Sickness – Plague

Compilation a cura della Delusions of Grandeur contenente l’intera produzione dei deathsters americani Sickness.

Plague rappresenta un piccolo framento di storia del death metal statunitense: i floridiani Sickness, infatti, pubblicarono tre lavori tra il 1994 ed il 1997, ovvero il demo “Torture Of Existence”, il full-length “Ornaments Of Mutilation” e l’ultimo vagito prima del scioglimento, un altro demo intitolato semplicemente “Promo 97”.

La Delusions Of Grandeur immette sul mercato, a distanza di diciassette anni, questa compilation che raccoglie praticamente tutto ciò che la band ha prodotto nei tre anni di attività, un buon modo per conoscere una realtà “minore” a livello di popolarità, ma certo non come qualità del prodotto.
Infatti il gruppo, armato di tutto punto, spaccava alla grande, il suo death metal ai confini con il brutal, prendeva spunto sia dalle band madri del genere (Obituary) sia da quelle più brutal-grind (Brutal Truth), offrendo un crescendo di devastante metal estremo senza soluzione di continuità.
Eric Dillon e Gus Rios, rispettivamente basso e batteria, formavano una sezione ritmica dedita al massacro totale, la coppia d’asce formata da Hector Rios e Sergio Cesario, costruiva un wall of sound di riff e solos sempre al limite, mentre Kyle Symons, con un passato nei seminali Malevolent Creation, così come il batterista, cantava di torture e necrofilia in pieno stile Cannibal Corpse.
Una ventina di tracce ci fanno capire di cosa erano capaci, in termini di violenza sonora, le band di quei gloriosi anni, che comunque tenevano sempre d’occhio la musicalità dei brani, molti dei quali davvero notevoli.
I brani provenienti da “Ornaments Of Mutilation” erano eccezionali ed andavano a comporre un album di grande levatura, a suo modo un piccolo gioiello di metal estremo che, grazie a questa operazione, non è finito perso nell’oblio dei meandri dell’underground.
Ottima scelta, dunque, questa compilation della Delusions Of Grandeur, e una buona occasione per conoscere una band vissuta all’ombra dei grandi gruppi della famigerata Bay Area, ma assolutamente in grado di competere con le band più famose.
Un disco consigliato anche agli appassionati più giovani per riscoprire una band di quell’epoca storica, con la speranza che questa compilation possa costituire anche lo spunto per una reunion.

Tracklist:
1. Murder King
2. Plague
3. Yes I Killed Her
4. Controlled With a Knife
5. No Means Yes
6. Domestic Entrallment
7. Food for Worm
8. Union of the Sick
9. Your Time Has Come
10. Anatomy of Murder (Rerecorded Version)
11. I Am Christ (Rerecorded Version)
12. Anatomy of Murder
13. Cold Bitch
14. Necrosick
15. Burn the Soul
16. Putrid Incest
17. Postmortal Ceremony
18. Deceased
19. I Am Christ

Line-up:
Eric Dillon – Bass
Gus Rios – Drums
Hector Rios – Guitars
Sergio Cesario – Guitars
Kyle Symons – Vocals

Dead Alone – Nemesis

Lasciatevi rapire dalla musica dei Dead Alone, Nemesis vi entrerà dentro per non lasciarvi più, impossessandosi del vostro corpo e della vostra anima.

Quarto, bellissimo lavoro per i tedeschi Dead Alone: Nemesis raccoglie in sessanta minuti molte delle sfumature del metal estremo ed in un unico cd le amalgama per creare un sound nero come la pece.

Black, death, doom ed atmosfere dark per un’opera che affascina, colma com’è di elementi che, specialmente in Europa, hanno trovato negli anni molti estimatori.
A dispetto di un’età media dei musicisti bassa, la band sforna album dal 2006, con l’esordio “Silvering Marrow”, da lì in poi un’uscita ogni due anni, il che dimostra come il gruppo cose da dire ne abbia molte.
L’ep “Phobia” del 2008 e poi due full-length, “Vitium” e “Ad Infinitum”, tracciano la strada che porta all’arrivo dell’ottimo Nemesis, licenziato dalla Supreme Chaos.
Il sound della band è un magniloquente death/doom che, nelle parti veloci, viene violentato da ritmiche black, sempre cattivo, disperato, buio, colmo di quella oscurità che ne fa un prezioso diamante nero.
Scordatevi soluzioni ruffiane di moda negli ultimi tempi: Nemesis è estremo, come deve esserlo un’opera dove la struttura portante dei brani si nutre dei generi elencati, lasciando alla sola The Awakening, posta in chiusura, qualche accenno orchestrale (arrangiata da Christos Antoniou, già con Septic Flesh e Chaostar), non lasciando tregua dal primo all’ultimo minuto, ed è facile annegare in un mare di suoni tremendamente oscuri ma molto affascinanti.
La musica dei Dead Alone risulta, così, pregna di quelle inevitabili influenze, per niente scontate, riscontrabili nel black/death dei polacchi Behemoth, rallentati dal death/doom suonato dalle band greche, Septic Flesh su tutti, ma anche Nightfall, con accenti meno orchestrali ma molto più estremi, lasciando che le atmosfere dark che aleggiano nelle canzoni si presentino a noi come fantasmi in un vecchio maniero, raggelando l’atmosfera che si fa inquietante ad ogni passaggio.
I Dead Alone dimostrano una maturità ed una personalità da gruppo ormai scafato, e ciò rende inevitabilmente Nemesis un’opera riuscita, che ha nelle stupende Great New World, Confession e Watch Me Fall i picchi di un lavoro che piacerà proprio per il suo eclettismo ad ascoltatori abituati a suoni diversi, ma uniti sotto questo tetto fatto di ottime note oscure.
Lasciatevi rapire dalla musica di questi quattro musicisti tedeschi, Nemesis vi entrerà dentro per non lasciarvi più, e come un demone si impossesserà del vostro corpo e della vostra anima. Da avere.

Tracklist:
1. Nemesis
2. Eclipse
3. Great New World
4. Of Ash & Flesh
5. Confession
6. Wreckage
7. Watch Me Fall
8. As Worlds Collide
9. Shade
10. The Awakening
11. Confession (Alternative Mix) *

Florian Hefft – Bass, Vocals
Martin Hofbauer – Guitars
Sebastian Bichler – Drums
Fred Freundorfer – Guitars

DEAD ALONE – Facebook

D.A.M – The Awakening

Dopo l’ottimo Ep “Phantasmagoria”, a distanza di pochi mesi ancora un centro pieno per i D.A.M

Tornano, a pochi mesi di distanza dal bellissimo ep “Phantasmagoria” i symphonic/power metallers D.A.M di Guilherme De Alvarenga: la band di Belo Horizonte, autrice di un ottimo full-length di debutto (“Tales Of The Mad King”) lo scorso anno, brucia le tappe, qualitativamente parlando, andando a confermare quanto di buono aveva fatto sentire nell’Ep, continuando la crescita esponenziale di un songwriting che, ad oggi, risulta una garanzia; i suoni classici, amalgamati con sapienza dalla band con grandiose parti di death metal melodico contornanti di parti sinfoniche e power, avvicinano il gruppo alle band scandinave.

