Sabaton – Carolus Rex Platinum Edition

Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, sesto album dei Sabaton uscito nel 2012 e ristampato per l’occasione.

La storia della Svezia ha toccato il suo massimo splendore storico tra il XVII e il XVIII secolo, periodo che vide la nazione scandinava trasformarsi in una potenza imperante nelle coste del mar Baltico, dalla Finlandia fino all’Estonia e alla Livonia.

I Sabaton nel 2012 licenziarono questo bellissimo lavoro, che è stato quello di maggior successo del gruppo, alle prese con una fetta importante della storia del proprio paese.
Carolus Rex, infatti, è un lavoro incentrato sull’intervento della Svezia nella guerra dei trent’anni (1618-1648) e sul regno di re Carlo XII (1697-1718) del quale si commemorano i trecento anni dalla morte.
Un lavoro ispirato e bellissimo, heavy power metal orchestrale ed epico alla sua massima potenza, questo è Carolus Rex, di fatto il sesto album dei Sabaton ed apice di una discografia che ha regalato altri due full length dopo questo notevole lavoro, Heroes e The Last Stand, licenziati rispettivamente nel 2014 e nel 2016.
Senza entrare troppo dentro alle vicende storiche, c’è un grande album di power heavy metal da godersi con il pugno alzato e lo scudo a proteggere i colpi che i Sabaton senza pietà scaricano sull’ascoltatore, immerso in questa raccolta di racconti storici accompagnati da uno degli esempi più fulgidi di metallo glorioso, epico, orchestrale e potente.
Mid tempo e debordanti orchestrazioni ci avvolgono come in una colonna sonora di una pellicola che sulla parete fa scorrere immagini di battaglie, eroi, vincitori e vinti in un delirio epico davvero entusiasmante, con la chicca della versione svedese ad accentuare l’atmosfera di celebrazione di uno dei personaggi più importanti della storia della nazione.
Questa spettacolare versione Platinum Edition si arricchisce di quattro bonus track e viene licenziata dalla Nuclear Blast in ben cinque versioni: 2cd digi, 2LP, 3cd+2blu-ray-earbook, award edition e digital, a seconda dei gusti tutte imperdibili.

Tracklist
1. Dominium Maris Baltici
2. The Lion From the North
3. Gott Mit Uns
4. A Lifetime of War
5. 1 6 4 8
6. The Carolean’s Prayer
7. Carolus Rex
8. Killing Ground
9. Poltava
10. Long Live the King
11. Ruina Imperii
12. Twilight Of The Thundergod
13. In The Army Now
14. Feuer Frei
15. Harley From Hell

Line-up
Joakim Brodén – Vocals, Keyboard
Pär Sundström – Bass
Chris Rörland – Guitars
Tommy Johansson – Guitars
Hannes Van Dahl – Drums

SABATON – Facebook

Thulsa Doom – Realms Of Hatred

Assalti sonori devoti all’old school death presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Dalle catacombe di una capitale sempre più avvolta da sonorità estreme arrivano in superficie i Thulsa Doom, trio di musicisti ed adepti all’underground metallico di matrice death metal.

In generale non ci si schioda dai primi anni novanta tra le trame putrescenti di questi sei brani che vanno a comporre la tracklist di Realms Of Hatred, debutto in uscita digitale e cassetta a ribadire l’assoluta attitudine underground di questa band che riesce a convincere grazie a cavalcate heavy, atmosfere catacombali ed un sound maligno, con una produzione che ben si adatta allo spirito dell’opera, senza inficiare il risultato ma rendendo l’atmosfera malsana, un vero e proprio viaggio nell’inferno dei Thulsa Doom.
Quattro brani e due interludi scaraventano per una ventina di minuti nei meandri in cui l’angelo morboso tortura anime con brani come l’opener The Final Scourge, guardando all’indietro anche al thrash metal più oscuro nato negli anni ottanta.
Assalti sonori devoti all’old school death come The Gates of Niniveh o Demon Conjurer presentano al meglio questa nuova e malefica realtà della capitale: le avvisaglie di un futuro da band capace di crearsi un certo seguito ci sono tutte.

Tracklist
1.The Final Scourge
2.The Gates of Niniveh (Woe to You…City of Blood)
3.Realms of Hatred (Instrumental)
4.Demon Conjurer
5.Intro
6.Thulsa Doom

Line-up
V.K. Nail – Vocals, Guitar
F.Phantomlord – Guitar & Bass Guitar
B.G. Triumph – Drums

THULSA DOOM – Facebook

Dungeon Wolf – Slavery Of Steel

Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

I tre Dungeon Wolf, capitanati dal cantante e chitarrista Deryck Heignum, provengono dalla Florida, terra tradizionalmente metallica, specialmente per quanto riguarda la parte estrema della nostra musica preferita, qui invece madre di un gruppo dedito ad un metal tradizionale tra velleità epic, qualche spunto tecnico lodevole, ma tanta approssimazione riguardo al songwriting ed alla voce del leader, che quando si affida al falsetto lascia alquanto a desiderare, un difetto non da poco in un genere nel quale l’interpretazione vocale fa la differenza.

Slavery Of Steel è composto da otto brani per una quarantina di minuti di epico metallo scolpito nella roccia, vario nelle ritmiche, tecnicamente buone, e nei solos che in alcuni casi rasentano lo shred, mettendo in risalto la bravura di Heignum con il proprio strumento, molte volte andando leggermente oltre a quello che richiede il brano.
L’album quindi non è sicuramente esente da difetti, migliorabili con il tempo, ma ad oggi purtroppo causa del poco appeal che brani comunque fortemente epici come l’opener Hidden Dreams o Worker Metal Night riescono ad avere sull’ascoltatore.
Il metal old school dei Dungeon Wolf è pervaso da una forte componente epico guerresca che ricorda Cirith Ungol e Manowar ma si presenta con un gap non indifferente già dalla buffa copertina, con un improbabile cavaliere medievale munito di spadone d’ordinanza e chitarra, ed una sbornia da far passare prima che inizi la battaglia.
Slavery Of Steel raggiunge la sufficienza solo per qualche spunto deciso e rabbioso, troppo poco comunque per farsi spazio nell’affollato mondo dell’underground metallico.

