Tyfon’s Doom – Yeth Hound

Yeth Hound strappa la sufficienza per qualche buon assolo classico inserito in brani che, purtroppo, non decollano e lasciano l’amaro in bocca lasciando intravedere però qualche buona idea.

Proposta che più underground di così non si può è quella che ci arriva dalla Gates Of Hell Records, con questo nuovo lavoro dei Tyfon’s Doom, one man band di Tommi Varsala, musicista finlandese alle prese con l’heavy metal old school tra new wave of british heavy metal e tradizione americana.

Cinque nuovi brani più tutto il primo demo uscito lo scorso anno compongono l’ep in edizione limitata in vinile e cd, sinceramente non una grave perdita se non siete fans del metal classico underground, perché troppi difetti si porta con sé il buon Varsala.
Le songs, specialmente quelle nuove non sarebbero poi così male, Yeth Hound rimane un lavoro ben saldo nel metal classico, prendendo ispirazione dai gruppi storici della nostra musica preferita.
Si passa così dalla vergine di ferro, influenza primaria del musicista finlandese, specialmente quella dell’era Paul Di Anno (Iron Maiden, Killer), a Mercyful Fate e Metal Church per le atmosfere oscure che attanagliano brani come Still Here, Gate To New Reality, Ravenous Hunter e Rapid Revival (prese dal primo demo).
Il problema sta tutto nella produzione deficitaria (il disco sembra registrato in cantina) e la voce poco consona al mood dei brani e soffocata dall’atmosfera ovattata del suono.
Peccato perché pur essendo un lavoro clone delle band citate i brani spingono sufficientemente, ma vengono sviliti dai difetti elencati.
Senza voler bocciare tout court il lavoro del musicista finlandese, mi limito a sottolineare un mio pensiero: la nostra ‘zine tratta quasi esclusivamente opere underground in tutti i generi metallici, ma considerando che viviamo nel 2016, un lavoro più attento in fase di registrazione e produzione è d’uopo per non passare da una proposta senza compromessi ad un’altra che non lascia tracce nell’ascoltatore, anche il più appassionato ed attento.
Yeth Hound strappa la sufficienza per qualche buon assolo classico inserito in brani che, purtroppo, non decollano e lasciano l’amaro in bocca lasciando intravedere però qualche buona idea.

TRACKLIST
1. Yeth Hound
2. Still Here
3. Rockers
4. Gate to New Reality
5. Galactic Flash / Last Ray of Light
6. Got to Love the Midnight Train (Bonus – Demo 2015)
7. Ravenous Hunter (Bonus – Demo 2015)
8. Rapid Revival (Bonus – Demo 2015)
9. Stay Down (Bonus – Demo 2015)

LINE-UP
Tommi Varsala – All instruments

TYFON’S DOOM – Facebook

Hammercult – Legends Never Die

Legends Never Die, oltre ad essere un omaggio del gruppo ad una manciata di artisti entrati di diritto nella storia della nostra musica preferita, è anche un buon modo per saggiare lo stato di forma del gruppo israeliano in attesa dell’arrivo sul mercato del prossimo full length

Un treno in corsa a forte velocità che entra in una stazione e si schianta in un binario morto, la musica suonata dal gruppo israeliano fa pensare proprio a questo.

Gli Hammercult licenziano questo ep il cui titolo è tutto un programma, Legends Never Die: in questo caso si parla ovviamente di leggende del metal, visto che gran parte dei brani inclusi nel cd sono cover di artisti che hanno fatto la storia del metal estremo e non solo, suonate alla Hammercult, perciò speed/thrash alla velocità della luce, estremo e dannatamente coinvolgente.
Gruppo nato a Tel Aviv ma con base in Germania, gli Hammercult nascono nel 2010 e in sei anni licenziano due ep e ben tre full length, l’ultimo dello scorso anno dal titolo Built For War.
Battere il ferro finché è caldo si dice, ed il gruppo esce con questo lavoro che fa da spartiacque tra l’ultimo lavoro ed il prossimo album e l’operazione non mancherà di soddisfare gli amanti del metal estremo di estrazione thrash, violentissimo e senza compromessi.
I primi cinque brani sono cover, suonate alla grande dal gruppo, in una versione se possibile ancora più devastante delle originali, specialmente per quanto riguarda Motorhead (il super classico Ace Of Spades) e Slayer (Evil Has No Boundaries).
Ma non ci si ferma qui e variano la proposta e le leggende da cui pescare, così ci troviamo al cospetto di massacranti versioni come Fast As A Shark degli inossidabili Accept, Soldiers Of Hell dei pirati Running Wild e No Rules dello scomparso prematuramente GG Allin.
I tre brani presenti confermano gli Hammercult come una iperbolica macchina estrema che pesca dallo speed/thrash e dal death metal amalgamandolo con una dose di epicità che ne fanno una una realtà apprezzabile non solo dai thrashers ma da molti seguaci del metallo estremo.
Una forte impronta guerriera, ritmiche velocissime, tanta epicità ed un vocalist dall’impronta death (il buon Yakir Shochat ricorda a più riprese il bambino di Bodom Alexi Laiho) riempiono le orecchie di fiero metallo a cavallo della furia distruttrice di Rise of the Hammer (da Built For War), la devastante Steelcrusher (titletrack dell’omonimo album) e Let the Angels Burn (dal primo lavoro Anthems of the Damned).
Legends Never Die, oltre ad essere un omaggio del gruppo ad una manciata di artisti entrati di diritto nella storia della nostra musica preferita, è anche un buon modo per saggiare lo stato di forma del gruppo israeliano in attesa dell’arrivo sul mercato del prossimo full length.

TRACKLIST
1. Fast as a Shark (Accept cover)
2. Ace of Spades (Motorhead cover)
3. Soldiers of Hell (Running Wild cover)
4. No Rules (GG Allin cover)
5. Evil Has No Boundaries (Slayer cover)
6. Rise of the Hammer
7. Steelcrusher
8. Let the Angels Burn

LINE-UP
Yakir Shochat-Vocals
Guy Ben David-Guitar
Arie Arvanovich-Guitar
Elad Manor-Bass
Maayan Henik-Drums

HAMMERCULT – Facebook

Wild Frontier – Alive 25

Una band che diverte senza far mancare eleganti sfumature e raffinati passaggi melodici, accontentando un po’ tutti gli amanti dell’hard rock più nobile ed arioso.

Con colpevole ritardo vi invitiamo all’ascolto di Alive 25, album che ripercorre la carriera degli hard rockers tedeschi Wild Frontier, da una vita nel mondo dell’hard rock ma ahimè poco conosciuti al grande pubblico.