Ci ritroviamo così, in poco tempo, davanti ad un gruppo maturo, che regala canzoni dal potenziale enorme, suonate divinamente da un terzetto di ottimi musicisti, e supera di gran lunga molte delle più conosciute band europee.
Certo, stiamo parlando di una band brasiliana, ed allora è utile ricordare che, nel paese verdeoro, è forte la tradizione metallica, non solo per il successo delle band più conosciute (Sepultura, Angra), ma anche per un underground più vivo che mai, di cui i D.A.M sono diventati ormai una delle band di punta.
The Awakening si sviluppa su più di un’ora di metallo incandescente: i brani, tutti bellissimi, portano in sé una minor foga rispetto a “Pahntasmagoria”, che era incentrato su songs velocissime, mentre su quest’album la band lavora di fino, gli interventi delle vocals pulite sono più presenti ed il tutto risulta più rivolto al power piuttosto che al death melodico.
Non mancano comunque devastanti parti nelle quali il trio dà battaglia (la title-track), ma l’impronta di The Awakening è più classica e a mio parere piacerà non poco anche ai fan dei suoni heavy/power.
Guilherme De Alvarenga continua a dare spettacolo con i tasti d’avorio, in un turbinio di scale suonate alla velocità della luce, oppure regalando melodicissime parti dove la vena sinfonica del gruppo, questa volta, esce allo scoperto ancora più magniloquente, aiutato come sempre dall’ottimo Edu Megale, prezioso compare e chitarrista dal gusto melodico straordinario, dal tocco elegante ma grintoso e potente quando, insieme al basso di Caio Campos, decidono di aggredirci con debordanti parti ritmiche.
Prodotto da De Alvarenga in collaborazione con David Fau, The Awakening non tradisce le attese, il metal del gruppo è quanto di più esaltante e spettacolare possiate trovare in giro oggi, i richiami alle band scandinave come i primi In Flames e Children Of Bodom sono sempre presenti, così come ai gruppi più classici (Stratovarius), andando questa volta anche a prendersi a spallate con i Rhapsody più oscuri e regalando perle come Nightmare (T.M.S pt II), con l’intervento della voce di Jessica Delazare, Reborn From The Shadows, Violated Angel e la conclusiva, grandiosa, Thelema, brano che raggiunge l’apoteosi metallica regalando un finale di lavoro entusiasmante che conferma i D.A.M come una delle più convincenti realtà dedite al genere.
Notizie fresche dal gruppo: è in programma un tour in Giappone, il che dovrebbe dare al gruppo la meritata visibilità in una terra storicamente sensibile ai suoni metallici, sperando che presto possano sbarcare anche nel vecchio continente. Boa sorte …

Tracklist:
1.From The Ashes(T.J.O.T.F)
2.The Great Work(Magnum Opus PT 1)
3.Reborn From The Shadows
4.Lies
5.The Breaking Point(T.M.S PT IV)
6.Illusions
7.The Awakening
8.Violated Angel
9.Nightmare(T.M.S PTII)
10.Separation
11.Alone
12.Thelema

Line-up:
Guilherme De Alvarenga – Vocals, Keyboards, Synths
Edu Megale – Guitars
Caio Campos – Bass

D.A.M – Facebook

Cropsy Maniac – Sheer Terror

Ep di buon grind/death da parte degli statunitensi Cropsy Maniac.

Sembra di essere tornati indietro di vent’anni: fortunatamente il metal estremo old school, grazie all’underground, sta tornando a mietere vittime come ai bei tempi (primi anni novanta) ed in tutto il mondo nascono band dedite ai suoni che, all’epoca, fecero sfracelli.

Copertina splatter, sound devastante e tanta attitudine sono le armi messe in campo dagli statunitensi Cropsy Maniac, all’esordio con questo Ep di cinque brani, cortissimo ma che ci dice molto sulla band del Kentucky: all’insegna di un grind dall’impatto massacrante, che tiene più di un piede nel death metal old school, questo lavoro piace per la capacità della band di estremizzare il genere senza sconfinare nel grindcore, mantenendo le coordinate stilistiche dei vecchi Terrorizer. Grande è il lavoro delle chitarre, che hanno un tocco europeo molto apprezzabile (Creepy Things), investendo di riff l’ascoltatore torturato dai due axeman Kevin Herr e Aaron Whitsell.
Buon lavoro della sezione ritmica (Travis Ruvo alle pelli e lo stesso Whitsell al basso) e vocals brutali che vomitano testi gore e splatter come se piovesse (Kevin Reece).
Tra i brani spicca la conclusiva Dawn In The Rotting Paradise, cover degli storici Haemorrhage.
Nove minuti sono pochini, ma la band americana dimostra di saperci fare: essendo di formazione recente (2013), i Cropsy Maniac hanno sicuramente i numeri per far bene anche sulla lunga distanza.

Tracklist:
1. Cirque Du Absurd
2. Creepy Things
3. Shear Terror
4. I Strangled Mine
5. Dawn in the Rotting Paradise (Haemorrhage cover)

Line-up:
Travis Ruvo – Drums
Kevin Herr – Guitars
Aaron Whitsell – Guitars, Bass
Kevin Reece – Vocals, Lyrics

CROPSY MANIAC – Facebook

Revel In Flesh – Death Kult Legions

Uno dei capolavori old school death metal dell’anno.

Uno dei dischi dell’anno in campo old school death metal è questo mastodontico lavoro dei tedeschi Revel In Flesh che rappresenta, insieme a “The Crawling Chaos” dei Puteraeon, licenziato anch’esso dalla Cyclone Empire, un manifesto di quello che era ed è fortunatamente ancora oggi il death metal scandinavo.

Prodotto agli Unisound studios da sua altezza Dan Swanö, Death Kult Legions è quanto di meglio potete trovare se amate il metal estremo dei primi anni novanta, proveniente dalle terre del nord Europa, una lava death metal che vi travolgerà nel suo essere devota al miglior sound nato negli ultimi venticinque anni.
La band, nata nel 2011, ha all’attivo due full lenght(“Deathevokation” del 2012 e “Manifested Darkness” del 2013) più una marea di split (ben quattro in questo 2014); il terzo ed ultimo lavoro sulla lunga distanza è una botta notevole, un album sacrificato sull’altare del death metal con tutti i crismi per essere considerato nel suo piccolo un cult.
Grandiose parti chitarristiche in pieno stile Edge Of Sanity (era “The Spectral Sorrows”) saldano le cuffie alle orecchie, rallentamenti e accelerazioni, tra Dismember e Hipocrisy, sconvolgono ed esaltano in egual misura; i brani elargiscono cattiveria, ma anche fantastiche melodie nei solos e frenate doom come solo gli autori di “Purgatory Afterglow” e “The Fourth Dimension” sapevano regalare e, quando decidono di inserire la quarta e scappare via (Hurt Locker), riescono ad elargire un furioso spettacolo estremo.
Il riff di Cryptcrawler è uno dei più belli sentiti da anni nel genere, colonna portante di una song capolavoro, così come l’enorme When Glory Turns To Ruin, mentre le campane sabbatiane che aprono la cattivissima Graveyard Procession sono puro delirio metallico.
Musicisti che sanno come far male, tutti sul pezzo, compreso il cavernoso e terribile growl di Haubersson, simile ma con due note sotto all’ex leader dei ‘Sanity, un lotto di canzoni fantastiche, ed una copertina epocale, rendono questo lavoro imperdibile; certo, qui si parla di old school ed allora non troverete il minimo accenno di modernità, ma se volete godere per cinquanta minuti di quello che è il re dei generi estremi non rimarrete delusi da Death Kult Legions.