Tracklist
1. Hidden Dreams
2. Last Alive
3. Slavery or Steel
4. Borderlands
5. While the Gods Laugh
6. Dark Child
7. Worker Metal Might
8. Lord of Endless Night

Line-up
Deryck Heignum – Vocals/Guitar
Stan Martell – Bass
Austin Lane – Drums

DUNGEON WOLF – Facebook

Voices From Beyond – Black Cathedral

E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal.

Partita come label rock ed alternative, la Volcano ha ampliato i suoi orizzonti entrando di prepotenza nel mondo del metal e supportando ottime realtà nazionali ed internazionali.

Tra hard rock, alternative e rock ‘n’ roll trovano spazio gruppi dalle sonorità più marcatamente metalliche, come per esempio i Voices From Beyond, al loro secondo album dopo The Gates of Madness uscito ormai otto anni fa.
Black Cathedral è il titolo di questo nuovo lavoro che sicuramente non deluderà gli amanti del metal classico anni ottanta, un concentrato potentissimo e senza compromessi di heavy, speed e thrash metal.
Il quintetto proveniente da Rimini, trascinato dall’ottimo cantante Roberto Ferri, ci presenta una raccolta di brani che alternano i tre generi citati, in un turbinio di tempeste metalliche.
Composta da una serie di brani elaborati, la track list non lascia spazio ad incertezze, il gruppo convince fin da subito lasciando alle veloci e dirette Dark Age e The Hideout Of Evil il compito di colpire l’ascoltatore con ritmiche veloci e potenti, solos taglienti e ottimi refrain.
La bellissima power ballad La Valle Della Coscienza (cantata in italiano), chiude la prima parte e l’album riparte con il thrash metal di The Edge Of Time, con i Voices Of Beyond che ci aprono le porte della nera cattedrale con il metal progressivo ed oscuro della title track.
Descending Into The Abyss è il brano più estremo del lotto, una forza della natura di matrice thrash che conduce verso la fine dell’opera rappresentata dalla ballad semiacustica The Family.
E’ un ottimo lavoro questo secondo album targato Voices From Beyond, band che elabora senza timori reverenziali le proprie influenze toccando le corde degli amanti di una serie di icone metal, che vanno dai Maiden agli Exodus, dai Metallica ai Testament e ai primi Helloween (quelli arrabbiati di Walls Of Jericho): per gli amanti del genere un ascolto vivamente consigliato.

Tracklist
1. Dark Age
2. The Hideout of evil
3. Guardian of the Laws
4. I am The Presence
5. La Valle della Coscienza
6. The Edge of Time
7. The Black Cathedral
8. Descending into The Abyss
9. Across The Mountains
10. The Family

Line-up
Roberto Ferri – Vocals
Claudio Tirincanti – Drums
Michele Vasi – Guitar
Andrea Ingenito – Guitar
Enrico Ricci – Bass

VOICES FROM BEYOND – Facebook

Thomas Silver – The Gospel According The Thomas

The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.

Di solito, quando un componente importante di un gruppo all’apice del successo decide che è il momento di lasciare, tutte e due le parti perdono qualcosa: la band un pezzo della sua anima, il musicista quell’entusiasmo che aveva caratterizzato la prima parte della sua vita nel mondo del rock vissuto con chi ne ha condiviso la gavetta e le prime soddisfazioni.

Per Thomas Silver, chitarrista e fondatore dei rockers svedesi Hardcore Superstar, questi dieci anni fuori dal mercato hanno portato un approccio più profondo e maturo, allontanandosi dalla macchina rock’n’roll che, diciamolo, funziona ancora alla grande (e di pochi mesi fa l’uscita dell’ultimo e bellissimo Hardcore Superstar) per avvicinarsi ad un rock cantautorale, pregno di atmosfere intimiste e post punk.
The Gospel According The Thomas è un debutto ispirato, pensato e voluto come inizio di un nuovo corso che il musicista svedese inizia con il piede giusto, lasciando il rock sguaiato ed irriverente per intraprendere il cammino sulla strada di quello intriso della malinconica sfumatura blues che è prerogativa tipica dei grandi interpreti.
L’album offre undici brani bellissimi e che sinceramente non ci si aspettava, una galleria di quadri che sprigionano poesia rock da ogni pennellata e che Silver interpreta con quel tono strascicato e da sopravvissuto, tra neanche troppo velati accenni a Iggy Pop, David Bowie, Nick Cave e The Clash.
Difficile trovare un brano che non sia uno stupendo manifesto al rock, che a testa alta ha ormai i piedi ben piantati nel nuovo millennio e che non ha assolutamente voglia di trapassare come molti vorrebbero.
Caught Between Worlds, D-Day, Time Stands Still, Mean Town sono alcune canzoni che spiccano, ma potrei nominare tutti gli undici diamanti racchiusi nello scrigno di questo straordinario rocker: va da sé che The Gospel According The Thomas è uno degli album più belli usciti quest’anno nel genere.

Tracklist
1. Caught Between Worlds
2. Public Eye
3. Minor Swing
4. D-Day
5. Coming In, Going Under
6. Time Stands Still
7. Bury The Past
8. On A Night Like This
9. Mean Town
10. Not Invited
11. All Those Crazy Dreams

Line-up
Thomas Silver

THOMAS SILVER . Facebook

Manam – Rebirth Of Consciousness

Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Un concept che segue un viaggio spirituale è quello che ci propongono i Manam, giovane band fondata dal chitarrista e cantante Marco Salvador, al debutto con Rebirth Of Consciousness.

