Watchtower – Concepts of Math: Book One

EP più lineare, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

Quanto abbiano dato i Watchtower all’heavy metal forse lo sanno in pochi, ma si può chiedere a gente come Dream Theater, Death, Atheist, Sieges Even, Spiral Architect, Twisted Into Form.

Questi extraterrestri del pentagramma, prima nel 1985 con Energetic Disassembly e poi nel 1989 con il capolavoro Control and Resistance, hanno dato l’input a tutta una serie di band hi-tech metal, nonché extreme-prog.
Perciò per chi come me adora questi texani, l’attesa di un nuovo album è stata veramente lunga, e queste 5 tracce (4 già pubblicate in digitale nel corso negli ultimi 5 anni) sono già un piccolo tesoro musicale.
In attesa del full-length Mathematics (spero presto!) immergiamoci in questo primo libro di matematica metallica. La strumentale M-Theory Overture apre alla Spastic Ink e la macchina perfetta dei texani ci trascina sulla giostra schizofrenica diretta dal maestro Jarzombek. L’estro creativo e i tecnicismi della successiva Arguments Against Design spezzano l’ascoltatore meno avvezzo a tali sonorità. Il basso di Keyser è in primo piano, ossessivo, e con l’entusiasmante drumming di Colaluca è come essere intrappolati tra le rapide di un fiume impetuoso.
Non c’è tregua nelle composizioni dei Watchtower e la densità di idee all’interno delle composizioni è notevole. Le vocals di Alan Tecchio sono ora più aspre, ora melodiche, meno acute di un tempo e la schizzata Technology Inaction ne è un esempio lampante. Le parti soliste di Ron hanno la capacità di estraniare la mente dal contesto e allo stesso tempo deliziare con soluzioni sempre brillanti. The Size of Matter è quasi orecchiabile con il suo incedere spezzato e martellante puntualmente infiorettato dalla solista di Jarzo.
Chiude l’inedita Mathematica Calculis che con i suoi quasi 10 minuti ritorna parzialmente agli antichi fasti, con una band matura che non vuole a tutti i costi ripetersi e che è ancora capace di gustosi colpi di scena sincopati, inseriti con moderna freschezza.
In …Book One le contorsioni e il parossismo tecnico sono affievoliti, così pure la chimica fenomenale che riesca a sorprendere ad ogni cambio di tempo o d’atmosfera, così anche lo stupore di un arrangiamento mai uguale a quello precedente.
EP più lineare dunque, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

TRACKLIST
1. M-Theory Overture
2. Arguments Against Design
3. Technology Inaction
4. The Size of Matter
5. Mathematica Calculis

LINE-UP
Alan Tecchio – vocals
Ron Jarzombek – guitar
Doug Keyser – bass
Rick Colaluca – drums

WATCHTOWER – Facebook

Heller Schein – Sonic Clash Warning

Gli Heller Schein sanno alternare furia thrash/death e tecniche parti prog, atmosferici attimi di quiete intimista e mitragliate estreme violentissime

Eccolo un altro esempio di come nel nostro paese la musica metal abbia trovato terreno fertile nell’underground, colmo di talenti che sotto l’aspetto compositivo (soprattutto) non sono secondi a nessuno.

Sonic Clash Warning è un disco fresco, energico, dosato e bilanciato tra irruenza estrema e metallo che sposa sia l’anima classica che quella prog, in un variopinto quadro di note a tratti surreali, ma sbalorditivo nel non perdere mai il filo del discorso, che si interrompe solo al minuto trentanove, ultimo spazio temporale a disposizione del gruppo.
Loro sono gli Heller Schein, quartetto di Bologna nato nel 2002 per volere del cantante e chitarrista Francesco ‘Franz’ Massimiliani e che nel corso di questi anni ha più volte limato la line up per giungere a quella attuale formata, oltre che dal Massimiliani, da suo fratello Paolo alle pelli, da Nicola Deodato (chitarra) e da Davide Laugelli al basso (in sostituzione di Davide Salvatore Nicolais, dimissionario dopo le registrazioni di Sonic Clash Warning).
L’album parte da un concetto progressive metal che si evince dai molti cambi di tempo, uno spartito cangiante e tecnica notevole, ma non si ferma qui, abbatte molte barriere e libero si allea con il death metal, il thrash più evoluto ed il metal classico.
La prima sorpresa è l’uso che fa Massimiliani della voce, tra growl estremi, urla metalliche vicine al falsetto e toni teatrali, interpretando a modo suo le varie composizioni musicali che, come detto,  risultano una sorpresa dietro l’altra.
C’è di tutto e di più in questo lavoro, le diverse anime che vivono all’ interno del songwriting, si prendono a spallate per il comando del sound, ma inutilmente, gli Heller Schein sanno alternare furia thrash/death e tecniche parti prog, atmosferici attimi di quiete intimista e mitragliate estreme violentissime, sempre supportate da un lavoro agli strumenti di un’altra categoria.
Sonic Clash Warning stupisce non poco per una maturità compositiva notevole, supportata da brani intricati, ultra tecnici, ma dall’appeal enorme.
La parte del leone la fa il singer, davvero bravo in tutte le forme prese dalla sua voce, ma sono sicuramente da elogiare anche gli altri musicisti, che vanno a formare un combo da seguire con molto interesse.
Farvi nomi per elencare le ispirazioni del gruppo, non è facile, vista comunque l’originalità insita nella musica della band, vi invito perciò ad ascoltare brani come Karma, Twisted Jocker e Sonic Clash Warning per farvi un’idea delle enormi potenzialità del gruppo bolognese.

