metal estremo e li nutre di odio e violenza.

In Svezia nasce questo devastante duo, attivo dalle parti della capitale da due annetti, ora alle prese con il primo album dopo aver dato alle stampe un demo.
Åsa Hagström alla chitarra e Martin Schönherr alle pelli si dividono il microfono e licenziano per la Memento Mori Lurking Among Corpses, ottimo esempio di death metal scandinavo, marcio e devastante, un gioiellino old school talmente ben fatto da risultare clamoroso.
Trenta minuti in compagnia di riff, ritmiche ed atmosfere che riportano agli anni d’oro del genere, valorizzati da un songwriting ispirato ed dalla prova del duo.
E se il batterista al microfono ci sa fare tanto da non sfigurare con i singer storici, la polistrumentista è una strega inviperita, dalla voce dannata e maledetta, protagonista malefica soprattutto con la sei corde che rifila riffoni senza soluzione di continuità.
Dopo un’intro pianistica veniamo scaraventati in pieno delirio scandinavian old school death metal, le catacombe davanti a noi non sono ancora il peggio che dovremmo affrontare, e neppure i resti scarnificati e ammuffiti dimenticati dal tempo non scalfiscono l’ipnotica atmosfera di violenza e terrore che brani dal tiro micidiale come Terror Incarnate o Body Snatchers riescono a rievocare.
L’alternanza tra il growl del batterista e le grida di puro odio della Hagström, coronano un lavoro strumentale spettacolare, con le pelli pestate alla velocità della luce, classici passaggi da sfuriate, rallentamenti e mid tempo irresistibili (Pyromaniac Narrations).
In Lurking Among Corpses passa come un vento gelido che accompagna spiriti maligni e anime perdute nella dannazione eterna una buona fetta del death metal scandinavo, puro ed incontaminato metallo estremo concentrato in una manciata di songs clamorose come The Antropophagus, Burial Of Rats e quelle già citate.
Un album che è da considerare come una pietra preziosa, un massacro coinvolgente e dannatamente perfetto nel suo riecheggiare il sound padre di tutto quello che di estremo in musica è sceso dalle terre del nord.

TRACKLIST
1. Basement Funeral Hymn
2. Terror Incarnate
3. In Darkness They Come Crawling
4. Body Snatchers
5. Pyromaniac Narrations
6. Lurking Among Corpses
7. Gashes and Demise
8. The Antropophagus
9. Burial of Rats
10. Death Is Psychosomatic

LINE-UP
Åsa Hagström – Guitars, Bass, Vocals, Piano
Martin Schönherr – Vocals, Drums

GORGOSAUR – Facebook

Overtures – Artifacts

Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.

Power prog metal ad alto voltaggio quello proposto ancora una volta dai friulani Overtures, partiti come classica band power ed ora arrivati a toccare lidi progressivi con ottimi risultati.

Il nuovo lavoro, masterizzato in Germania ai Gate Studios, tra le cui mura ha lavorato gente del calibro di Avantasia, Edguy ed Epica è un buon esempio di prog metal vario, molto melodico, a tratti dal piglio drammatico, il che avvicina non poco la band nostrana ai maestri Symphony X, anche se gli Overtures usano molto bene l’arma della melodia e delle ritmiche hard rock, riuscendo a rendere il proprio lavoro personale ed oltremodo affascinate.
Una proposta che accontenta i fans del prog metal, per tecnica esecutiva e passaggi mai banali, ma non manca di ammiccare agli amanti dei suoni power, grazie a cavalcatein cui predomina un’ottima vena melodica.
Prova sopra le righe di tutti i musicisti, iniziando dall’ottimo singer Michele Guaitoli personale ed interpretativo a sufficienza per imprimere il suo marchio sulla raccolta di brani che compongono Artifacts, e sontuosa la parte ritmica con il basso di Luka Klanjscek e le pelli di Andrea Cum, potenti nelle cavalcate power e dalla buona tecnica esecutiva dove i brani richiedono fantasia ed eleganza, virtù peculiari nel metallo progressivo.
Marco Falanga incornicia con la sua sei corde questo quadro metallico, dai mille colori e sfumature, dove potenza e melodia vanno a braccetto per le strade del metallo classico.
Un lavoro che si mantiene su coordinate medio alte a livello qualitativo per tutta la sua durata, anche se non mancano i picchi che alzano la media di un disco imperdibile per gli amanti di queste sonorità, come la classic metal Gold, Il cuore dell’album composto dalle progressive Unshared Worlds e My Refuge, e la bellissima suite dal piglio drammatico Teardrop, dove le anime del gruppo si alleano per donare dieci minuti di prog metal davvero entusiasmante.
Artifacts risulta così un ottimo ascolto, la band in questi anni è cresciuta non poco e si appresta a conquistarvi, non opponete resistenza.