Melodic death metal, power ed ispirazioni progressive compongono questa raccolta di brani, molto vari ma legati dal concept e dall’approccio al genere che rimane assolutamente estremo e melodico.
Suonato e composto dalla band con l’ambizione di ottenere un prodotto originale senza snaturarsi troppo, l’album alterna tracce estreme, alcune delle quali potenziate da classiche ritmiche power, ad altre più orientate verso un mood progressivo e melodico che nobilita in modo importante brani come Atman Denied, che arriva subito dopo quello che era un classico episodio melodic death metal come Supernova.
Le parti in clean sono ottime, non così scontate come in altre realtà, il growl è potente mentre ineccepibile è la parte tecnica, che permette al gruppo di regalare brani di spessore come l’evocativa Revelation.
Total War è una traccia heavy metal tradizionale potenziata dall’attitudine estrema dei Manam, A Raw Awakening parte come una power ballad e si sviluppa in un crescendo estremo notevole, mentre la parola fine a questo lavoro la mette la progressiva, melodica e splendida Sahara.
Rebirth Of Consciousness è un album affascinante, nel quale death, power e progressive metal sono l’impalcatura di un sound personale e studiato nei minimi dettagli, nonché ennesimo gioiello di una scena che si dimostra sempre più uno scrigno colmo di opere di valore.

Tracklist
1. Fallen Leaves
2. Supernova
3. Atman Denied
4. Innerdemon
5. Revelation
6. Total War
7. A Raw Awakening
8. Anam
9. Sahara

Line-up
Marco Savador – Lead Guitar, Vocals
Fabiola Sheena Bellomo – Rhythm Guitar
Marco Montipò – Bass, Backing Vocals
Nicola Nik De Cesero – Drums

MANAM – Facebook

Proliferhate – Demigod Of Perfection

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.

Dopo i Brvmak, fuori con il bellissimo In Nomine Patris, ecco che la scena estrema tricolore ci regala un altro gioiellino di death metal, maturo e progressivo: la seconda opera dei Proliferhate, band torinese attiva dal 2012 ed arrivata sul mercato con il debutto In No Man’s Memory, datato 2015.

Demigod Of Perfection è un bellissimo esempio di prog death di matrice tradizionale, lontano dalle ispirazioni post rock di molti gruppi odierni o da tecnicismi esasperati, quindi rivolto più ad emozionare che a perdersi in ghirigori esecutivi fini a sé stessi.
L’album è dunque un’ottima esibizione di metal estremo, che trova spazio nei tanti e repentini cambi di atmosfera, in un’altalena assolutamente riuscita tra tempeste metalliche di stampo old school e pacati momenti di musica progressiva, rock ma soprattutto jazz.
Questo continuo mutare atmosfere e tensioni musicali porta ad un sound che, pur rifacendosi ai soliti nomi del metal estremo di fine secolo scorso, ha nella personalità la sua massima forza, in virtù di un’espressività che porta la band a confrontarsi con nomi storici senza timori reverenziali.
E facciamoli questi nomi: Opeth e Between the Buried and Me su tutti, anche se, come scritto, il gruppo torinese si districa bene quel tanto che basta per non risultare una band clone, grazie alle tante digressioni jazz/fusion che sull’album abbondano e rendono l’ascolto molto interessante.
La tecnica c’è, si sente ma non è la virtù primaria dei Proliferhate, risultando ben inserita nel sontuoso songwriting di cui si possono vantare brani del calibro di Conjuring the Black Hound, The Frailty of a Tender Soul e Naked Monstrosity.
In conclusione Demigod Of Perfection è un lavoro che conferma i Proliferhate come una delle band da seguire con più attenzione nel suo cammino nel mondo del metal estremo progressivo.

Tracklist
1. Prologue to Damnation
2. Conjuring the Black Hound
3. Auerbach’s Vineyard
4. The Frailty of a Tender Soul
5. Oberon
6. Naked Monstrocity
7. A Shadow from an Ancient Past
8. Euphorion
9. Demigod of Perfection
10. Elegant in Decay

Line-up
Omar Durante – Vocals/Guitar
Andrea Simioni – Bass
Daniele Varlonga – Drums
Lorenzo Moffa – Rhythm Guitar

PROLIFERHATE – Facebook

Scarlet Aura – Hot’N’Heavy

Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.

Tornano sul mercato gli Scarlet Aura, band rumena capitanata dalla singer Aura Danciulescu, bellissima e grintosa vocalist che, lontano dalle sirene power gothic metal sfoggia una voce da vera pantera metallica.

Il debutto Falling Sky aveva ben impressionato presentando un gruppo con la propria personalità e pronto per accompagnare in tour la divina Tarja Turunen.
Il nuovo album conferma il valore del quartetto di Bucarest, rivelandosi più metallico rispetto al suo predecessore, licenziato dalla band in concomitanza con il primo libro scritto dalla Danciulescu, The Book of Scarlet- Ignition.
Questa volta la band picchia da par suo, l’hard rock è a metà strada tra quello tradizionale e quello moderno pendendo più verso il secondo aspetto, e i brani risultano pregni di groove, aggressivi e metallici così come più arrabbiata è la voce della singer.
Melodie che si incastrano tra ritmiche potenti, accenni thrash impastati di groove e solos di stampo classico compongono le dodici nuove tracce di Hot’n’Heavy, un macigno sonoro che perde qualcosa in eleganza ma acquista in potenza ed impatto.
La bella vocalist torna in parte alle melodie del primo album sulle note ottantiane di Glimpse In The Mirror, Silver City e nella ballad Light Be My Guide, mentre il resto dell’album, come già descritto, calca la mano sull’aggressività regalando momenti di hard & heavy duro come l’acciaio in Hail To You, o nel macigno che sono la title track e Let’s Go Fucking Wild.
Ritorno assolutamente degno dei complimenti ricevuti per il primo lavoro, Hot’n’Heavy non deluderà gli amanti del rock duro.

