Timo Tolkki’s Avalon – Return To Eden

Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.

La rinascita dei suoni classici nella seconda metà degli anni novanta passa anche dalla chitarra di Timo Tolkki, per anni leader degli Stratovarius, band di punta del power metal di matrice scandinava.

Basterebbero i due capolavori Episode e Visions per mettere tutti d’accordo riguardo al talento del funambolico chitarrista finlandese, poi perso tra i molteplici problemi di salute e tornato con alterne fortune con il mondo di Avalon.
Il suo progetto chiamato Timo Tolkki’s Avalon, infatti, ha dato alla luce due lavori, ma mentre il primo (The Land of New Hope), uscito nel 2013, si segnalava come un buon ritorno dopo anni di assenza dalle scene, il secondo album (Angels of the Apocalypse) non aveva mantenuto le promesse risultando un’opera scialba e senza nerbo.
Quindi è ovvio che un nuovo album di Tolkki susciti non poco interesse nella scena classica odierna e questa volta, grazie alle truppe tricolori corse in aiuto del chitarrista e ad una gruppo di ospiti titolati si può sicuramente affermare che Return To Eden è un album all’altezza della reputazione del musicista scandinavo.
Licenziato dalla nostrana Frontiers, Return To Eden vede la band formata da un manipolo di musicisti italiani, da Aldo Lonobile, chitarrista e co-produttore dell’album insieme a Tolkki, ad Andrea Buratto al basso e Antonio Agate alle tastiere e Giulio Capone alla batteria.
Come ospiti questa volta siamo davvero nel gotha del metal classico mondiale, con diversi talenti che si danno il cambio dietro al microfono come Zachary Stevens, Todd Michael Hall, Eduard Hovinga, Anneke Van Giersbergen e Mariangela Demurtas.
Savatage, Riot V, Elegy, The Gathering, Tristania: Timo come si dice oggigiorno “l’ha toccata piano” e, grazie ad una ritrovata ispirazione e all’aiuto di cantanti di livello superiore, dà vita ad un album convincente nel quale il power diretto, melodico e neoclassico ritrova la sua originaria forza.
Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.
Dopo le tante reunion che hanno coinvolto gruppi storici della scena metal mondiale, le voci che vorrebbero un ritorno di Timo Tolkki negli Stratovarius si fanno sempre più insistenti: vedremo, nel frattempo godiamoci questo ottimo Return To Eden.

Tracklist
01. Enlighten
02. Promises
03. Return To Eden
04. Hear My Call
05. Now And Forever
06. Miles Away
07. Limits
08. We Are The Ones
09. Godsend
10. Give Me Hope
11. Wasted Dreams
12. Guiding Star

Line-up
Todd Michael Hall – Vocals
Anneke Van Giersbergen –Vocals
Mariangela Demurtas – Vocals
Zachary Stevens – Vocals
Eduard Hovinga – Vocals
Timo Tolkki – Guitars
Aldo Lonobile – Guitars
Antonio Agate – Keyboards
Andrea Buratto – Bass
Giulio Capone – Drums

https://www.facebook.com/avalonopera

Saint Vitus – Saint Vitus

Il Saint Vitus bis è un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tra le tante band storiche decise a marcare nuovamente il territorio con un disco di inediti in questo periodo troviamo anche i Saint Vitus, nome che sta di diritto sul podio all time in ambito classic doom.

Autointitolare il disco, soprattutto se lo si è già fatto all’esordio trentacinque anni fa, può voler dire molte cose, come la chiusura del cerchio e quindi di un lungo percorso artistico oppure il simboleggiare un nuovo inizio, considerando che oltre a Dave Chandler qui alla voce possiamo nuovamente ascoltare l’altro membro fondatore Scott Reagers.
Personalmente questa è la configurazione che ho sempre preferito nei Saint Vitus, più ancora di quella comunque inattaccabile con Wino al microfono, e non è un caso che il mio album preferito sia alla fine Die Healing.
Questo ovviamente predispone ad un ascolto con occhi meno critici e molto più benevolo, ma del resto a questi arzilli sessantenni c’è ben poco da rimproverare visto che la loro interpretazione del genere è impeccabile, nonostante in più di un caso si provi ad uscire da schemi predefiniti, e il blues che sgorga da Hour Glass e il furioso punk hardcore della conclusiva Useless ne sono la più concreta testimonianza.
Chandler continua a proporre riff micidiali anche quando i brani prendono una strada più lisergica (A prelude…) e in generale l’album non delude in virtù anche di cavalcate che possono apparire scontate solo a chi conosce il doom in maniera superficiale.
Il Saint Vitus bis è quindi un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tracklist:
1. Remains
2. A Prelude to…
3. Bloodshed
4. 12 Years in the Tomb
6. Hour Glass
7. City Park
8. Last Breath
9. Useless

Line-up:
Dave Chandler Guitars
Scott Reagers Vocals
Henry Vasquez Drums
Pat Bruders Bass

https://www.facebook.com/saintvitusofficial

Welkin – Everlasting Echo Of A Farewell

Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Dal sottobosco musicale nazionale arrivano di continuo buone proposte che rinvigoriscono una scena rock/metal che, con tutte le problematiche e le conseguenti difficoltà di oggigiorno è ben presente e florida.