TRACKLIST
1.Ascension
2.Karma
3.GrandFatherSong
4.Twisted Jocker
5.Sonic Clash Warning
6.Watching Through My Head A Baby
7.Viky’s Legacy

LINE-UP
Francesco Massimiliani – Voices & Screams
Paolo Massimiliani – Drums
Nicola Deodato – Guitar
Davide Laugelli – Bass

HELLER SCHEIN – Facebook

Final Solution – Through The Looking Glass

Una serie di cavalcate metalliche veloci e potenti, eseguite con piglio e personalità.

I Final Solution irrompono sul mercato underground metallico tramite l’attivissima label nostrana logic(il)logic Records, con questa piccola bomba sonora dal titolo Through The Looking Glass.

Il gruppo capitanato dal chitarrista Fabio Pedrali, in passato axeman degli Hellcircles, licenzia questo bellissimo ed arrembante lavoro, incentrato su sonorità power prog seguendo le linee guida dei maestri americani Symphony X, ma accentuando l’anima estrema del sound, ricordi di un passato da melodic death metal band.
Ne esce un album violentissimo, sempre alla massima tensione, ma valorizzato dall’ottima tecnica dei musicisti, una serie di cavalcate metalliche veloci e potenti, eseguite con piglio e personalità.
Prodotto benissimo, così da mettere in luce tutti i dettagli che compongono il sound (la sezione ritmica è un uragano) Through The Looking Glass stupisce per la già notevole padronanza del proprio sound da parte del gruppo, una raccolta di brani, dove si nota l’elevata maturità del combo, in grado di lasciare nell’ascoltatore l’impressione di band navigata e non certo al debutto.
Funziona tutto perfettamente, dai suoni, alle ritmiche da mitragliatore impazzito, dall’ottimo lavoro sulle sei corde, al cantato che, se ricorda Russell Allen non dimentica di mantenere un approccio comunque personale.
Si parlava dei Symphony X, influenza o ispirazione (fate voi) del gruppo nostrano, ed in effetti Through The Looking Glass non può che ricordare i momenti più heavy della discografia del combo di Romeo, solo che i Final Solution accelerano le ritmiche, aggiungono al cantato, già di per se aggressivo del buon Mario Manenti, growl di estrazione death che deflagrano in tutta la loro potenza nella già devastante atmosfere dei brani.
Dopo l’intro, Sick Of You fa capire che qui la tempesta si fa intensa, power metal oscuro, veloce ed impreziosito da interventi chitarristici da manuale, dal taglio chiaramente progressivo.
Via una e sotto con Demon Inside: drumming straordinario, furia metallica, cambi di tempo che mantengono la velocità al limite dell’umano e le voci che alternano rabbia estrema e melodia metallica.
La furia tempestosa continua a fare danni, la band non smette di stupire tra ritmi indiavolati e chorus perfetti, il growl fa capolino come se la parte estrema facesse a spintoni con quella prog metal, e l’ascolto se ne giova travolti da Empty Walls, The Show Is On e Dogs Of War.
Questo è un lavoro che sprizza entusiasmo, voglia di emergere e talento: qualche volta la band si specchia un po’ troppo nel famoso gruppo americano, ma non vedo il problema, perciò fate vostro Through The Looking Glass senza se e senza ma.

