Steignyr – Myths Through The Shadows Of Freedom

Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Gruppo folk metal da Barcellona con grande esperienza alle spalle, gli Steignyr pubblicano l’ultima fatica su Art Gates Records.

Nata nel 2012, la band propone un folk metal molto influenzato dal mondo celtico, vicino al power metal e al thrash, con forti innesti di tastiere. La capacità compositiva porta a scrivere vere e proprie storie, canzoni che diventano fiabe e ci permettono di immergerci totalmente in un’epoca che non è la nostra. Myths Through The Shadows Of Freedom è un disco molto fedele al titolo, nel senso che racconta miti o meglio archetipi, persi nelle ombre della storia, ombre che confondono ciò che è mito e ciò che è invece reale e questo è il bello delle storie, la loro possibilità. Qui è bella anche la musica, un folk metal melodico e molto piacevole, che ti cattura dalle prime note e porta avanti un discorso stilistico certamente non inedito ma di indubbia efficacia. Il loro incedere piacerà sia a chi è un ortodosso del genere, e anche a chi si avvicina per la prima volta ad un genere come il folk metal che vi regalerà molte gioie se seguite i gruppi giusti, e gli Steignyr sono sicuramente fra loro. Il loro impasto sonoro è al servizio della narrazione, con momenti molto epici e di grande presa, con un gran lavoro delle tastiere di Hyrtharia che danno un tocco speciale al tutto. Il disco è da ascoltare tutto, come se fosse la lettura di un poema epico, un ricordare qualcosa che ha sempre fatto parte di noi e che questa maledetta modernità ha sopito per troppo tempo, soprattutto quel senso di meraviglia di fronte alle cose belle che l’uomo ha sempre avuto. Un disco importante per il genere, decisamente dentro all’alveo celtico del folk metal, e una buona prova da parte di un gruppo che è una sicurezza e che è destinato a crescere ulteriormente.

Tracklist
1. Salvation Through Divinity
2. Those Who Lie
3. Black Rain
4. Calling The Immortals
5. Frost Wolf
6. Moonlight Forest
7. Arrows Of Time
8. You’ll Never Be Forgotten
9. Light Beast
10. Whisper Calling
11. Frozen In Time
12. Myths Through The Shadows Of Freedom
13. The Seven Eyes Of God

Line-up
Jön thorgrimr – Vocals and guitar
Seimdar Fjolnir – Guitars
Lena – Keyboard and vocals
Hyrtharia – Bass and vocals
Zelther – Drums

https://www.facebook.com/Steignyr

Aegonia – The Forgotten Song

Gothic/folk/doom metal è quello che si trova tra lo spartito di questa dozzina di perle ammantate dai tenui colori della foresta, una magia raccontata tramite un suggestivo concept fantasy.

Metal dalle atmosfere fantasy, folk e gothic è quello che ci propongono i bulgari Aegonia, band nata per volere della cantante Elitsa Stoyanova e del polistrumentista Nikolay Nikolov.

Attiva dal 2011 la band arriva solo oggi al debutto con The Forgotten Song, opera molto suggestiva che raccoglie umori e suoni della tradizione popolare di quella nazione.
Nikolov, oltra a cantare e suonare la chitarra, si diletta con il kaval, flauto tradizionale, mentre il violino accompagna magicamente il sound di brani dalle atmosfere fuori dal tempo.
Gothic/folk/doom metal è quello che si trova tra lo spartito di questa dozzina di perle ammantate dai tenui colori della foresta, una magia raccontata tramite un suggestivo concept fantasy creato dal chitarrista con lo pseudonimo di Nea Stand.
The Forgotten Song ammalia, trasportando l’ascoltatore in un’altra epoca ed in luoghi leggendari grazie alle atmosfere create da bellissimi brani come Rain Of Tears, l’epica grazia di Battles Lost And Won, il folk gotico di The Stolen Song e l’incedere potente della monumentale The Severe Mountain.
Opera affascinante, intensa e suggestiva, The Forgotten Song non mancherà di stupire positivamente gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.In the Lands of Aegonia
2.Rain of Tears
3.With the Mists She Came
4.Restless Mind
5.Dreams Come to Me
6.Battles Lost and Won
7.The Offer
8.The Stolen Song
9.Gone
10.The Severe Mountain
11.A Bitter Fate
12.The Ruins of Aegonia

Line-up
Nikolay Nikolov – vocals, guitar, kaval
Elitsa Stoyanova – vocals, violin
Atanas Georgiev – bass
Ivan Kolev – drums

https://www.facebook.com/aegonia

The Lord Weird Slough Feg – New Organon

New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.

Tornano Mike Scalzi ed i suoi Slough Feg, con il monicker completo The Lord Weird Slough Feg ed un nuovo album, il decimo di una lunga carriera iniziata nel 1990 a San Francisco.

Il quartetto statunitense con al timone il suo capitano viaggia spedito nelle acque sicure di un sound collaudato che all’epic metal unisce elementi folk, ritmiche per nulla scontate e progressive a supportare tematiche di stampo fantasy.
La band, dal monicker ispirato ad una creatura leggendaria presente nei poemi epici e mitologici irlandesi, rilascia un ottimo lavoro che ne conferma lo status di band di culto, permettendo di arrivare alla doppia cifra in quanto a full lenght con degli album migliori.
New Organon, rilasciato per la Cruz Del Sur Music, è composto da dieci bellissimi brani che racchiudono l’essenza dell’epic metal, il suo lato più maturo e diretto, non concedendosi mai a facili melodie, ma elaborando un personale approccio ad un genere per niente facile da proporre ad alti livelli.
Fin dall’inizio si viene catapultati dal quartetto statunitense in un mondo metallico in cui sua maestà il riff è signore e padrone di un sound che, come da tradizione, è legato all’heavy doom settantiano, pur con la sua forte caratteristica epica che aggiunge sfumature ed ispirazioni di stampo Manilla Road.
L’anima progressiva valorizza il tutto e New Organon risulta un altro ottimo lavoro targato The Lord Weird Slough Feg, grazie ad una serie di brani bellissimi come The Apology, Uncanny e la solare Coming of Age in the Milky Way, folk metal song che disegna nella mente degli ascoltatori piazze popolate di castelli nei giorni di festa.
Un gran bel lavoro questo nuovo capitolo della saga del gruppo di San Francisco che si conferma un valido riferimento per gli amanti dell’epic/heavy/folk metal.