Questa volta abbiamo il piacere di presentarvi i Welkin, quartetto di Treviso attivo addirittura dal 1998 che tra cambi di line up e la solita gavetta sul fronte live arriva al 2019 con un nuovo lavoro intitolato Everlasting Echo Of A Farewell.
Francesco Bresolin(chitarra, voce), Arturo Trivellato (chitarra), Francesco Mocci (batteria), e Andrea Cenedese (basso), danno vita a sette tracce di rock moderno, melodico e alternativo, dove la parte metal mostra i muscoli solo a tratti, lasciando spazio ad atmosfere che mantengono un approccio riflessivo e malinconico.
L’opener Sacrifice irrompe con il suo metal che non nasconde un’anima progressiva, le chitarre ricamano solos di matrice Queensryche, su ritmi sostenuti, ma già dalla successiva Bleed, l’acustica si impadronisce della scena con accordi di delicato rock d’autore.
Molto curate le parti vocali, sia la solista che i chorus, mentre il sound continua ad alternare atmosfere pacate, e ritmi incalzanti sorretti da una buona dose di potenza e melodia.
Take Me The Horizon è un hard & heavy tra tradizione ed input alternative, metal/rock che come già sentito sulle altre tracce non manca di essere valorizzato da impennate progressive.
Ballatona da accendini accesi Part Of Me, metal potente e tecnico The World Behind e rock alternativo Break The Silence brano che conclude questa buona prova del gruppo Veneto.
Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Tracklist
1.Sacrifice
2.Bleed
3.Everything
4.Take Me To The Horizon
5.Part Of me
6.The World Behind
7.Break The Silence

Line-up
Francesco Bresolin – Guitars, Vocals
Arturo Trivellato – Guitars
Francesco Mocci – Drums
Andrea Cenedese – Bass

WELKIN – Facebook

Khanus – Flammarion

Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Flammarion è un disco del 2018 dei Khanus, gruppo finlandese di Oulu, che ha fatto il suo esordio nel 2016 con l’ep Rites Of Fire.

I Khanus propongono un black death metal di buona fattura, ben composto e ben suonato, però non scatta mai la scintilla, nel senso che l’ascoltatore non viene avvinto in maniera totale dalle loro trame sonore. Ci sono molti gruppi come i Khanus, certamente questi finlandesi appartengono al novero dei gruppi di qualità medio alta, ma Flammarion è un album molto standard per i generi black death, in quanto non c’è una fuga verso l’alto. Di certo è poco comune quanto azzeccata la scelta di cominciare con una cover dei norvegesi Darkthrone, The Serpent’s Harvest da Total Death del 1996, un brano che è una dichiarazione programmatica di intenti. Da qui comincia il disco che non è mai suonato in maniera velocissima, ma si dipana per mid tempo che poi lasciano spazio a sfuriate sempre abbastanza contenute. Come detto sopra il risultato è buono, ma troppo piatto per scatenare entusiasmo. Escono per I, Voidhanger Records, etichetta che ha sempre un’altissima qualità e questo disco sta nelle loro corde, ma non può competere con il resto del catalogo. Flammarion è un album nella media del black death, suonato da musicisti esperti e dalle evidenti capacità compositive, con le quali apportano anche alcune particolarità come il cantato che, in certi tratti, è quasi operistico. Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Tracklist
1.The Serpent’s Harvest (Darkthrone Cover)
2.A Timeless Sacred Art
3.Titan Souls
4.Ageless
5.The Uncreated
6.Secular Spiritual Existence
7.Surrupu
8.Magick And Numbers

Line-up
Meltiis – Soprano vocals and Choir
Lordt – Drums
Sovereign – Guitars, Bass, Vocals

KHANUS – Facebook

Cremisi – Dawn of a New Era

I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.

Un esordio che sicuramente non passerà inosservato quello dei Cremisi, quartetto proveniente dall’Emila Romagna (Bologna/Ravenna) che si presenta sul mercato metallico forte di una personalità debordante ed un album maturo, sia per le tematiche trattate che per il sound espresso.

La storia del nostro paese raccontata da un metal sinfonico, epico ed evocativo che accomuna prog metal, heavy classico e metal estremo sinfonico di matrice scandinava, è una delle caratteristiche principali di Dawn of a New Era e delle sue dieci composizioni, un viaggio nel tempo tra la scoperta delle Americhe e Leonardo Da Vinci, la caccia alle streghe e la peste del 1300, senza dimenticare l’arte e le sue opere, patrimonio della nostra storia.
I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.
Nei brani che i Cremisi hanno creato per dare vita a Dawn Of A New Era proliferano diverse anime musicali, a formare un sound vario ed estremamente affascinante: non manca nulla tra lo spartito di brani come The Black Death, Confession, In The Name Of The lord o la splendida Battle Of Lepanto, che tanto sa di ultimi Amorphis in una versione più epica e meno progressiva.
E poi Symphony X, Iron Maiden, Sabaton, Omnium Gatherum, ma finire l’articolo con i soliti paragoni non darebbe il giusto risalto al grande lavoro svolto dai quattro musicisti nostrani che hanno dato vita ad un’opera davvero molto suggestiva e matura già al debutto.

Tracklist
1.Dark Winds
2.The Black Death
3.Dawn of a New Era
4.Captain’s Log
5.Confession
6.In the Name of the Lord
7.Waves of Sorrow
8.Battle of Lepanto
9.The Hanged Man
10.On the Moon

Line-up
Federico Palmucci – Guitars
Davide Tomazzoni – Vocals
Francesco Messina – Bass
Rolando Ferro – Drums

CREMISI – Facebook

Abrahma – In Time for the Last Rays of Light

Illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.

Licenziano il loro terzo lavoro sulla lunga i parigini Abrahma, quintetto dal sound personale che molto bene aveva fatto in passato, specialmente con il precedente album uscito ormai quattro anni fa (Reflections In The Bowels Of A Bird).