TRACKLIST
01. Awakening
02. Sick Of You
03. Demon Inside
04. Empty Walls
05. The Show Is On
06. (R)Evolution
07. Dogs Of War
08. Grey

LINE-UP
Mario Manenti – Vocals
Fabio Pedrali – Guitars
Alessandro Martinelli – Guitars
Gabriele Savoldi – Bass
Gianluca Borlotti – Drums

FINAL SOLUTION – Facebook

Devin Townsend Project – Transcendence

Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal.

Trascendenza: in filosofia, la condizione o la proprietà di essere trascendente, di esistere al di fuori o al di sopra di un’altra realtà.

Devin Really Hevy Townsend, (Steve Vai, Strapping Young Lad, The Devin Townsend Band, Ziltoid The Omniscient, Casualties of Cool) poliedrico musicista canadese, ha sperimentato fusioni di più generi, elevando e modernizzando il concetto di heavy metal. Per il sottoscritto rappresenta un esempio lampante di chi ha ricevuto l’immenso dono della creatività, perciò consacrato all’arte e al cambiamento. Uscire dalla zona di comfort, sperimentare i contrari, esprimere tutto ciò nelle sue composizioni, rappresenta evidentemente tutti aspetti della sua individualità.
In Transcendence (bellissima la copertina ad opera di Anthony Clarkson) c’è probabilmente un nuovo approccio alla vita, in parte anche alla musica, perché Mr. Townsend non è poi così estraneo alla realtà sensibile che lo circonda. Tutto nell’album è amplificato, maestoso, sinfonico, come proveniente dall’Universo, da una dimensione ultraterrena, sconfinata. Un’opera che scandisce il tempo di una colossale colonna sonora. Si avverte immediatamente una disposizione d’animo più positiva che in passato, l’amalgama è molto densa, le emozioni che scaturiscono durante l’ascolto sembrano voler legare l’essere umano al Tutto. Volutamente evito la recensione track by track perché ci troviamo alle prese con un flusso di sensazioni tutte in stretta relazione, durante le quali si alternano vette appassionanti a parti più monotone, ma che per nostra fortuna si risollevano con energia e originalità. Su tutte cito solo Failure, le bellissime Higher e Stars e la coda di From The Heart. Si chiude con l’apprezzabile cover Transdermal Celebration dell’alternative rock band Ween.
Se avete già apprezzato i precedenti lavori, amerete questo tipo di sonorità spaziali. Viaggerete tra le stelle accompagnati da cori celestiali, suoni pomposi, piccoli sprazzi djent, cori femminili (ancora a carico di Anneke Van Giersbergen) e ritmiche alternate. Le (poche) parti di chitarra solista sono squisite, ma le sonorità sviluppate dal genio di Vancouver negli ultimi anni sono state aggiornate e potenziate da un approccio fresco e moderno.
Registrato al Armoury Studios, prodotto e mixato dallo stesso Townsend e da Adam ‘Nolly’ Getgood (Periferie, Animals As Leaders), Transcendence suona imponente e vasto e, malgrado la spinta interiore verso il sovrumano, Devin permane dentro un ambito fondamentale: l’heavy metal. E a noi sta molto bene così.

TRACKLIST
1. Truth
2. Stormbending
3. Failure
4. Secret Sciences
5. Higher
6. Stars
7. Transcendence
8. Offer Your Light
9. From The Heart
10. Transdermal Celebration

LINE-UP
Devin Townsend – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Programming
Dave Young – Keyboards, Guitars
Mike St-Jean – Keyboards
Brian Waddell – Bass
Ryan Van Poederooyen – Drums

DEVIN TOWNSEND – Facebook

DGM – The Passage

Il passaggio su Frontiers non ha alterato la proposta DGM. La band ha compiuto ancora un ulteriore passo in avanti verso la magnificenza.

Dopo il magnifico “Momentum” del 2013, mi giunge come graditissima sorpresa per il mio secondo contributo su Metal Eyes la proposta del Cavanna di recensire l’ultimo lavoro dei DGM.