TRACKLIST
1. Repentance
2. Artifacts
3. Gold
4. As Candles We Burn
5. Profiled
6. Unshared Worlds
7. My Refuge
8. New Dawn, New Dusk
9. Teardrop
10. Angry Animals
11. Savior

LINE-UP
Luka Klanjscek – Bass
Marco Falanga – Guitars
Michele Guaitoli – Vocals
Andrea Cum – Drums

OVERTURES- Facebook

Misteyes – Creeping Time

Poco più di un’ora di musica dall’anima cangiante, sempre in bilico tra la teatralità delle orchestrazioni gotiche e la furia del metallo estremo

Un’altra ottima band si affaccia sulla scena nazionale in ambito symphonic gothic metal anche se, nel proprio sound, è forte un’impronta death metal che ne accentua la parte metallica.

Il suo nome è Misteyes, ed è proprio dal continuo scontro tra la parte estrema e la quella più sinfonica, dove il gruppo a mio parere è maestro, che viene coniato “light and dark metal” descrizione con cui si identifica la band stessa.
Nato quattro anni fa, il gruppo piemontese ha dato alle stampe un primo singolo e successivamente, due anni dopo e qualche aggiustamento nella line up con l’entrata di una voce femminile e l’aggiunta fondamentale dei tasti d’avorio, il secondo singolo, presente nella track list dell’album, Lady Loneliness, brano di una bellezza disarmante e uno dei picchi di questo ottimo lavoro.
Licenziato dalla label canadese Maple Metal Records e prodotto dalla stessa band con l’aiuto in fase di mastering e masterizzazione di Alessio Sogno negli Alarm studio di Torino, Creeping Time risulta un debutto coi fiocchi, debordante nelle molte parti estreme, davvero straordinario in quelle sinfoniche ed operistiche valorizzate, senza nulla togliere alle ottime prove degli altri musicisti, proprio dagli ultimi entrati in seno alla band, la favolosa cantante Denise “Ainwen” Manzi, brava nelle clean vocals, straordinaria in quelle operistiche, e dal tastierista Gabriele “Hyde” Gilodi, alle prese con piano ed orchestrazioni che rendono teatrale emozionante e a tratti cinematografico il sound del disco.
La parte più estrema è condotta con ottima capacità dagli altri membri del gruppo, il death metal (la parte dark) che si scontra con le ariose parti sinfoniche risulta un sostenuto melodic death metal, dove la parte ritmica è affidata al basso di Andrea “Hephaestus” Gammeri ed alle pelli di Federico “Krieger” Tremaioni, mentre le asce ricamano solos dal taglio classico e riffoni dark metal sotto il comando di Daniele “Insanus” Poveromo e Riccardo “Decadence” Tremaioni.
Poco più di un’ora di musica dall’anima cangiante, sempre in bilico tra la teatralità delle orchestrazioni gotiche e la furia del metallo estremo su cui Edoardo “Irmin” Iacono scarica tutta la sua potenza alternando rabbiosi screams e profondi growls.
Non un cedimento, Creeping Time tiene inchiodato l’ascoltatore fino all’ultima nota, la varietà del sound richiama più di una band e più di una sfumatura del variegato mondo estremo, si passa così da rimandi ai primi Anathema e Paradise Lost, fino ai Dark Tranquillity intimisti dell’immenso Projector, mentre le sinfonie orchestrali e l’enorme prova della vocalist continuano a soprendere.
Brains In A Vat, The Prey e The Demon Of Fear, insieme a Lady Loneliness trascinano l’album verso l’eccellenza, mentre gli ospiti danno il loro contributo per fare di Creeping Time un disco imperdibile( Björn “Speed” Strid dei Soilwork, Nicole Ansperger violinista degli Eluveitie, Roberto Pasolini singer dei nostrani Embryo e Mattia Casabona degli Aspasia).
Un lavoro davvero sorprendente, il debutto dei Misteyes si candida come uno dei lavori di punta del genere in questo 2016, non fatevelo scappare.

TRACKLIST
1. The Last Knell (Intro)
2. Creeping Time
3. Brains In A Vat
4. Inside The Golden Cage
5. Lady Loneliness
6. The Prey
7. Destroy Your Past
8. The Demon Of Fear
9. A Fragile Balance (Awake The Beast – Part 1)
10. Chaos (Awake The Beast – Part 2)
11. Decapitated Rose
12.Winter’s Judgment

LINE-UP
Edoardo “Irmin” Iacono -Voci Growl e Scream
Denise “Ainwen” Manzi -Voci Clean e Liriche
Daniele “Insanus” Poveromo- Chitarre
Riccardo “Decadence” Tremaioni -Chitarre
Gabriele “Hyde” Gilodi -Pianoforte, Synth e Orchestrazioni
Andrea “Hephaestus” Gammeri -Basso e Basso Fretless
Federico “Krieger” Tremaioni -Batteria
OSPITI:
Björn “Speed” Strid
Nicole Ansperger
Roberto Pasolini
Mattia Casabona degli Aspasia

MISEYES – Facebook

Grave Miasma – Endless Pilgrimage

In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca, striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma, misteriosa death metal band, nata una decina di anni fa.