Tracklist
1.The future becomes our past
2.Hail to you
3.In the name of my pain
4.Hot’n’heavy
5.Fallin’ to pieces
6.Glimpse in the mirror
7.You bite me I bite you back
8.Hate is evanescent, violence is forever
9.Silver city
10.Light be my guide
11.Let’s go fuckin’ Wild

Line-up
Aura Danciulescu – Lead Vocals
Mihai Thor Danciulescu – Lead Guitars and Vocals
Rene Nistor – Bass Guitar
Sorin Ristea – Drums

SCARLET AURA – Facebook

Zero – Waves Of Grief, Seas Of Regrets

In un genere nel quale molti pensano che si possa fare la differenza con una vocina pulita e qualche strillo, band come gli Zero portano tanta qualità ed un impatto devastante che disegna sorrisi soddisfatti sulle labbra degli amanti del metal estremo e moderno.

Metallo moderno e progressivo, una potente miscela di metalcore e djent che non lascia indifferenti per songwriting e livello esecutivo dall’alto tasso tecnico.

Tutto questo troverete in Waves of Griefs, Seas of Regrets nuovo lavoro dei nostrani Zero, band veneta nata tre anni fa dalle ceneri degli Zero Fucks Given, band metalcore trasformatasi in una nuova realtà, molto più matura e personale.
Proprio il metalcore, genere abusato in questi anni dalle nuove leve del metallo mondiale, si trasforma nelle mani degli Zero in un mostro musicale che non lascia scampo per tecnica esecutiva, violenza ed impatto, non perdendo un grammo di attitudine melodica in un contesto comunque estremo.
Nessuna concessione al metal adolescenziale da radio rock: in Waves Of Grief, Seas Of Regrets ci si imbatte in una tempesta di note e suoni di spessore, in mareggiate ritmiche che passano da cambi di tempo repentini a potentissimi stacchi core, in un lavoro chitarristico di prim’ordine ed una growl che ricorda il melodic death metal.
Nove brani che non fanno prigionieri prendono il via con l’intro strumentale Overwhelming Waves ed esplodono in tuoni e fulmini metallici già da Goodbye, Brother Sea, il brano più vecchio del lotto e da un paio di anni supportata da un lyric video.
Le tracce che compongono l’album non lasciano trasparire punti deboli e il gruppo di Thiene ne esce alla grande convincendo con la sua padronanza della materia e brani a tratti entusiasmanti (Stronger Than Ever, la title track, Choosing Oblivion).
In un genere nel quale molti pensano che si possa fare la differenza con una vocina pulita e qualche strillo, band come gli Zero portano tanta qualità ed un impatto devastante che disegna sorrisi soddisfatti sulle labbra degli amanti del metal estremo e moderno.

Tracklist
1.Overwhelming Waves
2.Goodbye, Brother Sea
3.Before You Judge
4.Stronger Than Ever
5.The Way Through
6.Waves of Griefs, Seas of Regrets
7.Future Debts
8.Choosing Oblivion
9.Yearning Shores

Line-up
Marco Zavagnin – vocals
Jacopo Bidese – drums
Tommaso Corrà – guitars
Matteo Nardello – bass

ZERO – Facebook

Black Tiger – Black Tiger

Dieci brani che ci spingono a ritroso verso il periodo d’oro del genere, curati in ogni minimo dettaglio e valorizzati da un buon songwriting che alterna buone tracce da arena rock, graffianti esempi di rock duro dalle accentuate melodie e rock melodico d’autore.

L’ottimo stato di salute della scena rock melodica tricolore è confermata anche da questa uscita targata Black Tiger, band ceca volata nel nostro paese per registrare questo omonimo debutto sulla lunga distanza nei Tanzan Music Studio e prodotto da Mario Percudani, chitarrista dei nostrani Hungryheart, uno dei gruppi più importanti per quanto riguarda il genere in Italia.

La band, unica in Repubblica Ceca a rappresentare l’hard rock melodico a certi livelli, risulta attiva dal 2010 e ha pubblicato tre ep, All Over Night (2010), Road To Rock (2013) e l’ultimo Songs From Abyss (2015), prima di tuffarsi nell’avventura che l’ha portata nel nostro paese, dopo aver diviso il palco con House Of Lords, Dan Reed, Pretty Maids, Mike Tramp, Little Caesar, Hungryheart, Michael Schenker in giro per i festival del centro/est Europa.
Una manciata di ospiti importanti come Dan Reed (Dan Reed Network), Mario Percudani e Josh Zighetti (Hungryheart), Giulio Garghentini, Alessandro Moro ed Edoardo Giovanelli, hanno contribuito a rendere Black Tiger una delle uscite più interessanti del periodo per queste sonorità, ancora lontane dal successo degli anni ottanta, ma qualitativamente sopra le righe.
Dieci brani che ci spingono a ritroso verso il periodo d’oro del genere, curati in ogni minimo dettaglio e valorizzati da un buon songwriting che alterna buone tracce da arena rock, graffianti esempi di rock duro dalle accentuate melodie e rock melodico d’autore.
Il gruppo regala dunque quarantacinque minuti di piacevole hard rock a supportare una valanga di melodie, a tratti raffinate ed leganti quanto basta per donare a tracce come l’opener, Don’t Leave Me, la grintosa She’s A Liar, le ariose e graffianti Against The Grain e Reason To Live ed alle due ultra ballad Solitary Man e Silent Cry quell’appeal necessario per far innamorare gli amanti dell’AOR, a cui va l’invito a non perdersi questo buon lavoro targato Black Tiger.