L’attuale formazione è stabile da quasi un decennio e, per nostra gioia, ha composto grande musica. Quale fan dei Symphony X, mi sento molto vicino a quanto finora proposto dalla band italiana, e questi ultimi non hanno mai peraltro dissimulato l’influenza dei giganti americani.
Mi immergo perciò in questi 60 minuti con voluttà e le ampie aspettative (le ho ancora, malgrado la veneranda età) vengono rispettate fin dall’opener The Secret (Part I), 8 minuti buoni di eccellente power prog nei quali potenza, tecnica e feeling non lasciano spazio ai pensieri, tant’è la forza espressiva dei nostri. La mini suite si estende in The Secret (Part II), le atmosfere distese e l’andatura più riflessiva, caratterizzata da aperture melodiche di chitarra e tastiere ora brillanti, ora elegiache nel finale. Animal è diretta abilmente dalla chitarra di Simone Mularoni, ottimo compositore e sorgente inesauribile di riff coinvolgenti e fraseggi mai banali. Ghosts Of Insanity (con la partecipazione di Tom Englund degli Evergrey) mostra muscoli e perizia compositiva con un riff iniziale al fulmicotone, possente, vera màcina che sfocia in un ritornello delizioso, fino all’assolo di chitarra scintillante con un finale finale martellante e cupo.
Attacca Fallen e picchia al cuore alternando riff di matrice thrash a refrain ariosi da cantare a pieni polmoni. La title track mette i brividi con un riff iniziale tostissimo e geniale, una composizione entusiasmante che rallenta fino al sublime dialogo tra chitarra/tastiera e dal finale improvviso. La dolce Disguise per piano e voce introduce l’infuocata Portrait, dove tutti gli attributi dei talentuosi power metallers romani vengono esibiti senza inibizioni. La successiva Daydreamer allenta la presa ed è forse la traccia meno entusiasmante, ma Dogma ci inocula nuova adrenalina sempre alternando parti plasmate nell’acciaio ad altre di più ampio (e breve) respiro dove Mark Basile esprime potenza e melodia con linee vocali sempre ispirate, supportate egregiamente da tutti gli altri componenti, compreso l’ospite eccellente a nome Michael “SX” Romeo. La conclusiva In Sorrow ci culla e sfuma nel silenzio rimarcando l’eco di questo magnifico album che ha il solo vizio di essere ancora deliziosamente “dipendente” dalla Symphonia metallica del New Jersey.

TRACKLIST
01. The Secret (Part I)
02. The Secret (Part II)
03. Animal
04. Ghosts Of Insanity
05. Fallen
06. The Passage
07. Disguise
08. Portrait
09. Daydreamer
10. Dogma
11. In Sorrow

LINE-UP
Mark Basile – vocals
Simone Mularoni – Guitars
Emanuele Casali – Keyboards
Andrea Arcangeli – Bass
Fabio Costantino – Drums

DGM – Facebook

Evergrey – The Storm Within

“The Storm Within” è decisamente il miglior album degli Evergrey, accessibile, profondo, con una produzione centrata e potente, 100% Metal.

Avevo apprezzato discretamente i prog-metallers svedesi Evergrey con “In Search of Truth” e “Recreation Day”, li avevo “allontanati” dopo il non esaltante “The Inner Circle” del 2004.

Al decimo lavoro in studio mantengono il loro inconfondibile lato oscuro e quella malinconia che da sempre li contraddistingue, qui stemperata da melodie decisamente catchy.
Apre Distance, con una intro di piano luttuosa, desolante, per il quale è stato realizzato un bel video promozionale (anche per The Paradox of the Flame), poi il ritmo incalza con basso e chitarra sugli scudi, guidati dal poderoso e metronomico drummer. Il groove è notevole, caratterizzato da accordature “detuned” e un riff portante molto coinvolgente.
La voce di Tom Englund in questo lavoro è decisamente espressiva, matura e con la successiva Passing Through il respiro si fa decisamente più ampio. Il brano è mirabile, con una interpretazione molto sentita e assoli incastonati alla perfezione.
Someday col suo incedere quasi epico e cadenzato ci conduce nel cuore del disco, avvalendosi di chitarre ispirate e coinvolgenti.
La più classica Astray innalza ulteriormente il tasso energico-dinamico e chiude con un bel finale adrenalinico di stampo modern thrash.
La breve ballata per voce e tastiera The Impossible inietta malinconia e desolazione prima di My Allied Ocean che pesta duro con la sezione ritmica trainata dalla doppia cassa di Jonas M. Ekdahl, e il metallo trasuda che è un vero piacere.
La melodiosa e ragionata In Orbit è impreziosita dalla vocalist Floor Jansen che duetta all’unisono con Englund, e d’altronde in tutto l’album le melodie vocali sono molto curate e godibili. Attacco deciso per The Lonely Monarch, dove melodia e potenza sono amalgamate con oculatezza e infiorettate da coinvolgenti guitar-solos, sapienti keyboards e vocals incisive.
La meravigliosa e intimistica The Paradox Of The Flame propone ancora una volta Carina Englund al fianco del marito, accompagnandoci in un altro luogo misterioso e maggiormente rarefatto, e si ritorna in corsa con Disconnect e The Storm Within, i brani più lunghi del lotto, nei quali si alternano con gusto parti cadenzate e maggiormente dilatate con un utilizzo delle tastiere che conferiscono ulteriore enfasi e atmosfera in chiusura dell’album.
The Storm Within è decisamente il miglior album degli Evergrey, accessibile, profondo, con una produzione centrata e potente, 100% metal. Consigliato ai fan della band e non!