In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca, striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma, misteriosa death metal band, nata una decina di anni fa.

La discografia del gruppo comprende due ep ed un full length, Odori Sepulcrorum uscito tre anni fa, che ha elevato il gruppo allo status di cult band in ambito estremo.
Endless Pilgrimage è dunque il terzo mini cd, un altro viaggio nel death metal più oscuro, dal concept occulto, mistico e per questo molto affascinante.
Il sound passa da accelerazioni improvvise a mid tempo al limite del doom, dove le sei corde ricamano solos dai rimandi progressivi e riff pesantissimi.
L’atmosfera è pregna di misticismo e l’impatto della band da la sensazione di essere al cospetto di musicisti preparatissimi e molto coinvolti nel concept dietro a questa oscura realtà estrema.
Non fraintendetemi, ma all’ascolto di questi brani la sensazione che ne scaturisce è pregna di attitudine doom, anche se la violenza di molte ritmiche e la devastante forza dei brani (stupenda Utterance of the Foulest Spirit) non mancano di travolgere l’ascoltatore in pieno delirio death metal.
Gran lavoro delle sei corde, specialmente su Glorification Of The Impure, demoniaco il growl straziante del vocalist sacerdote di questa liturgia nera svolta nell’antro più buio dell’inferno.
Sono i Morbid Angel il gruppo più vicino alle cantilene di morte dei Grave Miasma, mentre Endless Pilgrimage continua ad emanare un terribile tanfo mortifero, che non accenna a diminuire, ed anzi aumenta col passare dei minuti, mentre dietro di voi una lieve nebbiolina si alza e dalla coltre due paia di corna si materializzano … troppo tardi, la vostra anima non ha più scampo.

TRACKLIST
1. Yama Transforms to the Afterlife
2. Utterance of the Foulest Spirit
3. Purgative Circumvolution
4. Glorification of the Impure
5. Full Moon Dawn

LINE-UP
Y – Guitars, Vocals
R – Guitars
A – Bass
D – Drums

hGRAVE MIASMA – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
In una Londra avvolta nella nebbia, oscura e demoniaca striscia un’entità occulta e destabilizzante chiamata Grave Miasma.

Dominhate – Emissaries of Morning

Emissaries Of Morning ribadisce in toto le buone sensazioni che il primo full length aveva lasciato ai fans e agli addetti ai lavori, conquistando chi si nutre di metal estremo dai chiari rimandi old school

Towards The Light fu uno dei più riusciti esempi di puro death metal usciti un paio di anni fa, la band friulana con il debutto poneva le basi per una carriera che, anche dopo l’uscita di questo mini cd, non potrà che essere foriera di grandi soddisfazioni.

Emissaries Of Morning ribadisce in toto le buone sensazioni che il primo full length aveva lasciato ai fans e agli addetti ai lavori, conquistando chi si nutre di metal estremo dai chiari rimandi old school, per il clamoroso impatto, l’alta qualità tecnica ed un songwriting anche in questo caso sopra la media.
Quattro brani più intro per una ventina di minuti di devastante death metal, oscuro e pesantissimo, un armageddon di suoni estremi che, come in passato posa le basi sui maestri del genere, ma viene affrontato dal gruppo senza complessi di inferiorità, lasciando nell’ascoltatore la sensazione (come nel precedente lavoro) di essere al cospetto di una band navigata.
Così come in passato veniamo travolti dal sound da tregenda dei Dominhate, un salto nell’abisso dove le acque putride di cadaveri in decomposizione entrano dalla bocca e dalle narici e ci infettano mortalmente a colpi di metal estremo, un infernale e senza compromessi metallo di morte, un bombardamento perpetrato da una chirurgica e massacrante sezione ritmica, laceranti solos e rallentamenti di scuola old school, come ormai se ne sentono sempre meno, circondati dai suoni core di moda in questi ultimi anni.
Le quattro songs formano un compatto monolito di metal estremo, un’aggressione senza compromessi, una devastante carica bestiale che prende spunto dalle nefandezze sonore di Morbid Angel, Asphyx ed Hate Eternal.
Questo ep dovrebbe fungere da spartiacque tra il primo lavoro e la prossima prova sulla lunga distanza, state sintonizzati, noi ci saremo.

TRACKLIST
1. Saturn Rising
2. Awakening Confessiones
3. Faith Delirius Imago
4. Immolation Carmen Astri
5. Creation Quies Monumenti

LINE-UP
Steve – Bass, Vocals
Alex – Guitars
Slippy – Drums
Jesus – Guitars

DOMINHATE – Facebook

Black Rainbows – Stellar Prophecy

I Black Rainbows, con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta

E’ ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, in questo caso è venuto il momento di spazzar via il vostro provincialismo quando si parla di rock per dare la giusta importanza ad una scena italiana che ormai può tranquillamente guardare dall’alto molte realtà europee ed andare a braccetto con quelle britanniche e statunitensi.