Tracklist
1. Headhunter
2. Discourse on Equality
3. The Apology
4. Being and Nothingness
5. New Organon
6. Sword of Machiavelli
7. Uncanny
8. Coming of Age in the Milky Way
9. Exegesis / Tragic Hooligan
10. The Cynic

Line-up
Mike Scalzi – Vocals / Guitar
Adrian Maestas – Bass
Angelo Tringali- Guitar
Jeff Griffin – Drums

THE LORD WEIRD SLOUGH FEG – Facebook

FIDDLER’S GREEN – Heyday

Sedicesimo album per i re dello Speed Folk teutonico. Una carriera formidabile, costruita su ben 16 album, che dal folk basilare delle origini, ha saputo evolversi nel sound attuale, aggressivo ma melodico, incalzante ma soave ed armonioso nel contempo, decretandone per la band il successo planetario e divenendo fonte di ispirazione nell’ambito del genere Celtic Folk.

Quando nei primi anni ’80 nacque quello che allora veniva semplicemente chiamato Irish Folk con approccio Punk, ad opera dell’iconografico Shane MacGowan (nel lontano 1980, leader e fondatore dei Nipple Erectors, poi Pogue Mahone, anglicizzazione del provocatorio termine gaelico irlandese póg mo thóin (“baciami il sedere”), infine, finalmente, The Pogues), nessuno si sarebbe mai aspettato il successo che il genere, ad oggi, ha ottenuto. Migliaia di fan da tutto il Mondo, migliaia di band da tutto il Globo.

Fondere sonorità tradizionali, che trovano profonde radici negli antichi suoni della verde Irlanda, di popoli di cui si è oramai quasi perso memoria, abbinando antichi strumenti delicati, e al contempo spesso allegri e scanzonati, capaci di proiettare l’ascoltatore in epoche remote e fiabesche, tra verdi boschi abitati da creature leggendarie, con l’aggressività di un genere crudo, grezzo, ma soprattutto molto disincantato e realistico, dipinto spesso di quell’opaco grigiore che ben rappresentava lo stato d’animo del rivoluzionario movimento punk quando nacque, nei lontani anni ’70, apparve subito quanto di più azzardato, si potesse approcciare da un punto di vista meramente musicale.
Eppure, proprio grazie a quei ragazzacci di King’s Cross, oggi possiamo deliziarci con una miriade di band da tutto il mondo che, in maniere più o meno personali, ci propongono quello che oramai oggi viene definito più in senso generale, “Irish Punk” o meglio ancora “Celtic Punk”. Sì, anche perché seppur vero che il suono trova radici profonde nella Verde Terra, occorre ricordare che la musica celtica, da cui nasce la stessa musica popolare irlandese, si sviluppò un po’ in tutta Europa (dal IV al III secolo A.C.); ovunque la popolazione dei Celti si spostasse – come del resto qualsiasi popolazione, faceva nell’antichità – portava con sé usi e costumi, tra cui – appunto – la propria musica. Isole Britanniche, Gallia, Pannonia (l’attuale territorio occupato da Ungheria, Repubblica Ceca, Austria, Croazia e Slovenia) ed Iberia, costituivano all’epoca le loro terre e, non dimenticando le influenze che ebbero i contatti con i Germani e i Romani stessi, non possiamo oggi pertanto stupirci, che le band che seguono questo filone, provengano un po’ da tutto il Vecchio Continente e non solo dall’attuale Gran Bretagna. Miscelando sapientemente le proprie tradizioni più antiche, i loro tipici strumenti musicali con il tradizionale Folk Irlandese (cornamusa, violino, fisarmonica, tin whistle, fiddle, mandolino, banjo ecc.), sempre sorretti dalla semplicità della struttura Punk britannica, creano il genere Celtic Punk, appunto; sicuramente uno dei generi musicali più ballabili, spensierato e spesso spregiudicato, ma al contempo ricchissimo di pathos e di antiche atmosfere pagane, che la Musica oggi possa annoverare.
Non dobbiamo neanche dimenticare che Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia, terre che hanno conosciuto l’immigrazione britannica sin dall’800 (per tacer dell’immensa invasione irlandese del 1879, a seguito della Grande Carestia che subì l’Isola), hanno da sempre goduto del l’influenza delle tradizionali musiche della Terra d’Albione (non mi soffermo per ragioni di spazio, su quanto l’Irish abbia condizionato la nascita del Country, non basterebbe un libro di 1000 pagine…).
Ciò che è curioso e molto particolare, è che al giorno d’oggi, le band più famose (eccezion fatta per i Pogues, ovviamente) provengono da ogni, ma molto meno dalla Gran Bretagna. Mentre nell’Isola rimangono forti gli accenti più tradizionali del Folk puro ed incontaminato, forse, e dico forse, il Celtic Punk ha trovato terra fertile proprio tra i discendenti stessi degli immigranti, sparsi un po’ in tutto il mondo che, quasi presumibilmente spinti da uno spirito reazionario, hanno voluto urlare le origini delle loro terre natie (in maniera diremmo rivoluzionaria, come vuole il Punk, del resto), tristemente e obbligatoriamente abbandonate secoli or sono, spinti dalla miseria, alla ricerca di uno scampolo di felicità e di speranza.
E allora partiamo in sella del verde destriero a conoscere i Flogging Molly, band losangelina formatasi nel 1997 ad opera di Dave King (già voce dei mitici Fastway, gruppo metal di inizio anni ’80 formato da un certo “Fast” Eddie Clarke dei Motorhead) che prese il nome da un pub di Los Angeles (Molly Malone) intitolato alla leggendaria pescivendola – e non solo…– di Dublino. Sempre dagli USA i Dropkick Murphys ed i Tossers, dal Canada i Real Mckenzies (band fondata da Paul McKenzie, di chiarissime origini scozzesi) o i “polkeggianti” The Dreadnoughts. Un salto (molto lungo) in Australia per i Rumjacks, per poi giungere nel Vecchio Continente in Repubblica Ceca con i Paddy And The Rats, in Svezia con i Sir Reg e addirittura in Italia con i Rumpled e gli Uncle Bard And The Dirty Bastards. Infine, dalla Sassonia (Germania, scusate) gli O’Reilly And The Paddyhats, i Mr.Irish Bastards e soprattutto i Fiddler’s Green bavaresi.
Solo per citarne alcuni…
I Nostri, oggetto di questa recensione escono oggi con il loro sedicesimo album (!) in quasi 30 anni di carriera. Inizi molto folk, per poi subire anche loro – negli anni – le profonde influenze del Punk ma anche della musica Rock europea e soprattutto teutonica, di metà anni novanta. Così – autodefinendosi essi stessi Speed Folk band – , vedono, nel tempo, accrescere il numero di fan, divenendo quello che oggi si potrebbe definire una band Mainstream del genere, a livello mondiale. Heyday è un album fantastico (finito ben settimo nella GfK Entertainment Charts teutonica). Divertente, ballabile sino all’ultima nota. Suonato magicamente da una band che oramai oggi, ha una padronanza degli strumenti pressoché totale. Brani come No Anthem, Limerick Style o la stessa title track trasudano energia, vigore ed un’eccezionale grinta che potrebbe indurre alla danza sfrenata anche un bradipo sudamericano, sino al totale sfinimento e a morte certa. Il duetto vocale tra Patrick “Pat” Priziwara e Ralf “Albi” Albers è semplicemente divino: un botta e risposta dove l’uno domanda e l’altro semplicemente risponde, annullando totalmente il vecchio concetto di main e di backing vocals. Qui esiste un’unica voce, portata d’incanto su tonalità diversissime ma, con egregia maestria, amalgamate nell’Uno, in un amorevole connubio, sebbene mantenendo ognuna, sempre le proprie caratteristiche primigenie (Pat è il ruvido mentre Ralf è il melodico), o più semplicemente, come direbbe Erich Fromm, “sembra un paradosso, ma nell’amore due esseri diventano uno, e tuttavia restano due”. Drumming quasi rocambolesco e travolgente (Frank Jooss), sostenuto dai bassi toni di Mr. Schulz (basso, appunto), avvolti nel cellophane delle armonie dello stesso Pat (qui come lead guitar), e avviluppati dalle meravigliose eufonie del violino di Tobias Heindl (grandioso!) e dalle fiabesche euritmie della fisarmonica di Stefan Klug, veniamo proiettati direttamente nella festa, ove la birra scorre a fiumi (dal brano Slainte, gaelico termine accostabile al nostro Cin Cin) e l’alcool rappresenta il leitmotiv della nostra serata (da Cheer Up, una sorta di in alto i bicchieri), e dove la meta finale non è conosciuta, ma poco importa (come per il vagabondo di Born To Be A Rover), tanto quello che ci interessa è vivere una bella giornata (One Fine Day) insieme ai nostri amati amici e cari, come tutti fossimo Uno (Together As One).
Null’altro da aggiungere, se non uno spassionato consiglio a chiunque stia passando un periodo grigio o peggio nero, della propria esistenza. Ascoltare Heyday (ed i Fiddler’s Green in generale), significa Vivacità, Vigoria, Vitalità o più semplicemente significa Vita . Un’ora (comprese bonus…) forse rappresenta poco, nel lungo cammino dell’esistenza umana, ma se è vero che la vita è solo un passaggio, in questo passaggio seminiamo almeno fiori, (come ci raccontava Michel De Montaigne), o almeno qualche verde trifoglio…