TRACKLIST
01. Distance
02. Passing Trough
03. Someday
04. Astray
05. The Impossible
06. My Allied Ocean
07. In Orbit (feat. Floor Jansen)
08. The Lonely Monarch
09. The Paradox Of The Flame
10. Disconnect
11. The Storm Within

LINE-UP
Tom S. Englund – vocals, guitar
Henrik Danhage – guitar, backing vocals
Rikard Zander – keyboard, backing vocals
Jonas Ekdahl – drums
Johan Niemann – bass, backing vocals

EVERGREY – Facebook

TesseracT – Polaris

Una band di levatura superiore ma che non incide come potrebbe, esibendo solo ad intermittenza abbacinanti lampi di classe e preferendo per lo più specchiarsi nella propria perfezione formale.

Se non mi unisco ai peana che sento levarsi da più parti riguardo a quest’ultimo disco dei TesseracT non è perché mi piaccia fare il bastian contrario, per partito preso o per innescare chissà quale dibattito solo per ottenere qualche contatto in più.

Niente di tutto ciò, semplicemente penso che, in fondo, una recensione sia solo l’articolazione più completa di un’opinione e, in quanto tale, è del tutto soggetta ai gusti ed alle preferenze di chi scrive.
Sull’altro piatto della bilancia c’è invece l’oggettività, alla quale non ci si può sottrarre per onestà intellettuale, che mi obbliga ad affermare con convinzione che i TesseracT sono un ottima band, capace di portare a scuola decine di altri gruppi grazie alla tecnica indiscutibile esibita nel corso della loro ultradecennale carriera e che non viene certo meno in questo ultimo Polaris.
Il problema è che un sottogenere come il djent, che i nostri hanno contribuito in maniera decisiva a far crescere e prosperare esasperando all’ennesima potenza il lato tecnico e dissonante del prog metal, è piuttosto lontano dalla mia idea di musica fin dai suoi presupposti fondamentali.
Il risultato che ne scaturisce è, infatti, una perfetta e talvolta piacevole esibizione di virtuosismo musicale, senz’altro meno scontato rispetto ad altri esponenti del genere, ma ugualmente prevedibile a lungo andare.
Peccato, perché la proposta dei TesseracT funziona benissimo proprio quando emerge una vena che riporta ai Porcupine Tree e in genere al neo progressive albionico, costretta però a convivere con queste pulsioni di metallo iper-tecnico che, almeno a me, restituiscono solo una certa freddezza.
Le aperture melodiche di brani come Hexes, Tourniquet, Phoenix e della splendida Seven Names mostrano le stimmate di una band di levatura superiore ma che non incide come potrebbe, esibendo solo ad intermittenza abbacinanti lampi di classe e preferendo, per lo più, specchiarsi nella propria perfezione formale
Il ritrovato Daniel Tompkins è effettivamente un magnifico vocalist e il suo contributo si rivela fondamentale per le sorti di un album che è rivolto a chi apprezza più la tecnica del cuore finendo per risultare, quindi, musica per musicisti, i quali sono naturalmente facilitati nel godere appieno di lavori di questa fatta.
Almeno questo è il mio parere, quello di un appassionato soprattutto di generi che antepongono il pathos e le emozioni a tutto il resto; tenetene conto nel leggere queste righe, perché in fondo molti tra voi probabilmente riterranno invece Polaris un album eccezionale, con più di qualche “oggettiva” buona ragione.
I’m sorry, it’s not my cup of tea …

Tracklist:
1. Dystopia
2. Hexes
3. Survival
4. Tourniquet
5. Utopia
6. Phoenix
7. Messenger
8. Cages
9. Seven Names

Line-up:
Acle Kahney – Guitar
James Monteith – Guitar
Jay Postones – Drums
Daniel Tompkins – Vocals
Amos Williams – Bass

TESSERACT – Facebook

The Long Escape – The Warning Signal

Il futuro del progmetal passa da lavori che miscelano tradizione e modernità come “The Warning Signal”

Brutta bestia il prog metal: da una parte la bravura tecnica dei musicisti che nel genere è un dato di fatto, dall’altra un forte senso di già sentito aleggia sulle produzioni del genere, fredde se la tecnica prende il sopravvento sul songwriting, emozionali ma derivative se le band puntano sul classico seguendo il teatro di sogno in un caso o il new prog britannico nell’altro.

