Lotus Thief – Gramarye

Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Lotus Thief.

L’ascolto di dischi di questa portata, composti da gruppi semi sconosciuti, non è solo una bella sorpresa ma costituisce, semmai, uno dei tanti buoni motivi per continuare tentare di scrivere di musica, visto che in caso contrario ben difficilmente avrei potuto imbattermici.

Qualcuno potrà obiettare con ragione che i Lotus Thief sono stati autori di un buonissimo album prima di Gramarye e che, per questo motivo, è strano che fino ad oggi io ne ignorassi l’esistenza, ma non ho alcuna remora ad ammetterlo e faccio, anzi, i complimenti più sinceri a chi li aveva già intercettati in occasione di Rervm; del resto, ciò che importa è quanto contenuto all’interno del disco oggetto della recensione, e parlare del passato di una band (facilmente reperibile in rete anche se ignota fino a quel momento) per lo più rappresenta un modo facile e indolore per allungare il brodo, quando gli argomenti da trattare scarseggiano.
Non è questo il caso, ovviamente, pertanto veniamo al dunque: Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Otrebor e Bezaelith, duo rodato ed integrato in quest’occasione dall’apporto di una Iva Toric che arricchisce ancor più i contenuti del lavoro, ridefinendo ancora un volta i confini del metal, un galassia in costante movimento ed espansione alla faccia dei detrattori e dei media italiani più importanti, i quali continuano a contrabbandarlo come una sorta di sub cultura appannaggio di drogati e disadattati.
Se costoro avessero orecchie per sentire forse cambierebbero radicalmente idea nello scoprire la bellezza e la profondità che i Lotus Thief riversano nel loro ultimo disco: Gramarye è un termine che in inglese arcaico stava ad indicare una forma di conoscenza occulta, ed infatti i cinque brani si ricollegano ad altrettante opere letterarie intrise di questa materia, in un viaggio millenario che parte dal Libro dei Morti dell’Antico Egitto per giungere fino all’era contemporanea, con The Book Of Lies di Aleister Crowley.
Un percorso magico ed affascinante, nel corso del quale la musa Bezaelith, sostenuta in più di un passaggio dal controcanto della Toric, ci guida supportata da un tappeto sonoro di inestimabile bellezza, per il quale è decisivo il contributo ritmico e compositivo offerto dal drummer Otrebor. Post black metal, space rock, ambient, dark, molte sono le etichette e le sfumature che si è tentati di affibbiare a queste sonorità: la verità è che nessuna di queste vi aderisce in maniera perfetta: se The Book Of Dead appare l’episodio più robusto e metallico, quindi definibile con più di una buona ragione post black, la più rarefatta Circe (qui il libro in questione è ovviamente l’Odissea) cambia il volto e l’umore del lavoro, mantenendo ugualmente elevata la tensione emotiva e lo spessore melodico.
Non viene meno tutto ciò neppure nelle successive The Book Of Lies, in una più ambientale Salem, dotata di una fase iniziale che crea la giusta attesa nei confronti di apertura graduale, ma sempre in qualche modo trattenuta, fino a giungere alla meravigliosa Idisi, brano memorabile per forza evocativa che, di fatto, arriva a finalizzare quanto preparato dalla canzone precedente.
Gramarye, seppure sia collocabile nello stesso segmento stilistico con una certa approssimazione, rischia seriamente di oscurare per valore un altro bellissimo lavoro come Kodama degli Alcest, anch’essi facenti parte di quella fabbrica inesauribile di tesori musicali meglio conosciuta come Prophecy Productions.

Tracklist:
1.The Book Of The Dead
2.Circe
3.The Book Of Lies
4.Salem
5.Idisi

Line-up:
Bezaelith – bass, synth, guitar, vox
Iva Toric – synth, backing vox
Otrebor – drums

LOTUS THIEF – Facebook

Morphinist – Terraforming

Questi trentacinque minuti intensi ed convincenti mettono il nome Morphinist tra quelli da cerchiare con circoletto rosso, nel novero di coloro che si muovono nello stesso ambito musicale.

Abituati ad esaminare dischi pubblicati da band o musicisti che fanno trascorrere anni tra un’uscita e l’altra, fa sempre un certo effetto trovarsi al cospetto di un tipo come il tedesco Argwohn, che con il suo progetto solista Morphinist, ha già prodotto 10 full length a partire dal 2013 (!), senza contare le restanti band in cui, da solo o in compagnia, è attualmente coinvolto