Tracklist
1. DON’T LEAVE ME
2. LIFE IS A GAME
3. SOLITARY MAN
4. SHE’S A LIAR
5. AGAINST THE GRAIN
6. REASON TO LIVE
7. WHO IS TO BLAME
8. SILENT CRY
9. NEVER TOO LATE
10. OPEN YOUR EYES

Line-up
Jan Trbusek – Vocals
Jiri Doelzel – Guitars, Keyboards
Lubos Ferbas – Bass
Petr Konecny – Drums

Guests:
Mario Percudani Guitars, Chorus
Dan Reed – Chorus
Josh Zighetti – Chorus
Giulio Garghentini – Chorus
Alessandro Moro – Sax
Edoardo Giovanelli – Arrangiamento archi

BLACK TIGER – Facebook

Sankta Kruco – Glacialis

Doom atmosferico e black metal , una tono evocativo che declama testi in aramaico e melodie d’altri tempi, sono le peculiarità del sound di Glacialis che , come suggerisce il titolo, vive di fredde atmosfere, tra le nebbie di foreste dove si nascondono antichi culti.

La Ghost Label records licenzia il primo full length di questa misteriosa band chiamata Sankta Kruco, trio di musicisti estremi dei quali non si conosce quasi nulla a parte il fatto che l’album è stato anticipato dal singolo Sulfuran.

Doom atmosferico e black metal , una tono evocativo che declama testi in aramaico e melodie d’altri tempi, sono le peculiarità del sound di Glacialis che , come suggerisce il titolo, vive di fredde atmosfere, tra le nebbie di foreste dove si nascondono antichi culti.
La tensione sale piano, mentre la musica si avvicina a noi, proveniente dal buio profondo: nell’opener Foresta Nigra le ritmiche black si alternano ad evocativi passaggi doom con orchestrazioni che aggiungono sfumature dall’epico incedere creando un sound pieno e potente nelle splendide Ultio Matris Terris e Vlad, The Lord Of Bran.
Glacialis risulta così un album affascinante: la voce ricorda il Ribeiro più evocativo e dark, ma le similitudini finiscono li, con il trio di oscuri sacerdoti a solcare una propria via musicale nel profondo dell’underground metallico estremo, dimostrandosi una realtà dal talento melodico debordante.

Tracklist
1.Foresta Nigra
2.Sulfuran
3.Ultio Matris Tetris
4.Glacialis
5.Elemiah
6.Vlad, the Lord of Bran
7.Mother of the Last Lycan
8.Serpenton/Oblio (Outro)
9.Ultio Matris Terris Orchestral

Line-up
Sal – Guitar and vox
Isaak – Bass
Jb – Drum
URL Facebook

SANKTA KRUCO – Facebook

Satan’s Grind – Degenerazione EP

Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.

I Satan’s Grind sono di fatto la band del musicista pugliese Antonio, chitarrista con un passato nei Blood Soda che nel 2016 decide di lasciare il gruppo per dedicarsi a questo progetto estremo dai taglio grind.

Una serie di ep e split, un paio di cambi al microfono, ed un presente che vede il nuovo cantante Giovanni (proveniente anch’egli dai Blood Soda) alle prese con i nove brani che compongono questi dieci minuti di musica estrema alquanto sperimentale intitolata Degenerazione.
Accompagnata da testi più articolati che in passato, la musica segue il nuovo corso concedendosi non solo alla violenza tout court, ma sorprendendo per una vena elettronica e, se mi passate il termine, progressiva, variando atmosfere e ritmi anche nello spazio di un brano lungo un solo minuto.
La presenza del piano in alcuni brani, l’alternanza tra elettronica e grind efferato fanno di brani come Indulto, Elettroesecuzione, la title track e la conclusiva Reprobo un modo originale per proporre una musica estrema come il grind, orchestrato con sagacia dai Satan’s Grind.
Il duo sta lavorando al full length che dovrebbe uscire il prossimo anno, noi vi terremo informati, nel frattempo non perdetevi questi dieci minuti di musica targata Satan’s Grind.

Tracklist
1.Pozzo Per L’Ade
2.Indulto
3.Bagno Nel Cocito
4.Pietà e Coscienza
5.Elettroesecuzione
6.Palpitazioni
7.Morbo
8.Degenerazione
9.Reprobo

Line-up
Antonio – Drum, Guitar and Bass programming
Giovanni – Lyrics and Vocals

SATAN’S GRIND – Facebook

Accept – Symphonic Terror

Anche gli inossidabili Accept hanno ceduto alle lusinghe del supporto orchestrale: l’esperimento è senz’altro riuscito, con gli strumenti classici a donare quel tocco di raffinata epicità al sound di una delle più importanti metal band nate nel vecchio continente.

Negli anni settanta le grandi band, dal successo dei Deep Purple con Made in Japan in poi, presero l’abitudine di immortalare il loro album di maggior successo o un’intera carriera con l’uscita di un live nella terra del Sol Levante, moda che fecero propria i anche gruppi metal degli anni ottanta.

