Ayahuasca Dark Trip – Upaya

Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.

Upaya è un disco uscito originariamente nel 2017, per essere poi ristampato nel 2018 dall’italiana Argonauta Records.

Gli Ayahuasca Dark Trip sono una bestia che nasce e prolifera in diverse nazioni, come il Perù con Brayan Anthony, negli Usa con Indrayudh Shome dei Queen Elephantine (anche loro su Argonauta Records), Pedro Ivo Araújo dei Necro dal Brasile, la colonia olandese formata da Buddy van Nieuwenhoven dei Cosmic Nod, Floris Moerkamp e Robin van Rooij, e infine la Grecia con Sifis Karadakis. La loro proposta va ben oltre la musica, essendo un rituale vero e proprio, dove la sonorizzazione è solo uno degli aspetti coinvolti. Molti gli stili che qui trovano un rifugio sicuro, a partire da suoni provenienti da diverse zone del mondo e dei loro strumenti, dalla musica per meditazione per poi arrivare ad una psichedelia poco convenzionale, come dovrebbe essere questo genere. Decisamente difficile riuscire a descrivere questa musica usando solo le parole invece che le note: ascoltando Upaya si viaggia moltissimo, partendo dai nostri esordi primordiali, quando la musica era pienamente catartica e non mero intrattenimento, e serviva quale portale per accedere a dimensioni sconosciute e precluse a chi non voleva vedere oltre. Gli Ayahausca Dark Trip sono proprio come l’infuso da cui il gruppo prende il nome, che è un potente sostanza psicotropa e anche un purgante, perché il corpo umano fa entrare ed uscire molte cose: questo disco non può essere infatti ascoltato come si fa di solito con le musiche alle quali siamo abituati, ma deve essere potenziato usando sostanze o semplicemente mettendosi le cuffie ed estraniandosi. Il gruppo entra direttamente nel limitatissimo novero di gruppi che fa realmente musica rituale come i Nibiru (tanto per rimanere in casa Argonauta Records), pur se su piani differenti. Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.
Un rituale davvero riuscito, dedicato alla memoria di Robin Van Rooij, il 27enne batterista del gruppo, scomparso poco prima dell’uscita del disco.

Tracklist
1.Rhythm of the Caapi
2.Water from Above, Water from Below
3.The Vine
4.Eternal Return
5.Drowning in the Godhead
6.Gathering Psychotria

Line-up
Indrayudh Shome
Floris Moerkamp
Buddy Van Nieuwenhoven
Sifis Karadakis
Thijs Meindertsma
Pedro Ivo Araujo
Brayan Anthony
Robin Van Rooij

AYAHUASCA DARK TRIP – Facebook

Somali Yacht Club – The Sun + 1

The Sun + 1 è composto da post rock, stoner, psichedelia, post metal e addirittura da momenti dub, insomma quasi si fosse dalle parti degli Ozric Tentacles visti da un’ariosa prospettiva post rock.

Ristampa in cd, cassetta e digitale per il debutto del trio ucraino Somali Yacht Club, originariamente uscito nel 2014, e ora riedito dalla loro nuova etichetta Robustfellow Prods., per la quale quest’anno è uscita anche la loro seconda fatica The Sea.

La ristampa ha anche una canzone in più rispetto al disco originario, Sun’s Eyes, che doveva originariamente entrare a far parte del disco registrato in un’unica sessione. Il gruppo di Lviv, l’antica Leopoli, è uno degli ensemble maggiormente interessanti usciti negli ultimi tempi, e ascoltando questa ristampa il piacere inonderà i vostri canali auditivi. I tre ucraini fondono insieme vari registri musicali per raggiungere un risultato che è allo stesso tempo notevole e assai piacevole. The Sun + 1 è composto da post rock, stoner, psichedelia, post metal e addirittura da momenti dub, insomma quasi si fosse dalle parti degli Ozric Tentacles visti da un’ariosa prospettiva post rock. Infatti la struttura sonora dei Somali Yacht Club è simile al suddetto genere, nel senso che le canzono si dilatano naturalmente, viaggiando come una nave che pesca molto, e che viaggia però leggera e sinuosa. L’impianto sonoro è minimale, ma non lo è altrettanto il risultato, perché grazie al suo talento e al grande affiatamento il trio regala un disco dolce e sognante, che fa andare lontano e che parla al cuore con diversi linguaggi, volendo fare del bene a chi lo ascolta.
Tutto scorre perfettamente, e potrebbe durare lo spazio di un bellissimo tramonto, basta chiudere gli occhi e lasciarsi prendere.

Tracklist
1. Loom
2. Sightwaster
3. Up In The Sky
4. Signals
5. Sun
6. Sun’s Eyes (bonus track)

Line-up
Mez – guitar, vocals
Artur – bass
Lesyk – drums

SOMALI YACHT CLUB – Facebook

Mudhoney – Digital Garbage

La nuova fatica dei Mudhoney non fa tornare ai tempi del grunge, ma rende molto chiaro e vibrante che si può ancora fare musica di qualità ed altamente corrosiva.

Tornano i Mudhoney, uno dei gruppi principali dell’indie americano dei novanta ed anche dopo, e lo fanno con un disco clamoroso, che ascende nell’Olimpo della loro discografia.