La musica del combo non segnala grossi cambiamenti rispetto al passato, anche questa nuova opera, intitolata In Time for the Last Rays of Light si muove su coordinate stoner/doom, dalle sfumature evocative e a tratti vivacizzate da spartiti rock ed alternative metal.
Sempre illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.
L’opener Lost Forever risulta il brano più diretto, usato non a caso come singolo e video, poi da Lucidly Adrift in poi veniamo catapultati in un’atmosfera in cui i vari generi esposti formano un altare musicale dal quale gli Abrahma decantano il loro verbo.
Band dal sound personale, il quintetto transalpino mostra i muscoli in brani come Last Epistle, dove si concentrano le anime più alternative in seno al gruppo, tra The God Machine ed Alice In Chains, mentre lo sludge/doom della monolitica Wander In Sedation riporta l’album in territori desertici.
Se non conoscete ancora la band francese, immaginate una lunga jam composta da Orange Goblin, Yob, Monster Magnet e gli altri nomi precedemente citati, ed avrete un’idea di quello che ascolterete in questo affascinante lavoro.

Tracklist
1.Lost Forever
2.Lucidly Adrift
3.Eclipse of the Sane Pt.1: Isolation Ghosts
4.Dusk Contemplation…
5….Last Epistle
6.Wander in Sedation
7.Eclipse of the Sane Pt. 2: Fiddler of the Bottle
8.There Bears the fruit of Deceit

Line-up
Sébastien Bismuth – Vocals, Guitars
Florian Leguillon – Guitars, Vocals
Benoit Carel – Guitars, Synths & Effects
Romain Hauduc – Bass, Vocals
Baptiste Keriel – Drums, Vocals

ABRAHMA – Facebook

Chaos Factory – Horizon

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.

Ambiziosa e oltremodo coraggiosa la proposta dei nostrani Chaos Factory, al debutto per Underground Symphony con Horizon, opera metal che unisce power, heavy e spunti sinfonici progressivi in un concept “raccontato” da Luca Ward, voce di Russel Crowe nel Il Gladiatore, capolavoro cinematografico di Ridley Scott.

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.
Sono dettagli, questi, che potrebbero far perdere qualche punto ad un lavoro che merita la giusta attenzione, perché la band ha creato un sound che, pur evidenziando le sue molteplici influenze, ha la personalità per uscire dall’anonimato in un genere nel quale in termini musicali si è detto tutto o quasi.
Concept a parte (una serie di riflessioni sulla condizione umana), Horizon musicalmente è un piccolo gioiello di metal classico, i brani sono tutti benedetti da un ottimo appeal, trattandosi di una serie di cavalcate power alternate a magniloquenze sinfoniche, atmosfere progressive e hard & heavy, con il gruppo sugli scudi sia per la ricerca del chorus e del refrain perfetto che per il buon uso degli strumenti.
Human Orogeny, We Believe, Juggernaut Is Coming e Running Wild valorizzano il primo cd, mentre sul secondo la band si lascia prendere la mano dalla parte recitata, atmosferica e sinfonica di cui si compone l’album.
Horizon rimane comunque un lavoro da ascoltare con l’impegno che merita, ricco com’è di atmosfere e sfumature che avvicinano la band a icone del genere come Rhapsody, Stratovarius, Labyrinth ed alle colonne sonore di Ennio Morricone.

Tracklist
CD1
01. Human Orogeny
02. Crystalline
03. We Believe
04. Juggernaut Is Coming
05. Affinità Morenti
06. Whispers in the Dark
07. Universal Flow
08. Horizon
09. Come Lacrime Nella Pioggia
10. Running Wild
11. Sins of the Lambs
12. Polychrome Glows
CD2
01. And Zarathustra Said: Horizon
02. Sento La Morte Nel Sogno Che Viene
03. Drying Her Tears
04. In the Depths of the Void
05. L’ultima Madre
06. The Doom of Destiny
07. Nel Profondo Dell’universo
08. Blue Steams
09. Al Calar Della Luce
10. Chaos Variation XVIII

Line-up
Francesco Vadori – Vocal
Luca Moser – Guitar
Mattia “HeadMatt” Carli – Guitar
Diana Aprile – Drums
Fabio Sartori – Bass

CHAOS FACTORY – Facebook

Bullet – Bullet Live

Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.

Questo live è un inno all’hard & heavy, un rito di cui non potrete esimervi di presenziare se vi considerate true metallers di origine controllata.

D’altronde la missione degli svedesi Bullet è sempre stata quella di portare in giro per i palchi il loro tributo ad un genere e ad uno stile di vita consolidati, una sfacciata e alquanto riuscita riproposizione di cliché abusati all’infinito ma di cui non potremmo farne a meno ogni tanto.
E allora buttatevi con birra in mano e pugno alzato tra le prime file di questo live che ripercorre le gesta del gruppo svedese, attivo da quasi vent’anni e con il suo bottino di sei album di cui l’ultimo uscito un annetto fa.
Il quintetto scandinavo mantiene quello che promette, con il palco messo a ferro e fuoco grazie ad una energia liberata in diciotto dei brani più significativi e riusciti del loro repertorio che, chiariamolo, non si scosta di un millimetro dal tributare il sound leggendario di Ac/Dc e Accept, con un tocco qua e là di Judas Priest ad aumentare la temperatura quando le chitarre si lanciano in solos che sono il pane e la birra del genere.
Una serie di inni che non lasciano scampo, ci investono in tutta la loro metallica forza, tra sudore, alcool ed attitudine così come il genere esige.
Bullet Live è un album che una volta schiacciato il tasto play vi tiene per le palle, vi obbliga con la sua forza ed energia a rimanere incollati allo stereo mentre una per una passano le varie tracce, in un tripudio di note già sentite migliaia di volte ma irrinunciabili anche questa volta.
Storm Of Blade, Turn It Up Loud, Speed And Attack, Ain’t Enough, Highway Love e Bite The Bullet, prima di essere canzoni, sono inni e questo live è un tributo imperdibile all’hard & heavy e al suo mondo.