Di questi tempi è il Wacken Open Air il festival in cui le band fotografano il loro momento magico o l’evento, se possibile con il supporto dell’orchestra.
Tanti ormai sono i gruppi che hanno sfruttato l’immensa distesa di appassionati che, ogni agosto, si danno appuntamento vicino al paesino più famoso della storia del metal, nel 2017 è stata la volta degli storici ed arcigni Accept, dieci anni dopo la reunion.
Symphonic Terror – Live At Wacken 2017 vede il gruppo di Wolf Hoffmann alle prese con i suoi maggiori successi con un concerto che suddiviso in tre parti.
Nella prima la band esegue una manciata di brani tratti da due classici intramontabili come Restless And Wild e Final Journey, accompagnati da altri presi dall’ultimo lavoro intitolato The Rise Of Chaos.
Nella seconda parte il palco è tutto per Wolf Hoffman che, accompagnato dalla sola chitarra e dall’orchestra filarmonica esegue dei brani presi dal suo lavoro solista (Headbangers Symphony), sicuramente affascinante nel contesto di Wacken, ma è con la terza parte che i cuori dei fans si incendiano.
La band torna al completo ed uno dopo l’altro dà in pasto al pubblico quegli inni che hanno fatto la storia della band e del metal, da Princess Of The Dawn a Fast As The Shark, passando per le leggendarie Metal Heart e Balls To The Walls.
E così anche gli inossidabili Accept hanno ceduto alle lusinghe del supporto orchestrale: l’esperimento è senz’altro riuscito, con gli strumenti classici a donare quel tocco di raffinata epicità al sound di una delle più importanti metal band nate nel vecchio continente.
Licenziato dalla Nuclear Blast in vari supporti, Symphonic Terror si rivela quindi la celebrazione di uno dei gruppi più amati nella sempre suggestiva atmosfera del Wacken Open Air.

Tracklist
Part 1: Accept
01. Die By The Sword
02. Restless And Wild
03. Koolaid
04. Pandemic
05. Final Journey

Part 2: Headbanger’s Symphony
06. Night On Bald Mountain
07. Scherzo
08. Romeo And Juliet
09. Pathétique
10. Double Cello Concerto in G Minor
11. Symphony No. 40 in G Minor

Part 3: Accept with Orchestra
12. Princess Of The Dawn
13. Stalingrad
14. Dark Side Of My Heart
15. Breaker
16. Shadow Soldiers
17. Dying Breed
18. Fast As A Shark
19. Metal Heart
20. Teutonic Terror
21. Balls To The Wall

Line-up
Mark Tornillo – Vocals
Wolf Hoffmann – Guitar
Peter Baltes – Bass
Uwe Lulis – Guitar
Christopher Williams – Drums

ACCEPT – Facebook

Homerik – Homerik

La musica prodotta in questo omonimo primo album è completamente fuori dagli schemi prefissati, unendo in tre quarti d’ora musica popolare nord africana e asiatica, death metal, folk, progressive, e thrash. in un spettacolo di fuochi d’artificio a tratti riuscito a tratti, leggermente caotico in altri frangenti.

Il primo album di questa band statunitense risulta uscito lo scorso anno, ma vale la pena fare un passo indietro per presentarla adeguatamente.

Gli Homerik sono un’entità di New York con a capo tre artisti come Ken Candelas (The Mad Composer), Andrew Petriske (The Daemon) e Obed Gonzalez (The Gatherer), ma di fatto a questa mastodontica opera hanno fornito il loro contributo una lunga serie di musicisti, amici ed ospiti del trio.
La musica prodotta in questo omonimo primo album è completamente fuori dagli schemi prefissati, unendo in tre quarti d’ora musica popolare nord africana e asiatica, death metal, folk, progressive, e thrash. in un spettacolo di fuochi d’artificio a tratti riuscito a tratti, leggermente caotico in altri frangenti; si tratta di un’opera ambiziosa e di una difficoltà estrema, questo va sicuramente detto, ma talmente varia nel suo concept musicale che si rischia facilmente di perdere il filo.
Gli Homerik non si fanno problemi di sorta, passano dal metal estremo violentissimo e di matrice death/thrash/hard core, a teatrali movimenti che ricordano il Grand Guignol, sinfonici, dalle atmosfere horror o semplicemente attraversati da una vena folk che, come già scritto, non si ferma ad una sola tradizione popolare ma passa con estrema disinvoltura tra la musica di paesi lontani tra loro come cultura e costume.
Il sound lascia nell’ascoltatore, oltre che la sorpresa, la sensazione che manchi qualcosa per legare il tutto, cercando nella parte visiva il Santo Graal della musica degli Homerik.
Musica da vedere quindi, magari in un teatro, con danzatori e artisti a dare vita a queste note variopinte e loro modo estreme, sicuramente coraggiose ed originali, ma di difficilissima collocazione.

Tracklist
1.Into the Pits of Oblivion
2.Unforgotten Kin
3.An Angel of Darkness
4.Curse of the Black Nile
5.The “Ire” of Green
6.Wendigo
7.The Balance of Power
8.Bread and Circuses
9.A Song of the Night: Part I
10.The Legion

Line-up
Ken Candelas – The Mad Composer
Andrew Petriske – The Daemon
Obed Gonzalez – The Gatherer

HOMERIK – Facebook

Phandemya – Deathatomized

Un sound ben radicato negli anni ottanta, quindi con Kreator, Sodom e Destruction come padrini e tanta sana attitudine, fa di questo debutto un buon biglietto da visita per quello che, nato come un side project dei due chitarristi, con il tempo si è trasformato in qualcosa di più solido.

Dall’underground estremo della capitale arrivano i Phandemya: Deathatomized è il primo mostruoso parto del combo, un ep composto da cinque brani più intro, registrati e prodotti al Defrag CheckRoom da Fabrizio Campomori, un breve ma intenso e letale tuffo nel thrash old school, feroce quanto basta per avere non poche similitudini con il sound creato e reso famoso dalla sacra triade made in Germany.