Allora esce allo scoperto la voglia di chi, pur conservando un approccio prog alle composizioni, le valorizza con varie influenze, dal rock alternativo al metal moderno, accorciando il minutaggio delle composizioni, raddoppiandone l’appeal e rendendo la propria musica fruibile ad un pubblico che non sia solo formato da intenditori.
La versione metal del prog anni settanta, purtroppo, consta di fans molto conservatori, ancorati ai gruppi storici settantiani o ai metallari che, dal power più tecnico hanno volto lo sguardo alle sonorità care alle super band degli anni novanta (Dream Theather e Symphony X su tutte).
I francesi The Long Escape, giustamente, fanno spallucce e con il loro secondo lavoro, accentuano ancor di più il loro sound che di metal prog si nutre, cercando però di variegarlo con ottime atmosfere che dei generi moderni sono prerogativa.
Ecco che nasce il sound di The Warning Signal, prog metal moderno, colmo di ritmiche grasse che a tratti schiacciano l’occhiolino al core, brani dal forte sapore alternative e tanta bravura strumentale, che esce allo scoperto quando il gruppo si ricorda di divagare con scale intricate ma non troppo, melodiche, ruffiane, graffianti e aggressive il giusto per piacere agli appassionati dai gusti moderni.
Ne esce un gran bel disco, piacevole in tutte le sue sfumature e suonato benissimo, da musicisti sul pezzo e alquanto vario; certo, dimenticatevi cervellotiche fughe chitarristiche accompagnate da tastiere suonate alla velocità della luce: qui si viaggia su ritmi cadenzati e pesanti, le accelerazioni, quando la band schiaccia sul pedale, sono devastanti monoliti dal groove micidiale, intervallati da soluzioni alternative, come se gli Alter Bridge decidessero di suonare prog metal.
Seas Of Wasted Men, Awakened Ones, Carnival Of Deadly Sins e Slave sono gli episodi migliori di un album riuscito e che entra di diritto nelle opere di genere che lasciano qualcosa in più rispetto a mere prove di tecnica strumentale fini a sé stesse.
Da appassionato di prog in tutte le sue forme, credo fortemente che il futuro per il genere passi da questi lavori che miscelano tradizione e modernità.

Track List:
1.The Noise
2.Seas Of Wasted Men
3.Awakened Ones
4.Million Screens
5.Digital Misery
6.Carnival Of Deadly Sins
7.Crashdown
8.The Search
9.Homo Weirdiculus
10.Slave
11.World Going Down
12.The Last Crying Man

Line-up:
Kimo – Vocals/Guitars
Marius – Guitars
Nicolas – Bass
Tom – Drums

THE LONG ESCAPE – Facebook

Nightmare World – In The Fullness Of Time

Esordio su lunga distanza per la band britannica capitanata dal chitarrista dei Threshold Pete Morten.

Con l’esordio su lunga distanza dei Nightmare World siamo nella grande famiglia del power/prog britannico, genere che ha nei Threshold la band di punta: il gruppo, infatti, vede come protagonista al microfono Pete Morten, chitarrista dei più famosi conterranei negli ultimi lavori “March of Progress” e “For the Journey” e al lavoro anche su “The Interpreter” dei My Soliloquy, uscito nel 2013.