Era dal 2013, anno di Vanishing Point, che i Mudhoney non facevano uscire nulla di nuovo, ed eccoli tornare, ovviamente su Sub Pop. Il disco suona come e meglio dei loro lavori migliori, è un concentrato di puro suono rock bastardo, come se il passare degli anni avesse affinato la già loro grande capacità compositiva. Inoltre questi tempi veloci ed oscuri hanno affinato la loro cattiveria, ed il disco è un po’ un punto sulla situazione dal quale non se ne esce molto bene. Con Digital Garbage i Mudhoney confermano e portano alla sublimazione ciò che hanno sempre fatto, ovvero andare oltre gli steccati nei quali si è provato a chiuderli. Nonostante siano stati uno dei gruppi principali della cosiddetta ondata grunge, essi erano già oltre all’epoca, perché il loro è un rock totalmente americano, figlio delle distorsioni e costruito su una capacità compositiva superiore a quella delle band a loro affini. Il lavoro della chitarra, della voce e della sezione ritmica rendono queste canzoni una diversa dall’altra: ci sono infiniti cambi di tonalità, di ritmo e di situazione che tengono incollato l’ascoltatore a Digital Garbage, il miglior rimedio a tanta insipidità attuale, ovvero quella musica di maniera magari bella e ben prodotta, ma che non ha nulla al suo interno. Qui si balla e si sbatte la testa contro il muro ridendo, c’è cattiveria e sostanza, una certa urgenza punk che i Mudhoney hanno sempre avuto, da osservatori distaccati e tristemente divertiti da ciò che vedono. La nuova fatica dei Mudhoney non fa tornare ai tempi del grunge, ma rende molto chiaro e vibrante che si può ancora fare musica di qualità ed altamente corrosiva, perché grida fotti il tuo Gesù in una canzone clamorosa come 21 St Century Pharisees: è un qualcosa che sveglia come un pugno in faccia, e i pugni in faccia più belli sul mercato li tirano i Mudhoney. Un lavoro che durerà a lungo perché ha mille risvolti positivi, poi se dovrete andare oltre per sentire le ultime cazzate pseudo indie fate pure.

Tracklist
1.Nerve Attack
2.Paranoid Core
3.Please Mr. Gunman
4.Kill Yourself Live
5.Night and Fog
6.21st Century Pharisees
7.Hey Neanderfuck
8.Prosperity Gospel
9.Messiah’s Lament
10.Next Mass Extinction
11.Oh Yeah

Line-up
Mark Arm
Steve Turner
Dan Peters
Guy Maddison

MUDHONEY – Facebook

Fvzz Popvli – Magna Fvzz

I Fvzz Popvli possiedono molte ottime idee sonore che permettono di non annoiare mai l’ascoltatore, introducendolo ad una lascivia sonora, e non solo, sconosciuta ai più in questa epoca distopica e senza godimento.

Tornano i romani Fvzz Popvli, il power trio romano che attraverso distorsioni suonate ad ampio volume tanta meraviglia hanno destato in Europa e non solo.

Nati nella capitale nel 2016, i nostri esordiscono l’anno seguente con l’ep dal titolo omonimo e grazie ad esso cominciano a suonare in giro. La loro miscela sonora è composta in primis dal fuzz rock di matrice fortemente psichedelica, ma c’è molto di più. Il gruppo riesce a spaziare in generi diversi, ma soprattutto ha un suo stile molto personale, e anche se il fuzz psych è la componente principale si può trovare nella loro musica un qualcosa di oscuro e di tenebroso, che ne arricchisce ulteriormente il suono e l’immaginario. Nello stesso 2017 entrano a far parte del prestigioso roster della Heavy Psych Sounds e pubblicano il loro debutto su lunga distanza, Fvzz Dei, che è accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico, portandoli ad una ancora più intensa attività dal vivo, dato che il loro habitat naturale è il palco.
Entrare nel loro suono distorto e acido è come entrare in un vortice psichedelico che distorce la realtà e ci fa vivere sensazioni chimiche, ed è proprio questo che vogliamo. La musica proposta dal trio romano è assai credibile, ed è un’evoluzione di un suono che nasce tanti anni fa, ma che nella musica sotterranea non è mai morto e genera ancora oggi molte piacevoli deviazioni. La regina è la chitarra che fa girare intorno a sé gli altri strumenti, ma è solo dall’unione del tutto che si ricava la perfetta fusione sonora, e anche la fusione cerebrale. I Fvzz Popvli possiedono molte ottime idee sonore che permettono di non annoiare mai l’ascoltatore, introducendolo ad una lascivia sonora, e non solo, sconosciuta ai più in questa epoca distopica e senza godimento. Pienezza ed ampia soddisfazione di molti palati sonori è ciò che provoca Magna Fvzz, e la fuzz qui è davvero grande.

Tracklist
1. Let It Die…
2. Napoleon
3. The Deal
4. Get Me
5. Rvmpeltum
6. Cherry Bowl
7. Magnafvzz

FVZZ POPVLI – Facebook

Kaelan Mikla – Mánadans

Una realtà di grande valore e pressoché unica, che va oltre il discorso dei gruppi femminili in quota punk, per un disco che è una gemma preziosa e rabbiosa.

Se Robert Smith dei The Cure ti sceglie per farti suonate al The Meltdown Festival vuol dire che sei molto brava e che possiedi la chiave per leggere nelle tenebre.

Il gruppo islandese, formato da tre ragazze e chiamato Kaelan Mikla, è tutto ciò e molto di più, ed è una delle cose migliori mai arrivate dalla piccola isola sperduta nel nord, che è una delle più floride terre musicali. Questa formidabile entità tutta al femminile unisce in sé la furia del post punk, tastiere devastanti, il death rock ed una costruzione della forma canzone assolutamente originale, per un risultato disturbante che penetra nella nostra psiche fino al livello più profondo per non lasciarci più. Tutto comincia quando le tre ragazze vincono un concorso letterario indetto presso la Biblioteca Pubblica di Reykjavik, e vengono prese sotto l’ala di Alison MacNeil, la parte canadese del gruppo islandese Kimono, che produce il primo disco, il presente Mánadans . L’esordio le porta al Roadburn, dove fanno una performance che viene acclamata da molti, e poi a uno dei più importanti festival islandesi l’Iceland Airwaves. Questo disco è un qualcosa di originale e di importante. Il cantato in islandese è di una violenza incredibile. L’impianto è fortemente new wave post punk, ma lo sviluppo segue strade sconosciute, la musica è minimale ma di una ricchezza incredibile. Le tracce sembrano quadri impressionisti dipinti suonando da queste tre furie islandesi. Le Kaelan Mikla non sono scevre da una certa teatralità insita nel loro essere e che apre ulteriori porte per sviluppi futuri. L’esperienza di ascoltare questo gruppo è davvero interessante, qui si va oltre i generi per arrivare ad un creazione molto particolare e fuori dai canoni ordinari. Una realtà di grande valore e pressoché unica, che va oltre il discorso dei gruppi femminili in quota punk, per un disco che è una gemma preziosa e rabbiosa.