Difficile, quindi, immaginare il nostro alle prese quotidianamente con qualcosa che non sia uno strumento musicale, anche se dobbiamo ammettere che una tale prolificità di solito fa pensare a una possibile dispersione di energie a discapito della qualità complessiva.
Proprio a causa di questo pregiudizio e non conoscendo il pregresso dei Morphinist, (anche perché ci vorrebbe qualche settimana per ascoltare tutto il materiale partorito …) devo dire che sono rimasto davvero sorpreso da un lavoro come Terraforming, il nono della serie (infatti, il mese scorso, lo stakanovista di Amburgo ha già dato alle stampe il successivo Giants …) che non lascia nulla per strada in quanto ad intensità e focalizzazione a livello compositivo.
Quello che viene proprosto nell’album in questione è il cosiddetto post black, ovvero una versione molto atmosferica e dalle ampie derive ambient doom del genere nato in Norvegia nei primi ’90, con il quale di fatto i legami sono rinvenibili a livello vocale e per le accelerazioni ritmiche in blast beat ; sia a livello grafico che di sonorità appare evidente un’ispirazione di matrice cosmica, che nelle parti rallentate può avvicinarsi persino ai Monolithe (questo avviene soprattutto in Terraforming I), e tutto ciò rende oltremodo intrigante l’operato di Argwohn, il quale dimostra lungo tutto il disco di possedere anche un notevole gusto melodico.
Terraforming è, infatti, un lavoro che, scremato dei suoi momenti più ruvidi, si lascia ascoltare con un certo agio, contraddistinto da passaggi liquidi e di pregevole esecuzione (splendido per esempio l’incipit della terza parte); questi trentacinque minuti intensi ed convincenti mettono il nome Morphinist tra quelli da cerchiare con circoletto rosso, nel novero di coloro che si muovono nello stesso ambito musicale.
A questo punto sono curioso di ascoltare che cosa Argwohn abbia escogitato in occasione di Giants che, al contrario di Terraforming, non pare godere dello stesso dono della sintesi, visto che consta di ben quattro brani di circa venti minuti ciascuno.
Vi faremo sapere …

Tracklist:
1. Terraforming I
2. Terraforming II
3. Terraforming III

Line-up:
Argwohn – Everything

MORPHINIST – Facebook

Vemod – Venter På Stormene

Venter På Stormene è un album assolutamente da riscoprire in attesa che i Vemod si riaffaccino sul mercato, questa volta però con alle spalle un etichetta in grado valorizzarne al massimo il notevole potenziale.

Sempre alla costante ricerca di musica capace di colpire ed emozionare, la Prophecy attira nel proprio variegato e qualitativo roster i norvegesi Vemod e ne ripropone in un nuovo formato il full length d’esordio Venter På Stormene.

Il duo formato da Jan Even Åsli e Eskil Blix (divenuto nel frattempo un terzetto con l’ingresso del bassista Espen Kalstad) ha mosso i primi passi nel 2004 (quando uscì il demo Kringom fjell og skog) ma è rimasto silente per diverso tempo finché, nel 2011, uno split album con i tedeschi Klage ed un nuovo demo (Vinterilden) hanno preparato il terreno all’uscita di Venter På Stormene l’anno successivo.
Un album, questo, che all’epoca passò inosservato ai più, anche se ben accolto da chi ebbe occasione di parlarne, schiacciato tra la miriade di uscite ed l’incasellamento della band nel calderone black metal, scelta per certi versi obbligata ma per altri piuttosto fuorviante.
Se di black si tratta senza ombra di dubbio, infatti, quello dei Vemod è contraddistinto da caratteri molto eterei ed atmosferici e con una non trascurabile componente ambient e, per di più, racchiude ed amalgama efficacemente diverse fonti di ispirazione, che comprendono ovviamente la matrice di base norvegese, con rimandi alla scuola tedesca ed anche qualche accenno cascadiano proveniente da oltreoceano.
La title track e la successiva Ikledd Evighetens Kappe sono due ottimi brani, contigui nel loro sviluppo, atmosferici ed evocativi ma senza contraddistinti da una gelida asprezza di fondo, mentre Altets Temple è una lunga traccia ambient e Å Stige Blant Stjerner, posta in chiusura, si rivela una magnifica progressione strumentale.
Venter På Stormene (in attesa della tempesta) è un album assolutamente da riscoprire in attesa che i Vemod si riaffaccino sul mercato, questa volta però con alle spalle un etichetta in grado valorizzarne al massimo il notevole potenziale.

Tracklist:
1.Venter på stormene
2.Ikledd evighetens kappe
3.Altets tempel
4.Å stige blant stjerner

Line-up:
E. Blix – Drums, Vocals
J.E. Åsli – Guitars, Bass, Compositions, Lyrics

VEMOD – Facebook

Chiral – Night Sky

La musica di Chiral penetra nell’anima principalmente in virtù della sua grande forza evocativa.

Ho avuto la fortuna di conoscere questo splendido progetto denominato Chiral fin dai suoi primi passi e, forse anche per questo, l’ascolto di ogni nuova uscita avviene con un approccio meno asettico di quanto possa accadere con altre produzioni.