A ribadire lo stato di grazia del rock nazionale ci pensano i romani Black Rainbows, ormai da più di dieci anni in giro con il loro rock psichedelico contaminato da elettrizzante stoner; la band, attiva dal 2005, è giunta al quinto lavoro sulla lunga distanza, un viaggio lisergico nel mondo delle sette note, iniziato con Twilight in the Desert del 2007, per proseguire con Carmina Diabolo del 2010, Supermothafuzzalicious!! del 2011, ed il bellissimo Hawkdope dello scorso anno, con in mezzo un ep, due split ed un singolo.
Vi ho elencato tutta la discografia perché sono sicuro che, se non conoscete il gruppo capitolino e siete amanti del genere, dopo l’ascolto di questo ultimo lavoro farete di tutto per rifarvi del tempo perduto, ed ascoltare tutta la musica prodotta da questo trio di psychedelic rockers nostrani.
Giuseppe Guglielmino (basso), Alberto Croce (batteria) e Gabriele Fiori (chitarra, voce e tastiere), con un talento spropositato per l’hard rock vintage e le sonorità settantiane, prendono il meglio da quel magico periodo (Hawkwind, MC5, Led Zeppelin, Black Sabbath) e lo drogano con lo stoner rock creato dalle generazioni cresciute negli anni novanta come Monster Magnet, Kyuss, QOTSA: ne esce un sound che può tranquillamente essere considerato un viaggio nella musica rock dalle connotazioni space e psichedeliche, dove perdere la strada che riporta alla realtà spazio temporale è facile e pericolosissimo.
Electrify e Woman ci introducono al meglio nel mondo di Stellar Prophecy: l’opener è un brano diretto, molto rock’n’roll, mentre con Woman si entra nel mondo di Black Sabbath e Hawkwind.
Golden Widow regala undici minuti di pura psichedelia space, una danza lisergica tra le stelle, una lunga passeggiata tra le scie di supernova in caduta libera, nella galassia che si apre nelle menti sotto l’effetto di sostanze illegali, il primo dei due brani capolavoro che può vantare Stellar Prophecy.
Evil Snake, It’s Time To Die e Keep The Secret tornano all’hard rock stonerizzato, sempre accompagnate da chitarre ipersature, una perfetta amalgama tra MC5, Monster Magnet e Kyuss e ci preparano al secondo capolavoro, la conclusiva The Travel, un crescendo emozionale allucinante, quasi dieci minuti di apoteosi psych/stoner/doom lisergico da infarto, un incubo elettrico di enormi proporzioni, la colonna sonora della caduta di un asteroide sulla terra.
Stellar Prophecy si conclude così, con il vocalist che cammina sulle macerie, in un paesaggio diventato lunare, splendido ed emozionante finale di un disco stupendo, fatelo vostro.

TRACKLIST
1. Electrify
2. Woman
3. Golden Widow
4. Evil Snake
5. It’s Time To Die
6. Keep The Secret
7. The Travel

LINE-UP
Giuseppe Guglielmino – Bass
Alberto Croce – Drums
Gabriele Fiori – Vocals, Guitars, Keyboards

BLACK RAINBOWS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=Po3b3qW4Xck

SUBLIMINAL CRUSHER

iye Quattordici anni di attività e quattro full length: raccontatevi ai lettori della nostra webzine.

Jerico: Subliminal Crusher è il nome di un progetto iniziato nel 2002, da me e Rawdeath, come side project degli altri nostri S.R.L., band di heavy/thrash con testi in italiano attiva dal 1992. I “SubCrush”, sono infatti nati proprio per estendere le tipiche sonorità prog-melodiche degli S.R.L., ed hanno da subito preso connotati death melodici, unici ma affini alle bands da cui al tempo io e Rod eravamo principalmente ispirati (The Haunted, At the Gates, Darkane, Pantera, Testament, etc..) .

iye Darketype, il nuovo lavoro, può essere considerato un ottimo esempio di death metal melodico con chiare influenze thrash, siete d’accordo?

Emiliano: Certamente. come detto sopra da nonno J. le influenze del gruppo sono chiare e, essendo i gusti musicali dei membri del gruppo abbastanza omogenei, non si fatica ad evincerle. L’intenzione del disco verte spesso su sonorità thrash, seppur rimanendo con una chiara base filo-scandinava, già presente in altri lavori, ma stiamo già pensando di dare una linea più death ai prossimi lavori.

iye La melodia riveste un ruolo molto importante nel vostro sound, trovando sfogo in molti solos di estrazione classica: il metal classico fa parte del vostro background?

Jerico: Le melodie sono il giusto equilibrio tra le componenti che a mio avviso compongono una tipica struttura nei brani dei Subliminal Crusher. E’ come quando si cerca di ottenere uno scatto fotografico che riassuma il giusto messaggio, ecco … la melodia è il momenti della messa a fuoco di questa immagine.

iye Come si lavora alla creazione di un album in casa Subliminal Crusher?