Questo mastodontico live, uscito col supporto in DVD ripercorre la discografia del gruppo, giunto appunto ai 25 anni di attività, ed è stato registrato nel 2013, anche se l’album è uscito sul finire dello scorso anno.
Cinque lavori sulla lunga distanza più una compilation componevano, fino ad ora, la discografia del gruppo, con il debutto One way to heaven del 1994 a fare da capostipite e 2012, uscito come da titolo quattro anni fa nei panni dell’ultimo nato.
Un piacevole, orecchiabile e melodicissimo hard rock è quello che il gruppo, capitanato dall’ottimo vocalist Jens Walkenhorst ,alle prese pure con la sei corde, propone da sempre, ritmiche grintose e da arena rock, cori da cantare ai piedi di un palco e tanta attitudine old school.
Vecchia scuola che in questo caso vogliono dire atmosfere ottantiane dall’appeal che si divide tra la tradizione statunitense ed il classico rock robusto di estrazione europea, tastiere dal piacevole sapore aor e riff consumati sulle strade di confine.
Una band che diverte senza far mancare eleganti sfumature e raffinati passaggi melodici, accontentando un po’ tutti gli amanti dell’hard rock più nobile ed arioso.
Sedici brani per un’esperienza live totale, fanno di questo album un ottimo esempio di musica dal vivo, il gruppo diverte e appunto non manca di divertire coinvolgendo non poco, certo non si parla di grosse arene ma la sensazione di evento si respira piacevolmente tra i solchi del disco.
Per chi conosce i Wild Frontier, i loro migliori brani sono tutti qui (Alive, To the End of The World, la stupenda Thousand Miles Away, Shake Your Body, Surrounded e la cavalcata metallica dalle ritmiche power We Will Be One), per chi invece è al primo incontro con il gruppo tedesco Alive 25 è un album da non perdere, un best of dal vivo valorizzato da un’ottima produzione e dalla grinta inevitabile che le canzoni acquistano in sede live.
Per gli amanti dell’hard rock divisi tra Bon Jovi, Gotthard, Winger e Def Leppard i Wild Frontier non possono mancare nel lettore cd, risultando una realtà sicuramente da rivalutare ed ascoltare.

TRACKLIST
1. Anything You Want
2. Bad Town’s Side
3. Alive
4. To The End Of The World
5. Don’t Walkaway
6. Thousand Miles Away
7. One Heart One Soul
8. Shake Your Body
9. Wild Wind Blows
10. Too Late
11. Why Don’t You Save Me
12. I Can’t Believe
13. The End Of The Road
14. It’s All Over Now
15. Surrounded
16. We Will Be One

LINE-UP
Jens Walkenhorst – Vocals, Guitar
Mario Erdmann – Bass, Vocals
Thomas Ellenberger – Keyboards, Vocals
Sascha Fahrenbach – Guitars
Nico Fahrenbach – Drums

WILD FRONTIER – Facebook

Heretique – De Non Existentia Dei

Non solo metal estremo ma molti inserti atmosferici di un’intensità sopra le righe che formano un lavoro vario e coinvolgente, in cui si respira insana malignità

Il death metal dalle reminiscenze black e dai contenuti fortemente anticristiani e guerreschi è molto diffuso nell’est europeo, tanto da considerare alcune delle band provenienti da quei paesi ( specialmente dalle terre polacche)tra ii maestri indiscussi di questa corrente estrema.

Con gli storici Behemoth a tirare le fila di questo esercito del male, non sono poche le realtà estreme che in ambito underground si sono imposte all’attenzione degli addetti ai lavori, forti di una proposta senza compromessi che amalgama con risultati devastanti il death metal old school, soffocante e pregno di potenza monolitica, con la furia iconoclasta del famigerato black metal.
De Non Existentia Dei ne è un buon esempio, secondo lavoro sulla lunga distanza di questi sacerdoti neri, al secolo Heretique, che, nella cattedrale alzata all’oscuro signore, svolgono le loro blasfeme liturgie.
Attivo da quasi dieci anni, il gruppo polacco aveva già lasciato ai famelici posteri un primo lavoro dal titolo Ore Veritatis uscito quattro anni fa.
Le campane della cattedrale di ossa sono tornate a battere il loro funebri rintocchi ed il nuovo lavoro conferma la totale brutalità oscura della musica creata dal combo, death metal feroce, reso delirante e terrorizzante da spunti black e doom, nero inno al maligno e totale mancanza di umana pietà.
Non solo metal estremo ma molti inserti atmosferici di un’intensità sopra le righe che formano un lavoro vario e coinvolgente, in cui si respira insana malignità tra brani disturbanti e malefici.
Un ottimo lavoro chitarristico, sia nelle parti estreme che nei momenti di spettrali armonie acustiche, un massacro la prova della sezione ritmica, ed un cantato che alterna growl brutale a schizoidi parti in scream non fanno che alzare il mood estremo e diabolico di questo lavoro, valorizzato da ottimi brani come Sweet Stench of Rotting Human Flesh, Dimension e Spiritus Antichristi.
Behemoth e Morbid Angel sono i gruppi a cui la band fa riferimento, creando un armageddon di note luciferine dall’alto potenziale satanico.
Se siete amanti del genere l’album è altamente consigliato, puro male in musica.

TRACKLIST
1. Chimera
2. Sweet Stench of Rotting Human Flesh
3. De Non Existentia Dei
4. Dying in Hate
5. Following Through
6. Dimension
7. Czarna polewka
8. From the Black Soil
9. Unknown Whispers
10. Spiritus Antichristi
11. The Raven
12. End of Transmission

LINE-UP
Wojciech “Zyzio/Wojtas” Zyrdoń – Bass
Grzegorz “Igor” Piszczek – Drums
Piotr “Peter” Odrobina – Guitars
Grzegorz “Celej” Celejewski – Guitars, Vocals
Marek “Strzyga” Szubert – Vocals

HERETIQUE – Facebook

Witch Vomit – A Scream from the Tomb Below

Un metal estremo oscuro e devastante, arricchito di rallentamenti in pieno doom/death come il genere richiede

Dalla scena di Portland (Oregon), covo di realtà estreme che si nutrono di blasfemo death metal (Torture Rack, Symptom, Ritual Necromancy, Triumvir Foul), escono dalla loro tana con il primo lavoro sulla lunga distanza gli Witch Vomit, trio di deathsters attivo dal 2012.

Il vomito della strega, nome che dice tanto sulla maligna e morbosa proposta del gruppo statunitense, confeziona un piccolo gioiellino di death metal old school che richiama con le sue urla colme di odio la scena scandinava dei primi anni novanta, imbastardendolo con fulminanti iniezioni di scuola statunitense.
Trenta minuti nell’antro della strega, posseduta da demoni che hanno attraversato millenni e sono arrivati a noi carichi di odio morte e blasfemie.
Un metal estremo oscuro e devastante, arricchito di rallentamenti in pieno doom/death come il genere richiede, una mazzata infernale consigliata senza riserve agli amanti del death metal scandinavo.
La strega vomita schifosi rigurgiti provenienti dalle fredde lande del nord, li rende potentissimi infarcendo le ritmiche di death guerresco e qualche accenno al brutal, ed il tutto risulta pregno di splendide atmosfere malefiche.
Ed è così che tra i solchi delle varie ed abominevoli Ripped from the Crypt, The Tomb, Torn From Life vivono le demoniache presenze che dal passato sono riemerse in questo inno al male chiamato A Scream from the Tomb Below.
Nihilist, Entombed, Asphyx e Grave, Incantation e Autopsy sono vomitati dalla strega prima che prenda le nostre anime.
Prodotto a meraviglia così da far risaltare tutta la putrida e soffocante atmosfera di morte e dannazione, l’album è un classico esempio di come un disco indubbiamente derivativo possa alla fine rivelarsi del tutto soddisfacente.
Siamo immersi nel death metal vecchia scuola e ci anneghiamo volentieri.

TRACKLIST
1. Ripped from the Crypt
2. Screams from Purgatory
3. The Tomb
4. Below the Dirt
5. Witch Cunt
6. Primal Rite of Death
7. Torn from Life
8. Twisted Altar of Sin

LINE-UP
Filth – Drums
Tempter – Guitars, Vocals
J.G. – Bass

WITCH VOMIT – Facebook

Deceased – Fearless Undead Machines

La Transcending Obscurity riporta all’attenzione degli amanti del thrash metal Fearless Undead Machine, capolavoro dei thrashers statunitensi Deceased, uscito originariamente per la storica label Relapse nell’ormai lontano 1997.