Tracklist
CD1
1. Uprising
2. Storm Of Blades
3. Riding High
4. Turn It Up Loud
5. Dusk Til Dawn
6. Dust To Gold
7. Rambling Man
8. Bang Your Head
9. Hammer Down

CD2
1. Speed And Attack
2. Ain’t Enough
3. Rolling Home
4. Heading For The Top
5. Stay Wild
6. Fuel The Fire
7. Highway Love
8. The Rebels Return
9. Bite The Bullet

Line-up
Hell Hofer – Vocals
Hampus Klang – Lead Guitar
Alex Lyrbo – Lead Guitar
Gustav Hector -Bass
Gustav Hjortsjö – Drums

BULLET – Facebook

Dispnea – Incitement To Self Destruction

Questo ep d’esordio intitolato Incitement To Self Destruction potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Autore – Titolo

Testo Recensione
I Dispnea sono un gruppo di Napoli all’esordio con questo ep uscito a maggio.

La proposta musicale è un black metal di tipo depressive di buona qualità, non necessariamente confinato nel recinto di quel sottogenere. Infatti, a differenza di altri gruppi simili, i partenopei producono composizioni di più ampio respiro, andando ad esplorare tutto il black metal, essendo legati a quello classico come punto di partenza. Il disco è un fiume in piena di dolore sublimato attraverso il genere, che in questo caso è il veicolo ed il codice migliore per esprimersi. I quattro brani dell’ep trattano di cose che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle, di eventi che ci vengono contrabbandati per normali ma che normali non sono affatto. La nostra vita quotidiana è un potentissimo generatore di dolore, un continuo allontanamento dalla nostra vera natura, in un loop senza speranza. I Dispnea mettono tutto ciò in questo ep attraverso un black metal che picchia forte e contiene una melodia di qualità superiore, con una composizione molto semplice e molto efficace che fa di questo gruppo uno dei migliori della nuova legione italiana di black metal. Ascoltando i Dispnea si viene condotti in un viaggio molto bello e particolare nel black maggiormente ortodosso e classico, che però non essendo un dogma qui viene innestato anche di momenti meno tradizionali. Come prima prova è sicuramente buona e questo ep d’esordio potrebbe rivelarsi uno dei classici degli ultimi anni del genere in Italia: chi ama il black metal qui troverà molte perle nere, confermando la scuola napoletana del nero metallo fra le più efficaci.

Tracklist
1.Winter Suicide
2.Distorted Thoughts
3.AB Negative
4.Perpetua Pena

Line-up
I. – LYRIC, SCREAMS
E. – SONGWRITING, INSTRUMENTS
T. – SESSION BASS

DISPNEA – Facebook

Narnia – From Darkness to Light

Contenuto musicale (link youtube – codice bandcamp – codice soundcloud)
I Narnia odierni sono un’ottima band classic metal, la cui maggiore caratteristica è fondere il power metal di matrice svedese con l’hard & heavy tradizionale, mettendo in risalto l’aspetto melodico di cui sono ricche le tracce che compongono l’album.

Nuovo lavoro anche per i Narnia, band dalle sonorità power neoclassiche che gli amanti del genere dovrebbero conoscere, almeno per gli ottimi lavori usciti nella seconda metà degli anni novanta, sulla scia del ritorno sul mercato dei suoni metal tradizionali.

E’ in quel periodo infatti che il gruppo capitanato dal polistrumentista Carl Johan Grimmark diede alle stampe le sue opere migliori, con in testa l’epico Long Live The King, uscito nel 1998.
Una carriera a singhiozzo ha in parte frenato i Narnia, tornati con il precedente album omonimo in buona forma, confermata dopo “soli” tre anni da questo nuovo album intitolato From Darkness to Light che, seguendo la scia del disco uscito nel 2016, continua a cavalcare la strada di un power robusto e diretto, pregno di mid tempo dal flavour epico, ricamato da tastiere hard rock e chitarre ispirate al metal neoclassico, anche se non più come in passato.
I Narnia odierni sono un’ottima band classic metal, la cui maggiore caratteristica è fondere il power metal di matrice svedese con l’hard & heavy tradizionale, mettendo in risalto l’aspetto melodico di cui sono ricche le tracce che compongono l’album.
Per chi non ha mai avuto il piacere di imbattersi nel quintetto svedese, From Darkness to Light rappresenta un buon esempio di musica metal ispirata da Rainbow e Royal Hunt, con qualche impennata più possente di matrice Stratovarius, elegante e raffinata quel tanto che basta per piacere anche agli amanti dell’hard rock melodico nato tra le nevi scandinave.
Ottima anche su questo lavoro la prova di Christian Liljegren dietro al microfono e di alto livello la tracklist, che trova nell’opener A Crack In The Sky, nel mid tempo epico Has The River Run Dry, nella aor oriented I Will Follow e nelle due parti della title track delle ottime ragioni per rendere From Darkness to Light un album raccomandato agli amanti dei suoni classici.

Tracklist
1.A Crack in the Sky
2.You Are the Air That I Breathe
3.Has the River Run Dry
4.The Armor of God
5.MNFST
6.The War That Tore the Land
7.Sail On
8.I Will Follow
9.From Darkness to Light (Part 1)
10.From Darkness to Light (Part 2)

Line-up
Carl Johan Grimmark – Guitar & backing vocals
Christian Rivel-Liljegren – Vocals
Andreas Johansson – Drums
Martin Härenstam – Keyboards
Jonatan Samuelsson – Bass

NARNIA – Facebook

Tanin’iver – Anno Domini Nostri Satanas

Anno Domini Nostri Satanas risulta un album evil, dove alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.

I Tanin’iver sono un’oscura realtà estrema proveniente dall’Australia, composta dal tastierista e cantante Skorpa e dal chitarrista e bassista Asmodeus, nome d’arte in questo nuovo gruppo del polistrumentista Aidan Cibich, conosciuto per i due album della one man band Apophis di cui vi abbiamo parlato in occasione dell’uscita dei due full length, Under A Glossed Moon del 2017 e Virulent Host uscito lo scorso anno.