Tracklist:
1. In the Name of the Flesh
2. When Glory Turns to Ruin
3. Black Oath Impurity
4. Graveyard Procession
5. Deathkult Legions
6. Frozen Majesty
7. Hurt Locker
8. Cryptcrawler
9. As Souls Descend
10. Leviathan
11. Necropolis

Line-up:
Gotzberg – Bass
Vogtsson – Drums
Herrmannsgard – Guitars
Maggesson – Drums, Guitars (lead)
Haubersson – Guitars, Bass, Vocals

REVEL IN FLESH – Facebook

Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Mindwars – The Enemy Within

Esordio dei Mindwars, band di Mike Alvord, chitarrista degli storici Holy Terror.

I Mindwars non sono altro che la band di Mike Alvord, storico chitarrista dei seminali Holy Terror, autori nella seconda metà degli anni ottanta di due capisaldi del thrash metal dell’epoca: “Terror And Submission” e “Mindwars”.

Della partita fanno parte anche il batterista Roby Vitali, torinese di adozione e già dietro le pelli di Headcrasher, The Art Of Zapping e Jester Beast, e Danny Z.Pizzi, bassista conosciuto nell’underground torinese. Il sound del gruppo non può non ricordare quello della band di Alvord, thrash metal old school di scuola statunitense, marcatamente ottantiano anche nella produzione, così da sembrare in tutto e per tutto un disco dell’epoca. Nostalgici? Forse, ma The Enemy Within ha in sé un fascino irresistibile, specialmente per chi quegli anni li ha vissuti lontano dalle menate computerizzate di questi giorni, quando una TDK registrata con la vecchia piastra Teac aveva un valore che, purtroppo, oggi si è inevitabilmente perduto. La band dall’alto della sua esperienza sa come giocare con la materia, i brani dell’album appaiono da subito compatti e massacranti, lasciando che le influenze dell’epoca tornino prepotentemente alla ribalta con in testa, nei brani rallentati, i Black Sabbath, ed un occhio alla New Wave Of British Heavy Metal che aveva fatto sfracelli anche nel nuovo continente, qui punkizzata dalla band di Alvord. Tra velocità speed, solos, riff di ottima fattura e frenate che variano il sound, rendendolo mai noioso, The Enemy Within regala brani stupendi, colmi di quell’attitudine ormai andata praticamente perduta nelle band attuali, a parte pochi casi scovati nell’underground. Retrobution, Final Battle, Master of War, raccolgono l’eredità delle band dell’epoca (Holy Terror, ovviamente, ma anche Whiplash e Rigor Mortis) e le portano nel nuovo millennio raccontando, tra le loro note, una fetta di storia importantissima del metal mondiale. Album da considerare come libro di testo per chiunque si voglia avvicinare al genere e per i giovani fan del thrash, tanto bistrattato da molti addetti ai lavori quanto uno dei generi cardine per l’evoluzione della nostra musica preferita. Fondamentale.

Track list:
1. Upside Down
2. Crash
3. Speed Kills
4. Retrobution
5. Time in the Machine
6. Lost
7. Chaos
8. Final Battle
9. Masters of War
10. Death Comes Twice
11. Walking Alone

Line-up:
Danny “Z” Pizzi – Bass
Roby Vitari – Drums
Mike Alvord – Guitars, Vocals

MINDWARS – Facebook

Paganizer – 20 Years In A Terminal Grip

Mastodontica raccolta per gli svedesi Paganizer, opera consigliata a tutti i fan del death metal old school.

Monumentale opera firmata Paganizer per festeggiare al meglio i vent’anni di attività: 20 Years Of A Terminal Grip è una raccolta imperdibile per tutti i fan del death metal old school.

Con otto full-length all’attivo (il primo, “Deadbanger”, datato 1998) ed una miriade di Ep e split album, la band di Rogga Johansson, musicista instancabile, ideatore e protagonista di altri progetti sempre all’insegna del metal estremo, raccoglie vent’anni di musica in questo doppio cd, licenziato dalla Cyclone Empire, a ripercorrere una carriera all’insegna di quel death old school di matrice scandinava, dalle tematiche gore, influenzato da Entombed, Dismember e Grave (ovvero, il gotha del death nordeuropeo), senza compromessi e dall’impatto devastante. Più di altre operazioni analoghe effettuate da parte di band magari più note, questa raccolta risulta un ottimo modo per entrare ancora di più nel mondo di questo genere: i Paganizer, pur essendo una band di secondo piano sotto l’aspetto commerciale, hanno scritto invece pagine importanti a livello qualitativo, e la loro discografia dimostra che, sotto la spinta del suo leader, personaggio dall’attitudine e dalla passione fuori dal comune, si possono ottenere buoni risultati senza necessariamente snaturarsi. Il formato proposto per la raccolta è un doppio cd, il secondo dei quali decisamente stuzzicante in quanto presenta rarità, versioni demo e brani mai editi, per un lavoro di recupero di un pezzo di storia del death metal scandinavo assolutamente da avere. I Paganizer oggi, assieme al buon Rogga alla sei corde ed al microfono, vedono in line-up Dennis Blomberg alla chitarra solista, Matthias Fiebig alle pelli e Martin Klasén al basso; la copertina del lavoro ad opera di Daniel “Devilish” Johnson è quanto di più brutale ed old school si possa trovare, un’autentica chicca per gli amanti degli artwork a sfondo horror, a completare questo tributo, non solo ad una band, ma a tutto il death metal classico.

Track list:
Disc 1
1. Nailed Forever
2. Bleed Unto Me
3. Among the Unknowing Dead
4. Scandinavian Warmachine
5. Even in Hell
6. You Call It Deviance
7. Frontier Cthulhu
8. Life Slips Away
9. Meateater
10. Colder
11. Just Here Rotting
12. Landscapes Made of Human Skin
13. Crusader
14. On Your Knees
15. The Cadaverous
16. Beyond Redemption
17. Mass of Parasites
18. No Divine Rapture
19. Their Skin Suits Me

Disc 2
1. Natures Bleeding
2. Religious Cancer
3. Viking Hammer
4. Blood on the Axe
5. Ode to the Horde
6. The Cyclone Empire
7. This Place Is Rot
8. Gasmask Obsession
9. Abortion Van
10. Hell Is Already Here
11. Massdeath Maniac
12. Army of Maggots
13. Flesh Collector
14. The Morbidly Obscene
15. The Festering of Sores
16. The Return of Horror
17. Born to Be Buried Alive
18. Carbonized Resurrection
19. Flesh Nest
20. Vaken Mardröm
21. Nothing Really Matters
22. This Place of Dying
23. Morbid Warfare
24. Grinded and Exiled V 1.0
25. Fleshnaut V 1.0
26. Buried Alive
27. NY Ripper

Line-up:
Rogga Johansson – Vocals, Guitars
Matthias Fiebig – Drums
Dennis Blomberg – Bass
Martin Klasén – Bass

PAGANIZER – Facebook

The Shiver – The Darkest Hour

Ottimo terzo lavoro per i The Shiver con il loro alternative rock dalle digressioni darkwave.

I The Shiver sono una band italiana che fa un rock alternativo impregnato di suoni dark wave, nata nel 2005 da un’idea della cantante e compositrice Federica Sciamanna e dal batterista Francesco Russo.