Jerico: Fortunatamente, le attuali tecnologie consentono di condividere le idee di tutti in poco tempo. Partendo da questi primi riff, ci si vede in sala prove e si sviluppa il pezzo nella sua forma completa. C’è da dire che l’arrangiamento di un tipico brano SubCrush non impiega mai poco tempo, ma una volta completato siamo sicuri di aver ottenuto il massimo del risultato secondo in nostri canoni.
Emiliano: Questa era per me, e anche per Marco, la prima esperienza nel contribuire alla creazione di un album e posso dire che si lavora con grande entusiasmo e impegno da parte di ogni membro (penso in particolare a Lorenzo che si è fatto carico del lavoro di registrazione, mixing e mastering). Va detto che i nostri membri più anziani (Jerico e Rodolfo) hanno giocato un ruolo fondamentale negli arrangiamenti, noi altri, alle prime armi, non saremmo probabilmente stati in grado di far rendere in modo così efficace i pezzi.

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iye Come ho scritto in sede di recensione, negli ultimi anni le band di genere hanno spostato il tiro verso sonorità più core, perdendo quasi del tutto gli elementi classici che caratterizzavano il sound di metà anni novanta; voi fate parte di quei gruppi che non si sono fatti influenzare dalle nuove tendenze continuando ad avere un approccio”vecchia scuola”, ma quali sono i gruppi che più hanno influenzato il vostro sound?

Jerico: Di certo i SubCrush non hanno mai suonato quello che gli altri si aspettavano ma sempre e solo quello che in quel momento rappresentava la nostra musicalità. Siamo passati anche noi da periodi più thrash a momenti più death, ma in generale, penso che siamo sempre rimasti coerenti al nostro moniker.

iye Nel corso della vostra carriera avete diviso il palco con gruppi a dir poco fondamentali per lo sviluppo del metal estremo come Entombed, The Haunted, Darkane e Sadus: quanto è importante per voi suonare dal vivo?

Jerico: Ogni concerto è una nuova sfida, dalla ideazione della scaletta alla preparazione in sala prove per la stessa, ma ogni volta è una soddisfazione stare sul palco insieme agli altri componenti del gruppo e condividere ogni emozione scaturita da ogni singola nota.

iye La scena italiana negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale a livello qualitativo: per voi che siete in giro da un po di anni, quali sono le differenze sostanziali tra la scena odierna e quella dei primi anni del nuovo millennio?

Jerico: La scena italiana pullula di band valide, sia dal punto di vista tecnico che delle idee; sicuramente l’attitudine delle band si è modificata nel tempo, ma credo che questo sia inevitabile. Forse quello che manca di più alla scena oggigiorno, rispetto a venti anni fa, è la curiosità nella ricerca di gruppi, suoni e relative “leggende”. Con internet oggi tutto è alla portata di tutti, e questo va sicuramente a discapito dell’immaginazione, che a mio modo di vedere è parte integrante del piacere musicale.

iye Siamo ai saluti, vi lascio spazio per farci conoscere i prossimi passi della band e vi ringrazio a nome dei lettori di Iyezine.

Jerico: Tutto quello che di importante gira intorno alla band è quasi subito postato nei nostri socials (fb in primis). Rimanete in contatto con noi su Facebook

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Vardis – Red Eye

Un gradevole tuffo nel passato, anche se non mancano motivi per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro

Il trio proveniente dal Regno Unito, composto oggi dal talentuoso chitarrista/cantante Steve Zodiac e dalla sezione ritmica che vede Joe Clancy alle pelli e Martin Connolly al basso (che ha sostituito dopo l’uscita dell’abum Terry Horbury, putroppo scomparso lo scorso dicembre), può tranquillamente essere considerato un gruppo storico del metal/rock ottantiano anche se discografia non è così colma di full length (Red Eye è il quarto) in quanto la band ha interrotto le uscite discografiche per un lungo periodo tra il 1986 ed il 2015.

L’attività è iniziata nel lontano 1979 e la prima metà del decennio successivo ha visto i Vardis impegnati nel produrre tre lavori su lunga distanza, The World’s Insane nel 1981, Quo Vardis l’anno dopo e l’ultima prova nel 1986, quel Vigilante che rimase per molto tempo il testamento discografico della band.
Red Eye segna il ritorno sulle scene del trio anglosassone, una macchina di metal/rock dalle forti influenze blues, pregna di micidiale groove e di riff che si modellano su un hard rock tra Ac/Dc e Status Quo.
Rock vecchio stile, insomma, che trasuda rock’n’roll potente e tanto divertimento, affiancato da una componente metallica pescata a piene mani dalla new wave of british heavy metal, genere in cui i Vardis si rispecchiano a sufficienza.
L’album risulta una buona mazzata hard rock, la sei corde, a tratti hendrixiana è l’assoluta protagonista delle canzoni che compongono il lavoro, impetuosa, tremendamente blues ma graffiante quando Zodiac la fa urlare di orgoglio metallico.
Red Eye è un album old school, suonato, cantato e vissuto da musicisti che di anni di musica alle spalle ne hanno da vendere, e le sanguigne Paranoia Strikes, The Knowledge, l’irresistibile di Back To School e l’ammiccante Head Of The Nail, brano che porta Angus Young a suonare negli Status Quo, non potranno che far luccicare di nostalgia gli occhi a chi, a dispetto degli anni, hanno ancora voglia di sentire del sano rock.
L’album prende quota quando il vecchio blues prende le redini del sound e ne escono brani travolgenti come Hold Me, un ritorno nelle strade polverose in cui i fantasmi del passato vi prenderanno per mano accompagnadovi davanti a chi offre il successo in cambio della dannazione eterna.
Detto della produzione perfetta e corposa, della sezione ritmica che asseconda il chitarrista con una prova tutta grinta e sudore, ed un lotto di brani che si mantengono di buon livello, non mi rimane che consigliarvi questo tuffo nel passato, anche se i motivi non mancano per apprezzarlo sia nel presente che nel futuro.