Molti non vedono di buon occhio le varie riedizioni e ristampe di album classici ed in parte anche il sottoscritto nutre dei forti dubbi su queste operazioni, specialmente se riguardano gruppi famosi e fatte solo per spillare qualche euro ai fans accaniti.

Discorso che cambia radicalmente se vengono presi in considerazione album storici di quei gruppi di genere, magari poco conosciuti se non ai più attenti alle uscite underground.
La Transcending Obscurity riporta all’attenzione degli amanti del thrash metal Fearless Undead Machine, capolavoro dei thrashers statunitensi Deceased, uscito originariamente per la storica label Relapse nell’ormai lontano 1997.
Capitanata dal singer King Fowley, la band proveniente dalla Virginia iniziò la sua attività nella metà degli anni ottanta e la sua discografia si compone di un gran numero di lavori, tra cui compilation ep e demo, ma non mancano ottimi album (sei in totale) di cui Fearless Undead Machine risulta il terzo, successore del debutto Luck of the Corpse del 1991 e The Blueprints for Madness uscito nel 1995.
Una band dalla storia travagliata, specialmente per i problemi di salute che hanno attanagliato il leader (prima un infarto e successivamente gravi problemi polmonari) ma che ha mantenuto una buona qualità sui propri lavori di cui questo disco, come detto, ne è la massima espressione.
Un’opera di quasi settanta minuti incentrata su suoni estremi di ispirazione thrash/death non è cosa da poco, specialmente se il livello di attenzione rimane altissimo ed il songwriting non cede un solo attimo, creando un bombardamento sonoro di dimensioni enormi.
Thrash metal, spunti più estremi riconducibili al death made in bay area ed elementi classici di estrazione heavy, sono le peculiarità del sound di cui si compone l’album, un vero e devastante esempio di metallo, belligerante, travolgente ed irresistibile per ogni fan dell’headbanger che si rispetti.
Sodom, primi Voivod ed i sempre presenti Slayer sono le band cardine del sound proposto dai nostri guerrieri della Virginia, ma l’heavy metal è ben presente nei brani del disco, non dimentichiamo che gli anni ottanta non erano poi così lontani (U.S. metal) e la metà del decennio successivo vedeva tornare in auge un po’ di quelle melodie classiche portate alla cronaca dal successo di band come per esempio gli Iced Earth di Jon Schaffer (restando in terra statunitense).
The Silent Creature, opener del disco, la title track, la devastante Night Of The Deceased, la voivodiana e progressiva Mysterious Research e la conclusiva Destiny fanno da sunto a questa ora abbondante di metallo incandescente ed oscuro, perfetto non solo per thrashers e deathsters ma anche per chi ama l’heavy metal classico più robusto.
Se non conoscete questo lavoro, non perdete tempo e fatelo vostro, mai ristampa fu più preziosa.

TRACKLIST
1.The Silent Creature
2. Contamination
3. Fearless Undead Machines
4. From the Ground They Came
5. Night of the Deceased
6. Graphic Repulsion
7. Mysterious Research
8. Beyond Science
9. Unhuman Drama
10. The Psychic
11. Destiny

LINE-UP
Mike Smith – Guitars
King Fowley – Vocals, Drums
Les Snyder – Bass
Mark Adams – Guitars

DECEASED – Facebook

Mortal Peril – The Legacy of War

The Legacy Of War è un buon lavoro, sicuramente consigliato agli amanti del thrash old school

Secondo lavoro per i thrashers tedeschi Mortal Peril, band fondata dal batterista Jonas Linnartz e dal bassista/cantante Jan Radermacher nel 2010 e raggiunti due anni dopo da Pete Rode e Mr. Greene che formano la coppia di asce in forza alla band.

The Legacy Of War è il successore del primo lavoro sulla lunga distanza, Walking on Hellish Trails uscito lo scorso anno, rigorosamente autoprodotto.
Il gruppo di Colonia a discapito delle origini, propone un thrash metal old school molto più statunitense che europeo, le linee melodiche sempre ben presenti ed una buona alternanza tra parti veloci e mid tempo, danno una sufficiente varietà al sound di The Legacy Of War che risulta nella sua chiara ispirazione alla vecchia scuola un album ben fatto.
Un ascolto interessante nel quale viene data molta importanza alle melodie, sottolineate dai solos delle sei corde a tratti ispirate al metal classico, mentre la voce è perfettamente inquadrata nella tradizione thrash metal del nuovo continente.
Non perdono tempo i Mortal Peril, e Generation Hate apre le ostilità con un thrash metal serrato e aggressivo risultando una cavalcata di genere congeniata a dovere.
Gladiator cambia leggermente registro e si attesta su un mid tempo granitico, dove il gruppo inserisce una serie di solos melodici ed heavy e la song così risulta una delle migliori di tutto il lavoro, bissata dalle ottime Air Attack che conquista con azzeccate frenate e ripartenze velocissime, War In Hell aperta da un giro di chitarra acustico in stile four horsemen, e la conclusiva title track, brano furioso valorizzato dal sempre ottimo lavoro chitarristico in un crescendo metallico di buona presa.
The Legacy Of War è un buon lavoro, sicuramente consigliato agli amanti del thrash old school, il sound è un valido compromesso tra Metallica, Exodus, Death Angel ed una vena heavy metal che affiora negli ottimi assoli che lo caratterizzano.

TRACKLIST
1. Generation Hate
2. Gladiator
3. Psychotic
4. Air Attack
5. War Is Hell
6. Seed of Hell
7. Creeping Apocalypse
8. Machete
9. Legacy of War

LINE-UP
Jan Radermacher – Bass,Vocals
Jonas Linnartz – Drums
Mr. Greene – Guitar
Pete Rode – Guitar

MORTAL PERIL – Facebook

Lord Vicar – Gates Of Flesh

I Lord Vicar si confermano come una di quelle band in grado di fungere da traino per il genere nel nuovo millennio e con Gates Of Flesh regalano un album imperdibile agli appassionati.

Un altro ottimo lavoro incentrato sulla musica del destino dal taglio classico che va a rimpolpare le truppe scese in campo negli ultimi mesi con lavori sopra le righe.

I Lord Vicar, con base in Finlandia sono una multinazionale dei suoni cadenzati e monolitici: fondati quasi dieci anni fa da Kimi Kärki (Peter Vicar) dei Reverend Bizarre, raggiunto sull’altare messianico da altri nomi importanti del genere come Chritus, ex vocalist tra gli altri di Count Raven e Saint Vitus, e dalla sezione ritmica composta dal solo Gareth Millsted al basso ed alle pelli.
Gates Of Flesh, contando su musicisti che sanno come far suonare un disco del genere, non può che essere una tappa importante per gli amanti del doom metal, specialmente di chi ne ama il mood classico, ovvero atmosfere heavy rock riconducibili agli anni settanta, un’alternanza perfetta tra brani dal lento incedere ipnotico ad altri con una verve più accentuata e magiche ed oniriche atmosfere, con la sei corde dello storico chitarrista a sanguinare sulle ritmiche vulcaniche e laviche di una sezione ritmica pesante come un’incudine.
Messianico e stupendamente interpretativo, il singer ci conduce tra le spire di questa ottimo lavoro avvolgente ed appunto ipnotico, senza concedere nulla a facili sfumature stoner ma regalando ottimo doom classico.
L’album risulta così un’opera affascinante dove sono ben chiare le coordinate del gruppo che, con talento, segue i dettami del genere così da confermare le ottime sensazioni create dai due dischi precedenti e continuando imperterrito a seguire la religione doom.
Non mancano brani che alzano il livello globale di Gates Of Flesh anche se il lavoro è un monolite di suoni lenti e cadenzati da ascoltare facendosi rapire dalle atmosfere sabbatiche create dal combo, ma il mood settantiano e armonico dell’opener Birth Of Wine e, soprattutto, la marcia inesorabile e lentissima della conclusiva Leper, Leper non potranno che essere acclamate da chiunque si professi amante dei suoni ipnotici, liturgici e magici della musica del destino.
I Lord Vicar si confermano come una di quelle band in grado di fungere da traino per il genere nel nuovo millennio e con Gates Of Flesh regalano un album imperdibile agli appassionati.