Tracklist
1.Lítil Dýr
2.Næturdætur
3.Mánadans
4.Umskiptingur
5.Yndisdráttur
6.Ekkert nema ég
7.Ástarljóð
8.Ætli það sé óhollt að láta sig dreyma
9.Reykjavík til staðar
10.Kalt (Demo)

Line-up
Sólveig Matthildur
Margrét Rósa
Laufey Soffía

KAELAN MIKLA – Facebook

Barren Womb – Old Money / New Lows

I Barren Womb ci sanno decisamente fare, con una musica corrosiva, altamente fantasiosa e con un’urgenza hardcore, come un’onda che ti travolge e che ti lascia diverso.

Coppie musicali, specialmente nel panorama alternativo se ne sono viste molte, arrivando ad essere quasi una moda, con esiti a volte buoni a volte meno.

Il duo in questione si chiama Barren Womb, è per metà finlandese e per metà norvegese e fa un tipo di musica che mescola noise, folk americano, blues distorto ed acido e tante altre cose. L’immaginario è fortemente americano, nel senso che si parte dalla lezione dei The White Stripes e simili per quanto riguarda la musica, mentre per quanto riguarda il visivo il tutto è davvero made in USA, anche se fra una certa Scandinavia e l’ovest a stelle e strisce non c’è molta differenza. Dentro al loro suono si può trovare anche la lezione rimasticata e sputata fuori di alcuni hardcore di un po’ di anni fa, soprattutto per l’andamento delle canzoni mai lineare, con tanti bellissimi spigoli che ti esplodono in faccia. I Barren Womb ci sanno decisamente fare, con una musica corrosiva, altamente fantasiosa e con un’urgenza hardcore, come un’onda che ti travolge e che ti lascia diverso. La ricerca musicale del duo è molto accurata, facendo compiere un viaggio fatto da musica mai ovvia con un suono sempre in movimento, come un magma ribollente ed interessante, in cui non si può fare a meno di guardare dentro. Come detto sopra molti sono i gruppi simili ai Barren Womb, ma la varietà del duo finnico/norvegese è peculiare. Chitarre distorte, canto fatto con le budella, quelle vere, e tanta abrasività per andare avanti in un Far West quotidiano che ormai ha superato la distopia.

Tracklist
1.Crook Look
2.Mystery Meat
3.Theory of Anything
4.Slumlord Millionaire
5.Cave Dweller
6.Drive-Thru Liquor Store
7.Mad 187 Skills
8.Russian Handkerchie

Line-up
Timo Silvola – Vocals, Drums
Tony Gonzalez – Vocals, Guitars

BARREN WOMB – Facebook

Mantar – The Modern Art Of Setting Ablaze

La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge.

Il duo tedesco di Brema torna con un disco infuocato ed abrasivo dopo un breve hiatus, dovuto alla partenza del chitarrista e cantante Hanno per l’assolta Florida.

L’amicizia fra i due è più che ventennale e ciò si riverbera sulla loro musica, un misto assolutamente originale di punk, black metal, doom e sludge, il tutto molto potente e corrosivo. I Mantar nel loro curriculum hanno tre dischi ed un ep, con un suono in costante evoluzione. Quando li si ascolta è difficile credere che siano solo in due, perché la loro potenza è grande e possiedono un timbro molto personale e particolare. Il disco ha un groove continuo, un uncino che ti aggancia e ti porta con sé senza mai lasciarti andare. Tutta la musica dei Mantar è costruita sulla composizione del riff di chitarra, l’architrave portante che regge la costruzione. La voce è un altro elemento molto importante perché essa stessa uno strumento che si inserisce nel flusso musicale. The Modern Art Of Setting Ablaze è un disco che parla del fuoco ed è composto dal fuoco stesso, è una materia infuocata eppure molto affascinate da sentire ad un volume molto alto. La musica prodotta da un duo non è di facile composizione ed esecuzione perché se mancano il talento e le idee le soluzioni si restringono ancora di più, ma non è il caso dei Mantar che fanno canzoni dalle sempre ottime soluzioni sonore ballando fra diversi generi, partendo dal punk e dal suo derivato il black, senza dimenticare la loro forte ossatura doom e sludge. L’immaginario di potenza e decadenza che deriva dalle loro canzoni è una suggestione molto forte ed è una componente importante della poetica del duo di Brema. Si rimane fortemente attratti da questa musica che infiamma e che non lascia indifferenti, anche grazie alla grande sicurezza esibita dai due tedeschi.

Tracklist
1. The Knowing
2. Age Of The Absurd
3. Seek + Forget
4. Taurus
5. Midgard Serpent (Seasons Of Failure)
6. Dynasty Of Nails
7. Eternal Return
8. Obey The Obscene
9. Anti Eternia
10. The Formation Of Night
11. Teeth Of The Sea
12. The Funeral

Line-up
Hanno – Vocals, Guitars
Erinc – Drums, Vocals

MANTAR – Facebook

Moto Toscana – Moto Toscana

Moto Toscana è un progetto che parte da qualcosa di conosciuto per andare lontano, generando diverse sensazioni ed invitando ad ascolti ripetuti.