Arrivano, con The Darkest Hour, al terzo album dopo aver dato alle stampe l’esordio “Inside” nel 2008 e “A New Horizon” nel 2010, oltre ad un Ep acustico dal titolo “The Acoustic Experience”. La band in questi anni ha raggiunto una buona popolarità specialmente fuori dai confini nazionali, esibendosi live con band del calibro di The Misfits, Papa Roach, The Ark e Negramaro. Il nuovo album, prodotto e arrangiato da Mario Cristi, conferma la vena compositiva della band, la loro musica si approccia alla materia rock con buon gusto ed ottimo senso melodico, i brani spaziano dall’alternative alla dark wave; il connubio di queste sonorità con l’elettronica, presente in modo massiccio, unito alla bellissima voce della Sciamanna, crea atmosfere malinconiche, anche se la new wave ottantiana rimane un sentiero sicuro per il viaggio musicale della band, che fa dell’eleganza compositiva e di esecuzione il prprio punto di forza. Non spingono mai troppo i The Shiver, le chitarre non affondano i colpi, ma piuttosto accompagnano la vena della vocalist in questo viaggio tra i mali di un’umanità in disfacimento. L’album parte alla grande con la bellissima Ocean, da cui è stato estratto un video, presentandoci un gruppo collaudato; i brani si susseguono e ci avvolgono in un abbraccio sonoro: The Key, Forgotten Soul e Into The Darkest Hour ammaliano, ma è tutto l’album che si dimostra maturo in ogni frangente. L’alternative rock degli ultimi vent’anni viene nobilitato in questo lavoro dai The Shiver, i quali, aggiungendovi un’ottima miscela di Depeche Mode e Placebo, riescono a regalare un album davvero sopra le righe, dove sugli scudi sale prepotentemente la classe sopraffina di questi splendidi musicisti. Sarebbe l’ora che la band raccogliesse i suoi frutti anche nel proprio paese, lampante esempio dell’umanità descritta in The Darkest Hour.

Tracklist:
1.Ocean
2.The Key
3.Little Lonely Boy
4.Forgotten Soul
5.Bury
6.The Secret
7.Into the Darkest Hour
8.Runaway
9.Anything
10.Over

Line-up:
Federica Faith Sciamanna – Vocals
Francesco Finch Russo – Drums
Michele Colantuoni – Bass
Vincenzo Lodolini – Guitars

THE SHIVER – Facebook

Thrash Bombz – Dawn

Tornano i Thrash Bombz, alfieri del thrash metal old school, con questo ottimo Ep intitolato Dawn.

Tornano i siciliani Thrash Bombz, alfieri del thrash metal ottantiano, con un nuovo Ep che, seppur seguendo la strada intrapresa nel precedente full-length di inizio anno, porta con sé, un’importante novità in seno alla band.

Causa la defezione del vocalist Leonardo Botta, infatti, la band ha deciso di affidare le parti vocali al bassista Angelo “Destruktor” Bissanti, già al microfono sull’album della sua “creatura” Blood Evil (“Infection”, pubblicato all’inizio di quest’anno), singer di razza e protagonista di un’ottima prova, tra vocals agguerrite in puro stile ottantiano, ricche di vari spunti e di debordante personalità.
Venti minuti circa nei quali i Thrash Bombz confermano quanto di buono fatto sul precedente album: i brani sono quanto di più coinvolgente potete trovare in ambito old school, chiaramente ispirati alle band che hanno fatto grande il genere oltre vent’anni fa, ma suonati con ottima tecnica e personalità, il che li rende una delle realtà più convincenti della nostra penisola in questo ambito musicale.
La coppia d’asce formata dalla ritmica di Giuseppe “UR” Peri e la solista di Salvatore “Skizzo” Li Causi mietono vittime come un mitragliatore sferragliante nell’ambito di uno scontro a fuoco: Li Causi, in piena forma, sforna solos straordinari, sostenuto dalla seconda chitarra di Peri ed un lavoro della sezione ritmica (lo stesso Bissanti al basso e Vincenzo “Vihol” Lombardi alle pelli) potente, veloce, ma oltremodo elegante laddove la band si concede passaggi dall’alto tasso melodico, come lo struggente strumentale che dà il titolo all’album.
Con sei brani notevoli, i Thrash Bombz nobilitano il genere continuando la loro tradizione che li vuole fautori di un thrash che alterna sfuriate metalliche (grandiose a mio parere … Presence ed Eternal Punishment) ad un talento mostruoso nel saper inserire parti strumentali tecnicamente ineccepibili e dal grande impatto emotivo, aspetto che ne rende vario e maturo il sound.
Ottimo lavoro, dunque, consigliato non solo ai fan del genere ma adatto anche a chi ha confidenza con i suoni metallici più classici: per il gruppo potrebbe essere una sorta di ripartenza vista l’importanza del cambio di vocalist nel contesto di una band; dal mio canto consiglio, per chi ancora non l’avesse ascoltato, anche il bellissimo album “Mission Of Blood”.

Tracklist:
1. Unknown…
2. …Presence
3. Drown in Your Misery
4. Eternal Punishment
5. Dawn
6. Human Obliteration

Line-up
Giuseppe “UR” Peri – Guitars
Angelo “Destruktor” Bissanti – Vocals, Bass
Salvatore “Skizzo” Li Causi – Guitars
Vincenzo “Vihol” Lombardi – Drums

https://www.facebook.com/ThrashBombzOfficial

Cadaveria – Silence

Al quinto album di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, Cadaveria con la sua band continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza.

Torna la regina del metal estremo, Cadaveria, con la sua band omonima.

Ormai lontani gli esordi con gli Opera IX, la vocalist dal 2002, anno dell’esordio (“The Shadow’s Madame”) con il progetto a suo nome, continua imperterrita a sfornare opere di metallo estremo dalle sfuriate black e fascino gotico di assoluta qualità, ed il nuovo parto dal titolo Silence non tradisce le attese, confermando la band biellese come una delle realtà più floride del panorama nazionale nonché una tra le più conosciute anche fuori dai patri confini.
Al quinto full-length di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, il gruppo continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza, ormai modello per qualsiasi giovane band si avvicini al genere, capitanata dalla regina nera sempre in piena forma.
Silence offre quanto di meglio la band poteva donare ai propri fan, rivelandosi un album sempre in bilico tra gotiche atmosfere, cavalcate death/black e sfuriate thrash, il tutto sostenuto da emozionanti ed oscuri passaggi, nei quali cala la violenza ma nel contempo l’aria si fa gelida e i brividi fanno tremare corpi e menti, tale è il clima orrorifico che si respira tra i solchi di queste nuove undici canzoni.
Cadaveria è sempre qui, tra un growl da strega malefica ed ambigue parti nelle quali le nenie terrorizzano ancora di più: spettacolare nella sua teatralità, rende questo viaggio nel mondo oscuro un incubo dal quale, però, non ci si vuole svegliare, ammaliati, affascinati, ipnotizzati come in un incantesimo da tanto malefico rituale.
I musicisti che accompagnano la singer, formano come sempre un team ultravincente, con la sezione ritmica composta da Killer Bob al basso e Marcelo Santos (ovvero Flegias dei Necrodeath) alla batteria, perfetti dove le ritmiche accelerano vertiginosamente, e la coppia d’asce Frank Booth e Dick Laurent i quali, ispiratissimi, sono protagonisti di una prova spettacolare colmando di solos melodici e riffoni thrash il sound dell’album.
Ottimamente prodotto, Silence regala perle di metallo oscuro come Carnival Of Doom e Free Spirit, e va in crescendo con il passare dei minuti, regalando il meglio di se nelle ultime tre tracce, Almost Ghostly, Loneliness e Strangled Idols, in un’orgia di suoni estremi ed atmosfere dark davvero da antologia.
Un album che conferma il talento di Cadaveria e dei suoi degni compari, tornati per riprendere il trono tra le band del genere ed il ruolo di guida ed influenza per qualsiasi realtà nostrana che voglia approcciarsi al metal più oscuro.