TRACKLIST
1. Birth of Wine
2. The Green Man
3. A Shadow of Myself
4. Breaking the Circle
5. Accidents
6. A Woman Out of Snow
7. Leper, Leper

LINE-UP
Gareth Millsted – Drums, Bass
Kimi Kärki – Guitars, Bass
Chritus – Vocals

LORD VICAR – Facebook

Unhoped – Sonic Violence

Sonic Violence si rivela un album imperdibile per gli amanti del vecchio e glorioso thrash metal, ancora vergine ed immune da influenze moderne e più cool.

Thrash metal old school, violento senza fronzoli ma suonato benissimo da una band con gli attributi e a cui non mancano impatto ed attitudine.

Sonic Violence è la seconda prova sulla lunga distanza dei finnici Unhoped, thrash metal band di Varkaus attiva dal 2007 e con alle spalle, oltre ad un ep del 2010 il primo full length dal titolo Die Harder.
Il loro sound rispecchia tutti i cliché del genere, velocità e violenza a tratti alternata da mid tempo di più ampio respiro, tutto nella norma non fosse per un songwriting d’assalto, il gran lavoro dei musicisti coinvolti e un’impatto pari ad una cometa in caduta libera sul pianeta terra.
I due axeman (K. Laanto e A. Paasu) si rincorrono sullo spartito con ritmiche e solos devastanti, basso e batteria non si fanno lasciare indietro e mettono la quinta, viaggiando a velocità iperboliche (S. Parviainen al basso e M. Huisko alle pelli), mentre J. Luostarinen si dimostra singer che col genere va a braccetto senza timori reverenziali verso gli storici vocalist del genere, risultando un’animale rabbioso e personale.
Sonic Violence parte alla grande e non si ferma più, i brani si danno il cambio per distruggere i padiglioni auricolari dei fans, senza lasciare un attimo che l’atmosfera si riempia di noia.
Tra i solchi di vere bombe sonore come l’opener Whole World Gone to Hell, la title track, l’enorme prova di forza che risulta Human Disgrace, la lunga No Man’s Land, troverete sicuramente di che crogiolarvi tra il meglio del thrash metal, vecchia scuola certo ma spettacolarizzato da una produzione perfetta e i richiami ai vari Slayer, Death Angel ed Exodus, che escono prepotentemente dal sound di questa macchina da guerra chiamata Unhoped.
Sonic Violence si rivela così un album imperdibile per gli amanti del vecchio e glorioso thrash metal, ancora vergine ed immune da influenze moderne e più cool.

TRACKLIST
1. Whole World Gone to Hell
2. Assimilation
3. Sonic Violence
4. Human Disgrace
5. No Man’s Land
6. Warhead Sunrise
7. The Naked and the Dead
8. Club Of Swines
9. Pies & Friends

LINE-UP
K.Laanto-Guitar
A.Paasu-Guitar
J.Luostarinen-Vocals
S.Parviainen-Bass
M.Huisko-Drums

UNHOPED – Facebook

The Answer – Rise 10th Anniversary Edition

Special edition per il decimo anniversario di Rise, splendido esordio degli hard blues rockers The Answer

Di questi tempi si parla tanto di revival, in campo hard rock, delle sonorità settantiane pregne di sanguigno blues rock e con soddisfazione per gli amanti delle sonorità vintage, le band protagoniste di album clamorosi non mancano di certo.

L’hard blues settantiano, con quel tocco moderno nei suoni e nelle produzioni, non manca di regalare opere molto interessanti, ma ad un orecchio attento è già da parecchi anni che i fans dell’hard rock possono avvalersi, oltre ai dischi dei gruppi storici, di nuovi eroi che si affacciano sul mercato con album bellissimi.
Tra questi ci sono sicuramente gli irlandesi The Answer che, con Rise, debuttavano sulla lunga distanza nel 2006.
In dieci anni altri quattro album, con l’ultimo Raise A Little Hell, uscito lo scorso anno, una serie di singoli, ed in mezzo il bellissimo Revival del 2011 a valorizzare una già ottima discografia.
Il decimo anniversario dell’uscita di questo bellissimo esordio il gruppo di rockers irlandesi lo festeggia licenziando questa gustosa special edition, che vede l’album completamente rimasterizzato con l’aggiunta dei demo del 2004, alcune canzoni in versione acustica e remix inediti.
Un ottimo modo per conoscere la band o per assaporare questo bellissimo lavoro di hard blues adrenalinico, fresco ed assolutamente irresistibile in ogni sua parte, composto da un lotto di brani esplosivi che miscelano in modo sapiente le sonorità settantiane con le moderne sfumature di cui si nutre l’hard rock del nuovo millennio.
Irlandesi di nascita, ma americani nell’approccio, i The Answer sono la perfetta via di mezzo tra i Led Zeppelin e i Black Crowes, con il caldo sole delle route a lasciare sull’asfalto un dolcissimo odore di southern rock.
Il primo album del gruppo è uno dei migliori lavori usciti in questo decennio, con il suo chitarrismo alla Page, vocals che si rifanno agli dei dei microfono (Cormac Neeson è il Chris Robinson del vecchio continente) e tanta voglia di blues rock, vitale, energico ed irresistibile; se siete rimasti folgorati dalle ultime uscite di genere, non potete mancare all’appuntamento con il gruppo irlandese.
D’altronde parla la musica e l’opener Under The Sky, seguita da quella Never Too Late che sembra uscita dalle registrazioni di The Southern Harmony and Musical Companion, fungono solo da benvenuto nel mondo The Answer e sono seguite da brani eccellenticome Come Follow Me, il blues di Memphis Water, il riff potentissimo di Into The Gutter (brano alla Ac/Dc era Bon Scott) e l’apoteosi southern di Preachin.
Tra le molte versioni, l’hardbook version composto da due cd ed il doppio vinile sono proposte a dir poco succulente e da non perdere, nel frattempo il gruppo suonerà di supporto a Coverdale ed ai suoi Whitesnake anche in Italia (Pistoia blues), un concerto che si preannuncia imperdibile per tutti i fans dell’hard rock, non mancate.