Di certo quest’attenzione è del tutto meritata: dopo l’esordio su lunga distanza “Abisso”, che metteva subito il luce le gradi potenzialità di Chiral, lo split album con HaatE confermava quanto di buoni era stato detto in precedenza, grazie ad un brano magnifico come “Everblack Fields of Nightside”.
Un certo estremismo black affiorato nel successivo split “Sed Auis” poteva far pensare ad un progressivo indurimento del suono mentre ciò che avviene è esattamente il contrario: Night Sky costituisce un passo avanti decisivo, con il quale il musicista piacentino esibisce senza più remore e con minori retaggi estremi le proprie malinconiche e melodiche pulsioni.
My Temple of Isolation profuma intensamente di Agalloch, ed è un bell’effluvio visto che parliamo di una band unica che, proprio per questa sua peculiarità , raramente viene omaggiata con la stessa proprietà qui esibita: nei dieci minuti tondi del brano, l’impronta folk – post metal della band statunitense viene rielaborata con competenza e, soprattutto, con la giusta componente emotiva.
La successiva Nightside I: Everblack Fields è di fatto una nuova versione del brano presente nel già citato split “Where Mountains Pierce The Nightsky”, con il tema portante che riprende peraltro il brano di apertura di Abisso, “Atto I: Disceso Nel Buio”: se la riproposizione di frammenti utilizzati in precedenti occasioni potrebbe sembrare una carenza di ispirazione, denota invece la volontà di Chiral di rendere tutti i propri lavori un continuum in costante evoluzione, un corpo unico capace di espandersi mantenendo ben saldi i canoni stilistici che l’hanno ispirato.
Dopo esser stati cullati per quasi venti minuti da una musica a tratti sognante, Nightside II: Sky Wonder non giunge certo ad interrompere bruscamente la piacevole attività onirica: un’altra linea melodica apparentemente semplice rapisce e conquista per un ulteriore quarto d’ora.
Il breve strumentale acustico The Morning Passage introduce la conclusiva Beneath the Snow and the Fallen Leaves, traccia dalle atmosfere maggiormente inquiete e meno immediate, più orientate a sonorità vicine ai Wolves In The Throne Room che non ai Lustre, altro importante punto di riferimento per Chiral rinvenibile nelle due Nightside. Con questo brano veniamo così strappati ai suoni più morbidi che ci hanno cullato nella parte iniziale del lavoro, quasi a ricordarci la matrice black del progetto, pur con tutte le sue molteplici sfaccettature.
Questa recensione esce nello stesso giorno di quella, sempre scritta da me, riguardante l’ultimo album dei TesseracT: laddove troviamo l’attenzione spasmodica per i  particolari, la ricerca ossessiva del tecnicismo e della pulizia del suono, qui invece abbiamo una musica che penetra nell’anima principalmente in virtù della sua forza evocativa, e le sue piccole imperfezioni formali si rivelano del tutto insignificanti se considerate nell’intero contesto.
Superfluo aggiungere quale preferisca tra questi due modi di intendere e di vivere la musica ….

Tracklist:
1. My Temple of Isolation
2. Nightside I: Everblack Fields
3. Nightside II: Sky Wonder
4. The Morning Passage
5. Beneath the Snow and the Fallen Leaves

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook

Oberon – Dream Awakening

Bard, con questo suo ritorno discografico, ottiene un risultato eccellente mettendo sul piatto una fluidità compositiva che gli consente di muoversi senza apparenti scossoni tra umori neofolk, punte di oscurità, passaggi di stampo progressive ed riferimenti cantautorali di nobile lignaggio.

Il secondo full-length del solo project Oberon arriva dopo ben tredici anni di silenzio, nel corso dei quali colui che ne è l’artefice, il norvegese Bard Oberon, è rimasto ai margini dell’ambiente pur continuando a comporre musica.

Molta di questa è confluita poi in Dream Awakening, il disco che, in fondo, costituisce la chiusura di un cerchio, giacché l’etichetta che lo licenzia è quella stessa Prophecy che, nel 1997, tra le prime produzioni immesse sul mercato, pubblicò proprio l’omonimo mini di Oberon. Diciamo subito che questo album è l’ennesimo centro da part di una label che, da anni, continua a proporre musica sempre contraddistinta da un incommensurabile valore artistico. Devo ammettere, senza particolari remore, che prima di oggi il nome Oberon mi era del tutto sconosciuto; ne deriva, quindi, che la valutazione di questo lavoro e le sensazioni scaturite dall’ascolto esulano inevitabilmente da qualsiasi raffronto con la produzione passata. Bard, con questo suo ritorno discografico, ottiene un risultato eccellente mettendo sul piatto una fluidità compositiva che gli consente di muoversi senza apparenti scossoni tra umori neofolk, punte di oscurità, passaggi di stampo progressive ed riferimenti cantautorali di nobile lignaggio. Una voce limpida ed evocativa conduce l’ascoltatore lungo un percorso disseminato di momenti incantevoli, un qualcosa di avvicinabile alla purezza dell’acqua che sgorga da una fonte; caratteristica, questa, che non viene meno neppure quando i suoni si irrobustiscono, ma che semmai viene ulteriormente esaltata dal gioco di luci ed ombre. Empty And Marvelous inaugura questo magnifico album con umori folk, soppiantati dal successivo brano capolavoro Escape nel quale, a tratti, viene evocato nientemeno che Jeff Buckley e, tutto sommato, il mai abbastanza compianto singer statunitense può costituire un valido punto di riferimento per capire meglio ciò di cui è capace Bard in Dream Awakening. Certo, la voce del musicista norvegese, pur pregevole, non è comparabile con quella di Jeff, ma la sensibilità compositiva e la capacità di tratteggiare brani dell’enorme impatto emotivo non sono affatto da meno. Anche quando è il folk ad impadronirsi del songwriting il risultato merita il nostro plauso, ma è certo che gli episodi che restano più impressi sono quelli in cui vengono messe in evidenza sia una più spiccata anima melodica (Flight Of Aeons), sia un’impronta di stampo prog/rock (I Can Touch The Sun With My Heart ). Le atmosfere sottilmente inquietanti di Machines sono la penultima perla di un lavoro che regala in chiusura un altro brano splendido (Age Of The Moon) nel quale la chitarra elettrica si ritaglia un ultimo spazio all’interno di suoni che, se trasposti visivamente, assumerebbero delicati color pastello. Oberon è stata un autentica folgorazione con la scoperta di un musicista rimasto per anni in una sorta di oblio: questo è un altro buon motivo, tra i tanti, per il quale nessuno dovrebbe mai ritenersi appagato di ciò che ha ascoltato in passato. Per chi come me , si è innamorato a prima vista di questa eccellente entità musicale, sarà cosa gradita sapere che la Prophecy ha programmato anche la ristampa dell’intera produzione targata Oberon, una buona occasione per approfondire la conoscenza e magari scovare altre gemme dimenticate composte dall’ottimo Bard.