Tracklist:
1. Velo (The Other Side of Hate)
2. Carnival of Doom
3. Free Spirit
4. The Soul That Doesn’t Sleep
5. Existence
6. Out Loud
7. Death, Again
8. Exercise1
9. Almost Ghostly
10. Loneliness
11. Strangled Idols

Line-up:
Cadaveria – Vocals
Killer Bob – Bass
Marcelo Santos – Drums
Frank Booth – Guitars
Dick Laurent – Guitars

CADAVERIA – Facebook

Putrid Offal – Suffering

Un assaggio di quello che sarà il ritorno sulle scene degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

In attesa dell’imminente full-length che vedrà la luce nel prossimo anno, la Kaotoxin immette sul mercato il nuovo singolo degli storici grindsters francesi Putrid Offal.

Nata nel lontano 1991, la band sfornò, fino alla metà degli anni novanta, lavori con buona continuità e dopo un demo d’esordio e una manciata di split si fermò, per tornare dopo vent’anni più forte di prima con questo singolo. Siamo davanti ad una band eccellente per impatto e violenza, i due brani inseriti in questo lavoro (Suffering in ben tre versioni e Livor Mortis) descrivono un gruppo compatto, che non ha nulla da invidiare alle band più conosciute del genere proposto: velocità inumana, devastazione, ritmiche mozzafiato e due voci (growl e scream) che letteralmente inchiodano l’ascoltatore, travolto da un wall of sound pari ad un vento atomico. Franck Peiffer (chitarra e voce) e Frèdèrick Houriez (basso) sono accompagnati nella nuova avventura da Philippe Reinhalter (chitarra) e la band gira a mille, lasciando esterrefatti. Come già accennato, i Putrid Offal sono pronti per uscire con il debutto su lunga distanza nel prossimo anno: il titolo sarà “Mature Necropsy” e, da quanto ascoltato in questo singolo, ne vedremo e sentiremo delle belle, state sintonizzati.

Tracklist:
1.Suffering(2014 version, taken from the full lenght Mature Necropsy).
2.Suffering(2014 demo version)
3.Suffering(1991 demo version)
4.Livor Mortis

Line-up:
Franck Peiffer – guitars & vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass & vocals

PUTRID OFFAL – Facebook

Right To The Void – Light Of The Fallen Gods

Ottimo melodic death metal con questo secondo album dei francesi Right To The Void

Imperterrito al trascorrere del tempo, specialmente in ambito underground, il death metal melodico continua a partorire band di ottime potenzialità, non solo rivolte a quello più moderno violentato da ritmiche core, tanto caro ai giovani fan di questi tempi, ma anche al più vecchio e mai domo scandinavian melodic death dei primi anni novanta, che dall’underground ha acquistato nuova linfa non potendo più contare sulle band che lo resero popolare allora, ammaliate dai dollari statunitensi e in gran parte sbiadite parodie di se stesse.

I Right To The Void, gruppo francese al secondo full-length, licenziato in questi giorni per la sempre più imprescindibile WormHoleDeath, la lezione l’hanno imparata eccome ed il loro nuovo album risulta un ottimo esempio di come si possa, seguendo sentieri già tracciati, risultare ugualmente convincenti sotto ogni punto di vista. La band esordisce con un demo nel 2010 per poi approdare nel 2013 al primo album (“Kingdom Of Vanity”), sempre per la label italiana, acquisendo nel contempo una buona esperienza live dividendo il palco con band del calibro di Napalm Death ed Immolation, esperienze che forgiano i musicisti transalpini, qui in ottima forma e più compatti che mai. Light Of The Fallen Gods si rivela così un gran lavoro di genere, sempre in bilico tra soluzioni od school e melodic-death impreziosite dall’ottimo lavoro delle chitarre, che alternano bordate estreme a solos melodici di ottima fattura(Paul e Gauthier). Una sezione ritmica di grande impatto (Hugo alle pelli e Romain al basso) ed un vocalist (Guillame) sugli scudi per tutto il lavoro, bravissimo sia nel classico growl che nell’uso dello scream dai rimandi black, molto usato nel genere ma poche volte così convincente, fanno sì che la decina di brani proposti lascino il segno; il gruppo non dà tregua e l’album, fin dall’opener Swallow’s Flight parte a mille per non fermarsi più, regalando botte di metallo estremo, cavalcate elettriche devastanti che, a tratti, lambiscono atmosfere di epicità oscura dalla notevole resa. Siamo al cospetto degli Dei, come recita il titolo, ed allora tra cielo e terra infuria la battaglia, feroce, senza esclusione di colpi, dove anche l’ascoltatore vacilla sotto il bombardamento di canzoni come le velocissime Death Circles, Fate Of Betrayal, Through The Grave e, mentre i due eserciti se le danno di santa ragione, riprendiamo fiato con la prima parte strumentale della stupenda The One Who Shoulder’s The Light. Con una produzione al top e una copertina che trasuda epicità nordica, questo lavoro potrebbe piacere non poco ai seguaci di Amon Amarth e compagnia vichinga, pur non essendo comunque un prodotto viking “tout court” ma tenendo ben saldo il cordone che lega la band al melodic death; etichette a parte, un album da ascoltare e far vostro. Promossi a pieni voti.

Tracklist:
1. Swallow’s Flight
2. Death Circles
3. Fate of Betrayal
4. The Sun of the Living Ones
5. Throught the Grave
6. The One Who Shoulders the Light (Part I)
7. The One Who Shoulders the Light (Part II)
8. Majesty’s Doors
9. Origins of a New World
10. This Is Our Time

Line-up:
Fabien – Bass
Hugo – Drums
Paul – Guitars
Gauthier – Guitars
Guillaume – Vocals

RIGHT TO THE VOID – Facebook

BLACK THERAPY

I romani Black Therapy, dopo l’ottimo album d’esordio hanno pubblicato di recente l’Ep The Final Outcome, contenente quattro brani di death metal melodico di livello straordinario.
A questo punto il prossimo disco su lunga distanza diventa una tappa fondamentale per la band: ne abbiamo parlato con il chitarrista e fondatore Lorenzo Carlini.

iye Ciao Lorenzo, vuoi raccontare ai lettori di Iyezine come è nato il progetto Black Therapy ?

Ciao! E’ nato tutto dalla lunga amicizia che lega me all’altro chitarrista Daniele: avevamo deciso di suonare la nostra prima cover, ma lo stesso giorno in cui l’abbiamo provata per la prima volta abbiamo subito capito che non era cosa per noi (era pessima!).
Abbiamo visto che suonando cose nostre funzionavamo molto di più, così abbiamo composto 4 brani da inserire in una demo. La ricerca degli altri musicisti non so per quale assurdo motivo è stata rapida e fortunata! 4/5 di quella band sono ancora membri attivi dei Black Therapy e ne siamo più che soddisfatti!

iye Il vostro primo full-length, “Symptoms Of A Common Sickness”, era già di ottimo livello ma nonostante
ciò siete riusciti a compiere un ulteriore passo avanti; siete soddisfatti del lavoro svolto oppure appartenete alla categoria degli incontentabili e pensate che avreste potuto fare ancora meglio ?