Tracklist
01. Prelude
02. The Freak of Enniskillen
03. No Anthem
04. Limerick Style
05. Farewell
06. Born to be a Rover
07. The Congress Reel
08. Slainte
09. Better You Say No
10. Cheer Up
11. One Fine Day
12. John Kanaka
13. Heyday
14. Steady Flow
15. Together as One

Line-up
Ralf “Albi” Albers – voce, chitarra acustica, bouzouki, mandolino, banjo
Pat Priziwara – voce, chitarra, bouzouki, mandolin, banjo
Tobias Heindl – violino
Stefan Klug – accordion, bodhran
Rainer Schulz – bass
Frank Jooss – batteria

FIDDLER’S GREEN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hLwK6bOzQOA

Legacy Of Silence – Our Forests Sing

In virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.

La Volcano Records ci sorprende ancora una volta, licenziando il debutto dei Legacy Of Silence, band folk/death metal di Torino.

Il gruppo, attivo dal 2014, dopo vari cambi nella line up, un ep ed una manciata di singoli pubblicati arriva all’esordio su lunga distanza, un’opera curata nei minimi dettagli intitolata Our Forests Sing.
Ispirato dai luoghi montani della loro terra, il concept dell’album ruota intorno alla natura, alla sua forza e all’influenza che ha su chi ancora riesce a viverci in simbiosi, ed il sound non può che essere un death metal melodico, di matrice nord europea e dalla forte componente folk.
Ormai il genere non fa più notizia, ma in virtù di un buon songwriting la band offre agli ascoltatori un lavoro vario, incentrato sul magico suono del flauto, ma dalle atmosfere che passano agevolmente dal fiabesco all’epico, fino a più robuste e combattive impennate death metal.
Our Forests Sing, le foreste cantano, intonando note d’altri tempi e con Witchwood si entra nel mondo dei Legacy Of Silence, fatto di rispettoso silenzio davanti alla maestosità dei luoghi dove le varie Bloodhunt o Misfortune ci accompagnano, mentre le ritmiche salgono, il growl si inspessisce e l’atmosfera si contorna di un’aura austera ed epica nello spartito di Heresy e Nightfall.
Le band di riferimento sono quelle ormai classiche del genere, con la componente estrema di matrice Amon Amarth ad irrobustire il suono dell’epico silenzio di cui si fanno portavoce i Legacy of Silence.

Tracklist
1.Witchwood
2.Bloodhunt
3.Misfortune
4.Torment
5.Heresy
6.Inquisition
7.J.A.W.S.
8.Nightfall
9.Rebirth

Line-up
Alberto Ferreri – Batteria
Luca Capurso – Flauto
Gianluca Mondo – Chitarra Main e Voce
Mark Greyowl – Voce Leader
Simone Macchia – Chitarra Leader
Alberto Ferrero – Basso

LEGACY OF SILENCE – Facebook

Eluveitie – Ategnatos

Il lavoro migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Gli svizzeri Eluveitie sono un capitolo a parte nel grande romanzo del folk metal, e con questo ultimo lavoro rilasciano una delle loro prove migliori, continuando la loro perenne evoluzione verso l’alto.

Ategnatos è uno dei loro dischi più veloci e rabbiosi, sempre con una grandissima presenza della melodia, portando ad un livello molto alto il loro discorso musicale. Il titolo è in gallico, e significa rinascita, ed infatti questo disco è un percorso attraverso le tenebre verso qualcosa che ci renderà diversi. La componente epica e pagana degli Eluveitie è sempre stata molto importante, una ben precisa cifra stilistica che è la loro struttura profonda. Questo disco è però un cambiamento importante, un cercare qualcosa di differente, un insinuarsi nelle vene aperte del folklore nordico, in special modo gallico e celtico, per cercare una via alternativa per il futuro attraverso il passato. Sicuramente è il loro lavoro maggiormente profetico, quello a più alto tasso di occulto, anche se loro non sono mai stati un gruppo che offre un folk metal buono solo per ubriacarsi. La musica di Ategnatos è magniloquente e alta, epica e molto veloce, quasi come se tutto il lavoro fosse svolto sotto dettatura di uno spirito del passato. I tanti elementi del gruppo concorrono tutti insieme per dare il meglio, ed infatti gli Eluveitie sono una grande band che ha saputo supplire benissimo ai cambi di formazione. Il disco si basa anche sul concetto degli archetipi, che hanno accompagnato da sempre l’uomo nella sua travagliata storia, e che sono l’eredità più profonda che abbiamo, poiché sono essi stessi trasmissione di una sapienza autentica ed antica. Per aggiungere una maggiore profondità epica, gli Eluveitie hanno suonato in studio con un vero quartetto d’archi ed il risultato è molto valido. Se si dovesse scegliere un pezzo su tutti forse Worship, con la partecipazione dell’immenso Randy Blythe dei Lamb Of God alla voce, è il pezzo che rappresenta meglio lo spirito di questo lavoro, il migliore e più oscuro di un’ottima discografia, un’avventura musicale che continua ad essere notevole ed unica.