TRACKLIST
1. Red Eye
2. Paranoia Strikes
3. I Need You Now
4. The Knowledge
5. Lightning Man
6. Back to School
7. Jolly Roger
8. Head of the Nail
9. Hold Me
10. 200 M.P.H.

LINE-UP
Steve Zodiac -Guitar, Voice
Joe Clancy – Drums
Terry Horbury – Bass

VARDIS – Facebook

Assassin – Combat Cathedral

Ottimo ritorno per il gruppo tedesco, il nuovo lavoro sazierà di violento thrash metal tutti gli amanti dei suoni estremi provenienti dal decennio ottantiano

I thrashers tedeschi Assassin sono da sempre considerati alla stregua di una cult band per gli amanti del genere: attivi dalla prima metà degli anni ’80 con il primo demo Holy Terror ed il debutto sulla lunga distanza The Upcoming Terror, datato 1986, si misero in mostra per il loro stile violentissimo e senza compromessi.

Interstellar Experience, secondo lavoro licenziato nel 1988, vide la band fare un passo indietro a livello qualitativo, da qui in poi numerosi problemi portarono allo split, fino al 2005 che segnava la reunion e l’uscita del terzo full length, The Club.
Il precedente Breaking The Silence, uscito cinque anni fa, seguito da un DVD ed una compilation hanno dato alla band la meritata continuità discografica e questo ottimo Combat Cathedral non fa che confermare il periodo di grazia del combo tedesco.
Accompagnato dalla copertina illustrata da Marcelo Vasco (Slayer, Machine Head, Soulfly), il nuovo lavoro presenta dodici brani di devastante thrash metal alla Slayer, tra tradizione ottantiana e massacrante groove, che basta per rendere la proposta al passo coi temi e per niente nostalgica.
Gli Assassin sono una macchina da guerra metal, violenta e feroce, se qualcosa si perde nei più di cinquanta minuti di durata, i loro punti il quintetto tedesco li riacquistano con un impatto ed una furia distruttrice sopra le righe ed una prova tecnica notevole.
Le ritmiche spazzano via ogni cosa, le chitarre urlano e il vocalist spacca letteralmente con una prova rabbiosa e sul pezzo, in ogni istante di questa guerra totale che è Combat Cathedral.
Ingo “Crowzak” Bajonczak è una furia disumana al microfono, la sezione ritmica esplode in ripartenze da infarto (Joachim Kremer al basso e Björn “Burn” Sondermann alle pelli), mentre le due asce sono armi letali in mano ai due axekillers Michael Hoffmann e Jürgen “Scholli” Scholz.
Non un attimo di respiro, i brani si susseguono una più violenta ed estrema dell’altra con l’opener Back From The Dead, la devastante Undying Mortality, la velocissima Whoremonger e la clamorosa Ambush a fare da traino a questo branco di voraci e crudeli metal songs.
Ottimo ritorno dunque per il gruppo tedesco, il nuovo lavoro sazierà di violento thrash metal tutti gli amanti dei suoni estremi provenienti dal decennio ottantiano, che la battaglia abbia inizio.

TRACKLIST
1. Back From The Dead
2. Frozen Before Impact
3. Undying Mortality
4. Servant Of Fear
5. Slave Of Time
6. Whoremonger
7. Cross The Line
8. What Doesn’t Kill Me Makes Me Stronger
9. Ambush
10.Word
11. Sanity From The Insane
12. Red Alert

LINE-UP
Ingo “Crowzak” Bajonczak – vocals
Michael Hoffmann – guitars
Jürgen “Scholli” Scholz – guitars
Joachim Kremer – bass
Björn “Burn” Sondermann – drums

ASSASSIN – Facebook

Devolted – Broken Kings

Segnatevi il nome di questa band irlandese, al prossimo giro che si spera sulla ruota di un full length potrebbero regalare uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio metallici.

Secondo lavoro in formato ep dei Devolted, gruppo irlandese attivo in quel di Dublino dal 2010 e con il primo mini cd uscito un paio di anni fa (The Curious Case).