TRACKLIST
CD1:
(all songs remastered 2016)
1. Under The Sky
2. Never Too Late
3. Come Follow Me
4. Be What You Want
5. Memphis Water
6. No Question Asked
7. Into The Gutter
8. Sometimes Your Love
9. Leavin`Today
10. Preachin`
11. Always

CD2:
1. Under The Sky (2016 new mix)
2. Never Too Late (2004 demo)
3. New Day Rising (2004 demo)
4. Too Far Gone (2004 demo)
5. Preachin` (2004 demo)
6. Always (2004 demo)
7. Tonight (2004 demo)
8. So Cold (2004 demo)
9. Song For The People (2004 demo)
10. Take It Easy (2006 recording)
11. Not Listening (2006 recording, exclusive mix)
12. Keep Believin`(2006 recording)
13. Rise (2006 recording)

LINE-UP
Cormac Neeson – Vocals
Paul Mahon – Guitars
Micky Waters – Bass
James Heatley – Drums

THE ANSWER – Facebook

Vampyromorpha – Six Fiendish Tales of Doom and Horror…

Il sound è quanto di più heavy/doom ci si possa immaginare, riprendendo con sagacia le sonorità care ai gruppi storici del genere come Black Sabbath, Pentagram e Saint Vitus, qualche accenno all’horror metal dei nostrani Death SS e colmandolo di atmosfere dark/gothic alla Sisters Of Mercy.

Nell’underground metallico le realtà che si dedicano ad una sorta di rivisitazione del doom metal settantiano, prendendo ispirazione dalla filmografia horror di quegli anni ed amalgamandolo con reminiscenze gothic dark non sono poche, ed imbattersi in piccoli gioiellini non è poi così difficile.

Tramite la Trollzone Records, veniamo investiti da questa apoteosi di atmosfere horror/trash, dove l’immaginario tipico delle pellicole anni ‘70/’80, fatto di procaci e seducenti vampirelle assetate di sangue e castelli invasi da pipistrelli e morti viventi, viene valorizzato da un sound che pesca dal doom quanto dal dark ottantiano.
La band si chiama Vampyromorpha, sono un duo composto da Nemes Black ( chitarra, basso e batteria) e Jim Grant, fuori in questo periodo con il bellissimo Bloodmoon Prophecy dei Naked Star, alle prese con il microfono e qui anche con l’hammond.
Six Fiendish Tales of Doom and Horror… è composto da sei brani più la clamorosa cover di I’m So Afraid dei Fleetwood Mac, il sound è quanto di più heavy/doom potrete immaginarvi, riprendendo con sagacia le sonorità care ai gruppi storici del genere come Black Sabbath, Pentagram e Saint Vitus, qualche accenno all’horror metal dei nostrani Death SS e colmandolo di atmosfere dark/gothic alla Sisters Of Mercy.
Personalmente ho trovato tra i solchi delle varie songs note gotiche care ai Type O Negative e ai Lucyfire di Johan Edlund, proprio per quelle sfumature dark rock che imprimono al sound del duo una marcia in più.
Jim Grant, lontano dai vocalizzi apocalittici e rabbiosi usati nell’opera dei Naked Star, regala alla sua performance sfumature ottantiane dall’ottimo appeal, l’hammond a tratti crea arabeschi di musica gotica, come se ai tasti d’avorio si destreggiasse in tutta la sua malvagia gloria il dottor Phibes, scienziato pazzo interpretato dal grande Vincent Price, mentre gli strumenti elettrici costruiscono ritmiche doom metal potentissime.
Poco meno di quaranta minuti, ma assolutamente intensi: l’album non lascia trasparire indugi e si presenta come un monolite di heavy rock notevole, con il suo cuore che pulsa sulle note della splendida Satans Place, meravigliosa messa gotica dove, al calar delle tenebre, le schiave di Dracula si risvegliano e iniziano la caccia, nella lunga notte senza luna.
Six Fiendish Tales of Doom and Horror… risulta così un ottimo lavoro, in perenne bilico tra i generi e le band a cui fa riferimento, ma a tratti davvero irresistibile, segnatevi questo nome Vampyromorpha, ed occhio agli sguardi seducenti della bellissima musa apparsa nella notte, potrebbero portarvi alla dannazione eterna.

TRACKLIST
01. Deliver Us From The Good
02. Häxanhammer
03. Metuschelach Life Cycle
04. Satan´s Palace
05. Bacchus
06. Peine Forte Et Dure
07. Iam So Afraid (Bonus)

LINE-UP
Jim Grant – Vox, Hammond
Nemes Black – Guitar, Bass, Drums

VAMPYROMORPHA – Facebook

Pro-Pain – Foul Taste Of Freedom / The Truth Hurts

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

La Steamhammer/SPV immette sul mercato i primi due album dei newyorkesi Pro-Pain, gruppo storico della scena hardcore metal della grande mela.

Guidata dal sommo leader Gary Meskil, la band iniziò il suo lungo cammino discografico nel 1992 data di pubblicazione dell’esplosivo esordio Foul Taste Of Freedom, seguito un paio di anni dopo da The Truth Hurts.
Una lunghissima carriera nel mondo della musica pesante che ha visto i Pro-Pain licenziare ben sedici album, l’ultimo lo scorso anno (Voice Of Rebellion), sempre all’insegna dell’hardcore metallico, e che ha avuto il suo massimo splendore a cavallo dei due millenni con lavori violenti ma che strizzavano l’occhio tanto al thrash metal, quanto alle nuove sonorità crossover.
Era appunto il 1992 quando dalla scena hardcore di New York spuntarono questi guerrieri armati di strumenti e tanta voglia di spaccare, Foul Taste Of Freedom fu il primo capitolo della tradizione musicale del gruppo, violento e senza compromessi, una miscela esplosiva di spirito hardcore/punk e thrash metal targata Roadrunner, ai tempi una delle label underground più attiva del settore metallico internazionale.
La nuova versione proposta dalla Steamhammer/SPV quasi venticinque anni dopo propone l’intero album più alcune bonus track, doppia versione in digipack e vinile (tornato prepotentemente alla ribalta di questi tempi) e nuove foto.
Stesso discorso per il secondo album, The Truth Hurts, con una versione che includerà il vecchio artwork, all’epoca dell’uscita censurato, ed un poster a due facce.
Potrete così rivivere i primi passi di un gruppo storico della scena internazionale, che ha sempre mantenuto una buona qualità nelle uscite senza stravolgere una forma consolidata, la furia dei primi lavori è indubbiamente maggiore rispetto ai lavori successivi, anche se la band con gli ultimi album è tornata a far male (Voice Of Rebellion è una mazzata terrificante).
La titletrack, Pound For Pound, The Stench Of Piss, Johnny Black sul primo lavoro e Make War (Not Love), Put The Lights Out, One Man Army e The Beast Is Back sul secondo, sono esempi fulgidi della carica inumana del gruppo statunitense divenuto un’icona per i fans del genere.
Un ottimo modo per conoscere la creatura di Gary Meskil, assolutamente d’obbligo per i giovani fans del genere e per chi vuole riassaporare l’aria che tirava tra le strade della grande mela all’inizio degli anni novanta.

TRACKLIST
Foul Taste Of Freedom:
1.Death On The Dance Floor
2.Murder 101
3.Pound For Pound
4.Every Good Boy Does Fine
5.Death Goes On
6.Rawhead
7.The Stench Of Piss
8.Picture This
9.Iraqnophobia
10.Johnny Black
11.Lesson Learned
12.God Only Knows
13.Take It Back” (bonus track)
14.Pound For Pound” remix (bonus track)

The Truth Hurts:
1.Make War (Not Love)
2.Bad Blood
3.The Truth Hurts
4.Put the Lights Out
5.Denial
6.Let Sleeping Dogs Lie
7.One Man Army
8.Down in the Dumps
9.The Beast Is Back
10.Switchblade Knife

LINE-UP
Foul Taste Of Freedom:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Tom Klimchuck – Guitars
Dan Richardson – Drums

The Truth Hurts:
Gary Meskil – Vocals, Bass
Dan Richardson – Drums
Nick St. Denis – Guitars (lead)
Mike Hollman – Guitars (rhythm)

PRO-PAIN

Narvik – Ascension to Apotheosis

Siamo al cospetto di un black metal classico, essenziale e dalle raggelanti atmosfere e il paragone con le più oltranziste realtà norvegesi viene da sè.