In The Fullness Of Time segue di ben sei anni l’ep “No Regrets”, e trattasi di un’opera che non si discosta poi molto da quello che i Threshold producono ormai da più di vent’anni, calcando la mano sulle ritmiche, a tratti più power oriented, ma mantenendo l’impronta progressiva cara alla band di quello che, il sottoscritto, considera il capolavoro del metal/prog, “Psychedelicatessen”, uscito all’alba del decennio di massimo splendore per il genere.
Dotato di un’ottima voce, Morten straripa sulle note power/prog del lavoro, accompagnato da cinque musicisti che, chiaramente, non sono da meno così che la musica della band ci delizia sia nella componente tecnica, che non manca mai in album come questo, sia nella sua parte strettamente emozionale; altro punto a favore per i Nightmare World, i quali puntano al sodo, è il fatto di racchiudere il tutto in meno di quaranta minuti di musica, pochi per gli standard a cui ci hanno abituato le band dedite al genere, ma assolutamente perfetti per questo ottimo album che non annoia con inutili prolissità, colpendo subito il bersaglio dell’assimilazione.
I brani sono infatti diretti, perfettamente suddivisi tra quelli più power e dal taglio epico (The New Crusade) ed altri in cui il prog comanda il sound (Defiance, Damage Report), lasciando che le tastiere di Nick Clarke comandino i giochi con melodie che riportano sempre alla scuola del new prog britannico.
Le chitarre (Sam Shuttlewood e Joey Cleary), aggressive e veloci nelle ritmiche a tratti riconducibili al power teutonico (Euphoria), e la sezione ritmica protagonista di un ottimo lavoro (Billy Jeffs alle pelli e David Moorcroft al basso) completano il combo.
L’album è prodotto da Karl Groom (chitarrista di Threshold e Shadowland e produttore di Dragonforce e Edembridge), mentre il master è stato affidato a Peter Van’t Riet (al lavoro con Symphony X, Transatlantic e Epica), entrambi garanzia di qualità per l’ottima riuscita dell’album.
Ascolto più che piacevole per gli amanti del genere, In The Fullness Of Time è consigliato anche a chi ama suoni più metallici, proprio per la sua immediatezza, pur mantenendo le linee guida del prog sound in voga al di là della manica.

Tracklist:
1. The Mara
2. In Memoria Di Me
3. The New Crusade
4. No Regrets
5. Defiance
6. Burden of Proof
7. The Ever Becoming
8. Damage Report
9. Euphoria

Line-up:
Pete Morten – vocals
David Moorcroft – bass
Sam Shuttlewood – guitars
Nick Clarke – keyboards
Billy Jeffs – drums
Joey Cleary – guitar

NIGHTMARE WORLD – Facebook

Dreams Of Victory – Dreams Of Victory

Dreams Of Victory deve avere la più presto un erede sulla lunga distanza, senza che il tempo raffreddi l’attesa di chi ha scoperto questa band dal potenziale ancora tutto da scoprire.

Strana la storia dei Dreams Of Victory: pur essendo stati fondati nel 2002, più di dieci anni fa, e connotati da un sound originale, dopo ben tredici anni sono solo al secondo ep, il primo per Metal Scrap, che segue “9 Stairs”, lavoro passato praticamente innoservato.

La band ucraina merita tutto il supporto possibile ed IYE corre in suo aiuto anche se questo ep omonimo, composto da tre brani di una varietà ed una emozionalità unica, è uscito ad ottobre dello scorso anno, .
Siamo in ambito prog metal ma, attenzione, perché la band il genere lo manipola e lo nobilita facendone l’uso per cui è nato: una musica senza barriere fatta propria da band come Queensryche e Dream Theater che, a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, ha di fatto portato all’attenzione degli ascoltatori la pura tecnica strumentale.
I Dreams Of Victory sono innamorati dei suoni del teatro di sogno e ci travolgono con una marea di ispirazioni ed influenze prese da almeno l’80% dei generi di cui il metal si nutre: in questi tre brani troverete, infatti, symphonic metal (la title-track) amalgamato con soluzioni tecniche, metal epico, declamatorio, ottantiano e fiero erede di band come i Manilla Road (The Patriot) e gothic che affiora dalle voci operistiche, come di moda nel metal classico odierno.
Power, heavy e davvero riuscito, Dreams Of Victory deve avere la più presto un erede sulla lunga distanza, senza che il tempo raffreddi l’attesa di chi ha scoperto questa band dal potenziale ancora tutto da scoprire.

Tracklist:
1.Overture
2.The Patriot
3.Dreams Of Victory

Line-up:
Sergey Lyubimov – keyboards;
Aleksandr Kypriyanov – drums;
Sergey Lukasevitch – bass;
Natalia Dzizinska – violin;
Max Nabokov – guitars

DREAMS OF VICTORY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=hyd3oDY7

Frozen Sand – Prelude

Ottimo ep d’esordio per i prog metallers Frozen Sand, ideale preludio all’imminente full length.

I Frozen Sand provengono da Novara, nascono nel 2010 e, all’insegna di un buon progressive metal, alternando tradizione e modernità, licenziano questo Ep di quattro brani dal titolo Prelude, appunto preludio di una storia che sarà sviluppata nel futuro esordio sulla lunga distanza.