Quattro brani per sedici minuti di metal ruvido, pesante e molto groovy, questo in sintesi è quello che affiora all’ascolto di Broken Kings e delle canzoni di cui è composto, ispirato tanto dal thrash metal, quanto dalle ultime sonorità che riempiono i lavori delle giovani modern metal band.
Ritmiche pesanti come macigni, rese potentissime da un groove in pieno Pantera style, un tocco di death metal melodico alla Soilwork e per questa giovane band il gioco è fatto, non facendo mancare chorus melodicissimi (My Monster) un’indiavolata carica thrash (Dogs Of War) e buone intuizioni di quel metal moderno tanto caro ai gruppi statunitensi (la title track).
Qualche riff richiama il metal tradizionale, ma sono attimi, schegge che partono impazzite a causa dell’esplosione dei tre brani, che travolgono, grazie anche ad una produzione esemplare che valorizza tutta la carica metallica in possesso alla band.
Il resto è un susseguirsi di metallo roccioso e debordante con una prova maiuscola di un singer rabbioso, ma perfetto nelle cleans, valorizzate da chorus dall’ottimo appeal (Rafal Smyczynski), una sezione ritmica spaccaossa ( lo stesso singer al basso in compagnia delle pelli di Dominik Tokarski) e due asce che non risparmiano riff debordanti e solos ultra heavy (Mark O’Reilly e Killian Chellar).
Segnatevi il nome di questa band irlandese, al prossimo giro che si spera sulla ruota di un full length potrebbero regalare uno spettacolo pirotecnico di fuochi d’artificio metallici.

TRACKLIST
1. My Monster
2. Dogs of War
3. God of Light
4. Broken Kings

LINE-UP
Dominik Tokarski – Drums
Mark O’Reilly – Guitars, Vocals (backing)
Killian Chellar – Guitars, Vocals (backing)
Rafal Smyczynski – Vocals, Bass

DEVOLTED – Facebook

Eclipse – Clandestine Resurrection

Clandestine Resurrection degli indiani Eclipse non mancherà di sorprendere gli amanti dei suoni metallici melodici e raffinati.

Attivi dal 2004 e con un ep ed un singolo alle spalle, arrivano al traguardo del primo full length gli indiani Eclipse, band che del metal old school dai richiami hard rock melodici fa il suo credo.

In un paese dove il metal estremo ha messo radici e sforna continuamente nuove realtà non è poi così facile trovare band di metal classico, il gruppo originario di Guwahati infatti non deluderà chi ha nel suo dna il sound storico degli anni ottanta, a cui la band è legata e che rende elegante da molti inserti tastieristici e melodie ruffiane di scuola scandinava.
Clandestine Resurrection risulta così un buon lavoro, immerso nella tradizione metallica, ogni brano vive della luce melodica che i tasti d’avorio di scuola AOR imprimono sul sound, la chitarra alterna riff di scuola hard rock e verve maideniana, ed il tutto viene accompagnato dalle ottime linee melodiche del singer Kundal Goswami.
Classic metal del più raffinato, tra Rainbow e primi Europe, Iron Maiden e Journey in un susseguirsi di brani dal buon appeal, a tratti epico, mai troppo veloce e con i mid tempo a fare la voce grossa.
Tastiere evocative, fanno da intro al lavoro (Prelude to the Resurrection), che esplode in tutta la sua carica di raffinato metallo ottantiano nell’opener Rise Of The Dead, la sei corde insegue i tasti d’avorio in quella che risulta un’apertura davvero riuscita.
L’ascolto, pur rimanendo ancorato nei canoni del genere risulta vario nell’alternare melodia e grintose parti dove le chitarre si rivestono dell’armatura della vergine di ferro, From The Ashes è una semiballad di scuola Rainbow, mentre Dreams Of Midnight risulta il lato più oscuro della musica del combo.
Da segnalare Stale Memories, altra ballad sopra le righe, mentre sono le dolci note di Yesterday & Tomorrow che ci accompagnano alla conclusione di questo Clandestine Resurrection, album che non mancherà di sorprendere gli amanti dei suoni metallici melodici e raffinati.

TRACKLIST
1. Prelude to the Resurrection
2. Rise of the Dead
3. Enlightened by Darkness
4. From the Ashes
5. Virgins of Heaven and Hell 2
6. Dreams of Midnight
7. Fall of Kings
8. Stale Memories
9. Serenity
10. Yesterday & Tomorrow

LINE-UP
Kundal Goswami -Vocals
Rahul Kaushik -Bass
Sumit Baruah -Guitar
Rakesh Barov-Keyboard
Mrinmoy Edwin Singha-Drums

ECLIPSE – Facebbok

White Miles – The Duel

The Duel esalta il talento dei due musicisti d’oltralpe, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

Con il nome che ricorda i famosissimi White Stripes, un secondo album (questo The Duel) molto bello ed intenso, ed una storia drammatica da raccontare alle spalle, tornano sul mercato discografico gli White Miles, duo austriaco di dirty pole dance stoner blues rock, come lo chiamano loro, molto più semplicemente di rock blues stonerizzato, acido e moderno.