Secondo me “Symptoms of a Common Sickness” è un ottimo album di esordio, racchiude i nostro sogni di adolescenti e molti altri valori classici di quell’età, “The Final Outcome” invece, lo trovo più maturo e più “nostro”, diciamo che è la svolta verso il consolidarsi del nostro stile, anche la produzione è esattamente quello che avevamo in mente.

iye La cover del brano “Mad World” (che, ricordo, fa parte della colonna sonora del film Donnie Darko), è un
brano eccezionale, molto vicino alle sonorità dei Dark Tranquillity epoca “Projector”. Da dove è scaturita
una scelta così atipica?

Molte band inseriscono nei loro repertori delle cover, sia dal vivo che in studio, ma personalmente ho capito col tempo che non sono un ottimo esecutore di cose altrui, motivo per il quale non ho mai avuto una cover band, ho sempre pensato che arrangiare metal un brano di tutt’altro genere sarebbe stata l’unica scelta funzionale.
La ricerca è stata una cosa strana, avevo chiaro in mente come sarebbe stato il risultato finale prima ancora di scegliere il pezzo, per cui dovevo trovare un brano che avesse i requisiti giusti per portarmi a quelle sonorità. Questo mi ha estremamente ridimensionato le alternative, mi ha reso la scelta più lunga e complicata ma contemporaneamente non avrei avuto modo di sbagliare, era solo questione di tempo e il pezzo prima o poi sarebbe passato davanti alle mie orecchie che l’avrebbero sicuramente riconosciuto, ed ho avuto ragione!

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iye L’impressione che fornite è di una band matura e dalle potenzialità enormi, ma devo dire che mi ha
colpito molto il lavoro delle due chitarre affidate a te a Daniele Rizzo: ci spieghi quali sono le vostre
modalità di lavoro in studio?

Oggi non è più come un tempo, quando si entrava in studio, si componeva e si incideva lì. Per quella che è la nostra esperienza è necessario entrare in studio con il 99% del disco già pronto.
Prima registriamo il tutto a casa per sentire con calma se suona bene o c’è qualche modifica da fare, poi proviamo in sala e infine siamo pronti per entrare in studio.
Nella fase di registrazione ci limitiamo a riprodurre le parti nel miglior modo possibile seguendo i consigli del nostro fonico Stefano Morabito (Eyeconoclast), poi durante il mix ci divertiamo a scegliere i suoni e i vari effetti, questa è l’unica parte artistica del lavoro!

iye Chi è di voi è il maggior responsabile della scrittura dei brani?

La stesura dei brani è una fase a cui pensiamo esclusivamente io e Daniele, ognuno per conto suo compone dei riff, poi ci incontriamo e amalgamiamo il tutto completando prima le due tracce di chitarra e poi gli altri strumenti. A questo punto Alessandro (basso) e Luca (batteria) aggiungono le ultime sfumature alle loro linee e infine Giuseppe (voce) crea le linee vocali e aggiunge le liriche.

iye Il death metal melodico ha perso molta della sua popolarità anche perché le band più famose (a parte i
Dark Tranquillity) hanno virato su sonorità più mainstream, ma è vivo e vegeto nell’underground: che idea
ti sei fatto di questo tipo di svolte, In flames e Soilwork su tutte?

Io penso che ci siano due tipi di band: quelle geniali che hanno la fantasia di inventare qualcosa di nuovo e le altre che poi, alcune differenziando un po’, altre diventando la loro brutta copia, li seguono o si evolvono proseguendo da dove hanno lasciato i primi.
Ultimamente vedo una nuova scintilla all’interno del death metal melodico, è il filone che include Insomnium, Omnium Gatherum, ecc., che, a mio parere, hanno attinto dalle classiche band del ‘95 ma hanno saputo diversificarsi, raccogliere il testimone e portarlo altrove.
Rispetto molto le svolte di In Flames e Soilwork, questi sono due esempi di band geniali che non si sono limitate ad inventare un genere (il melodic death metal), ma anni dopo ne hanno inventato un secondo che non sarà prediletto dagli amanti del primo, me compreso, ma non si può di certo mettere in discussione il loro valore e percorso musicale.

iye Quali sono le tue band preferite? E cosa ascoltate abitualmente in seno ai Black Therapy?

Sono partito dall’heavy e dal thrash (Iron Maiden, Megadeth, Metallica, Testament), poi sono passato al power (Stratovarius, Sonata Arctica, Nightwish), i Children of Bodom sono stati il mio collegamento con il melodic death (Dark Tranquillity, In Flames, Soilwork, At The Gates) e al death classico con i Death su tutti. Ascolto anche molto black, soprattutto quello melodico (Dimmu Borgir, Dissection), ma anche non (Belphegor, Dark Funeral). Ultimamente mi sono appassionato al nuovo filone del melodic death (Insomnium, Omnium Gatherum, Ne Obliviscaris, Flashgod Apocalypse) e al post-depressive-black. Mi piace ascoltare anche la musica classica, il rock’n’roll e il rock settantiano.

iye La scena della capitale è ricca di band di livello assoluto un po’ in tutti i generi del metal estremo, avete
contatti con altri gruppi romani?

E’ ovvio che frequentando la scena abbiamo avuto diversi contatti e scoperto tante band valide, citerei Shores of Null, Eyeconoclast, Lahmia, Ade, Lykaion, Southern Drinkstruction, Lunarsea, Stormlord, Nerodia, Black Motel Six e tante altre!

iye Domanda d’obbligo: cosa ne pensi della scena metal italiana in generale e come vanno per voi le cose in
sede live?

Sappiamo tutti che culturalmente il genere non è molto diffuso rispetto ad altri paesi, oggi viviamo una vita frenetica e purtroppo c’è poco spazio per l’arte e gli hobby in generale, le proposte e le distrazioni sono molteplici e solo chi ha una forte passione riesce a partecipare attivamente alla scena.
Nonostante questo panorama generale, in Italia si sono creati diversi centri in cui spesso passano grandi tour e altri dove si possono fare date più piccole ma sempre piacevoli.

iye Chiaramente dopo un ep di questo livello, le aspettative per il nuovo album salgono vertiginosamente,
avete già programmato il successore di “Symptoms …” ?

Sì, abbiamo già del materiale pronto anche se non vogliamo fare cose affrettate e preferiamo curarlo nei minimi dettagli per evitare passi falsi. La linea generale sarà proprio quella sentita nel nuovo EP, ma per ora dobbiamo concentrarci a promuovere questo lavoro in tour, poi ci chiuderemo ad ultimare il nuovo disco. Per ora ci si vede on stage!

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Hourswill – Inevitable

Prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con grande padronanza dei propri mezzi.

Debutto sulla lunga distanza per gli Hourswill, band di Lisbona attiva dal 2009 e con alle spalle un singolo ed un demo nel 2011, con il loro metal tecnico che lascia agli annali buoni spunti e canzoni caratterizzate dall’ottimo impatto.