I Narvik sono un gruppo tedesco, suonano black metal ed il loro monicker prende il nome da una città norvegese che diede i natali a Robert Burås, musicista scomparso prematuramente e fonte di ispirazione per i tre blacksters di Friburgo.

Attivo da una decina di anni, il trio composto da Lupus (chitarra), Redeemer (voce) e P. (batteria) ha dato alle stampe oltre al classico demo di inizio carriera, un primo album nel 2013 dal titolo Triebe nach der Endlichkeit e due ep, Snake of Paradise e Fecundity of Death, rispettivamente del 2014 e nello scorso anno.
Tornano con un’opera sulla lunga distanza tramite Folter Records, in questa prima metà del 2016, a confermare la proposta scarna e evil dei loro precedenti lavori, basata su un esempio di black metal senza compromessi, malvagio ma pregno di mid tempo e ritmiche marziali.
Uno scenario di desolazione e morte, senza speranza di luce, un’armageddon diabolico che si abbatte scandendo ogni nota come i secondi di un orologio che fa bella mostra di sé alla parete di una chiesa sconsacrata, un gelido inno alla morte, da non perdere se siete amanti del black metal più oltranzista e ruvido.
Niente di più e niente di meno, Ascension To Apotheosis non lascia scampo, vi avvolge come nelle fredde spire di un serpente, servo del signore oscuro, destabilizza decadente e maligno tra lunghe marce e accelerazioni appena abbozzate ma perfettamente collocate tra lo spartito scritto con il sangue dai Narvik.
Una proposta che si colloca nei classici lavori only for fans, causa la totale immersione nel genere, dove disperazione, male e gelido terrore la fanno da assoluti padroni.
Wounds Of Aspiration, Fecundity Of Death e la conclusiva BarrenSemen vi accompagneranno nel mondo dei Narvik, valorizzato da una buona produzione l’album non da tregua circondandoci di atmosfere evil e malatissime.
Siamo al cospetto di un black metal classico, essenziale e dalle raggelanti atmosfere, il paragone con le più oltranziste realtà norvegesi viene da se, dunque se siete blacksters incalliti l’album merita la vostra attenzione, gli altri girino alla larga.

TRACKLIST
1. Invokation II
2. Wounds Of Aspiration
3. Geist zu Scherben
4. Psychotic Redeemer
5. Fecundity Of Death
6. Berstende Säulen
7. The Shore
8. BarrenSemen

LINE-UP
P. – Drums
Lupus – Guitars
Redeemer – Vocals

NARVIK – Facebook

Fausttophel – Sancta Simplicitas

Un’altra ottima realtà proveniente dall’Ucraina consigliata agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica.

Si torna a parlare di metal estremo proveniente dall’Ucraina con i melodic blacksters Fausttophel, al secondo lavoro sulla lunga distanza che segue l’esordio Thirst Of Oblivion, licenziato nel 2013.

Un’altra ottima realtà che Iyezine propone agli amanti delle sonorità oscure dalle reminiscenze black, ma con tanta melodia a far da contrasto alle sfuriate estreme ed un’accentuata vena progressiva e classica, molto presente nelle realtà provenienti da quelle nobili terre.
Paesi che sul fronte musicale non sono secondi a nessuno, ricchi di tradizioni classiche che anche in questo caso sono la base su cui il gruppo di Poltava, ora trasferitosi in Russia, costruisce il suo sound.
Black metal feroce che si scontra con aperture melodiche, oscure quanto si vuole ma che permettono a Sancta Simplicitas di piacere già dal primo approccio e che ne fanno un ascolto piacevole e colmo di sorprese per tutta la sua durata.
Armonie pianistiche, splendidi accordi acustici, l’uso della lingua madre e di quella russa, compongono un’opera estrema molto ben congeniata, la parte metallica si avvicina al sound scandinavo con i Dissection ed i Dimmu Borgir a fare da principali influenze, mentre le varie parti progressive guardano ai maestri Opeth, in versione folk.
Non mancano infatti atmosferiche parti dove le melodie tradizionali e popolari del proprio paese valorizzano alcuni brani (Sick Earth), mentre le tastiere formano vortici orchestrali (Dimmu Borgir) e le asce sparano riff black metal tremendamente efficaci e dal sapore classico (Dissection).
Buona la prova dei musicisti, ma non è certo una novità nei gruppi di quelle regioni, e perfetta la produzione, soprattutto quando la tempesta estrema si abbatte con furia sui padiglioni auricolari.
The Lot of Emptiness, The Dark Pit of Absurdity, i nove minuti della mini suite The Song of the Leper, sono gli episodi cardine di questo ottimo lavoro, con la cover di Black Tears degli immensi Edge Of Sanity (da quel capolavoro che fu Purgatory Afterglow) che fa sobbalzare il sottoscritto e ci consegna un’altra band sopra le righe ma che, fuori dai soliti circuiti musicali, rischia di perdersi tra le steppe … fortunatamente per voi c’è Iyezine.

TRACKLIST
1. Wandering… Searching…
2. The Lot of Emptiness
3. The Word
4. God’s Place is on the Cross
5. Sick Earth
6. The Dark Pit of Absurdity
7. The Song of the Leper
8. Lunar Onlooker
9. The Whirl Ends Where it Began
10. Black Tears (Edge Of Sanity cover)

LINE-UP
Alexander “Adams” Savinyh – bass, vocal
Valentin “Mau” Samohin – vocal
Vladimir Aldushkin – guitar
Vladislav Ustinov – guitar
Nikolay «Domovoy» Vyhodtsev – drums

Dan Deagh Wealcan – Fragmented Consciousness

Meno diretto rispetto al suo predecessore, Fragments Consciousness conferma le ottime impressioni suscitate dal duo russo.

Torna a distanza di qualche mese dal precedente Who Cares What Music Is Playing In My Headphones? il duo industrial/alternative moscovita Dan Deagh Wealcan, una macchina perfettamente oliata in cui si abbracciano, su un tappeto di suoni sintetici, una varietà di generi ed influenze, in un variopinto e quanto mai riuscito caleidoscopio musicale.

Mikhail A. Repp e Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko continuano ad imperversare con questo ibrido che accoglie metal, alternative, industrial e suoni progressivi.
Il nuovo lavoro non si discosta dal precedente, se non per una più marcata vena estrema: ne consegue un sound più industriale, l’uso più marcato di vocals ruvide e ritmiche sincopate che avvicinano il duo alle band industrial metal tout court.
Non mancano digressioni alternative, marchio di fabbrica del gruppo ucraino, ma in generale Fragments Consciousness è leggermente meno progressivo e più marcatamente estremo rispetto al suo ottimo predecessore.
Cinquanta minuti secchi immersi nei suoni elettronici del gruppo, l’album risulta un monolito industriale dove sfumature alternative, sfuriate metalliche ed elettronica di chiara ispirazione new wave, riempono i nostri padiglioni auricolari di musica moderna, tra chiaro e scuro, violenza ed attimi di lascive atmosfere sintetiche, con un Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko sontuoso nel proporre una larga varietà di toni e sfumature con la sua voce, ma sempre vicino al suo principale maestro, Trent Reznor.
E tra le varie songs che compongono l’album e di cui In5tasis, bleedThrough: e Memory+Mngmnt sono sicuramente le più riuscite, i Nine Inch Nails continuano ad essere la massima ispirazione, così come i Ministry, Devin Townsend, ed i Tool, insomma, il meglio che il rock alternativo mondiale ha regalato ai fans negli ultimi vent’anni.
Meno diretto rispetto al suo predecessore, Fragments Consciousness conferma le ottime impressioni suscitate dal duo russo, una band magari poco conosciuta nel music biz, ma sicuramente meritevole d’attenzione, specialmente se siete amanti di questo tipo di suoni.
Non dimentichiamo che, se sulle loro carte d’identità ci fosse il timbro U.S.A., una band del genere sarebbe probabilmente sulle pagine dei maggiori magazine specializzati.