Tracklist:
01. Empty And Marvelous
02. Escape
03. In Dreams We Never Die
04. Dark World
05. Flight Of Aeons
06. Dream Awakening
07. I Can Touch The Sun With My Heart
08. Phoenix 09. Secret Flyer
10. Machines That Dream
11. Age Of The Moon

OBERON – Facebook

Solitvdo – Immerso In Un Bosco Di Querce

Un lavoro capace di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore

Dopo aver parlato nei mesi scorsi di due ottime uscite in ambito estremo provenienti dalla Sardegna, Infamous e VIII, oggi è il turno di un altro musicista isolano, Daniil (accreditato nel lavoro come DM), con il suo progetto Solitvdo.

A differenza di quello dalle sfumature depressive dei primi oppure virato verso sonorità death dei secondi, qui il black metal si accompagna ad atmosfere più melanconiche e, a tratti, ambient, raggiungendo vette di lirismo per certi versi sorprendenti.
L’utilizzo della lingua italiana e la solennità che ne pervade diversi passaggi, rendono il lavoro dei Solitvdo parzialmente accostabile a quello degli Abbas Taeter di Mancan ma, indubbiamente, rispetto all’opera del musicista lucano, prevale un’aura maggiormente introspettiva.
Immerso In Un Bosco Di Querce possiede, tra le sue peculiarità, liriche redatte in uno stile elegiaco che contribuisce ad ammantare di un fascino antico tracce dalle eccellenti linee melodiche: il risultato è un lavoro privo di sbavature (se escludiamo la registrazione della voce che poteva essere messa maggiormente in evidenza) e capace di coinvolgere emotivamente l’ascoltatore grazie a una scrittura mai scontata da parte dell’ottimo Daniil.
L’incipit sinfonico di Alba… introduce ad un brano come …Rivolta! che mostra senza indugi le doti del musicista sardo, un classico mid-tempo che si apre nella sua fase centrale in una parte strumentale di rara bellezza, per poi chiudersi con una sezione chitarristica di matrice classica.
La title-track è, invece, l’istantanea in grado di rappresentare al meglio la sensibilità compositiva di Daniil, riversata in una decina di minuti nei quali vengono condensate le coordinate musicali e filosofiche dell’intero lavoro, tra accelerazioni, momenti acustici e dolenti melodie, a fungere da tappeto per i poetici testi declamati con uno screaming non troppo aspro e sufficientemente intelligibile.
Altvm Silentivm è un elegante interludio ambient folk che porta alle due tracce conclusive (Al Tramonto Il Cielo In Fiamme e Nella Solitudine Il Divino), le quali, nonostante i 25 minuti complessivi di durata, non mostrano cali qualitativi evidenziando, al contrario, passaggi di rara bellezza, rivelandosi così la degna conclusione di un lavoro che, per il momento, è stato pubblicato in sole 48 copie dalla Eremita Produzioni nel formato tape, ma per il quale è prevista a dicembre l’uscita in digipack sotto l’egida della Naturmacht.
Solitvdo, in fondo, non rappresenta solo il monicker scelto per il progetto ma definisce anche un modus operandi sempre più in auge, che vede musicisti dediti a svariati generi scegliere di operare in totale autonomia, perdendo forse qualcosa, rispetto alle band classiche, a livello di reciproco scambio di idee e di ricchezza a livello strumentale, ma guadagnando altrettanto in libertà artistica e consentendo una più efficace focalizzazione degli obiettivi che si intendono raggiungere.
Un’opera come Immerso In Un Bosco Di Querce mette in luce i lati positivi di questa scelta senza alcuna controindicazione; fate vostro questo lavoro, nel formato che più vi aggrada, ne vale davvero la pena.

Tracklist:
1.Alba…
2…Rivolta!
3.Immerso In Un Bosco Di querce
4.Altvm Silentivm
5.Al Tramonto Il Cielo In Fiamme
6.Nella Solitudine Il Divino

SOLITVDO – Facebook

Chiral – Abisso

Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Chiral è un giovane musicista piacentino che, con Abisso, mostra senza indugi il suo intento di proporre musica in grado di coniugare le ruvidezze e le ritmiche del black, la disperazione del depressive ed il malinconico gusto melodico di un progressive dai tratti ovviamente piuttosto cupi.