Album di debutto per il trio tedesco Moto Toscana, che partendo dai canoni dello stoner rock riescono a creare un unicum che comprende un basso molto funk, una chitarra fuzz, una batteria che segue il tutto ed una voce che cambia spesso modulo.

Il debito nei confronti dei Kyuss e di quella genia è molto importante, ma è solo il punto di partenza per sviluppare un discorso musicale affatto ovvio, dove il desert rock devia in molte direzioni, ed anche il pop ed il grunge hanno la loro importanza. Il timbro è lascivo e sensuale, l’andamento è sinuoso e minimale. Il gruppo ha registrato il tutto in una sola sessione e si sente l’approccio molto analogico, fatto di passione, ma anche di competenza ed originalità. Il basso è forse l’elemento singolo più innovativo, dato che segue partiture tutte sue, dalla forte impronta funk ed addirittura vicino ad un certo tipo di math rock. La musica dei Moto Toscana è molto introspettiva, minimale ma potente, con un qualcosa che sale ascolto dopo ascolto, e il disco è adatto a molti usi, anche solo per lasciarlo in sottofondo mentre ci si bevono due birre con gli amici, poiché può essere molte cose. Moto Toscana è un progetto che parte da qualcosa di conosciuto per andare lontano, generando diverse sensazioni ed invitando ad ascolti ripetuti. Il contenuto di questo lavoro si discosta enormemente dalla media dei lavori stoner rock attuali, ha un’anima che si potrebbe definire new wave per come riformula l’approccio al genere. Da sentire e risentire.

Tracklist
1. Sickandtwisted
2. Sweet Demise
3. Craving
4. Dolorous
5. Never Over
6. All Of It
7. Ride
8. Exclusive
9. Among The Dead

Line-up
Andy – Vocals
Michi – Bass
Chrisch – Drums

MOTO TOSCANA – Facebook

Backwoods Payback – Future Slam

Due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

I Backwoods Payback sono due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

La formula scelta dal gruppo della Pennsylvania è un qualcosa che si potrebbe avvicinare al modus operandi dei Kylesa, ma in realtà è assai più complesso. L’amore per il suono di Seattle (anche qui una semplificazione agghiacciante dire che il grunge viene principalmente da lì), è dichiarato apertamente con la copertina di Softer Than Love, un singolo del 2017, che è il contrario di Louder Than Love, uno dei migliori episodi del gruppo del mai troppo compianto Chris Cornell. I ragazzi sono in giro da un bel po’ e sono uno dei gruppi più interessanti dell’universo stoner e più in generale della musica pesante, perché la loro proposta è molto originale. Innanzitutto mettono al centro la melodia con una fine e mai sdolcinata ricerca di essa. Potrebbe sembrare una bestialità ma questo disco ha un suono che sembra uno shoegaze stoner a stelle e strisce, ma ovviamente ascoltarlo è la maniera migliore per capire. Ogni canzone è diversa dalla precedente e dalla successiva, e c’è sempre qualcosa di diverso dentro ognuna di esse, come se ogni gradazione di sentimento avesse un suo colore, una sua sfumatura sonora. Ci sono molti echi britannici anche se l’impianto è fortemente a stelle e strisce, la composizione è assai differente dalla moltitudine dei gruppi stoner. Anche la voce è usata in un modo che non è canonico, ed insieme agli strumenti concorre a raggiungere un suono che è un sentire esso stesso. Si può venire facilmente catturati dalla bellezza e dalla sensualità di questo Future Slum, che è un disco che ha più livelli di ascolto e di comprensione, ed è tutto da gustare. I Backwoods Payback hanno uno dei muri sonori più belli, e andare a sbatterci contro è bellissimo.

Tracklist
1.Pirate Smile
2.Lines
3.Whatever
4.It Ain’t Right
5.Threes
6.Cinderella
7.Generals
8.Big Enough
9.Alone
10.Lucky

Line-up
Jessica Baker – Bass
Mike Cummings – Guitars, Vocals
Erik Larson – Drums

BACKWOODS PAYBACK – Facebook

Autoblastindog – Pornophorno

PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz, che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla.

Questo disco ha la migliore intro del mondo, ovvero Cicciolina aka Ilona Staller che illustra il suo programma elettorale che dice, tra l’altro,”di lottare con tutte le nostre forze contro la criminalità organizzata, ma facciamolo con tutto il nostro amore”.

E dopo questo inizio geniale c’è un disco molto bello e che come fa spessissimo il grindcore/hardcore centra benissimo il punto, meglio di tanti trattati e super cazzole varie che scrive il vostro guru di fiducia. Gli Autoblastindog sono di Grosseto e dintorni e hanno capito benissimo come va il Belpaese, dove le macchine volano giù dai viadotti e si parla di progresso, e Dio ci guarda sempre bonario per un buon 5 x mille o quel che cazzo è. Questo è il loro secondo disco, il primo si chiama Batracomiomachia e lo potete trovare in download libero sul loro bandcamp, anche se è doveroso donare dei fondi a questi ragazzi assetati. A parte le facezie, questo disco è uno scrigno che contiene tanti tesori, ogni canzone a partire dai titoli geniali ha in sé qualcosa di fantastico ed entusiasmante, perché questa realtà quotidiana è talmente sconfortante che quando te la sbattono in faccia alla maniera del gruppo toscano ti viene fin da ridere, mentre tutto intorno caga sangue.
PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz (si dice così quando si va a cazzo però si sa dove si vuole andare, o almeno lo si sapeva), che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla. L’album non è solo pars distruens ma anche è anche dare testate contro il muro a ritmo di chitarre distorte e batterie impetuose, che è poi un gran bel destino. Uno dei migliori dischi del cosiddetto underground italiano, in cui ogni secondo è da ascoltare nell’attesa di diventare anziani e cacarsi addosso in piena libertà.

