Quando si parla di thrash in Germania vengono subito in mente i big four tedeschi (Kreator, Sodom, Destruction e Tankard). Eppure, se non altro per longevità, si potrebbero aggiungere anche gli Holy Moses, dalla discografia davvero nutritissima. Andiamo, pertanto, a riscoprirli, tramite questa breve retrospettiva.
Gli Holy Moses furono fondati da Raymond Brusseler, nel lontano 1979, influenzati dall’hard rock e dall’heavy britannico di quel periodo. Per un quinquennio il gruppo vivacchiò e la vera svolta arrivò solo nel 1984, quando entrarono in formazione i due coniugi Classen, Sabina alla voce ed Andy alla chitarra. Con loro vennero incisi due nastri, Walpurgis Night e The Bitch, che fruttarono un contratto con la Aaarrg Records (la label dei connazionali Mekong Delta e Living Death e dei belgi Target). Il 1986 vide l’esordio degli Holy Moses sulla lunga distanza, con Queen of Siam, ancor oggigiorno un piccolo classico. L’anno del vero salto di qualità fu tuttavia il 1987, quando apparve il loro Finished With the Dogs, che conquistò i fans del thrash. I pezzi sono colmi di carisma e molto oscuri, classici dello speed teutonico con il basso martellante, riff secchi e decisi, sorretti da una produzione ferrosa e metallica. La title-track ha inoltre una carica punk che è degna degli Exploited più tirati. Fortress of Desperation si inoltra invece nel doom: i risultati sono a dire poco grandiosi e inquietanti. Anche il mosh-core di Six Fat Woman, con una doppia cassa chirurgica, non è di certo da meno, con ottimi effetti nel dialogo tra la voce solista ed il coro, nel refrain. Da parte sua, Rest in Pain possiede poi un’atmosfera indubbiamente più orrorifica, arricchita da numerose dissonanze genuinamente sinistre e rallentate. L’iconografia generale del disco è sempre cupissima, fatta di vetri rotti, lastre di metallo arrugginite, rifiuti e cemento: un espressionismo volutamente sgraziato, degno sul palco dei migliori Killing Joke.
Nel settembre del 1987, anche per cavalcare l’onda del successo, gli Holy Moses licenziarono l’EP-picture disc Road Crew, con due nuovi pezzi sul retro: Current of Death e Life’s Destroyer. Il fine, evidente, era quello di promuovere il successivo tour in Germania occidentale insieme a DRI e Holy Terror. Nel frattempo, mentre la situazione interna alla band rimaneva non poco burrascosa e molti avvicendamenti di line-up si susseguivano con una certa frequenza, l’istrionica cantante si esibì con ottimi riscontri nelle vesti di presentatrice del programma televisivo dedicato alla musica Mosh.
Nel 1988, vista l’attenzione del pubblico e le buonissime vendite, gli Holy Moses firmarono con la WEA ed entrarono negli studi di registrazione Horus di Hannover per incidervi il loro terzo album, prodotto dal famoso ed affermato Alex Perialas (Anthrax, SOD ed Overkill tra gli altri). I problemi, peraltro, non mancarono: durante le registrazioni il chitarrista Thilo Hermann se ne andò per tornare nei Risk e venne sostituito da Reiner Laws, il quale però su The New Machine of Lichtenstein non suonò affatto, responsabile soltanto della grafica di copertina. La nuova formazione si presentò, con una esibizione davanti a ventimila persone, al Dynamo Open Air, nel maggio del 1989. Il disco però non ebbe il successo sperato e la WEA ruppe il contratto. Fallita l’esperienza con una major, la band tedesca si accasò presso la Virginia Records e, nel rapido volgere di pochi mesi, confezionò l’ottimo World Chaos (1990), in tutto e per tutto un ritorno ai suoni ed allo stile di tre anni prima, forte anche dell’ottima prova finalmente fornita dalla sezione ritmica (Thomas Becker al basso e Uli Kusch alla batteria).
Gli Holy Moses – a differenza di altri colleghi, in patria ed all’estero – non subirono particolarmente il contraccolpo della crisi innescatasi, nel movimento thrash, a partire dal 1991, realizzando ancora Reborn Dogs (1992), l’antologia Too Drunk to Fuck (1993) e No Matter What’s the Cause (1994). Il calo di interesse verso il genere tuttavia prostrò alla fine anche la loro carriera. Riemersero soltanto all’alba del nuovo millennio, con l’entusiasmante Master of Disaster (2001), seguito dai validissimi Disorder of the Order (2002), Strenght Power Will Passion (sin dal titolo una vera dichiarazione di intenti, realizzato tra il 2004 e il 2005) e Agony of Death (2008). Nel 2012 uscì anche la raccolta In the Power of Now, utilissima per chi si volesse accostare loro la prima volta: venti classici del loro repertorio, ri-registrati ex novo, con due brani inediti, aggressivi e asciutti come da tradizione, con il thrash tedesco old school che si rivolge anche a metal classico e hardcore-death, attraverso momenti più elaborati e vari. Notevole, infine, è pure il nuovo capitolo in studio, Redifined Mayhem (2014), forte di una maturità tecnico-compositiva e di una classe identitaria ormai inossidabili.