Abisso è un EP che arriva ad un anno di distanza dal demo “Winter Eternal” e, considerando che il progetto Chiral è di nascita recente, stupisce ancor di più la qualità messa in mostra in questa occasione.
Il lavoro è un breve concept incentrato sulle reazioni di una persona messa di fronte alla cruda realtà di dover affrontare la tragedia di una malattia incurabile e sulle nefaste conseguenze che ciò provoca anche a livello psichico, fino all’approssimarsi dell’atto conclusivo.
In questo senso le tematiche trattate non sono una novità (al riguardo vi invito a riscoprire il magnifico “The Incurable Tragedy” degli Into Eternity) ma spicca fin da subito l’abilità di Chiral nel tratteggiare i singoli momenti del racconto, alternando momenti di rabbia, dolore e disperazione ben rappresentati dalle diverse sfumature stilistiche esibite nelle diverse circostanze.
Abisso è diviso in due atti: il primo introduce in maniera efficace l’ascoltatore in questo riuscito melange emozionale con Disceso Nel Buio e Oblio, prima che la title-track apra il secondo ergendosi a brano guida ed autentica perla, nella quale le accelerazioni del black lasciano ancor più spazio a momenti di grande pathos creati dal lavoro chitarristico di Chiral, che privilegia l’impatto e l’intensità rispetto al puro sfoggio di tecnica: mai come in questo caso l’etichetta progressive affibbiata al nostro si rivela agli antipodi di una sterile e solo formale vena sperimentale.
Un EP davvero coinvolgente, composto da un musicista che, a giudicare dalle premesse, possiede tutti i numeri per lasciare in un prossimo futuro un segno tangibile nella scena metal tricolore.

Tracklist:
1. Atto I: Disceso Nel Buio
2. Atto I: Oblio
3. Atto II: Abisso
4. Atto II: In Assenza

Line-up:
Chiral – Everything

CHIRAL – Facebook

Finnr’s Cane – A Portrait Painted By The Sun

“A Portrait Painted By The Sun” è un lavoro destinato a crescere in maniera esponenziale ad ogni passaggio nel lettore

Potrà apparire come la classica scoperta dell’acqua calda, ma è sempre utile rimarcare quanto lo status acquisito da una label derivi essenzialmente dal rapporto tra la qualità e quantità delle uscite.

C’è, invero, chi punta tutto o quasi sul secondo aspetto, rischiando così di perdere in credibilità e inficiando indirettamente anche uscite di ottimo livello; non è certo questo il caso della Prophecy Productions (e delle sue affiliate Lupus Lounge e Auerbach) che, in un lasso di tempo relativamente breve come gli ultimi due anni, ha dato alle stampe alcuni capolavori (Dordeduh, Vali, Falkenbach), un elevato numero di grandi album (tra i quali Alcest, Antimatter, The Vision Bleak, Secrets Of The Moon, Empyrium) e una serie di ulteriori uscite all’insegna della diversificazione stilistica, spaziando dal black metal al neofolk. Tutto questo panegirico nei confronti della label tedesca serve per introdurre un’altra piccola perla appena pubblicata con quel marchio, ovvero il secondo full-length dei canadesi Finnr’s Cane, A Portrait Painted By The Sun. Il trio nordamericano propone un affascinante mix tra sonorità black, post-metal, oltre a un pizzico di folk e ambient che, volendo esemplificare al massimo, si va a collocare su lidi piuttosto contigui agli Agalloch, anche se rispetto alla fenomenale band di John Haughm la componente black appare decisamente più sfumata. Il brano d’apertura This Old Oak costituisce un perfetto manifesto del songwriting dei Finnr’s Cane, con il suo incipit acustico che man mano si irrobustisce fino a raggiungere l’apice nel suo finale, quando una dolente melodia chitarristica si fa largo tra il cupo substrato creato dagli altri strumenti, conducendo l’ascoltatore a una chiusura incantevole quanto inattesa. Il disco vive, per i suoi quaranta minuti, di sensazioni del tutto analoghe, con brani che spesso partono in maniera soffusa per poi gonfiarsi come una nube prima del temporale, raggiungendo il pathos nella parte conclusiva; i tre musicisti si districano con grande sensibilità tra suoni sicuramente non fruibilissimi ai primi ascolti. A Portrait Painted By The Sun è, infatti, un lavoro destinato a crescere in maniera esponenziale ad ogni passaggio nel lettore e la magia di brani splendidi come la già citata opener, Time Is A Face In The Sky e Tao ripagherà con gli interessi per l’impegno profuso per potersi immergere idealmente nelle tenebrose foreste dell’Ontario. Per chi apprezza Alcest, Agalloch e Wolves In The Throne Room.

Tracklist:
1. This Old Oak
2. Gallery of Sun and Stars
3. A Promise in Bare Branches
4. The Wind in the Wells
5. A Great Storm
6. Time Is a Face in the Sky
7. Tao

Line-up:
The Slave – Cello, Keyboards
The Peasant – Drums
The Bard – Vocals, Guitars

FINNR’S CANE – Facebook

Vàli – Skogslandskap

Musica senza tempo, capace di ricondurci al nostro naturale status di ospiti del pianeta, che più ci si addice rispetto a quello di usurpatori di un regno che non ci appartiene.