Tracklist
1.La morte di Eraclito
2.Italia’s got Amen
3.Stairway to ENEL
4.M’asciuga
5….e il Sommo decadde
6.Luddismo mon amour
7.Selfie=Sega
8.L’attore Porno
9.Gli oscuri segreti di Eternia
10.Tattakkialkazzo
11.#soppartito
12.Diffusa illegalità e confusione religiosa
13.Vulvevolvendo
14.S.C.C. (Sodomia CULturale cOllettiva)

Line-up
Guerra – Berci, fiatella ed effetti ganzi
Andrea – Chitarre sbagliate
Isacco – Bassi a manetta
Ale – Batterismi ingannevoli

AUTOBLASTINGDOG – Facebook

The National Orchestra of the United Kingdom of Goats – Huntress

Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Quartetto assolutamente fuori dal comune proveniente dal Sud Tirolo, che propone una musica che ha mille riferimenti e davvero tanto da raccontate.

Nei The National Orchestra of the United Kingdom of Goats non si può scindere l’aspetto musicale da quello visivo ed artistico, questo è il loro terzo album su lunga distanza e continua la narrazione iniziata con il primo ep The Chronicles of Sillyphus e proseguita con gli altri episodi discografici, di cui questo è il terzo lp. Protagonista di questa saga è la misteriosa Kolepta, della quale vediamo dipanarsi le gesta accompagnate dalla musica del gruppo. La proposta musicale viene descritta come symphonic grind pop extravaganza, e potrebbe andare benissimo, ma c’è di più. La costruzione della canzone è sicuramente progressiva, con una forte ossatura pop ed una grande attenzione quasi gotica alla drammatizzazione, che è una delle cose più rimarchevoli di questo gruppo. I nostri suonano dal vivo con costumi e pitture facciali, ognuno ha il suo ruolo nella grande storia che stanno narrando e la musica lascia il segno. Tutto scorre bene, anche se ci sono alcuni passaggi ancora acerbi che, contrastando con altri momenti davvero notevoli del disco, indicano che c’è ancora qualcosa da migliorare. Però questi piccoli difetti non si notano quasi nel quadro d’insieme che è molto originale ed unico, almeno in Italia, dove l’art rock ha avuto grandi episodi ma non una gloriosa storia. Nel libretto del disco c’è anche un fumetto che spiega il concept, disegnato molto bene da Digitkame e scritto da Thomas Torggler; inoltre sul sito della The National Orchestra of the United Kingdom of Goats compaiono ulteriori passi del racconto. Huntress è un disco piacevolmente fuori dal comune, che regala piacere nelle mattinate terse e fredde in cui il mondo appare sotto una luce diversa e forse è davvero qualcosa di diverso da quello che siamo abituati a vivere e vedere. Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Tracklist
1.Beast
2.Scent
3.Thrill
4.Attunement
5.Kill

Line-up
The Admiral
The Coachman
The Seer
The Insane

THE NATIONAL ORCHESTRA OF THE UNITED KINGDOM OF GOATS – Facebook

Hexenklad – Spirit Of Stone

Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata.

Dal 2014 i canadesi Hexenklad macinano folk metal con forti influenze black, per un suono molto pesante ed interessante, con ottime parti melodiche.

Il Canada, con le sue immense foreste e gli ancora più grandi spazi, è la culla naturale per un gruppo folk metal, ed infatti il chitarrista Steve Grund (SIG:AR:TYR, ex-Battlesoul), fondatore del gruppo insieme al batterista Sterling Dale, ha preso la drastica decisione di vivere nelle foreste di Bancroft nell’Ontario. Componendo in quello spazio libero dal materialismo e dalla vita da città, la musica è sgorgata fuori ed è andata a comporre il debutto Spirit Of Stone. Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata. I momenti migliori del disco emergono quando le melodie si aprono e il gruppo canadese regala il meglio con canzoni che coniugano musica pesante e tastiere molto ben congegnate. La voce di Timothy Voldemars Johnston è adatta al progetto musicale del gruppo e contiene in sé un’innata epicità. I tempi del disco sono tutti giusti e non c’è nulla di forzato o di fuori contesto, ma anzi si produce un folk black epic metal di grande presa e sostanza, in una formula molto personale ed originale, dove sono presenti riferimenti a gruppi come i tedeschi Falkenbach, andando poi oltre. In definitiva, il gruppo dell’Ontario è una delle migliori cose uscite ultimamente nel panorama folk metal, anche se il loro debutto è solo del 2017, e recentemente hanno reso noto che stanno lavorando al secondo episodio di una carriera che ha tutti gli elementi per essere ottima.

Tracklist
1.In This Life or the Next
2.To Whom Veer Sinistral
3.At the Ends of Existence
4.Returned
5.At Dusk
6.In Waking Tymes
7.Path to Ruin
8.An Offering

Line-up
Michael Grund – Guitars
John Chalmers – Guitars/Engineer
Timothy Voldemars Johnston – Vocals
Clare B – Keyboards
Jon Kal – Bass
Andrew C – Drums

HEXENKLAD – Facebook

Shredder 1984 – Nemesis

Nemesis è il terzo disco per questo progetto elettronico di Steve Shredder sotto il moniker Shredder 1984 ed è un’opera di elettronica composta e suonata sotto la diabolica possessione del metal.

Debutto su queste pagine per la splendida etichetta di synthwave e retrowave marsigliese Lazerdiscs.