Un sound ben radicato negli anni ottanta, quindi con Kreator, Sodom e Destruction come padrini e tanta sana attitudine, fa di questo debutto un buon biglietto da visita per quello che, nato come un side project dei due chitarristi, con il tempo si è trasformato in qualcosa di più solido.
Apotheosys è l’intro epico orchestrale, marziale nella sua pur breve durata ma che, con la giusta tensione, prepara all’aggressione sonora che da Juggernaut Assault in poi diventa furiosa e letale.
La voce è un rantolo cartavetrato, la produzione in linea con il sound crea un alone old school che fa di Speed Kills, di Μολων λαβε [Molon Labe] o di Deathatomized esempi di thrash dall’impatto di un carro armato, distruttivo, veloce e senza compromessi.
Accenni alla scuola statunitense si rinvengono in qualche passaggio chitarristico in Juggernaut Assault e nella conclusiva Solar Eye-Hole Pt.1 : Sands Of The Damned e valorizzano ulteriormente il sound proposto dai Phandemya, nuova realtà da seguire nel panorama underground metallico made in Italy.

Tracklist
1.Apotheosys [Intro]
2.Juggernaut Assault
3.Speed Kills
4.Μολων λαβε [Molon Labe]
5.DeathAtomized
6.Solar Eye-Hole Pt.1 : Sands Of The Damned

Line-up
Jacopo – Vocalist and Bass
Matteo – Guitar and Backing Vocals
Francesco – Guitar and Backing Vocals
Alessandro – Drums

PHANDEMYA – Facebook

Sodom – Partisan

Passano gli anni ma i Sodom continuano il massacro a colpi di mitragliate thrash metal che non fanno prigionieri, con due rasoiate che solleticano l’appetito dei fans in procinto di essere sfamati a dovere con l’imminente full length.

Una nuova uscita dei Sodom è sempre motivo per scrivere due righe, non fosse altro per l’importanza che la band tedesca ha avuto nella storia del thrash metal europeo.

I Sodom tornano con una nuova formazione che vede, oltre al mastermind Tom Angelripper, Frank Blackfire e Yorck Segatz alle chitarre e Husky alla batteria, ed un ep di tre brani composto da due inediti (la title track e Conflagration) ed un brano live estratto dalla performance che il gruppo ha tenuto al Rock Hard Festival di quest’anno (Tired & Red).
Passano gli anni ma i Sodom continuano il massacro a colpi di mitragliate thrash metal che non fanno prigionieri, con due rasoiate che solleticano l’appetito dei fans in procinto di essere sfamati a dovere con l’imminente full length.
Il brano dal vivo risulta il classico bombardamento sonoro a cui la band ci ha abituato in tale sede da oltre trent’anni, anche se la proposta in verità appare un po’ striminzita, potendo al contrario essere più esaustiva con qualche minuto di live in più.
Quindi accontentiamoci ed aspettiamo il nuovo lavoro che si preannuncia come l’ennesima tellurica opera da parte di una band ancora capace di esaltare i suoi ammiratori.

Tracklist
1. Partisan
2. Conflagration
3. Tired & Red (Live at the Rock Hard Festival 2018)

Line-up
Tom Angelripper – bass, vocals
Frank Blackfire – guitars
Yorck Segatz – guitars
Husky – drums

SODOM – Facebook

Breath Of Nibiru – Skyline Bazaar

Ultimamente il trend nel genere è quello di lasciare spazio alla forma canzone che in Skyline Bazaar, invece, manca del tutto o quasi a favore della mera tecnica strumentale che, è bene ribadirlo, è di livello assoluto; alla fine, mai come in questo caso, il gradimento o meno dell’opera è demandato all’approccio alla materia musicale da parte dei singoli ascoltatori.

Tecnica enorme, produzione sfavillante ma pochissime emozioni.

Si potrebbe riassumere così la musica contenuta in quest’opera strumentale dei Breath Of Nibiru, duo internazionale composto dal chitarrista italiano Gianluca Ferro (Bouncing The Ocean, Doomsword, Time Machine) e dal batterista statunitense Nick Pierce (Unearth, The Faceless, Culling the Weak), freschi di firma con la nostrana Volcano Records, che promuoverà Skyline Bazaar, già pubblicato in Giappone dalla King Records e ha strappato un’opzione per il prossimo lavoro del duo con uscita prevista entro il 2019.
L’album è un lavoro interamente strumentale , dalle atmosfere sci-fi e pregno di soluzioni progressive moderne e di matrice djent, una lunga cascata di solos e soluzioni ritmiche assolutamente geniali, che sottolineano l’immensa tecnica di questi due maestri del proprio strumento, in un viaggio avanguardistico nel metal progressivo.
Detto ciò, l’ascoltatore non avvezzo alla scena progressive/djent o alle opere dei maghi dello strumento verrà sopraffatto dalla cascata di note dalle difficoltà tecniche mostruose, ma dalla poca sensibilità.
Skyline Bazaar è un album suonato da musicisti eccezionali e rivolto ad altri musicisti o appassionati che si crogiolano in diavolerie tecniche, ma che non lascia trasparire quel poco di feeling necessario per rendere il tutto più fruibile a noi comuni mortali.
Ultimamente il trend nel genere è quello di lasciare spazio alla forma canzone che in Skyline Bazaar, invece, manca del tutto o quasi a favore della mera tecnica strumentale che, è bene ribadirlo, è di livello assoluto; alla fine, mai come in questo caso, il gradimento o meno dell’opera è demandato all’approccio alla materia musicale da parte dei singoli ascoltatori.

Tracklist
1.Road to Sunrise
2.Pandoras Dimension
3.Parallels
4.Additive
5.A Djinns Illusion
6.Unmasking the Jesper
7.Prisms
8.Exiled in Siberia
9.Skyline Bazaar

Line-up
Gianluca Ferro – Guitar
Nick Pierce – Drums

BREATH OF NIBIRU – Facebook

Infinita Symphonia – Liberation

Liberation è uno splendido esempio di musica metal a cavallo tra tradizione e modernità, quello che deve essere il genere nel nuovo millennio, un compendio di potenza e melodia, con arrangiamenti attuali ad arricchire un sound che guarda al passato con i piedi ben saldi nel presente.