TRACKLIST
1. theArt?Of:Login
2. Neednothing
3. Number*Nine
4. [Stuck.in.This]
5. I’am=Confused
6. GreatAttractor
7. In5tasis
8. strangeWAR
9. bleedThrough:
10. Private_asylum.
11. Broken)Cluster
12. A-Void
13. Memory+Mngmnt
14. De.Fragmentation
15. Enou8h…
16. Dissolution:176

LINE-UP
Mikhail A. Repp – Sound.
Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko – Voice

DAN DEAGH WEALCAN – Facebook

Bizarre – Inner Necropolis

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

Un altro ottimo esempio di brutal death metal licenziato dalla Xtreem music, label che annovera nelle proprie fila una marea di succulente e abominevoli realtà estreme.

I Bizarre sono una nuova band spagnola, composta da membri di altri devastanti e quanto mai eccellenti gruppi che gravitano nell’underground metallico come Onirophagus, Famishgod e Elderdawn; Inner Necropolis è il loro debutto in formato ep, un sanguinario ed oscuro platter dove il death metal scandinavo si nutre di atmosfere oscure e brutali, prendendo ispirazione dalle cult band della scena finlandese come Adramelech e Demigod, ed in parte da nomi di punta del death metal classico come Avulsed e Grave.
Oscuro, pesantissimo e mai troppo veloce, il sound si arricchisce come da tradizione di uno splendido lavoro chitarristico, vario e straordinariamente pregno di brutali melodie (Obsezen ed Evilead) creando atmosfere di malvagio e apocalittico metallo di morte, con la sezione ritmica che alterna pesanti parti monolitiche e rabbiose accelerazioni (Uretra alle pelli e Funedëim al basso e mostro primordiale al microfono).
Tecnica al servizio del sound, produzione perfetta e tanto metal estremo dall’alta qualità, fanno di Inner Necropolis un gran bel lavoro, i brani sono uno più bello dell’altro, un’assoluta goduria per deathsters sparsi per il mondo.
Damp Earth, il lento incedere di Moldy And Decomposed e Fleshless, la furia distruttrice della title track, vi faranno rotolare giù per l’oscuro abisso dove vi aspetta la creatura Bizarre, un mostro di violenza sonora, animata da queste cinque perle più intro di cui si compone il suo crudele e malvagio cuore.
Inner Necropolis è un antipasto succulento prima del piatto forte, un full length sicuramente atteso dai death metal fans.

TRACKLIST
1. Dying Existence
2. Damp Earth
3. Asphyxiating Dark Memories
4. Moldy And Decomposed
5. Fleshless
6. Inner Necropolis

LINE-UP
Funedëim – Vocals, Bass
Obsezen – Guitars
Evilead – Guitars, Vocals
Uretra – Drums

BIZARRE – Facebook

DevilDriver – Trust No One

I DevilDriver si confermano come una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità

Tornano i DevilDriver dell’arcigno Dez Fafara, uno dei personaggi più veri dell’ultimo ventennio metallico statunitense, con i Coal Chamber prima e dal 2003 anche sul ponte di comando di questa temibile macchina estrema.

La band californiana è un rullo compressore, magari non potrà vantare il classico disco capolavoro, ma la sua discografia ha mantenuto nel corso degli anni e per ben sette full length una buona qualità sommata ad un impatto che si conferma di tutto rispetto anche su questo ultimo album, il secondo per Napalm Records.
In seno al gruppo non mancano novità importanti, infatti la line up è stata rivoluzionata di ben tre quinti, risparmiando solo il fido chitarrista Mike Spreitzer, ma il sound del gruppo non mancherà di far felici gli amanti dei classici suoni del nuovo millennio.
Trust No One, come i suoi predecessori, continua imperterrito a solcare la strada ormai battuta dal leader, i DevilDriver sono una perfetta macchina metallica che scarica, su pesantissime ritmiche core fumanti di groove, solos melodici che a tratti ricordano i gruppi melodic death metal scandinavi, con Fafara che sbraita rabbioso con la sua personale timbrica catarrosa e ruvida, forte di refrain che si avvicinano al new metal più pesante ed estremo.
E la macchina corre forte e veloce, fa spallucce ai problemi di line up, trova nuova benzina e nuove energie e, a fronte degli anni che passano, ci regala un ennesimo monolite di metallo estremo e moderno, cattivo e dannatamente coinvolgente, una bestia feroce che morde, azzanna, vi lacera le carni con le sue fameliche zanne, si nutre di possenti ritmiche e melodie chitarristiche oliate a dovere, per una tempesta di suoni e note metalliche.
Trust No One non porta nessuna novità sonora in seno al sound del gruppo statunitense, la formula ben collaudata ed il mestiere fanno di Testimony Of Truth, My Night Sky, l’esplosiva Daybreak e la conclusiva e devastante For What It’s Worth un’apoteosi di fughe in doppia cassa, laceranti solos, bombardamenti ritmici e sguaiati, violenti inni di rabbioso metallo.
I DevilDriver si confermano una sicurezza nel genere e Trust No One non mancherà di fare proseliti tra gli amanti di queste sonorità; gli anni passano ma l’energia e la rabbiosa attitudine rimangono le stesse e tanto basta, bravo Dez.

TRACKLIST
01. Testimony Of Truth
02. Bad Deeds
03. My Night Sky
04. This Deception
05. Above It All
06. Daybreak
07. Trust No One
08. Feeling Ungodly
09. Retribution
10. For What It’s Worth

LINE-UP
Dez Fafara – Vocals
Mike Spreitzer – Guitars
Austin D’Amond – Drums
Neal Tiemann – Guitars
Diego “Ashes” Ibarra – Bass

DEVILDRIVER – Facebook

Naked Star – Bloodmoon Prophecy

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

Doom metal classico, dalle trame occulte e demoniache, un sabba violento e blasfemo che si abbate sull’ascoltatore, una possessione totale che non passerà inosservata, almeno per chi di musica del destino si nutre.