Tracklist
1. Ategnatos
2. Ancus
3. Deathwalker
4. Black Water Dawn
5. A Cry In The Wilderness
6. The Raven Hill
7. The Silvern Glow
8. Ambiramus
9. Mine Is The Fury
10. The Slumber
11. Worship
12. Trinoxtion
13. Threefold Death
14. Breathe
15. Rebirth
16. Eclipse

Line-up
Chrigel Glanzmann – Vocals, Whistles, Mandola, Bagpipes, Bodhran
Fabienne Erni – Vocals, Celtic Harp, Mandola
Alain Ackermann – Drums
Rafael Salzmann – Guitars
Jonas Wolf – Guitars
Kay Brem – Bass
Michalina Malisz – Session Hurdy Gurdy –
Matteo Sisti – Whistles, Bagpipes, Mandola
Nicole Ansperger – Fiddle

ELUVEITIE – Facebook

Cellar Darling – The Spell

I Cellar Darling sono autori di musica salvifica, una di quelle poche entità musicali che portano luce anche quando descrivono l’ombra, e che nobilitano le nostre orecchie e il nostro cuore.

Secondo disco dei Cellar Darling, gruppo folk e anche prog metal fondato da tre ex membri degli Eluveitie, Anna Murphy, Ivo Henzi e Merlin Sutter.

Non aspettatevi però cose in quota Eluveitie, perché qui siamo di fronte a qualcosa di profondamente diverso. I Cellar Darling sono un gruppo che possiede un’incredibile capacità di fare musica metal melodica, bilanciata e molto sognante. La voce di Anna porta l’ascoltatore lontano, in una terra dolce ma che può diventare insidiosa in ogni momento, e la salvezza la può offrire soltanto la musica. Le canzoni scorrono benissimo, Anna si integra alla perfezione con il resto del gruppo, la realtà diventa sogno e viceversa, il tutto con un timbro ed uno stile pressoché unico. Il disco è un concept album sulle vicende di una ragazzina nata in un mondo in cui tutto è quasi stato distrutto dalla stessa razza umana, e lei va alla dolorosa ricerca del senso della vita. A parte il fatto che questo incipit ci ricorda terribilmente quanto questo sia prossimo a diventare realtà, la storia si dipana divisa nei capitoli che sono le canzoni, e sarà anche messo in vendita un audiolibro con lo stesso titolo del disco, letto da Anna, che ha una voce spettacolare, da dea, infatti non è a caso figlia di due cantanti operistici. Il disco è un continuo gioco di luci e tenebre, è delicato e forte, contiene in sé molte cose ed il loro contrario, possiede un grandissimo fascino e non stanca mai, usando elementi diversi per arrivare ad una sintesi innovativa e molto valida. E’ assai raro ascoltare in un gruppo una tale melodia ed un così grande bilanciamento fa i componenti e la loro musica. I Cellar Darling sono autori di musica salvifica, una di quelle poche entità musicali che portano luce anche quando descrivono l’ombra, e che nobilitano le nostre orecchie e il nostro cuore. E’ molto forte l’elemento prog nel loro modo di comporre, nel senso che le canzoni vanno sempre verso l’alto e non sono mai statiche. Molto azzeccati sono anche gli inserti di violino, pianoforte e altri strumenti che li possono far catalogare come folk, ma i Cellar Darling vanno ben oltre i generi, vanno oltre qualsiasi catalogazione, bisogna solo ascoltarli, chiudere gli occhi ed immergersi nella loro musica.

Tracklist
1. Pain
2. Death
3. Love
4. The Spell
5. Burn
6. Hang
7. Sleep
8. Insomnia
9. Freeze
10. Fall
11. Drown
12. Love Pt. II
13. Death Pt. II

Line-up
Anna Murphy – vocals, hurdy-gurdy, multi-instrumentalist –
Merlin Sutter – drums –
Ivo Henzi – guitars, bass –

CELLAR DARLING – Facebook

Calico Jack – Calico Jack

L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.

Il metal a sfondo piratesco, portato all’attenzione degli ascoltatori del metal classico e power dagli storici Running Wild, trova nuova linfa ed un tocco di originalità nel primo full length omonimo dei Calico Jack, ciurma in arrivo da Milano e battente bandiera pirata dal 2011.

La band (il cui nome è ispirato al capitano John Rackham, inventore della classica bandiera con il teschi e le due sciabole incrociate, conosciuto come Jolly Roger) si allontana dal sound dei Running Wild e dei loro eredi Alestorm per avvicinarsi al folk metal, anche se le atmosfere epiche da abbordaggio sono presenti, così come quelle da locanda e feste alcoliche dopo il ritorno a Tortuga.
I Calico Jack mettono in evidenza una parte estrema, dovuta principalmente al growl, protagonista principale in coppia con il violino, sempre presente nell’economia del sound caratterizzante brani che, alla lunga, tendono ad appiattirsi risultando leggermente prolissi.
Sono forse troppi settanta minuti di durata per un album del genere, anche se non mancano certo episodi rocciosi e divertenti come l’opener The Secret Of Cape Code, Devil May Care e la notevole Under The Flag Of Calico Jack, brano che si rivela una sorta di saga musicale lunga diciotto minuti e picco dell’intero lavoro.
L’album è sostanzialmente rivolto ad appassionati di questo specifico genere, e se tali sonorità non sono esattamente nelle vostre corde non sarà certamente il debutto dei Calico Jack a farvi cambiare idea.
Tracklist

1.The Secret of Cape Cod
2.Where Hath th’ Rum Gone?
3.Death Beneath the Wave
4.Devil May Care
5.Caraibica
6.Songs from the Sea
7.Sharkbite Johnny
8.Grog Jolly Grog
9.Straits of Chaos
10.Under the Flag of Calico Jack
11.Jolie Rouge

Line-up
Giò – Vocals
Toto – Rhythm Guitar, Choirs
Melo – Lead Guitar
Dave – Fiddle
Caps – Drums
Gigi – Bass, Choirs

CALICO JACK – Facebook

Saor – Forgotten Paths

Forgotten Paths rafforza lo status acquisito dai Saor senza apportare particolari novità, se non per la presenza di ospiti importanti, ma effettivamente non c’era alcuna necessità di modificare uno schema compositivo che sta continuando a dare ottimi frutti.