Certo, la band portoghese non brilla per originalità, ma ha dalla sua carte buone da giocarsi sul piatto del genere, mettendoci anima e corpo in questi nove brani devoti al verbo del teatro del sogno. Infatti, fin da Vows of Submission, che segue la classica intro, il songwriting si attesta su un prog metal classico, ben eseguito, nel quale a tratti compaiono voci in growl (Dead End Memory), che rendono il sound ancora più metallico e la band, dopo aver inserito la quinta, viaggia in tranquillità su territori sicuri, mostrando comunque buona padronanza degli strumenti. Molto bella Lessons Unlearned, in breve la traccia migliore del lavoro, che fa coppia con il brano più progressive del lotto, quella Weight Of Vengeance che regala attimi dove atmosfere più vicine al prog settantiano si amalgamano alla vena heavy del combo, per donare stupendi affreschi di musica metallica, sempre con le ottime parti in growl nella voce, che sanno tanto di prog metal nordico. Atrocity Throne risulta la traccia più pesante del disco: le ritmiche, sempre tecnicissime, si fanno grevi come macigni, avvicinandosi al metal oscuro e drammatico dei fenomenali Nevermore di Warrel Dane. I musicisti lasciano intravedere grandi potenzialità, specialmente le due asce che si rendono protagoniste di solos tecnico-melodici dal buon gusto ed estremamente funzionali all’economia dei brani, senza cadere nell’esibizione strumentale fine a se stessa. Per concludere, prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con disinvoltura: Inevitable si rivela un buon lavoro per gli appassionati dei suoni tecnici, ma allo stesso tempo dai connotati metallici. Assolutamente da ascoltare.

Tracklist :
1. The Damnation Clockwork
2. Vows of Submission
3. Inevitable Collapse
4. Dead End Memory
5. Lessons Unlearned
6. Atrocity Throne
7. Nothing Divine
8. Weight of Vengeance
9. Their Hopeless Reality

Line-up:
Ruben Chamusca – Bass
Nuno S. Damião – Vocals
José Bonito – Guitars
Sérgio Melo – Guitars
Nuno Peixoto – Drums

HOURSWILL – Facebook

Hell In The Club – Devil On My Shoulder

Spettacolare secondo lavoro degli Hell in The Club, super band italiana, con membri di Death SS,Secret Sphere e Elvenking.

E c’è ancora qualcuno che, quando si parla di metal nel nostro paese, arriccia il naso come se lo tsunami di talenti che, fortunatamente, il nostro caro e vecchio stivale può contare, fosse invisibile.

Per chi non avesse avuto il piacere di ascoltare il primo album di questa spettacolare band tutta italiana (“Let The Games Begin”), ricordo che gli Hell In The Club non sono altro che l’unione di musicisti appartenenti a band che hanno dato e danno tuttora lustro alla musica metallica italiana, quali Andrea Buratto al basso (Secret Sphere), Davide Moras alla voce (Elvenking), Federico Pennazzato alle pelli (Death SS, Secret Sphere), più Andrea Piccardi alla chitarra. Progetto? Band a tutti gli effetti? Poco importa, visto che i musicisti si cimentano un genere lontano anni luce da quello proposto con le band di provenienza, dando vita ad un hard rock incandescente, dalla forte impronta street ma, allo stesso tempo, moderno ed enfatizzato da una produzione spettacolare (Simone Mularoni, ovviamente) e dal songwriting stratosferico. Evitate di sedervi per ascoltare disco, intanto non durerete con il fondo schiena appoggiato sul divano per più di un minuto, sotto il bombardamento di questi tredici brani di hard rock stradaiolo tremendamente divertente. La band si diverte e ci fa divertire, puro rock’n’roll da arena, musica da lasciarsi andare e cantare a squarciagola, dimostrazione che, non esistono generi più o meno datati o cool, perché quando il livello della qualità si alza a questi livelli si può solo omaggiare i protagonisti, dal talento mostruoso, da far impallidire sia i mostri sacri degli anni ottanta, che le nuove leve scandinave da cui la band prende spunto per questo ennesimo party album. Dall’opener Bare Hands è un susseguirsi di hit, da far resuscitare cadaveri, che si trasformeranno in zombie affamati al ritmo della sensazionale Beware The Candyman, ultra rock’n’roll da infarto. Ci deve essere per forza lo zampino del diavolo, Proud esalta nel suo incedere alla Bon Jovi, le songs si alternano in un grandioso omaggio a quello che è puro divertimento in musica, Whore Paint, Pole Dancer consacrano la band e questo lavoro come uno dei più riusciti in ambito hard rock di quest’anno. Impatto e attitudine, legati insieme da soluzioni geniali, fanno di Devil On My Shoulder una risposta efficace ai sordi che continuano a sostenere che il rock è morto e, anche quando tira il freno e consegna le immancabili ballad (We Are The Ones e Muse), la band regala brividi con due brani da pelle d’oca. Spettacolare ritorno dunque per il quartetto alessandrino, protagonista di questo album che si piazza sul podio delle migliori uscite discografiche nel genere a livello internazionale.

Track list:
01. Bare Hands
02. Devil On My Shoulder
03. Beware Of The Candyman
04. Proud
05. Whore Paint
06. Pole Dancer
07. We Are The Ones
08. Save Me
09. Toxic Love
10. Muse
11. Snowman Six
12. No More Goodbye
13. Night

Line-up:
Andrea “Andy” Buratto – Bass
Federico “Fede” Pennazzato – Drums
Andrea “Picco” Piccardi – Guitars (lead)
Davide “Dave” Moras – Vocals

HELL IN THE CLUB – Facebook

Circle Of Indifference- Shadows Of Light

Spettacolare esordio dei Circle Of Indifference con questo magnifico “Shadows of Light”.

Altro lavoro che se non arriva a sfiorare il capolavoro ci va tremendamente vicino.

I Circle Of Indifference sono la creatura del polistrumentista Dagfinn Øvstrud, nata lo scorso anno come one man band anche se il musicista svedese è aiutato nella lavorazione del disco da un manipolo di ottimi specialisti della scena estrema. Shadows Of Light ne è il clamoroso debutto che, insieme allo stupendo “Nightmare Years” dei Maahlas, mi ha completamente rapito tanto è il talento estremo che esce dalle composizioni di questo lavoro, all’insegna di un death metal melodico all’ennesima potenza; il tutto viene supportato da un songwriting straordinario che, senza finire troppo nell’abusato calderone del prog/death alla Opeth, stupisce per tecnica compositiva pregno com’è di canzoni che definire esaltanti è un eufemismo. Niente di nuovo, affermerà qualcuno, vero, ma qui siamo davanti ad un album talmente perfetto, così ben costruito che è impossibile non rimanerne affascinati: cavalcate elettriche accompagnano digressioni elettroniche, tutto il metal scandinavo passa per i solchi di questa straordinaria opera, in cui una produzione bombastica non è altro che la ciliegina su una torta che non riuscirete più a fare ameno di divorare. Edge Of Sanity e la loro guida Dan Swanö sono i riferimenti più logici per le soluzioni adottate in questo lavoro, senza dimenticare anche i Pain di Peter Tagtgren nelle parti elettroniche, e ho detto tutto … Aggiungete un innato senso melodico che, anche nelle parti più violente rende i brani uno più bello dell’altro, ed ecco che il grande disco è servito su un piatto d’argento dallo chef svedese, che lascia all’enorme vocalist Brandon Leigh Polaris il compito di accompagnarci per tutta la durata dell’album con il suo growls spettacolare. Tutto è perfetto, non c’è una nota fuori posto in Shadows Of Light, e la musica vi travolgerà senza darvi tempo per riprendervi tra un brano e l’altro, devastati da cotanto talento al sevizio di un metal debordante. Dove poi entra in gioco una female vocals (Darkness) i Circle Of Indifference sverniciano e mettono in fila tutte le symphonic metal band del pianeta, senza dimenticare di dare una ripassatina al metallo epico che qui diventa furiosa musica guerresca, sprizzante eroicità da tutti i pori (Another Day In Paradise). Siamo di fronte ad un album che, non fosse per l’assoluta cecità del mainstreem e di molti addetti ai lavori, farebbe il pieno nelle classifiche di fine anno in ambito estremo. Se il buon Dagfinn Øvstrud si accontenta, di sicuro non mancherà nella nostra …

Tracklist:
1. Despair (Intro)
2. A Child but Not
3. Walk with Me
4. Alone
5. Shadows of Light
6. Evil
7. This Is Not the End
8. Darkness
9. Another Day in Paradise
10. Abyss
11. Push
12. Shadows of Light (Aybars Remix)
13. Hope (Outro)

Line-up:
Dagfinn Øvstrud – All instruments, Lyrics

Guests:
Brandon L. Polaris – Vocals
Tyler Teeple – Guitars (lead)
Nikky Money – Vocals (on track 8)
Aybars Altay – Additional Instruments of Aybars Remix

CIRCLE OF INDIFFERENCE – Facebook

Chaos – Violent Redemption

Ancora grande metal dall’India con i Chaos, band thrash dall’ottima tecnica e dal songwriting devastante.