Dimenticate l’inconcludente ripetitività di certo ambient o la spiritualità a buon mercato di gran parte della musica new age; se volete provare ad ascoltare composizioni strumentali in grado di accarezzare il vostro udito facendovi riappacificare con l’universo intero, anche se farete un pò di fatica nel pronunciarlo, Skogslandskap fa al caso vostro.

Risulta senza dubbio più semplice memorizzare il nome dell’artista che si cela dietro l’omonimo progetto, il norvegese Vàli che, con la sua chitarra acustica supportata di volta in volta da altri quattro magnifici musicisti, ci regala tre quarti d’ora di musica delicata quanto emozionante. Skogslandskap è suddiviso in quindici brevi tracce che si susseguono senza che affiori nemmeno per un attimo il senso di noia o di assuefazione ad un tipo di sound normalmente a rischio da questo punto di vista; basta ascoltare l’opener Nordavindens Klagesang , un gioiello che dà il via a questo viaggio all’interno delle foreste norvegesi nell’arco di tempo compreso tra il tramonto e l’alba successiva, per percepire quanto la musica prodotta da Vàli rifugga stucchevoli tecnicismi rivelandosi, invece, una magica successione di suoni capaci di muoversi all’unisono con la natura circostante. Il cammino per il quale Vàli ci conduce, si snoda armonioso tra i mormorii delle piante, lo zampettare frenetico degli animali notturni, l’effluvio inebriante della terra bagnata dall’umidità notturna per concludersi con i quattro minuti finali di Morgenry, un concentrato di pura magnificenza e di commovente poesia che rende ineluttabile la necessità di riascoltare dalla prima traccia questo capolavoro. Skogslandskap riprende il discorso laddove si era interrotto ben nove anni fa con “Forlatt”, facendo apparire breve come un soffio di vento un lasso di tempo oggettivamente piuttosto lungo. Riscoprire quel disco è pertanto doveroso, come pure lo è ascoltare questa musica senza tempo, capace di ricondurci al nostro naturale status di ospiti del pianeta, che più ci si addice rispetto a quello di usurpatori di un regno che non ci appartiene.

Tracklist:
1 Nordavindens Klagesang
2 I Skumringstimen
3 Gjemt Under Grener
4 Langt I Det Fjerne
5 Mellom Grantraer
6 Himmelens Groenne Arr
7 Et Teppe Av Mose
8 Sevjedraaper
9 Dystre Naturbilder
10 Flytende Vann
11 Stein Og Bark
12 Lokkende Lyder
13 Skyggespill
14 Roede Blader
15 Morgengry

Line-up : Vàli – All Instruments

Guests:
Rosamund Brown – Cello
Marit Charlotte Steinum – Flute
Kjetil Ottersen – Piano
Mira Ursic – Violin

VALI – Facebook

Helrunar / Árstíðir Lífsins – Fragments: A Mythological Excavation

“Fragments: A Mythological Excavation” è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Fragments: A Mythological Excavation è uno split album, nato dalla collaborazione tra le due label tedesche Prophecy Productions e Vàn Records, che vede impegnate due band forse non troppo conosciute dalle nostre parti ma sicuramente di grande spessore artistico.

Parliamo degli Helrunar, senz’altro più noti anche perché attivi da ben oltre un decennio, anch’essi tedeschi, e degli Árstíðir Lífsins, combo dalla formazione recente che racchiude musicisti provenienti da diverse nazioni del nord Europa: li accomuna, oltre il genere suonato, anche una passione e una conoscenza tutt’altro che superficiale della mitologia nordica (e non solo, come vedremo).
Entrambe dedite a una forma di black epico, atmosferico e dalla forte componente etnica, le due band colgono questo occasione per presentare ognuna un lungo brano che ne ribadisce una volta di più le capacità già espresse in passato.
Lo split si apre con Wein Fur Polyphem degli Helrunar, i quali , attraverso il proprio leader Skald Draugir, spostano la loro attenzione verso la mitologia mediterranea, affrontando quello che probabilmente ne è il poema più conosciuto, l’Odissea. Il brano è un perfetto esempio di musica colta ed evocativa a 360 gradi: nel suo quarto d’ora si alternano parti corali, passaggi di enorme impatto caratterizzati da riff, ora chirurgici, ora capaci di evocare il fascino mai sopito delle gesta di Ulisse e dei suoi compagni di avventura.
Gli Árstíðir Lífsins, se come già detto si possono considerare in qualche maniera appartenenti allo stesso filone dei propri compagni di split, in realtà spostano ancora più l’asticella verso il lato maggiormente malinconico e sinfonico del genere; intendiamoci, qui non abbiamo a che fare con tastiere bombastiche bensì con strumenti classici che si integrano alla perfezione con le sfuriate di matrice black. Ammetto colpevolmente di non conoscere quanto composto in passato da questa magnifica band, ma il livello compositivo di Vindsvalarmál è tale da indurmi a pensare d’essermi perso qualcosa di importante.
In questi venti minuti la band condotta dal polistrumentista Stefan ci conduce per mano nel mondo dei miti norreni e il tutto avviene con la competenza e la cognizione di causa che proviene solo da uno studio approfondito della materia (lo stesso vale anche per Skald Draugir): tutto ciò trova nella musica il suo naturale sbocco rendendo questo brano una vera e propria perla, superiore al già di per sé notevole contributo degli Helrunar.
Devo dire che ho sempre considerato gli split album alla stregua di opere minori e dal carattere un po’ dispersivo, ma non posso che approvare al 100% quest’operazione, che ci consegna mezz’ora abbondante di ottima musica, oltre ad aumentare l’attesa per le prossime uscite su lunga distanza delle due band.