Ci ritroviamo a parlare di questo interessante progetto solista proveniente dalla Scozia, ad un anno di distanza dal precedente full length Guardians.

Andy Marshall è riuscito meritatamente a costruirsi un buon seguito, essendo sostanzialmente uno dei principali fautori della commistione tra il folk scozzese ed il black metal.
Forgotten Paths, quarto lavoro su lunga distanza con il marchio Saor, rafforza lo status acquisito dal musicista di Glasgow senza apportare particolari novità, se non per la presenza di ospiti importanti, tra i quali Neige, ma effettivamente non c’era alcuna necessità di modificare uno schema compositivo che sta continuando a dare ottimi frutti.
Infatti, nei tre lunghi brani più lo strumentale posto in chiusura, rinveniamo le atmosfere epiche ed ariose alle quali Marshall ci ha piacevolmente abituato in passato e delle quali, francamente, non ci si stanca quando sono proposte con tale maestria. Se vogliamo, l’unica zavorra che non è ancora stata eliminata dal contesto Saor è la voce, perché tra le molte doti riconosciute al nostro di sicuro non c’è quella di uno screaming efficace ed interpretativo, ma in fondo la cosa appare non così rilevante alla luce dell’approccio stilistico che privilegia di gran lunga le parti strumentali.
Se la title track è un brano valido ma nella media, nonostante l’ospitata di Neige che, inconsapevolmente o meno, contribuisce ad “alcestizzare” il tutto, è la successiva è sognante Monadh ad offrire il volto migliore dei Saor, ovvero quello capace di emozionare evocando i tipici scenari naturalistici della terra scozzese.
Bròn è invece una traccia che alterna sfuriate sempre sorrette da un’impalcatura melodica e passaggi più rarefatti, tra i quali fa la sua comparsa la voce femminile fornita dalla meravigliosa Sophie Rogers.
Il più breve episodio acustico Exile chiude un album che non fa gridare al miracolo ma che convince, comunque, in ogni sua parte, grazie alla consolidata capacità dimostrata da Marshall nel far convivere al meglio le due componenti fondamentali del sound dei Saor.

Tracklist:
1. Forgotten Paths
2. Monadh
3. Bròn
4. Exile

Line-up:
Andy Marshall – All instruments, Vocals

Guests:
Carlos Vivas – Drums
Neige – Vocals (additional, track 1)
Kevin Murphy – Bagpipes (track 3)
Lambert Segura – Violin
Sophie Rogers – Vocals (female, track 3)
Glorya Lyr – Everything (track 4)

SAOR – Facebook

Folkstone – Diario Di Un Ultimo

Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Torna uno dei gruppi più interessanti del panorama underground italiano, i Folkstone, con il loro nuovo disco Diario Di Un Ultimo.

Il gruppo bergamasco, attivo dal 2004, ha fatto innamorare molti italiani e non solo del folk metal, con sonorità molto vicine al rock. I Folkstone sono forse l’anello di congiunzione tra l’underground ed il mainstream, e sono soprattutto un gruppo che regala pagine bellissime di poesia e musica in italiano. Fin dal primo disco l’ensemble folk metal ha portato avanti un discorso stilistico che ha avuto un’evoluzione incredibile, con l’importante svolta di Ossidiana del 2017, un disco che ha aperto un nuovo corso pressoché unico in Italia: con Ossidiana i Folkstone si sono avvicinati ad un forma maggiormente vicina al rock, con una spinta maggiore verso la poesia, perché i testi del gruppo sono piccoli e bellissimi componimenti, come lo sono sempre in passato ma ultimamente in maniera maggiore. L’importante per un gruppo è il progredire ed in questo i Folkstone sono bravissimi nel proseguire senza alcuna remora: Diario Di Un Ultimo è un’ulteriore e bellissimo avanzamento in un viaggio che si spera non si fermi mai. Questo disco arriva dopo alcuni cambi di formazione, e racconta il mondo visto dallo sguardo di un ultimo, un reietto agli occhi della società, uno che potrebbe essere un ribelle della montagna dei primi dischi dei Folkstone. Il gruppo mette tutto il cuore come sempre in questo lavoro pieno di vita, di canzoni e di assenza di rimpianti, del vivere questa breve vita tra valori e musica vera. Musicalmente il loro suono compie sempre nuovi passi senza mai snaturarsi, anzi forse rispetto ad Ossidiana si è sviluppato un discorso maggiormente aderente alle origini, ma al contempo c’è molto di quell’album in Diario Di Un Ultimo. I testi sono sempre introspettivi e con il cuore in direzione ostinata e contraria, aprono mondi, parlano di noi come di universi lontani e fanno vedere le cose da una prospettiva diversa e più aperta rispetto alla quotidianità. La scelta di cantare in italiano è premiante, perché si rivela qualcosa di peculiare e completamente originale: quando le parole si fondono con la musica scaturisce la magia dei Folkstone, che è davvero tanta e ti esplode nella mente e nel cuore. Come di consueto tutte le canzoni sono composte per essere vissute dal vivo, tra alcool e calore umano, sopra e sotto il palco. Chiude il lavoro I Miei Giorni, una delle canzoni più belle scritte dal gruppo, e vero e proprio manifesto di ciò che è il gruppo lombardo. Diario Di Un Ultimo è un bellissimo viaggio nei mondi costruiti dai Folkstone, i quali si confermano come uno dei più interessanti e peculiari gruppi nel panorama italiano e non solo.

Tracklist
01. Astri
02. Diario Di Un Ultimo
03. La Maggioranza
04. Elicriso ( Storia Di Un Pazzo )
05. Naufrago
06.Danza Verticale
07. La Collina
08. Una Sera
09. Spettro
10. In Assenza Di Rumore
11. Il Grammo Di Un’Ora
12. Fossile
13. Escludimi
14. I Miei Giorni

Line-up
Lorenzo Marchesi: voce
Roberta Rota: cornamuse, bombarde, voce
Maurizio Cardullo: cornamuse, flauti e bouzouki irlandesi, cittern, bombarde
Luca Bonometti: chitarre
Federico Maffei: basso
Edoardo Sala: batteria e percussioni
Marco Legnani: ghironda e strumenti a corde

FOLKSTONE – Facebook

Fenrir – Legends Of The Grail

Questa seconda opera dei Fenrir merita davvero molto, sa emozionare e riportare in maniera efficace in un’epoca che sembra lontana da noi ma che è vicina, se lo vogliamo.

Gran bel secondo disco per questo gruppo francese di folk metal capitanato dalla strepitosa voce di Madame Elsa Thouvenot.