Nemesis è il terzo disco per questo progetto elettronico di Steve Shredder sotto il moniker Shredder 1984, ed è un’opera di elettronica composta e suonata sotto la diabolica possessione del metal. I suoni sono quelli della retrowave fatta con i synth, ma le similitudini con l’attuale scena synthwave si fermano qui, perché il substrato ed il risultato sono totalmente differenti. Il tutto potrebbe ricordare una colonna sonora dei migliori giochi per consolle e computer dei primi anni novanta, ed infatti l’immaginario è quello ma maggiormente futuristico. Nemesis ci cala in un’atmosfera tetra, come una caverna fatta con il silicio dei microchip di un essere in parte demone ed in parte computer, che governa le vite degli uomini superstiti in un lontano futuro. Alcuni giornalisti musicali hanno coniato l’indubbiamente efficace termine darksynth per descrivere la musica del francese, ma c’è di più. Le tracce hanno un svolgimento immaginifico e magniloquente, anche grazie ad una produzione davvero adeguata e fedele che sottolineano la bravura di Shredder nel trovare sempre la giusta riuscita sonora alla trama fantascientifica. A differenza di alcuni dischi di synthwave, Nemesis garantisce molti ascolti perché contiene moltissime cose dentro di sé, disparati elementi come un tocco del dubstep più vicino al metal, sfuriate sytnhwave che sarebbero state benissimo all’interno di Akira, tastiere che si espandono verso il cielo e momenti di ortodossia synthwave. Un lavoro eccezionale e altamente coinvolgente, che interesserà sia gli amanti di questo suono che metallari con la voglia di cercare altri lidi dove poter gustare il metallico verbo in diverse declinazioni.

Tracklist
1.Ghost In The Machine
2.DoomWave
3.Darkness Is Coming
4.Witch-Hunt
5.Alaska
6.Gargantua
7.RazorBlade
8.CyberKult

SHREDDER 1984 – Facebook

The Secret – Lux Tenebris

Una band unica che usa tantissimi riferimenti culturali diversi fra loro e porta la musica pesante su un altro livello, ben sopra le nostre teste e ben al di sotto dei nostri piedi.

Torna dopo sei anni di silenzio discografico uno dei migliori gruppi che abbiamo in Italia, i triestini The Secret, sempre su Southern Lord.

Il disco uscirà per la Subscrition Serie per il ventennale di quella che è una delle etichette più importanti nel panorama della musica pesante. I The Secret sono stati tre anni senza parlare fra di loro e solo nel 2015 sono ricominciate le operazioni per dare alla luce materiale nuovo: Lux Tenebris è il frutto di tutto ciò. Non si riparte dall’ultimo disco, ovvero Agnus Dei, siamo già oltre, il suono è ulteriormente migliorato, continuando quella perenne mutazione che solo i grandi gruppi compiono incessantemente nella loro parabola musicale. L’impatto è devastante, come e più di prima, un concentrato di furia hardcore, black metal e un qualcosa che solo loro hanno. I The Secret ti annientano, ti fanno chiaramente capire che siamo delle nullità se ci consideriamo essere umani, e dobbiamo osservare principalmente ciò che sta intorno al nostro traguardo finale: la morte. Il disco parla del sepolcro, della luce delle tenebre, dell’inizio del nostro vero viaggio, e del caos che è oltre la nostra percezione fisica. Lux Tenebris ti ipnotizza e ti porta dentro un vortice che non ti lascia scappare, come se la sapienza ancestrale e moderna dell’uomo sulla morte fosse concentrata in tre splendide creazioni che chiamare canzoni è davvero riduttivo. Il combo friulano è qualcosa di assolutamente unico ed irripetibile, un archetipo che fa musica moderna, ma in realtà è molto antica e viene dal nostro stesso io. Il sapiente uso di saper bilanciare sfuriate in stile black scandinavo per poi aprire la melodia e far scoppiare visioni nella testa dell’ascoltatore, ecco forse questo è il migliore fra i tanti pregi di questo gruppo, come si può ascoltare chiaramente nella finale Cupio Dissolvi che è un compendio di cosa siano i The Secret. Una band unica che usa tantissimi riferimenti culturali diversi fra loro e porta la musica pesante su un altro livello, ben sopra le nostre teste e ben al di sotto dei nostri piedi. Un’opera che si pone fra le migliori sul lunghissimo discorso umano intorno alla morte, che non è una fine, ma nemmeno un inizio.

Tracklist
1. Vertigo
2. The Sorrowful Void
3. Cupio Dissolvi

Line-up
Michael Bertoldini – Guitar
Marco Coslovich – Vocals
Lorenzo Gulminelli – Bass Guitar
Tommaso Corte – Drums

THE SECRET – Facebook

Annisokay – Arms

Gli Annisokay propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme.

Se volete avere uno sguardo esaustivo sul metal moderno, o se volete ascoltare il meglio del metalcore insieme ad una robusta dose di elettronica o di post hardcore, Arms è il disco che fa per voi e che vi eviterà tante delusioni.

I tedeschi Annisokay sono una delle band migliori in circolazione in campo modern metal e metalcore, e hanno molto di più degli stilemi di questi due generi. Il loro nome nasce dal testo di una canzone di Michael Jackson, uno dei loro idoli che hanno anche omaggiato in passato con una cover, e più precisamente da Smooth Criminal dove si parla di una ragazza che si chiama Annie e che viene attaccata nel suo appartamento, e non se ne sa più nulla, quindi Annie is Okay ? Da qui nel 2007 da Halle an der Saale, ha inizio la storia di uno dei gruppi europei che stanno avendo maggior successo, grazie ad una molto intensa attività live, basti vedere il prossimo tour che li porterà via per molto tempo e che attraverserà in maniera massiva soprattutto gli Stati Uniti e la natia Germania, passando anche per il Giappone. I tedeschi propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme. Uno dei tratti distintivi del gruppo sono le tastiere che sono presenti in maniera adeguata, andando ad arricchire il suono che è molto florido. Tutto il suono e quindi il disco funzionano molto bene, e oltre ad una ricerca della melodia vi è anche un ottimo bilanciamento con le parti più pesanti, ma soprattutto ci sono idee chiare. Gli Annisokay hanno la loro impronta immediatamente riconoscibile e non vanno dietro a quello che può piacere, anche se sono ottimi per il mercato statunitense. Il lavoro si fa ascoltare molto bene, ha tante ottime idee e riesce ad essere coinvolgente e caldo, con un fortissimo immaginario anni ottanta. Un ottimo disco di metal moderno, e un altro notevole gruppo nel solidissimo palinsesto della Arising Empire, sussidiaria della Nuclear Blast per il campo modern metal.