La terza opera dei romani Infinita Symphonia, Liberation è l’ennesimo ottimo lavoro in arrivo dalla scena power metal tricolore, un’ora di metal dalle atmosfere classiche valorizzato da ritmiche di trascinante power, ed una vena epico progressiva dall’alto tasso melodico.

Licenziato dalla My Kingdom Music, l’album vede la partecipazione di una manciata di ospiti nazionali ed internazionali come le due “star” Ralph Scheepers e Blaze Bayley, Alessandro Conti, Julia Elenoir, Daniela Gualano, Gaetano Amodio e Alberto De Felice.
Ma il sound di Liberation non si ferma al solito power metal suonato a meraviglia, perché il gruppo raccoglie ispirazioni anche dalla frangia più moderna del metal e lascia che l’anima classica venga contaminata da queste pulsioni, rendendo l’ascolto altamente vario e particolarmente interessante proprio quando queste si fanno più sentire (splendida in questo senso la potentissima Coma).
E’ un susseguirsi di sorprese questo lavoro che passa dal metal classico al power valorizzato da spunti ritmici e refrain prog metal di scuola italiana (Labyrinth, Vision Divine), fino a soluzioni moderne che rasentano il thrash/groove (Be Wise Or Be Fool).
Tecnicamente ineccepibile e con il solito gran lavoro di Simone Mularoni che mette la sua firma su registrazione e masterizzazione (il mix è stato lasciato nelle mani di Claudio e Flavio Zampa), Liberation è uno splendido esempio di musica metal a cavallo tra tradizione e modernità, quello che deve essere il genere nel nuovo millennio, un compendio di potenza e melodia, con arrangiamenti attuali ad arricchire un sound che guarda al passato con i piedi ben saldi nel presente.
Lo spettacolare strumentale che conclude l’album (Q&A), un saliscendi tra le due anime del sound in un’atmosfera altamente progressiva, è la perfetta sintesi del credo musicale degli Infinita Symphonia, con i suoi undici minuti di metallo potente e nobile da non perdere.

Tracklist
1. Hope
2. The Time Has Come
3. Never Forget (feat. Ralf Sheepers)
4. How Do You Feel?
5. Coma
6. A Silent Hero (feat. Blaze Bayley)
7. Be Wise Or Be Fool (feat. Alessandro Conti)
8. A New One
9. Don’t Fall Asleep Again
10. Liberation
11. Q & A

Line-up
Luca Micioni – Lead and backing vocals
Gianmarco Ricasoli – Guitars, bass, backing vocals & orchestral arrangements
Ivan Daniele – Drums

Guests:
Blaze Bayley: vocals on song 6 *
Ralf Sheepers: vocals on song 3
Julia Elenoir and Daniela Gualano: vocals on song 8
Alessandro Conti: vocals on song 7
Gaetano Amodio: bass on song 3 *
Alberto De Felice: bass on song 7

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The Tangent – Proxy

Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.

Superata la soglia dei quindici anni di attività, quello che sembrava nato come un super gruppo di talenti della scena progressiva è diventata una band dalla discografia importante, tra opere inedite e live.

Il tastierista e cantante Andy Tillison ed i suoi The Tangent tornano così sul mercato con un nuovo album a poca distanza dal precedente The Slow Rust Of Forgotten Machinery, lavoro assolutamente di classe ma che appariva leggermente altalenante nel songwriting.
Tillison aggiusta subito il tiro e Proxy torna a regalare un’ora di emozionante progressive rock suonato con l’anima, la classe ed il talento per riunire in un solo sound prog settantiano, jazz, fusion e ritmiche funk rock.
La title track apre l’album con i suoi sedici minuti di musica progressiva assolutamente tradizionale: Gentle Giant, Camel e new prog britannico traspaiono sullo spartito dei The Tangent, che cambiano subito registro con lo strumentale The Melting Andalusian Sky, per unire King Crimson a soluzioni fusion.
Su intuizioni funky è strutturata A Case Of Misplaced Optimism, mentre le conclusive The Adulthood Lie e Supper’s Off si completano di sfumature che tornano su lidi più tradizionali pur rimanendo legate ad atmosfere fusion, marchio di fabbrica dei The Tangent.
Accompagnato come sempre da musicisti di livello assoluto come Theo Travis ai fiati (Soft Machine), da Jonas Reingold (Flower Kings/Steve Hackett band) al basso, Luke Machin (Maschine/Francis Dunnery band) alla chitarra, Steve Roberts (ex Magenta/Godsticks) alla batteria, e Goran Edman (Karmakanic/ex Yngwie Malmsteen band), Tillison ed i suoi The Tangent sono diventati un appuntamento per gli amanti del rock progressivo, chiamati in causa dal musicista nella conclusiva Supper’s Off, in quanto in buona parte rei di un attaccamento maniacale e conservatore alla musica scritta negli anni settanta a scapito del doveroso supporto agli artisti contemporanei: dovendo giudicare in base alla qualità delle della scena progressive rock attuale (e non solo di quella), non possiamo che essere d’accordo con lui.

Tracklist
1. Proxy
2. The Melting Andalusian Skies
3. A Case Of Misplaced Optimism
4. The Adulthood Lie
5. Supper’s Off
6. Excerpt From “Excerpt From “Exo-Oceans”

Line-up
Andy Tillison – Vocals, Lyrics, Keyboards, Composer
Jonas Reingold – Bass Guitar
Theo Travis – Sax & Flute
Luke Machin – Guitar
Steve Roberts – Drums
With special guest: Goran Edman – Vocals

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