Il sound del duo si allontana in modo netto dal death metal strumentale del gruppo di Cibich per abbracciare la fiamma nera del nero metallo a sfondo luciferino caro alle orde sataniche Nord europee.
Anno Domini Nostri Satanas risulta un album in cui alle atmosfere nere come la pece ed un’attitudine cattivissima si aggiunge una bravura strumentale oltre la media, con la chitarra ad urlare solos dolorosi e dall’impronta melodica su di una struttura classicamente black.
Una settantina di minuti studiati e presentati al pubblico estremo come esempio di magniloquente black metal di matrice Dimmu Borgir/primi Satyricon, forse troppi per il genere, ma bisogna dare atto al duo australiano di non perdere il confronto con le proprie importanti influenze, grazie ad una track list che non perde colpi neppure sulla lunga distanza.
Lo scream diabolico di Skorpa si eleva su di un sound che risulta un armageddon di metal estremo, con la sua dose melodica ben in evidenza , cavalcate true black metal si alternano a sinfonie metalliche devastanti e rallentamenti di gelido terrore, per poi colpire con l’arma migliore dei Tanin’iver : la chitarra di Asmodeus.
Spira il vento da nord a raggelare brani corposi e medio lunghi come Golgotha, Steed Of Lilith e The Burning Of The Second Temple con la conclusiva e strumentale …As They Do To You a a far scorrere i titoli di coda ad un lavoro largamente riuscito.
Se volete ascoltare qualcosa di veramente cattivo e morbosamente di genere, Anno Domini Nostri Satanas è un lavoro altamente consigliato, una nera perla in arrivo dall’underground estremo australiano.

Tracklist
1.Do Unto Others…
2.Thrice Cursed Are The Weak
3.Golgotha
4.Bloodlines
5.The Steed Of Lilith
6.The Burning Of The Second Temple
7.Ahura Mazda
8.Angra Mainyu
9…..As They Do To You

Line-up
Asmodeus – Guitars, Bass
Skorpa – Vocals, Keyboards

TANIN’IVER – Facebook

DODSFALL – Døden skal ikke vente

Ottimo lavoro per i norvegesi capitatati dal messicano Ishtar che, coadiuvato dall’ottimo drummer Telal, ci propongono – dopo ben 5 anni dall’ultimo full length – 9 tracks (più outro) di puro, vero e sacrosanto (si fa per dire…) satanico Black Metal Scandinavo.

Il quinto lavoro del duo originario di Bergen è decisamente da considerarsi l’album più riuscito, grazie anche ad una produzione pressoché perfetta, curata da Tore Stjerna (Mayhem, Behexen, e Watain). Rispetto al passato, cresce la padronanza degli strumenti dei Nostri e, soprattutto la chitarra di Ishtar, diviene parte fondamentale di un lavoro di grande impatto, mai alienato a schemi prefissati, mai stereotipato, né troppo scontato e né oltre misura convenzionale.

Ciò che ne emerge, è un sound decisamente personalizzato, arricchito da forti accenti melodici (ma mai troppo ruffiani), e momenti di vero e puro Thrash (come in “Svarta Drömmar” e nella successiva “Grå Himlar”), soprattutto nei mid-tempo, che inframezzano velocità, tipiche del genere, sempre guidate sapientemente da Mr.Israel (così pare essere il suo nome da “umano”). Dopo “Kaosmakt”, già si percepiva che il processo di maturazione avrebbe ben presto (si fa per dire, ci sono voluti 5 anni per vederli nuovamente approdare sulle scene con un nuovo album..) portato al lavoro definitivo. “Døden Skal Ikke Vente” è quanto di meglio un fan di Immortal, Urgehal, Tsjuder (ma non così violenti), Carpathian Forest (sebbene leggermente meno atmosferici della band di Nattefrost) possa chiedere; se poi aggiungiamo un pizzico di Taake e diamo una rapida occhiata agli svedesi Rimfrost…il gioco è fatto! Il sound sostenuto e profondamente marziale di un brano come “Kampsalmer”, pare provenire direttamente da “Northern Chaos Gods” (mi si conceda un piccolo paragone al capolavoro del 2018…). I ritmi dettati dal drummer Telal (Astaroth, Kvalvaag, Troll) sono perfetti, mai improvvisati, ed in alcuni pezzi, come detto, fanno l’occhiolino al Thrash Metal, nel medesimo istante in cui i riff di Ishtar graffiano i nostri padiglioni auricolari, tentandoci ad un headbanging, in puro stile ottantiano (ma decisamente più moderno e “fresco”). La voce di Ishtar è perfetta per il genere; va a sostituire in primis quella dei primi album, di Vassago Rex (fondatore ed unico membro ufficiale dei blacksters Arvas) ed in secundis quella di Adramelech (Svarthaueg) presente su “Djevelens Evangelie” e “Kaosmakt”. Il risultato, è decisamente più suggestivo e, con tutto il rispetto per i precedenti “screamers”, Ishtar è un gradino superiore (forse due).Una curiosità proprio su Ishtar. Le sue fortune giunsero solo quando poco più di dieci anni fa, decise che il Messico (si, perché Is – come spesso si fa chiamare – è nato a León, popolosa città situata nell’epicentro dell’immenso stato Centro-Americano) non poteva garantirgli le risorse necessarie per la lunga scalata verso il successo musicale; d’altronde, per una band Black Metal, quale altra nazione, potrebbe competere con la patria del Metallo Nero? E’ anche interessante sapere che alcuni progetti “messicani” (nonostante la distanza siderale tra la sua attuale residenza, la Svezia, e la sua terra natia) proseguono tranquillamente (i deathsters Deformate e i doom deathsters Sorrowful, ad esempio). Testi rigorosamente in norvegese (mi chiedo come potrà essere la pronuncia, viste le differenze abissali tra le due lingue) e ovviamente, unicamente improntati sui rigidi schemi del satanismo e della misantropia, fanno da cornice ad un lavoro classico nel suo genere, ma non per questo evitabile; anzi, una collezione Black che si rispetti, non può certo essere deficitaria di “Døden Skal Ikke Vente”. Che altro aggiungere? Buon acquisto!