Tracklist :
1. Helrunar – Wein für Polyphem
2. Árstíðir Lífsins – Vindsvalarmál

Line-up :
Helrunar:
Skald Draugir – Vocals
Alsvartr – Drums, Bass
Discordius – Guitars, Vocals

Árstíðir Lífsins:
Stefán – Guitars, bass, vocals & choirs
Árni – Drums, viola, double bass, vocals & choirs
Georg – Vocals & choirs
Marsél – Vocals & choirs
Sveinn – Piano, keyboards & effects
Kristófr – Percussions & choirs
Tómas – Choirs
Teresa – Vocals
Kristín – Organ

HELRUNAR – Facebook

ARSTIDIR LIFSINS – Facebook

Aylwin / Zinvmm – Aylwin / Zinvmm

Curioso split album che vede impegnate due band piuttosto lontane tra loro per estrazione geografica e musicale.

Curioso split album che vede impegnate due band piuttosto lontane tra loro per estrazione geografica e musicale.

Gli Aylwin sono un duo californiano dedito ad un post-black atmosferico che si colloca sulla scia degli Wolves in The Throne Room: dopo un intro ambientale, Hymns mostra subito sonorità interessanti e avvolgenti, con un bel tema melodico violentato dalla doppia cassa e dal consueto screaming sgraziato ma efficace, mentre Hymns II esordisce sconfinando in territori depressive per poi riacquistare un ritmo parossistico nella sua fase centrale e sfumare in un finale di stampo ambientale. Hymns III non modifica in maniera sensibile le coordinate sonore e chiude in maniera positiva la parte dedicata alla band statunitense che, seppure parzialmente penalizzata da una registrazione rivedibile, mostra potenzialità assolutamente da non sottovalutare.
La one-man band spagnola Zinvmm occupa gli ultimi tredici minuti dello split album con una sola traccia, Beith, che ci trasporta verso sonorità di tipo ambient folk dal sapore ancestrale. Nonostante venga naturale il riferimento a realtà quali Burzum et similia, la componente mediterranea del sound prende piacevolmente il sopravvento anche grazie all’uso di una strumentazione non convenzionale ma sempre appropriata.
Split interessante, dunque, e due nomi da tenere senz’altro sotto osservazione.

Tracklist:
1. Aylwin – The imaged engraved (intro)
2. Aylwin – Hymns
3. Aylwin – Hymns II
4. Aylwin – Remain in trance (Evening Ritual)
5. Aylwin – Hymns III
6. Zinvmm – Beith

AYLWIN – Facebook
ZINVUMM – Facebook

The Magik Way – Materia Occulta (1997-1999)

Materia Occulta si rivela una riscoperta non solo utile ma fondamentale per completare il quadro del versante più occulto e spirituale della musica, sviluppato in maniera particolare all’interno dei nostri confini.

Alla fine degli anni ’90 alcuni componenti dei Mortuary Drape decisero di dare vita a un progetto denominato The Magik Way, tramite il quale poter esplorare ancora più a fondo, se possibile, il lato rituale ed esoterico della musica.

A tredici anni dall’interruzione dell’attività, la Sad Sun Music pubblica questo disco che raccoglie due promo, l’omonimo del 1997 e Cosmocaos di due anni dopo, operazione, questa, che merita un sentito plauso per aver sottratto a un probabile oblio il materiale contenuto in questa raccolta. I primi quattro brani , tratti da The Magik Way, mostrano un sound ancora debitore degli stilemi black della band di provenienza facendo però intravedere, attraverso l’inserimento di samples e passaggi di stampo ambient, la voglia di sperimentare nuove vie stilistiche che troverà il suo compimento in Cosmocaos, le cui tredici tracce sono intrise di atmosfere di difficile assimilazione ma non per questo meno affascinanti. I Signori del Caos introduce questa sorta di lungo rituale nel quale vengono convogliati in maniera competente e personale gli influssi di tutti quegli artisti che hanno dato sfogo alla propria creatività nel segno della sperimentazione musicale e concettuale; se questa traccia, infatti, con le sue atmosfere malinconiche accompagnate da vocalizzi femminili richiama alla mente l’opera di Malleus, nella successiva Le Maschere di Pietra aleggia inquietante il fantasma di Mr.Doctor e dei suoi Devil Doll, avvicinabili per l’uso del pianoforte e per la teatralità della voce maschile utilizzata. In effetti l’intero lavoro assorbe e rielabora influenze nobili seppure non sempre così vicine tra loro, ne è esempio la schizofrenica Lupenare, con una chitarra di stampo progressive che ne marchia la prima parte nel segno di realtà seminali quali Antonius Rex/Jacula per poi esplodere in un finale di stampo sinfonico/apocalittico degno dei primi Elend. Il valore intrinseco di questa raccolta risiede indubbiamente nella freschezza della proposta che, forse anche in virtù della sua carica evocativa, non fa apparire affatto datati i brani in essa contenuti. Chiaramente qualche imperfezione affiora ugualmente nel corso dell’ascolto, per esempio la voce femminile mostra qualche pecca in tracce come La Quiete o Mantramime dove, in un contesto riconducibile a un nome pesante come i Dead Can Dance, l’ipotetico confronto con una Lisa Gerrard potrebbe apparire impietoso. Ma al di là di sporadici peccati veniali, Materia Occulta si rivela una riscoperta non solo utile ma fondamentale per completare il quadro del versante più occulto e spirituale della musica, sviluppato in maniera particolare all’interno dei nostri confini.