Ancora grande metal dall’India, questa volta parliamo di thrash metal con una band di Trivandrum dal nome che è tutto un programma, Chaos.

Giunta all’esordio dopo un demo del 2009, la band votata al metal della Bay Area conquista con questo ottimo primo lavoro, un massacro sonoro suonato a tratti alla velocità della luce e che, quando l’andatura rallenta ci si infrange in brani cadenzati di una pesantezza infinita, suonati a meraviglia da quattro ottimi musicisti ottimi: non solo violenza, quindi, ma tanta tecnica al servizio del vecchio thrash. Anthrax, Exodus, Death Angel e tutti i mostri sacri del genere sono chiamati in ballo dalla band indiana, che raccoglie il testimone e continua a correre per strade metalliche, non esistono semafori rossi, gli ostacoli i Chaos li travolgono con una serie di super songs che in sede live devono spaccare come poche, autentici anthem dalle accelerazioni vibranti, con solos pirotecnici e ritmiche da bombardamento sopra Pearl Harbor. Grandiosa la sezione ritmica (Vishnu al basso e Rohit alle pelli), un vocalist graffiante (JK) e un chitarrista spaventoso, una macchina da guerra che non fa prigionieri con lì aggiunta di un gusto melodico sempre ben presente nei brani dell’album (Nikhil). E’ incredibile come il gruppo riesca in tracce relativamente brevi (Heaven’s Gate a parte, i brani non superano i tre minuti) a condensare un così perfetto american style thrash metal; ognuna di esse esalta e trascina in un pogo sfrenato, a cui non riuscirete a sottrarvi sotto i colpi di War Crime, Saint, Blacklash, Merchant Of Death e Self Deliverance, le preferite dal sottoscritto che avrà il suo daffare per riprendersi da cotanta meraviglia estrema. Grande band e ottimo album.

Tracklist:
1. Ungodly Hour
2. Torn
3. Game
4. War Crime
5. Saint
6. Heaven’s Gate
7. Blacklash
8. Merchant of Death
9. Self Deliverance
10. Cyanide Salvation
11. Violent Redemption

Line-up:
Vishnu – Bass
Rohit – Drums
JK – Vocals
Nikhil – Guitars

CHAOS – Facebook

Black Therapy – The Final Outcome

I romani Black Therapy sfornano un Ep clamoroso a base di melodic death metal

Scandinavian melodic death metal: quante realtà , quante band, in tutto il mondo, si avvicinano al genere che più di ogni altro, dalla metà degli anni novanta, ha donato popolarità al metal estremo? Una marea.

Ma quante di queste possono vantarsi d’essere legittimamente eredi a livello di qualità, delle band che di questo genere hanno fatto la storia? Poche.
E se, senza andare a cercare troppo in là, una di queste fosse proprio qui in Italia?
Arrivati al terzo lavoro dopo un demo, “Through This Path” del 2010, ed il full-lenght “Symptoms Of A Common Sickness” dello scorso anno, i romani Black Therapy licenziano questi stupefacenti quattro brani, racchiusi nell’ep The Final Outcome, uno scrigno contenente quattro brani da antologia, esaltanti, devastanti, ultramelodici, ottimamente prodotti e, ovviamente, dal tiro pazzesco.
Mad World è una delle più belle canzoni sentite ultimamente nel genere (cover di un brano presente nella colonna sonora del film “Donnie Darko”), brano spettacolare nel quale un giro di piano ultramelodico accompagna la band sul podio del genere, collocandosi molto vicino ai Dark Tranquillity di “Projector”.
Seguono la pianistica ed emozionante Sunset Of The Truth e l’accoppiata Black Crow / The Final Outcome che manda in visibilio l’ascoltatore di turno grazie alla prova straordinaria della band, che esibisce grandi ritmiche, solos melodici, doppie vocals ad alternare growls alla Stanne e scream, il tutto impregnato di una vena oscura tale da far impallidire la band scandinava.
Quindici minuti di melodic death metal semplicemente perfetto che, se dovessero essere confermati con il prossimo full-length, potrebbero portare la band a raggiungere vette fino a ieri considerate irraggiungibili.

Track list:
1. The Final Outcome
2. Black Crow
3. Mad World
4. Sunset of the Truth

Line-up:
Luca Soldati – Drums
Daniele Rizzo -Guitars
Lorenzo “Kallo” Carlini – Guitars
Giuseppe Massimiliano Di Giorgio – Vocals
Marco Cattaneo – Bass

BLACK THERAPY – Facebook

Horrified – Descent Into Putridity

Esordio all’insegna del death metal old school per gli Horrified.

Esordio sulla lunga distanza per questo combo proveniente dal regno unito, devoto al death metal old school.

Gli Horrified sono una giovane band di Newcastle formatasi appena due anni fa, con all’attivo un demo dello scorso anno intitolato “Carcinogenic Feasting”; la firma con Memento Mori li porta a raggiungere il traguardo del primo full-length, un concentrato di death metal old school debitore della scena scandinava a cavallo fra gli anni ottanta e novanta. Parliamo degli albori della scena, ed infatti Descent Into Putidrity sembra proprio uscire da una cassetta demo di quei gloriosi anni, quando anche le maggiori band del genere muovevano i primi passi e gettavano le basi per uno dei più importanti generi della musica estrema. La band si muove bene tra teschi, cimiteri e putridume vario, lasciato dai cadaveri decomposti: ci sono, tra i trenta minuti di questo massacro, dei buoni spunti (Narcolepsy, Tomb Of Rebirth), il gruppo spara sette bordate estreme tutte grinta e velocità, purtroppo la produzione rimane legata agli standard di quegli anni, la batteria risente di un suono un po’ troppo piatto ed il resto risulta ovattato. Forse non siamo più abituati ad ascoltare lavori del genere, ormai abituati ad uscite iperprodotte anche nel death old school, rimane quel senso di nostalgia (per chi ha qualche capello bianco in testa) per anni che non torneranno più, quando per supportare la scena underground si premevano contemporaneamente i pulsanti start e rec per duplicare cassette su cassette. Descent Into Putridity è un prodotto che, sostanzialmente, potrà attrarre soprattutto gli estimatori dei primissimi vagiti di Entombed, Dismember ed Unleashed.

Tracklist:
1. Tomb of Rebirth
2. Narcolepsy
3. Mortally Deceased
4. Descent Into Putridity
5. Buried Among Putrified Flesh
6. Veil of Souls
7. Repugnant Degeneration

Line-up:
Matthew Henderson – Drums
Daniel Alderson – Guitars (lead) Vocals
Dan H – Bass
Ross Oliver – Guitars (lead)

HORRIFIED – Facebook