Tracklist
1.Coma Blue
2.Unaware
3.Good Stories
4.Fully Automatic
5.Sea of Trees
6.Innocence Was Here
7.Humanophobia
8.End of the World
9.Escalators
10.Private Paradise (feat. Chris Fronzak)
11.One Second
12.Locked Out, Locked In

Line-up
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Clean Vocals/Guitar
Norbert Kayo – Bass
Philipp Kretzschmar – Guitar
Nico Vaeen – Drums

ANNISOKAY – Facebook

Taina – Seelenfresser

Il gruppo di Brema è con questo disco al debutto, e si può dire che sia positivo, anche perché era da tempo che non si ascoltava un lavoro di industrial metal fatto con questa passione e con l’amore per la dance anni novanta come i Prodigy.

I Taina sono uno dei migliori gruppi di industrial metal tedeschi nati dopo la venuta sulla terra dei Rammstein, che hanno aperto la strada a tante band, ma ben pochi della qualità della band nata nel 2010.

Il loro suono è una commistione fra metal ed elettronica, il tutto molto veloce e con chitarre pesanti, ma con un gusto fortemente retrò, in stile Orgy per intenderci. Una cosa molto particolare sono le loro chiare e persistenti radici punk hardcore, soprattutto in ambito di costruzione e velocità della canzone. Il gruppo di Brema è con questo disco al debutto, e si può dire che sia positivo, anche perché era da tempo che non si ascoltava un lavoro di industrial metal fatto con questa passione e con l’amore per la dance anni novanta come i Prodigy. Il cantato in tedesco calza a pennello per questa musica, e poi dopo i Rammstein ciò non colpisce più, anzi l’industrial metal in tedesco è un vero e proprio genere, e se la qualità media non è per nulla eccelsa i Taina fanno eccezione. Seelenfresser è un disco che potreste giudicare come ovvio, invece non lo è affatto, ha anzi molti spunti originali pur se non si inventa nulla, ma soprattutto è divertente e non ha timore di essere ciò che vuole essere. Nel genere industrial metal è sicuramente una delle migliori uscite degli ultimi tempi e poterebbe essere una porta dalla quale potrebbero entrare nuovi estimatori che ancora non conoscono questa cyber musica. I Taina, anche grazie alla forte vena dance punk, sono diversi dal resto dei gruppi e hanno anche un vero amore per il metal. Uno dei due remix del disco, quello della canzone che dà il titolo al disco, è della figura che ha saputo coniugare maggiormente la dance al metal, ovvero Zardonic, il dj venezuelano che apprezzerete moltissimo perché fa un remix che vale il disco. Un album divertente che, senza pretese, arriva dove la band si è prefissata.

Tracklist
1.Schrei nicht
2.Pseudogott
3.Teil von mir
4.Folge mir
5.Perfekte Dunkelheit
6.Seelenfresser
7.Allein
8.Alles endet hier
9.Seelenfresser (Zardonic Remix)
10.Devil-M – Savior Self (TAINA Remix)

Line-up
WoLand – Vocals & Synths
SerZh – Guitars
Hannes – Drums
Marcel – Bass

TAINA – Facebook

King Dude – Music To Make War To

Music To Make War To è un disco dalla musica potentissima, americana al cento per cento, dove si incrociano neo folk, in misura però minore rispetto ai dischi precedenti, american folk new wave, rock tout court e musiche da fine del mondo.

Non ci può essere pace, la quiete arriva solo in un dato momento e tutti sappiamo benissimo quale sia.

La natura dell’uomo porta guerra, abbiamo più anime in noi che a volte si ammazzano fra loro, e capire gli altri è a volte affascinante e a volte insopportabile ed impossibile. Ci sforziamo di credere che nella nostra storia personale e, più per esteso, nella storia del mondo ci sia un qualche disegno, una firma superiore od inferiore, ma in realtà c’è solo confusione e guerra per l’appunto. Quindi mettetevi alla finestra, guardate uno di quelli che potrebbe essere uno degli ultimi tramonti ed ascoltate King Dude, una delle miglior cose che siano capitate nella musica degli ultimi tempi. King Dude, al secolo TJ Cowgill, è una di quelle figure di frontiera che solo in America possono sbucare, una sintesi riuscitissima di una miriade di spinte e stili diversissimi fra loro che si sublimano in una scintilla luciferiana. Questo è il suo settimo disco, un’opera interamente incentrata sulla guerra in tutte le sue accezioni, ed è come al solito per King Dude un bellissimo romanzo messo in musica. Il newyorchese è un tentatore, un demiurgo che fa nascere storie e ce le fa vivere appieno, un Tom Waits senza gli eccessi e le stronzate tipiche di chi ha la patente di genio. Music To Make War To è un disco dalla musica potentissima, americana al cento per cento, dove si incrociano neo folk, in misura però minore rispetto ai dischi precedenti, american folk new wave, rock tout court e musiche da fine del mondo. Ogni canzone possiede una sua cifra stilistica, un obiettivo ed uno svolgimento, infatti questa è musica di livello superiore, sia per il discorso compositivo che per quello interpretativo, perché King Dude è un fantastico crooner maledetto che ci apre mondi altrimenti preclusi. Si potrebbe stare in sospeso ore ad ascoltare questa sua ultima opera, poiché la bellezza è talmente tanta che trasborda e ci inonda. King Dude è sempre stato un cantautore unico e fantastico, ma questo ultimo sforzo lo pone davvero ad un livello altissimo, mai toccato prima, e l’asticella era già molto in alto.
Tremendamente carnale, mortale e lussurioso, una vera guerra, la nostra condizione naturale.