Track-list :
The Magik Way 1997
1. The Doubt (Il Dubbio)
2. The Dizziness (La Folgorazione)
3. The Sacrifice (Il Sacrificio)
4. The Knowledge (La Conoscenza)
Cosmocaos 1999
5. I Signori del Caos
6. Le Maschere di Pietra
7. L’Icona
8. Gloria
9. Lupenare ( La Luna Crescente – Il Caotico Divenire – L’Uomo con la Falce)
10. Le Prigioni di Corda
11. La Quiete
12. Trasposizione
13. Mantramime
14. La Caduta
15. Danza degli Elementi
16. Pianto ed Estasi
17. Il Tempo si è Fermato

Line-up :
Nequam – vocals, keyboards, guitars, percussions
Diabolical Obsession – bass, textures, backing vocals
Old Necromancer – guitars, noises, backing vocals
Azach – drums and percussions, backing vocals
Berkana – female vocals

Lord Agheros – Demiurgo

Lord Agheros si muove su terreni contigui al black metal nella sua versione più atmosferica, ma va detto che l’etichetta BM applicata a questo progetto può essere fuorviante considerato che i momenti dall’andamento più impetuoso sono in netta minoranza rispetto alla componente ambient

Quello di Lord Agheros è un nome in circolazione ormai da un lustro, nel corso del quale il musicista catanese Gerassimos Evangelou, unico titolare del progetto, ha prodotto quattro album, ultimo dei quali l’appena pubblicato Demiurgo, oggetto di questa recensione.

Il nostro si muove su terreni contigui al black metal nella sua versione più atmosferica, ma va detto che l’etichetta BM applicata a questo progetto può essere fuorviante considerato che i momenti dall’andamento più impetuoso sono in netta minoranza rispetto alla componente ambient, che si rivela predominante, in particolare, nella seconda metà del disco. A livello lirico, Demiurgo è un concept dedicato alla nota figura platonica descritta come “artefice e padre dell’universo”; nell’intento di seguire in maniera coerente il filo conduttore del racconto, Lord Agheros rappresenta la contrapposizione tra bene e male, tra notte infernale e notte terrena, suddividendo l’opera in due parti ben distinte dal punto di vista stilistico. Se nella prima, che va da Prologue a Erebo sono maggiormente presenti elementi di matrice black quali blast beats e uno screaming velenoso, nella seconda parte, che prende vita con Nyx, il suono pare acquietarsi assumendo le vere e proprie sembianze di una colonna sonora in stile dark ambient. Per gusto personale ho molto apprezzato il disco proprio nella sua prima parte, almeno fino a Lyssa, grazie alla riuscita amalgama tra le sonorità estreme e le melodie oniriche create da Gerassimos; dalla successiva Letum, traccia che resterà comunque l’ultimo episodio dai tratti parzialmente aggressivi, il lavoro purtroppo perde un po’ della brillantezza mostrata nella sua prima mezz’ora. Detto questo, è innegabile che Demiurgo sia comunque un buon disco, nel quale il musicista siciliano dimostra di saper comporre con padronanza atmosfere sognanti e malinconiche, e costituisce senz’altro un ulteriore passo avanti rispetto al predecessore Of Beauty And Sadness. Ciò che non convince del tutto è proprio, nel caso specifico, il lento ma progressivo affievolirsi dell’impatto sonoro, sia pure in ossequio al tema del concept. Continuo a pensare che la formula adottata nei primi brani dove, come detto, vengono amalgamate con successo le componenti black, sia pure in proporzione ridotta, e ambient, dovrebbe essere quella da perseguire con maggior convinzione; migliorando anche la resa sonora della parte vocale, con uno screaming spesso in secondo piano rispetto agli altri strumenti, un progetto come Lord Agheros potrebbe ambire a raggiungere quell’eccellenza che, in Demiurgo, viene raggiunta solo a tratti.

Track-list :
1.Prologue
2.Eris
3.Styx
4.Thanatos
5.Moros
6.Nemesi
7.Lyssa
8.Letum
9.Erebo
10.Nyx
11.Oizys
12.Emera
13.Geras
14.Lysimele
15.Ker
16.Apate
17.Etere

Line-up :
Gerassimos Evangelou – All Instruments, Vocals