Legends Of The Grail arriva dopo il buon Echoes Of The Wolf del 2012, che era già sulla buona strada, ma questo supera tutte le aspettative.
In ambito folk metal la qualità media è abbastanza alta e i Fenrir incarnano tutte le cose migliori di questo genere. La loro musica possiede un grandissimo valore evocativo, nel senso che porta per davvero l’ascoltatore in un altro luogo rispetto al suo. La commistione di folk e metal è totale come raramente succede, visto che in molti casi uno dei due elementi è quello che finisce per essere preponderante, mentre qui l’equilibrio è totale. Il gusto musicale è inoltre molto medioevale, con pregevoli passaggi di violino suonati dalla stessa Elsa, che eccelle anche in questo aspetto oltre che nel canto. Il titolo e tutto il disco riecheggiano quello che è il concetto centrale del disco, la leggenda del Graal, ovvero le storie mitiche della ricerca della sacra reliquia e le storie del ciclo epico di Merlino e Re Artù, che sono archetipi immortali insiti dentro la cultura europea e non solo. Inoltre i francesi di Nancy hanno composto ed eseguito due canzoni in francese antico, la lingua d’oil, che ha una cadenza meravigliosa e che si sposa benissimo con la musica epica dei Fenrir. Nel disco non mancano gli episodi più veloci, a dimostrazione che il gruppo sa giostrare su livelli diversi e con capacità di eseguirli tutti. Infatti in Legends Of Grail vengono suonati e fatti vivere all’ascoltatore molti stati d’animo e molti passaggi musicali differenti. Le storie narrate in questo disco sono immortali e nascondono molti significati nascosti che possono spiegarci molte cose di chi siamo e da dove veniamo, e ciò ha maggiore significato se a farlo è un gruppo di grande valore come i Fenrir. Questa seconda opera dei francesimerita davvero molto, sa emozionare e riportare in maniera efficace in un’epoca che sembra lontana da noi ma che è vicina, se lo vogliamo.

Tracklist
1 A Legend Begins…
2 A Red Sun Rises
3 Camelot
4 Sir Gawain & The Green Knight
5 Conquest Of Britain
6 The Fisher King
7 Brocéliande
8 The Son Of Pendragon
9 La Dame Du Lac
10 Morgane
11 Mordred
12 Mists Of Avalon

Line-up
Elsa Thouvenot – Vocals & Violin
Alexandre Frémont – Guitar
Michaël Macé – Guitar, backing vocals
Bruno Giglio – Violin
Jordan Lavaut – Bass
Kevin Keiser – Drums

FENRIR – Facebook

Autori Vari – Mister Folk Compilation Vol. VI

Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizo che con passione e competenza ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero.

Come ogni anno torna la raccolta del miglior sito italiano di folk e viking metal in Italia, misterfolk.com, gestito dall’infaticabile Fabrizio Giosuè, autore anche dei fondamentali testi Folk Metal e Tolkien Rocks.

Siamo arrivati al sesto episodio, e i precedenti cinque erano davvero validi, oltre che essere in download libero allo scopo di valorizzare e far conoscere il validissimo sommerso di questi due sottogeneri del metal. In questa raccolta si possono ascoltare brani di gruppi di elevata qualità e sarebbe ingiusto citarne uno in particolare; allora ecco qui la lista completa con le loro nazionalità: Heidra (DK), Dyrnwyn (ITA), Bucovina (RO), Kanseil (ITA), Nebelhorn (D), Calico Jack (ITA), Alvenrad (NL), Storm Kvlt (D), Sechem (SPA), Bloodshed Walhalla (ITA), Ash Of Ash (D), Draugul (M), Evendim (ITA), Duir (ITA), Aexylium (ITA), Kaatarakt (CH), Balt Huttar (ITA), Moksh (IND).
Fra questi nomi ci sono formazioni che abbiamo già ascoltato e recensito su queste pagine, e altre che saranno ottime e gradite scoperte. La compilation racchiude in sé lo spirito della webzine, ovvero ricercare le perle nascoste di folk e viking metal, descrivendo l’ottimo momento che stanno attraversando. In molti luoghi, e forse anche vicino a voi, ci sono giovani e meno giovani che stanno compiendo un viaggio molto interessante attraverso sonorità e tematiche che si rifanno al passato, che non sono mero escapismo ma la ricerca di un qualcosa che si possa narrare con il metal come punto cardinale. Questi suoni sono caldi, coinvolgenti, belli e colpiscono al cuore, distogliendoci dalla modernità e riportandoci in un luogo che la nostra anima già conosce, senza negare le asperità di un passato che è comune. Musicalmente la compilation presenta una ricchezza non scontata e come i cinque episodi precedenti è di alto livello, ma questo sesto episodio rende chiaro che la maturità di questi sottogeneri sta producendo autentici capolavori, sia dal punto di vista della composizione e dell’esecuzione sia del pathos. Con questo regalo di Mister Folk si può spaziare da covi di pirati all’Antico Egitto, da villaggi delle valli del Nord Italia all’Isola di Smeraldo, da campi di battaglia dove svetta l’aquila romana fino alla remota India. Un viaggio che vi regalerà immense sorprese, una meravigliosa porta per entrate in un reame fantastico e tutto da esplorare con ripetuti e compulsivi ascolti, guidati dalle ottime scelte di un ragazzo come Fabrizio che, con passione e competenza, ama l’underground e lo fa conoscere attraverso la sua webzine e con queste magnifiche raccolte in download libero. Una menzione speciale per il bellissimo e consueto artwork di Elisa Urbinati, sempre molto elegante ed minimalmente affascinante.

MISTER FOLK – Facebook

MISTER FOLK COMPILATION Vol. VI

Heidra – The Blackening Tide

Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti.

Ottimo lavoro questo The Blackening Tide, secondo capitolo dal taglio viking power metal dei danesi Heidra, che già avevano ben figurato con l’esordio Awaiting Dawn ma che superano le aspettative con questa raccolta di brani pregni di melodie epico guerresche, atmosfere viking ed irruenza power metal.

Al growl, sempre presente nelle parti più cattive del sound, si affianca una voce pulita evocativa e dalle sfumature epiche che, sommata alle caratteristiche principali del sound, completa una proposta assolutamente convincente.
La band danese accontenta e soddisfa gli amanti di questo tipo di sonorità con una serie di tracce molto suggestive e varie, alternando sfuriate power, mid tempo epici e guerreschi e quel tocco folk di matrice scandinava che non dispiace mai.
Gli Heidra non si limitano alla spettacolarizzazione del genere ma offrono una cinquantina di minuti di metal che, alle non poche ispirazioni classiche, aggiunge tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, tra puntate estreme e splendide melodie che evocano guerrieri e dei, altopiani innevati e gelidi venti, che da nord portano influenze melodic death nei momenti più estremi.
The Blackening Tide è un album che si ascolta tutto d’un fiato, uno splendido esempio di metal nordico nobile, glorioso, epico ed avvincente, mai al sotto una qualità che rimane ottima in tutti i brani presenti, trovando in The Price Is Blood, A Crown Of Five Fingers e la title track i propri picchi.