1. Hemlig vrede
2. Tåkefjell
3. Svarta drömmar
4. Grå himlar
5. Kampsalmer
6. I de dødens øyne
7. Ødemarkens mørkedal
8. För alltid i min sjæl
9. Ondskapelse
10. Skogstrollet

Ishtar – Vocals, Guitars, Bass
Telal – Drums

DODSFALL – Facebook

Age Of The Wolf – Ouroboric Trances

Un debutto di tutto rispetto per gli Age Of The Wolf, band consigliata ai fans di Baroness, Dopelord, Altar of Betelgeuze e Sumoken

Dal Costa Rica arriva questo fiume di lava stoner/sludge/doom dal titolo Ouroboric Trances, primo lavoro sulla lunga distanza degli Age Of The Wolf.

La band tramite Aural Music licenzia questo monolitico esempio di un genere che ad oggi sta regalando grandi soddisfazioni ai suoi fans e le otto tracce di cui è composto confermano questo picco qualitativo che, partendo dall’underground, coinvolge le scene più svariate in tutto il mondo.
Il quartetto, fin dall’opener Herald Of Abyssos, alza spessi muri di fuzz, i tempi si mantengono lenti, l’atmosfera lavica e le melodie si fanno largo con fatica tra riff potentissimi.
Le armonie iniziali di Goliath si trasformano in una marcia monolitica verso la cima del vulcano che, di lì a poco, vomiterà morte in The Crimson Penitence e troverà strade più tradizionalmente stonerizzate in Goddess Of The Hunt e Bloodrage.
Il lungo incedere di Molten Earth conclude un debutto di tutto rispetto per gli Age Of The Wolf, band consigliata ai fans di Baroness, Dopelord, Altar of Betelgeuze e Sumoken.

Tracklist
1. Herald of Abyssos
2. Unholy
3. Goliath
4. The Crimson Penitence
5. Goddess of the Hunt
6. Witches’ Gallows
7. Bloodrage
8. Molten Earth

Line-up
Christopher de Haan – Vocals, Guitars
Beto Ramirez – Vocals, Guitars
Jorge Camacho – Vocals, Bass
Gabriel Ortiz – Drums

AGE OF THE WOLF – Facebook

Holy Tide – Aquila

Aquila ha tutte le carte in regola per fa innamorare gli amanti dei suoni hard & heavy, melodici e dal taglio sinfonico e progressivo.

Un’altra notevole opera di metallo classico, melodico e progressivo licenziato dalla My Kingdom Music arriva dagli Holy Tide , band internazionale che vede il compositore e bassista italiano Joe Caputo coadiuvato dai brasiliani Gustavo Scaranelo (chitarra) e Fabio Caldeira (voce) e dal britannico Michael Brush (batteria).

Con la collaborazione di un buon numero di ospiti tra cui Tilo Wolf, singer dei dark/gothic tedeschi Lacrimosa, sul brano Lamentation, e Don Airey, tastierista dei Deep Purple, su The Shepherd’s Stone, Aquila ha tutte le carte in regola per fa innamorare gli amanti dei suoni hard & heavy, melodici e dal taglio sinfonico e progressivo; si tratta di un’opera a sfondo biblico che, se nulla aggiunge alle tante uscite che si sono succedute nel corso degli anni a livello di originalità, merita un plauso per un songwriting molto ben bilanciato tra potenza e melodia, drammaticamente teso nelle atmosfere ricche di sfumature evocative e di epici quadri musicali.
Aperto da una suggestiva intro orchestrale, Aquila prosegue con l’epica cavalcata Exodus, tra ritmiche power che accompagnano un hard & heavy valorizzato da splendidi arrangiamenti orchestrali che non inficiano la potenza del brano.
L’album viaggia su coordinate non lontane dal power sinfonico di Rhapsody et similia, anche se gli Holy Tide dalla loro hanno una maggiore predisposizione per melodie di stampo melodic hard rock, anche quando la forza metallica esce prorompente come in Chains Of Enoch.
L’hammond di Don Airey in The Sheperd’s Stone e la voce di Tilo Wolf nell’oscura Lamentation sono i valori aggiunti di un lavoro affascinante e suggestivo, da gustare in tutti i suoi settanta minuti intrisi di ottimo metallo classico.

Tracklist
1. Creation – The Divine Design
2. Exodus
3. Chains Of Enoch
4. Godincidence
5. Curse And Ecstasy
6. Eagle Eye
7. The Crack Of Dawn
8. Lord Of The Armies
9. Sunk Into The Ground
10. The Age Of Darkness
11. The Shepherd’s Stone
12. Lamentation
13. Return From Babylon
14. The Name Of Blasphemy

Line-up
Joe Caputo – bass
Michael Brush – drums
Fabio Caldeira – vocals
Gustavo Scaranelo – guitars

Guests:
Tilo Wolff (LACRIMOSA): voice on “Lamentation”
Don Airey (DEEP PURPLE): hammond on “The Shepherd’s Stone”
Assunta Caputo: Harp on “Curse And Ecstasy” & “The Crack Of Dawn”
Gabriele Stotuti: Trumpet on “Curse And Ecstasy”
Peppe Frana: Oud on “Return From Babylon”
Patricia Klein Caputo: Speaking voice on “Sunk Into The Ground”
Nico Falco: Orchestrations
Kris Laurent: Arrangements. Kris Laurent played all guitars on “Aquila”

HOLY TIDE – Facebook

Majestica – Above The Sky

Una dozzina di brani spettacolari, tra epiche cavalcate power, melodie hard rock, tappeti di tastiere ben posizionati e cori dal grande appeal, rendono Above The Sky l’album melodic power metal che i fans aspettavano da anni.