Tracklist
1. Time To Go To War
2. Velvet Rope
3. Good And Bad
4. I Don’t Write Love Songs Anymore
5. Dead On The Chorus
6. Twin Brother Of Jesus
7. In The Garden
8. The Castle
9. Let It Burn
10. God Like Me

Line-up
TJ Cowgill
August Johnson
Tosten Larson
Lee Newman

KING DUDE – Facebook

Bloodshed Walhalla – Ragnarok

Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero.

Torna il polistrumentista Drakhen con la sua incarnazione Bloodshed Walhalla e il suo viking folk metal dalla grande attrattiva.

La vita di Bloodshed Walhalla comincia nel 2006, con l’intento di creare un gruppo per rifare le canzoni dei Bathory nel loro periodo viking metal. Draken è molto prolifico e dopo i primi tre demo arriva il debutto su lunga distanza nel 2010 con The Legends Of A Viking, un disco molto importante per il genere viking metal alle nostre latititudini, che porta avanti il discorso musicale e soprattutto culturale iniziato da Quorthon in Svezia conquistando poi tutto il mondo. Nel 2012 Bloodshed Walhalla compare sul tributo ai Bathory Voices From Valhalla – A Tribute To Bathory dell’inglese Godreah Records, con il bellissimo brano The Sword. Nel 2014 esce l’ep Mather, cantato in lucano, che precede Thor del 2017, uno dei più bei lavori viking folk metal sia italiano che europeo. Ed eccoci arrivati a Ragnarok, che vede l’approdo del progetto di Draken su Hellbones Records, ed è di nuovo magia. Dopo aver introdotto con l’ep Mather il moog nel suo novero di strumenti, Draken porta la sua musica ad un livello ancora superiore rispetto al già ottimo Thor. Bisogna però dire che quella di Bloodshed Walhalla non è solo musica, ma un qualcosa di atavico che vive dentro di noi e che aspetta un detonatore come questo disco per uscire. Nelle quattro lunghe tracce che arrivano a totalizzare 64 minuti il vichingo di Matera ci porta spiritualmente e non solo, in mezzo ai vichinghi, con i loro usi e costumi, immergendosi in quella natura che abbiamo ucciso e che non fa più parte della nostra visione di vita, se non in termini di affari e sfruttamento. Ragnarok è la perfetta dimostrazione di cosa possa essere il viking metal che tanti disprezzano o snobbano, mentre chi lo ama è orgogliosamente consapevole che non è un genere per tutti. C’è qualcosa in questa musica, e Ragnarok ne è pienamente intriso, in questa commistione fra chitarre distorte, con la batteria che avanza impetuosa e spesso con la doppia cassa, un cantato ora aggressivo ora sognante, e le tastiere che si fondono perfettamente con il resto, che rimanda ad un’atavica magia, un archetipo rimasto sopito per troppo tempo e che vuole risvegliarsi. Ragnarok è magnifico, come è più di Thor, e continua una visione musicale pressoché unica in Italia e non solo. Drakhen prende i Bathory e Quorthon come modello ma va ben oltre, costruendo una musica davvero epica e pregna di significato, come quando si riporta alla luce un manoscritto antico che fa parlare di nuovo colui o coloro che lo scrissero. Le canzoni sono tutte di ampio respiro e francamente bellissime. Un disco che lascerà un segno in tempi dominati dal nulla.

Tracklist
1. Ragnarok
2. My Mother Earth
3. Like Your Son
4. For My God

Line-up
Drakhen: vocals, all instruments

BLOODSHED WALHALLA – Facebook

Night Club – Scary World

Il dark pop dei Night Club è un ottimo motivo per mettersi le cuffie e ascoltare continuamente questo disco, lussurioso come tutte le cose belle.

I Night Club sono un duo di Los Angeles, Emily Kavanaugh e Mark Brooks, e Scary World è il loro secondo album, dopo Requiem for Romance del 2016.

La proposta musicale è una synthwave molto dark, con innesti gothic e una fortissima struttura pop, con la preziosa ed ammaliante voce di Emily che scorre benissimo sui synth. Il disco è oscuro e dolce, come un peccato che si sa essere tale, ma il gusto nel compierlo è una delle sensazioni più belle sulla terra ed oltre. Il duo funziona benissimo ed Emily con i suoi diversi registri ci porta dove vuole lei, ora dark lady, ora bambina spaurita davanti ai pericoli di questo brutto mondo. Le melodie ordite dal duo sono notevoli e riescono sempre ad essere interessanti, coinvolgendo l’ascoltatore. Mark Brooks ai synth è un fenomeno, e i suoi lavori si imprimono nella mente di chi ci si trova dentro. Negli ultimi tempi c’è stato un notevole ritorno dei suoni synthwave, o dark pop se preferite, quelli che vedono nei Depeche Mode i loro creatori, ma pochi gruppi come i Night Club riescono ad essere convincenti e ad esprimere melodie di alta qualità. Verrete presto catturati da questo disco che, come una litania che ci avvince, ci porta in luoghi della nostra mente dove non dovremmo andare, ma non possiamo farne a meno, come neppure desiderare certe cose. Il dark pop dei Night Club è un ottimo motivo per mettersi le cuffie e ascoltare continuamente questo disco, lussurioso come tutte le cose belle.

Tracklist
1 Beware!
2 Scary World
3 Schizophrenic
4 Your Addiction
5 Blood On Your Blade
6 Candy Coated Suicide
7 Therapy (Get High)
8 Imaginary Friend
9 Vampires
10 Survive

Line-up
Emily Kavanaugh
Mark Brooks

NIGHT CLUB – Facebook