Un passo indietro è doveroso per raccontare cosa ha riservato il destino per la band: infatti, dopo il primo album (Job: Genius, Diagnose: Madness) il duo partì in tour a supporto di Courtney Love, mentre nel 2015 un’altra grossa opportunità si presentò al gruppo: aprire i concerti per il tour europeo degli Eagles Of Death Metal, ed è così che Medina Rekic (voce e chitarra) e Hansjörg Loferer (batteria e voce) furono testimoni dei tragici fatti del Bataclan di Parigi, uno dei più vili episodi di violenza che il mondo della musica e non solo può annoverare in questo assurdo incubo che stiamo vivendo in questi anni.
Torniamo alla musica suonata e a The Duel, un lavoro con una forte impronta blues, essenziale e scarno, vero e passionale, formato da un lotto di brani che affascinano, così colmi di elettricità drammatica e positiva, un disco che sprizza rock americano da tutti i pori, creato da una band nata nel mezzo delle alpi europee.
Chitarra e batteria, qualche linea di basso ed un gran talento per il genere, sporco e ubriaco di stoner, rende la proposta moderna quanto basta per entrare nei cuori dei fans dell’alternative rock, anche se Sickly Nerves, il bellissimo singolo Crazy Horse, Keep Your Trippin Wild e la stratosferica Insane To The Bone, picco emozionale dell’album, hanno in sé una carica blues rock che trasforma i brani di The Duel in esplosioni di musica del diavolo.
Le voci dei due musicisti si alternano con passionalità, rendendo i brani oltremodo sanguigni, le note che fuoriescono dagli strumenti grondano attitudine rock’n’roll, in un susseguirsi
di emozioni sopra le righe.
The Duel esalta il talento dei White Miles, attirando a sé chi segue le sorti del rock del nuovo millennio, sempre più vivo a dispetto di chi da anni gli sta scavando la fossa.

TRACKLIST
1. Sickly Nerves
2. In The Mirror
3. Crazy Horse
4. Insane To The Bone
5. A Good Pennyworth
6. Coke On A Jetplane
7. A (n) Garde
8. Heid
9. Don’t You Know Him
10. River Of Gold
11. Keep Your Trippin Wild

LINE-UP
Medina Rekic – voce, chitarra
Hansjörg Loferer – batteria, voce

WHITE MILES – Facebook

Rudhen – Imago Octopus

Imago Octopus vede i Rudhen alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley

Il basso pulsante dell’opener Sorrow For Your Life ci introduce nel mondo dei Rudhen, band che trasforma il nostro nord est (loro sono di Crespano del Grappa, in provincia di Treviso) nell’assolato territorio desertico della Sky Valley.
Nato nel 2013, il gruppo arriva al suo secondo ep, uscito qualche mese fa, non prima di aver dato alle stampe il primo mini cd nel 2014.

Fondati da Luca De Gasperi (batterista) ed Alessandro Groppo (cantante), i Rudhen hanno trovato una line up stabile con l’entrata in formazione di Maci Piovesan al basso e Fabio Torresan alla sei corde.
Imago Octopus vede il quartetto alle prese con il sound che ha reso famoso in tutto il mondo le desolate e aride terre della Sky Valley: il loro sound, lisergico e stonato acquisisce un tocco personale con l’aggiunta di ottime sfumature vintage, pescate dal decennio settantiano.
Si cammina sul territorio americano con un occhio al Regno Unito, in questi cinque brani che compongono Imago Octopus; la gola arida, il passo pesante sotto il sole che toglie il respiro, le visioni allucinate, effetto collaterale di erbe illegali, sono compagni di viaggio in questo tuffo nello stoner, aiutato non poco e in parti uguali, dal rock alternativo e dall’hard rock classico.
Ci si riempie di rabbiose atmosfere elettriche, e pesanti mid tempo dall’andamento altalenante, le songs non risparmiano drammatiche richieste d’aiuto, per ritrovare la strada perduta tra i solchi di Rust, Fliyng To The Mirror, dell’ arrembante Lost ed i ritmi dal sapore orientale della bellissima Arabian Drag.
Non sono pochi i riferimenti che si riscontrano all’ascolto dei brani, non mancano chiaramente i nomi principali della scena stoner americana come Kyuss e QOTSA, ma all’attenzione giungono piacevoli noti sabbathiane ed un velato ma importante richiamo al doom/stoner targato Rise Above (Lee Dorrian docet).
In conclusione un ep che, per gli amanti del genere, sarà sicuramente una piacevole scoperta ed un ottimo ascolto; aspettiamo dunque ulteriori sviluppi, magari con la consacrazione del gruppo sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1.Sorrow For Your Life
2.Rust
3.Flying Into the Mirror
4.Lost
5.Arabian Drag

LINE-UP
Alessandro Groppo- Voice
Fabio Torresan- Guitar
Maci Piovesan- Bass
Luca De Gaspari- Drums

RUDHEN – Facebook