C’era una volta una band power metal svedese chiamata Reinxeed che incise sei full length tra il 2008 ed il 2013.

Tommy Johansson, chitarrista e cantante nonché leader del gruppo un giorno fu chiamato alla corte dei Sabaton, una delle band odierne più famose al mondo, almeno per quanto riguarda le sonorità power.
I Reinxeed si fermarono per un paio d’anni con un album nel cassetto in attesa di vedere la luce, cosa che finalmente avviene tramite la Nuclear Blast in questo periodo.
La novità più importante da registrare è il cambio di monicker in Majestica ed un sound molto più diretto e melodico che ne fa decisamente l’album power metal dell’anno.
Above The Sky risulta così uno straordinario esempio di quel metal che conquistò i cuori dei true defenders nella seconda metà degli anni novanta, tra scuola tedesca e scandinava.
Un’ora in compagnia di quelle melodie che fecero la fortuna artistica e commerciale di Gamma Ray e Stratovarius, ed in seguito Edguy e Freedom Call, un ritorno in pompa magna delle gesta scritte e suonate da Hansen e Tolkki su album epocali come Land Of The Free, Somewhere Out In Space, Episode e Visions, o anche su Vain Glory Opera (Edguy) e Stairway To Fairyland (Freedom Call).
Una dozzina di brani spettacolari, tra epiche cavalcate power, melodie hard rock, tappeti di tastiere ben posizionati e cori dal grande appeal, rendono Above The Sky l’album melodic power metal che i fans aspettavano da anni.
Dalla title track in poi è un susseguirsi di melodia e velocità, colpi di genio come la parentesi ispirata al can can su Father Time (Where Are You Now) o le tastiere che ricordano gli Edguy, della title track dell’album citato in precedenza, nell’epica The Legend.
Si preme sull’acceleratore delle emozioni con una tracklist senza pause, supportata dalla locomotiva Uli Kusch alla batteria e da un sound che trova nelle melodie e nella facile presa dei brani i suoi punti di forza.
Il 2019 è pieno di piacevoli sorprese e di molte conferme che danno lustro al mondo metallico in toto, e ciò avviene grazie anche a lavori di spessore come Above The Sky, che potrebbe diventare un punto di riferimento per un ritorno del power metal ai fasti passati.

Tracklist
01. Above The Sky
02. Rising Tide
03. The Rat Pack
04. Mötley True
05. The Way To Redemption
06. Night Call Girl
07. Future Land
08. The Legend
09. Father Time (Where Are You Now)
10. Alliance Forever

Line-up
Tommy Johansson – Vocals, Guitars
Alex Oriz – Guitars
Chris David – Bass
Uli Kusch – Drums (studio)
Daniel Sjoegren – Drums (live)

MAJESTICA – Facebook

Black Flame – Necrogenesis : Chants From The Grave

Spesso si ascoltano dischi black death metal che sono appena sufficienti, per non dire altro, poi arrivano i Black Flame e mettono a posto tutto, forse perché oltre al talento hanno quella marcia in più che deriva dal credere per davvero in ciò che si sta facendo.

Sesto disco per questa storica band italiana di black death metal, sempre una garanzia per chi ama le sonorità nere.

Nato nel 1998 nella Torino che non vive sotto la luce del sole, con l’avanzare dei dischi e degli anni il gruppo è diventato una delle perle del sottobosco black metal italiano e con questa nuova opera lo ribadiscono molto bene. Lo stile dei Black Flame è un black con un death molto pulsante, per sfuriate prepotenti e marce, con un passo che molti altri gruppi dello stesso sottogenere non possiedono affatto. Le otto tracce del disco sono un manuale su come fare un black death underground di alto valore, senza mai tradire i propri valori e dando tantissimo all’ascoltatore. Il gruppo torinese rende tangibile la sua passione per queste sonorità, il sudore che da venti e passa anni viene profuso per queste sonorità, che sono un qualcosa che se ti inquinano il cuore non vanno più via. Il disco è forse il punto più alto di questa band che non ha bisogno di presentazioni nel sottoterra musicale, e che ha sempre una qualità ben definita. Per questo nuovo lavoro il gruppo ha scavato nella propria occulta bestialità ancora più a fondo e raccoglie i risultati di questa blasfemia. Otto canzoni che rimangono ben impresse nella mente delle teste metalliche, e che sicuramente non sono l’atto finale di una carriera davvero onorevole. Spesso si ascoltano dischi black death metal che sono appena sufficienti, per non dire altro, poi arrivano i Black Flame e mettono a posto tutto, forse perché oltre al talento hanno quella marcia in più che deriva dal credere per davvero in ciò che si sta facendo. Un gruppo estremo che fa musica estrema e non sbaglia un disco.

Tracklist
1. Necrogenesis
2. Atra Mors
3. Morbid Worship
4. Reverse Chants And Rusty Nails
5. The Breath Of The Mud
6. From My Depths
7. Mater Larvarum
8. A Grave Full Of Serpents

Line-up
Cardinale Italo – Guitars & Vocals
m:A Fog – Drums
Silent – Bass
Tiorad – Guitars

BLACK FLAME – Facebook

In Aevum Agere – Canto III

Con Canto III, gli Aevum Agere si confermano, per personalità e talento, una delle massime espressioni per quanto riguarda il classic doom.

Per gli amanti dell’epic doom metal di stampo classico, il ritorno dei nostrani In Aevum Agere è un appuntamento immancabile grazie ad una reputazione che col tempo si è consolidata, non solo per il valore dei lavori precedenti, ma anche per l’ottima qualità delle opere che vedono protagonista il suo leader Bruno Masulli, dai Annihilationmancer, ai Power Beyond, passando per i Miti Eterni.