Tracklist
1.Dawn
2.The Price in Blood
3.Rain of Embers
4.Lady of the Shade
5.A Crown of Five Fingers
6.The Blackening Tide
7.Corrupted Shores
8.Hell’s Depths

Line-up
Martin W. Jensen – Guitars (lead), Vocals
Morten Bryld – Vocals
Carlos G.R. – Guitars
Dennis Stockmarr – Drums
James Atkin – Bass

HEIDRA – Facebook

Eluveitie – Slania 10 Years

Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti.

Per festeggiare degnamente la ricorrenza dei dieci anni dell’uscita di Slania, il secondo disco degli Eluveitie, la Nuclear Blast fa uscire una nuova edizione arricchita da demo, una misteriosa intervista alla vera Slania e commenti alle canzoni.

Uscito nel 2008, Slania è il disco che ha fatto conoscere al grande pubblico gli svizzeri e ascoltandolo è impossibile resistergli. Qui gli Eluveitie concentrano tutto il meglio di ciò che sanno fare, regalando un capolavoro davvero potente. Molti considerano il gruppo elvetico uno dei principali interpreti mondiali del folk metal ed in Slania è racchiuso il perché di questo giudizio, dovuto ad una grande potenza sonora che va di pari passo con una robusta composizione in cui il metal si lega in maniera fortissima al folk. Quest’ultimo è sempre stato il vero punto di forza degli Eluveitie, ovvero fondere in maniera credibile e di grande effetto il folk degli strumenti tipici con un metal di ottima fattura, trovando una sintesi molto originale. Slania è un disco più veloce e metal rispetto alle ultime uscite, e possiamo già trovare quelle incredibili melodie che hanno reso tanto amato il gruppo, soprattutto per il bilanciamento perfetto fra cantato femminile e cantato maschile. Più che ascoltare folk metal qui lo si respira all’interno della dimensione creata dalle canzoni di questo disco, che è una delle pietre miliari di un genere che sembra facile da suonare, mentre invece ci vuole un notevole talento insieme ad una visione compositiva inusuale per poterlo fare al meglio. Slania è una grande gioia per gli amanti del genere, e 10 Years potrebbe essere considerata la sua versione definitiva, perché le cose aggiunte sono ragguardevoli e vanno ben oltre le solite demo o inediti. Un disco che ha indicato una via e che continua tuttora a farlo.

Tracklist
01. Samon
02. Primordial Breath
03. Inis Mona
04. Grey Sublime Archon
05. Anagantios
06. Bloodstained Ground
07. The Somber Lay
08. Slania’s Song
09. Giamonios
10. Tarvos
11. Calling The Rain
12. Elembivos

Bonus:
13. Samon (Acoustic Version)
14. Interview With Slania
15. Samon (demo)
16. Primordial Breath (demo)
17. Inis Mona (demo)
18. Bloodstained Ground (demo)
19. Tarvos (demo)

Line-up
Chrigel Glanzmann – vocals, mandola, whistles, pipes, gaita, acoustic guitar, bodhrán, harp
Kay Brem – bass
Rafael Salzmann – lead guitar
Matteo Sisti – bagpipes, tin whistle
Jonas Wolf – rhythm guitar
Alain Ackermann – drums
Michalina Malisz – hurdy-gurdy
Nicole Ansperger – violin, vocals
Fabienne Erni – vocals, celtic harp

ELUVEITIE – Facebook

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

Mongol – The Return

Il gruppo canadese celebra in maniera possente le gesta dei mongoli e del loro estesissimo impero, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore.

Il folk metal è un linguaggio musicale dalla grande varietà e forza, che può essere declinato in molte maniere e lascia molta libertà a chi lo adotta.

I canadesi Mongol lo usano per narrare le gesta degli antichi mongoli e di Dschinghis Khan, il mitico condottiero che li condusse ad avere un impero di grandi dimensioni, ma soprattutto ad entrare nella storia come popolo guerriero, anche se erano molto più di ciò. Le dominazioni mongole arrivarono alla porte dell’Europa, e stupisce vedere quanto conquistarono, specialmente nel medio e nell’estremo Oriente, diventando uno degli imperi più estesi della storia, ma anche uno dei meno conosciuti, almeno in occidente. Il gruppo canadese celebra in maniera possente le loro gesta, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore. Le parti migliori delle loro canzoni sono quando avanzano compatti e cantano coralmente, dando vita a momenti molto intensi e di grande presa. Il lavoro è generalmente di buona qualità, confermando e superando quanto fatto in precedenza, mettendo maggiormente l’accento sulla velocità e sulla potenza, sempre ben presenti. Ben strutturato è anche l’uso degli strumenti tipici, ma i Mongol rimangono più metal che folk. Molti pezzi saranno devastanti dal vivo, perché si sente che sono stati studiati per la quella dimensione che è quella naturale per questi barbari. In certi frangenti si è maggiormente vicini al black death che al folk, ma poi si torna sempre all’ovile, dimostrando una non comune versatilità nel cambiare registro. Uno dei gruppi più interessanti del folk metal nordamericano e non solo.

Tracklist
1. Prophecy of the Blind
2. The Return
3. Sacrificial Rites
4. Takhil
5. Amongst the Dead
6. To the Wind
7. Dschingis Khan
8. The Mountain Weeps
9. River Child
10. Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead Guitar, Folk Instruments, Clean Vocals
Zelme – Rhythm Guitar, Backup Vocals
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-khe – Folk Instruments & Keyboards
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

Marrasmieli – Marrasmieli

Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Il fatto che ci si occupi della prima uscita dei Marrasmieli, nonostante si tratti di un singolo, è motivato da due aspetti fondamentali, ovvero la lunghezza complessiva del lavoro che raggiunge i venti minuti, durata buona anche per un ep, oltre al fatto che l’etichetta che ne cura l’uscita è la Naturmacht, quanto basta perché il tutto sia meritevole d’attenzione.

Ce ne sarebbe in realtà un terzo, ma quello lo si può scoprire solo a posteriori, cioè la bontà oggettiva dell’operato di questo trio finlandese, capace di disimpegnarsi abilmente con un pagan black ricco di buon gusto melodico e compositivo.
La traccia autointitolata presenta in maniera esemplare questi aspetti , senza accentuare certi elementi folk che si palesano invece nella più lunga e diretta What Nature Fears, nella quale i nostri sconfinano a tratti nei territori di competenza dei Finntroll, anche se si percepisce sempre un’impronta più marcatamente estrema rispetto ai profeti dell’’humppa metal.
Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Tracklist:
1. Marrasmieli
2. What Nature Fears

Line-up:
Nattvind – vocals & drums
Zannibal – guitars
Maelgor – bass

MARRASMIELI – Facebook

Ash Of Ashes – Down The White Waters

Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Cultura pagana ed heavy metal, un connubio che negli anni ha donato grande musica epica, poi attraversata da tempeste estreme arrivate dal grande nord.