I Naked Star sono un duo composto da Tim Schmidt (Seamount) alle prese con tutti gli strumenti e Jim Grant vocalist dei Vampyromorpha, Bloodmoon Prophecy è il primo lavoro in formato ep (licenziato dalla Voice Of Azram in edizione limitata in vinile ed in supporto digital) di questa nuova creatura, nata direttamente da una costola di un caprone demoniaco con un sound che pesca a piene mani dal doom occulto delle cult band settantiane, reso potentissimo ed annichilente da massicce dosi di watt, uscite dagli altoparlanti impiantati all’inferno.
Tre brani, tre mid tempo senza soluzione di continuità e compromessi, solo un incedere cadenzato e distruttivo che porta alla dannazione eterna, danze blasfeme sotto una luna rossa di sangue marcio, spettatrice di delitti e messe alla gloria del signore degli inferi.
Occultismo, fantascienza, profezie di morte e possessioni di demoni crudeli, questo tratta Bloodmoon Prophecy, ed il sound che accompagna testi urlati rabbiosamente alla luna dal vocalist non può che essere un monolito di metallo nero e pesantissimo, un caos primordiale e soffocante che ha nei dieci minuti di deliro sabbatico della titletrack il suo apice, anche se Follow The Iron Cross e Bury Me A Demon non mancano di preparare l’ascoltatore al suo tragico e prevedibile destino.
Pensando ad un full length di pari livello, prepariamoci alla venuta di alieni luciferini ed al massacro che ne conseguirà, i Naked Star saranno sacerdoti, cantori e testimoni della prossima apocalisse.

TRACKLIST
1. Follow The Iron Cross
2. Bury Me A Demon
3. Bloodmoon Prophecy

LINE-UP
Tim Schmidt – All Instruments
Jim Grant – Vocals

NAKED STAR – facebook

Slammin’ Thru – Things to Come

Things To Come ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.

Torna a far parlare di se uno dei generi più amati/odiati nel mondo metallico, il prog metal e lo fa con l’esordio sulla lunga distanza dopo oltre un decennio di attività degli spagnoli gli Slammin’ Thru.

Il prog metal dei nostri è quanto di più classico si possa ascoltare, con i Dream Theater ed i Queensrÿche a fare da muse ispiratrici e l’esibizione di una discreta tecnica individuale che non disdegna qualche ritmica power e sfumature progressive di settantiana memoria.
Ricami, atmosfere e sfumature che giocano a nascondino dentro il sound di Things To Come, che ha il pregio di dire tutto in una quarantina di minuti, senza raggiungere però clamorosi picchi e risultando lineare ed onesto ma anche un po’ troppo derivativo.
Metallo tecnico su cui il songwriting poggia le sue fondamenta, una buona grinta che fa dell’album un ascolto sufficientemente piacevole anche per i true defenders che non hanno dimenticato i primi lavori della prog metal band di Seattle degli ormai ex Geoff Tate (al quale il vocalist David deve non poco) e Chris De Garmo, sono le virtù principali di questo primo lavoro dal quale, proprio perché arriva dopo molti anni, ci si poteva attendere qualcosa di più.
La produzione non aiuta certo le canzoni ad esplodere, con la voce relegata in secondo piano e la musica che esce leggermente ovattata, un peccato mortale per un disco del genere.
Tra i brani che compongono il cd si segnalano la title track e la bellissima Pariah, il resto fila via senza sorprendere più di tanto gli ascoltatori più esigenti.
Un lavoro sufficiente per dare un reale avvio ad una carriera che auspichiamo più ricca di uscite, magari correggendo i difetti riscontrati in questa occasione.

TRACKLIST
1. Metallic Leaves
2. Things To Come
3. Disguised Queen
4. Break
5. Undisclosed
6. Pariah
7. Seeing Eye

LINE-UP
David – Vocals
Alberto – Guitar
Óscar – Guitar
Guts – Bass
Adrián – Drums
Axel – Keyboards

SLAMMIN THRU

Lightless Moor – Hymn For The Fallen

Il secondo lavoro dei Lightless Moor non può che meritarsi l’etichetta di opera riuscita, costituendo un enorme passo avanti per il gruppo

Vero è che alla nostrana WormHoleDeath non si può negare un fiuto incredibile nel pescare, nel metal estremo in giro per il mondo, talenti che impreziosiscono l’underground e non sono neppure pochi i generi che la label colma di opere davvero interessanti, sempre con un orecchio attento ai suoni più violenti ma anche madrina di un ormai folto numero di gothic metal band sopra le righe.

In questo anno solare l’etichetta di Carlo Bellotti ci ha deliziato con una manciata di lavori bellissimi e soprattutto mai banali, a conferma di ciò arriva questo ottimo Hymn For The Fallen, seconda prova sulla lunga distanza per gli italiani Lightless Moor.
Ormai attiva da più di dieci anni, la band sarda esordì nel 2006 con l’ep Renewal, che li portò alla firma con Worm e al primo lavoro (The Poem – Crying My Grief to a Feeble Dawn), recensito su queste pagine tre anni fa e che faceva intravedere le ottime potenzialità del gruppo capitanato dalla sublime Ilaria Falchi.
Preciso che il sottoscritto predilige le sonorità che guardano ai maestri dei primi anni novanta, diciamo old school, lasciando in disparte le patinate e bombastiche parti sinfoniche care alle band di oggi, a favore di un approccio più gotico e doom, proprio come nelle corde dei primi The Gathering, Celestial Season e Within Temptation e come molti dei gruppi sotto l’ala della label fiorentina.
Hymn For The Fallen continua l’ascesa della band, migliorata di molto dal primo lavoro e sapiente nel proporre il proprio sound, non dimenticando qualche spunto e sfumatura ruffiana che aumenta l’appeal di alcuni brani, pur mantenendo le caratteristiche del genere proposto.
La Falchi è splendida nel proporre con la sua voce, ripulita in parte dalla verve operistica, tutte le atmosfere decadenti di Hymn For The Fallen, duettando con la “bestia” Federico Mura, dal growl profondo e feroce, creando un contrasto dall’alto tasso emozionale e incantando quando il gruppo concede sprazzi di gothic sinfonico.
L’album procede in linea con queste caratteristiche, più di un’ora di musica immersi nel mondo decadente e raffinato dei Lightless Moor dove non mancano songs oscure e contornate da lucida disperazione, altre dove un lieve mood sinfonico alleggerisce il pesante fardello ritmico, altre dove sfumature elettroniche e moderne avvicinano il gruppo a sonorità care ai Lacuna Coil, ma sempre rimanendo nei confini del gothic doom di storica memoria.
Le asce non mancano di graffiare, valorizzate dal gran lavoro di Federico Mura e Alberto Mannucci Pacini, le sezione ritmica a tratti forma un muro sonoro che lentamente ma inesorabilmente avanza e travolge (Giuseppe Siddi al basso e Stefano Spanu alle pelli) mentre i tasti d’avorio legano e avvolgono il sound con ricami melanconici e suadenti.
L’opener Fairytales of Lies, The Rain that Clears My Sins Away, When My Mind Sleeps e The Cascade and the Shadow possono essere certamente considerate come le canzoni più significative dell’album, anche se Hymn For The Fallen va assaporato in tutta la sua oscura e melanconica bellezza.
Il secondo lavoro dei Lightless Moor non può che meritarsi l’etichetta di opera riuscita, costituendo un enorme passo avanti per il gruppo: non lasciatevelo sfuggire.

TRACKLIST
1. Fairytales of Lies
2. Deadly Sin
3. The Unlocked Door to the Other World
4. The Rain that Clears My Sins Away
5. Qualcosa Vive Attraverso
6. The Greatest Lie
7. When My Mind Sleeps
8. King with the Sulphur Crown
9. In Death She Comes
10. A Dream Written in the Sand
11. The Cascade and the Shadow
12. Deviances

LINE-UP
Ilaria Falchi – Vocals
Federico Mura – Guitars, Vocals
Alberto Mannucci Pacini – Guitars
Giuseppe Siddi – Bass
Edoardo Fanni – Keyboards
Stefano Spanu – Drums

LIGHTLESS MOOR – Facebook