Un artista senza dubbio di spessore, con un debole per la storia e la cultura dei popoli che hanno vissuto nel corso dei secoli sul suolo italico e che hanno trovato in lui uno dei cantori più accreditati nel mondo del metal underground.
Gli In Aevum Agere sono attivi da ormai quindici anni e oggi, con Piersabato Gambino al basso e Claudio del Monaco alla batteria, sono un trio potentissimo, dal sound classico che amalgama alla perfezione mid tempo doom metal e sferzate hard & heavy di matrice old school.
Il nuovo album dal titolo Canto III, ispirato ovviamente al poema dantesco, è composto da sette brani più tre intermezzi recitati, per tre quarti d’ora in compagnia di quelle sonorità che hanno fatto la storia del doom metal classico.
Il sound poggia le sue basi sulla tradizione, e da lì si muove, inesorabile, verso la montagna sacra del genere dove ci si imbatte nella nobiltà di un genere immortale come il doom epico.
La voce evocativa di Masulli interpreta e racconta le vicende del leggendario cantico con la personalità dei grandi, la chitarra sfodera riff mastodontici, splendidamente classici e fortemente heavy; il viaggio prende avvio con il doom debordante di L’Uom S’Etterna, seguita dalla tellurica No Hope Of Death, una coppia di pachidermiche tracce che traccia le linee guida di un album suggestivo e affascinante, che non cade nel tranello della prolissità e mantiene alta l’attenzione di chi ascolta grazie ad un songwriting di altissimo livello.
Nello spartito di The Great Refusal (Ignavus), Anti-Inferno/Limbus Animae e Voices Of My Solitude, si trovano non pochi riferimenti al sound di Candlemass, Solitude Aeturnus e Solstice, con il valore aggiunto di una personalità ed un talento che fanno degli In Aevum Agere una delle massime espressioni per quanto riguarda il classic doom.

Tracklist
1. L’uom s’etterna
2. No Hope of Death
3. Intro I
4. The Great Refusal (Ignavus)
5. Intro II
6. Minòs
7. Anti-Inferno / Limbus Animae
8. Epigrafe
9. Canto III
10. Voices of My Solitude

Line-up
Bruno Masulli – Guitars/ vocals
Piersabato Gambino – Bass
Claudio Del Monaco – Drums

IN AEVUM AEGERE – Facebook

Alberto Rigoni – Prog Injection

Un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riesce ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.

Ennesima opera strumentale per il talentuoso bassista e compositore nostrano Alberto Rigoni (BAD As, Vivaldi Metal Project, The Italians, ex Twinspirits), questa volta accompagnato alla batteria da Thomas Lang (Glenn Hughes, Paul Gilbert e Peter Gabriel) e da Alessandro Bertoni, tastierista residente a Los Angeles dove lavora come insegnante di musica e session in studio e dal vivo.

Prog Injection è composto da otto brani di rock strumentale progressivo, con il basso di Rigoni che detta ritmiche su cui la batteria di Thomas Lang ha il suo ruolo importantissimo e le tastiere ricamano melodie di diverso approccio e sfumature; un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riescono ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.
Bellissima Omega, la traccia più “leggera” dell’album, dove gli strumenti scorrono liberi sullo spartito progressivo scritto da Rigoni, ed altrettanto notevole la successiva Liquid, dalle tastiere che in alcuni momenti ricordano i Goblin più psichedelici.
Il resto di Prog Injection veleggia leggero su acque di rock progressivo di alto livello, assolutamente consigliato agli amanti del rock strumentale, conferma il talento del bassista e dei suoi bravissimi ospiti.

Tracklist
1. XYX
2. Metal Injection
3. Blood Shuga
4. Death Stick
5. Omega
6. Liquid
7. Low and Disorder
8. Iron Moon

Line-up
Alberto Rigoni – Bass and Chapman stick
Thomas Lang- Drums
Alessandro Bertoni – Keyboards
Jeff Hughell – Bass on track 4.

ALBERTO RIGONI – Facebook

Majesty Of Revival – Timeless

Timeless è un’autentica sorpresa e non può mancare nel lettore degli amanti della musica progressiva fuori dai soliti cliché.

I Majesty Of Revival sono un gruppo ucraino in attività da una decina d’anni e giunto con questo ottimo Timeless al quarto lavoro sulla lunga distanza.

Fresco di firma con Wormholedeath, il quartetto prende le distanze dal sound classico dei primi album per dedicarsi ad una sorta di crossover progressivo che rende questo nuovo lavoro a suo modo originale nell’universo metallico underground.
Timeless è composto da una decina di brani per quaranta minuti abbondanti di saliscendi compositivi, tra venature alternative, anima progressive e metal che sicuramente guarda più al futuro che al glorioso passato.
Dimitriy Pavlovskiy e compagni danno vita ad un caleidoscopio di note e suoni, violenti ed estremi, crepuscolari o progressive di notevole bellezza, passando da atmosfere ed ispirazioni diverse senza mai perdere il filo di un discorso che trova nelle spettacolari scale musicali tra melodia e furia estrema di S7 e della title track i suoi apici.
In Timeless si trova più di un richiamo a band distanti tra loro ma dalla genialità compositiva quale comune denominatore, un mix spettacolare e che lascia senza fiato di Voivod, Primus, Mars Volta e Devin Townsend, tutto racchiuso in un unico sound.
Timeless è un’autentica sorpresa e non può mancare nel lettore degli amanti della musica progressiva fuori dai soliti cliché.

Tracklist
01. Destroy Space
02. Disposable Clown
03. Void
04. S7
05. Dream Dealer
06. Sinners & Saints
07. Doppelgänger
08. Consciousness Beyond..
09. Timeless
10. Bury Me

Line-up
Dimitriy Pavlovskiy – Guitars, Vocals
Vladimir Yakubovsky – Keyboards
Tom Penzel – Bass
Vasiliy Irzak – Drums

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