Epic folk metal dai rimandi pagani è a grandi linee il sound del duo tedesco Ash Of Ashes, al debutto con Down The White Waters, lavoro degno di menzione in virtù dell’esibizione di un buon talento nel creare mid tempo epici e guerreschi in un contesto atmosferico.
Ovviamente la parte metal è di derivazione viking black, poi alleggerita da una valanga di melodie che lasciano spazio anche agli ascoltatori di generi meno estremi, grazie anche alla voce evocativa, che duetta per gran parte dell’album con quella di stampo estremo.
In Down The White Waters l’epicità si tocca con mano, l’alternanza tra parti viking black metal, folk e melodic death è l’arma con cui il duo conquista le terre nemiche, creando un’atmosfera leggendaria.
Molto belli sono i brani che riescono a far convivere tutte le anime del sound sotto la spessa coltre di epicità: la band sorprende per il songwriting di buon livello già dal primo album, con picchi come Flames Of The Horizon, Sea Of Stones e gli ultimi due movimenti prima della chiusura: le splendide The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland) e Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland).
Album che piacerà agli amanti dei suoni folk metal, epici e black, Down The White Waters ci chiede di riservare un po’ del nostro tempo alle sue composizioni, così da ritrovarci in un altra dimensione, galleggiando in un mare di emozioni pagane ed epiche.

Tracklist
01. Down The White Waters
02. Flames On The Horizon
03. Ash To Ash
04. Sea Of Stones
05. Springar
06. Seven Winters Long (The Lay Of Wayland)
07. In Chains (The Lay Of Wayland)
08. The Queen’s Lament (The Lay Of Wayland)
09. Chambers Of Stone (The Lay Of Wayland)
10. Outro

Line-up
Skaldir – Vocals, guitars, keyboards, bass
Morten – Lyrics, vocals

ASH OF ASHES – Facebook

Korpiklaani – Kulkija

Con questo lavoro il gruppo di Lahti ha dato un taglio di maggiore introspezione ai testi, senza per questo tralasciare le canzoni festanti e da bevuta, e una decisa virata verso il folk nella musica.

I finlandesi Korpiklaani (il clan della foresta) possono piacere o non piacere, ma sono forse il principale gruppo di folk metal mondiale, per seguito e per importanza storica, nel senso che se oggi si può parlare di folk metal è anche e soprattutto grazie a loro.

Il gruppo finnico è in giro dal 1993 sotto il nome di Shaman, e dopo il 2003 con l’attuale nome. La sua fusione di folk e metal, il tutto fatto nell’accezione più popolare e ballabile, è una formula di grande fascino e di divertimento assicurato, come si può vedere dagli affollatissimi e molto partecipati concerti. Inoltre i Korpiklaani sono un vero orgoglio nazionale, li fanno sentire anche nelle scuole, anche perché il metal in Finlandia è il genere più famoso ed amato. La loro poetica è incentrata sul folk metal, sul cantare nella propria lingua: questo è il quarto album in finlandese e sul parlare delle tradizioni della loro terra, ma più che altro del vivere e del sentire come genere umano. La loro ultima fatica Kulkija, che significa foresta, arriva a tre anni dalla precedente ed è quella più lunga, con ben quattordici canzoni che tengono incollato l’ascoltatore. Nella musica dei finnici ci sono tante cose, ma forse quella più importante è una dolcezza e una malinconia agrodolce che pervade il tutto, come una bella festa di paese dalla quale spiace davvero andare via. Per noi italiani sono un gruppo di difficile comprensione, del resto noi abbiamo Vasco Rossi al posto del clan della foresta, e non è una critica ma una semplice constatazione. Con questo lavoro il gruppo di Lahti ha dato un taglio di maggiore introspezione ai testi, senza per questo tralasciare le canzoni festanti e da bevuta, e una decisa virata verso il folk nella musica. Un disco divertente e profondo di un gruppo che regala grandi concerti, ma anche buoni dischi.

Tracklist
1. Neito
2. Korpikuusen kyynel
3. Aallon alla
4. Harmaja
5. Kotikonnut
6. Korppikalliota
7. Kallon malja
8. Sillanrakentaja
9. Henkselipoika
10. Pellervoinen
11. Riemu
12. Kuin korpi nukkuva
13. Juomamaa
14. Tuttu on ti

Line-up
Jonne Järvelä – vocals, acoustic guitar, mandolin, percussion, violafon –
Tuomas Rounakari – fiddle –
Cane – guitar, backing vocals –
Jarkko Aaltonen – bass –
Sami Perttula – accordion –
Matson Johansson – drums –

KORPIKLAANI – Facebook

Evilon – Leviathan

Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua.

La firma per Wormholedeath e gli svedesi Evilon possono partire alla conquista dei cuori guerrieri dei death metallers dai gusti melodici e folk.

La band, fondata tre anni fa dalla coppia di chitarristi Kenneth Evstrand e Jonny Sjödin, si affaccia sul mercato estremo con Leviathan, album di debutto su lunga distanza dopo Shores of Evilon, ep di cinque brani uscito lo scorso anno.
Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua, pregni di sfumature classiche, solos incisi sui manici delle spade e ritmiche che sono venti che spazzano il mare del nord in tempesta.
L’album ha una partenza fulminea con l’opener Eye Of The Storm e non si ferma più: uno dietro l’altro i brani si susseguono in un mare in burrasca di suoni metallici; a tratti l’anima folk avvolge di epica eleganza le note battagliere di brani trascinanti come la title track o la coppia di gioiellini melodic/folk/death come Sounds Of The Tomb e The King Of The Thousand Suns, con il singer Joel Sundell a radunare le truppe sul ponte del drakkar.
Leviathan risulta un gran bel disco, rappresentando il death metal melodico nella sua forma tradizionale, valorizzato da inserti folk epici e richiamando primi In Flames e Dark Tranquillity, così come Amorphis ed Eluveitie.
Grazie ad un songwriting eccezionale, Leviathan è una raccolta di brani perfetti nella loro natura estrema, melodica e guerriera; gli Evilon sono un gruppo di cui sentiremo sicuramente parlare ancora: ancora un grande colpo in casa Wormholedeath.

Tracklist
1. Eye of the storm
2. Sound of the tombs
3. Leviathan
4. Souldrainer
5. The king of a thousand suns
6. In the shadow of my grief
7. Welcome home
8. The sacred
9. Serpent eye
10. When the leaves are falling

Line-up
Kenneth Evstrand – Guitar/Choir
Jonny Sjödin – Guitar/Choir
Björn Wildjärn – Bass/Choir/Lead-Clean Vocals
Joel Sundell – Lead-Growling Vocals
Anders Hagen – Drums

EVILON – Facebook