Fractal Of Frozen Lifetimes, questo è il titolo del concept in cui la band sviluppa il suo songwriting fatto di un metal/prog che predilige le atmosfere piuttosto che cervellotiche parti tecniche, anche se ai musicisti del gruppo la bravura strumentale non manca di certo.
Ottime le vocals, che passano da parti evocative che creano un aurea epica, al growl (ormai usato sempre più spesso dalle band del genere) fino ad un’ottima voce pulita, il che rende l’ascolto dei brani vario, così come vario risulta il sound di Prelude che alterna con disinvoltura progressive e metal classico, inserendo ritmiche di death moderno che seguono l’alternarsi delle voci, cambiando atmosfere ad ogni passaggio.
Inutile elencare influenze o band da cui il gruppo piemontese prende spunto, qualsiasi amante dei suoni progressivi troverà modo di farsi una sua idea: la cosa che invece salta all’orecchio è la personalità con cui i Frozen Sand affrontano un genere non facile come quello racchiuso in Prelude, aumentando la curiosità e le aspettative per il futuro full length, di cui sicuramente ci faremo carico di parlarvi.

Tracklist:
1.Chronicle I – Chronomentrophobia
2.Chronicle II – Sand Of The Hourglass
3.Chronicle III – Khrono’s Pendulum
4.Fracture

Line-up:
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drums
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Hourswill – Inevitable

Prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con grande padronanza dei propri mezzi.

Debutto sulla lunga distanza per gli Hourswill, band di Lisbona attiva dal 2009 e con alle spalle un singolo ed un demo nel 2011, con il loro metal tecnico che lascia agli annali buoni spunti e canzoni caratterizzate dall’ottimo impatto.

Certo, la band portoghese non brilla per originalità, ma ha dalla sua carte buone da giocarsi sul piatto del genere, mettendoci anima e corpo in questi nove brani devoti al verbo del teatro del sogno. Infatti, fin da Vows of Submission, che segue la classica intro, il songwriting si attesta su un prog metal classico, ben eseguito, nel quale a tratti compaiono voci in growl (Dead End Memory), che rendono il sound ancora più metallico e la band, dopo aver inserito la quinta, viaggia in tranquillità su territori sicuri, mostrando comunque buona padronanza degli strumenti. Molto bella Lessons Unlearned, in breve la traccia migliore del lavoro, che fa coppia con il brano più progressive del lotto, quella Weight Of Vengeance che regala attimi dove atmosfere più vicine al prog settantiano si amalgamano alla vena heavy del combo, per donare stupendi affreschi di musica metallica, sempre con le ottime parti in growl nella voce, che sanno tanto di prog metal nordico. Atrocity Throne risulta la traccia più pesante del disco: le ritmiche, sempre tecnicissime, si fanno grevi come macigni, avvicinandosi al metal oscuro e drammatico dei fenomenali Nevermore di Warrel Dane. I musicisti lasciano intravedere grandi potenzialità, specialmente le due asce che si rendono protagoniste di solos tecnico-melodici dal buon gusto ed estremamente funzionali all’economia dei brani, senza cadere nell’esibizione strumentale fine a se stessa. Per concludere, prova del full-length superata ampiamente dal gruppo che, senza strafare, riesce ad intrattenere gli ascoltatori con disinvoltura: Inevitable si rivela un buon lavoro per gli appassionati dei suoni tecnici, ma allo stesso tempo dai connotati metallici. Assolutamente da ascoltare.

Tracklist :
1. The Damnation Clockwork
2. Vows of Submission
3. Inevitable Collapse
4. Dead End Memory
5. Lessons Unlearned
6. Atrocity Throne
7. Nothing Divine
8. Weight of Vengeance
9. Their Hopeless Reality

Line-up:
Ruben Chamusca – Bass
Nuno S. Damião – Vocals
José Bonito – Guitars
Sérgio Melo – Guitars
Nuno Peixoto – Drums

HOURSWILL – Facebook

Noveria – Risen

Un album magnifico, che lancia i Noveria alla ribalta del mondo metallico, non solo a livello nazionale.

Eccolo l’album che dovrebbero far ascoltare a chi si ostina ad affermare che popolarità è sinonimo di qualità, che riempire uno stadio dà il diritto a non essere assolutamente attaccabile in relazione al prodotto proposto; che sia metal o rock non importa, perché la musica in quanto arte, troppe volte rimane incompresa o ancor peggio ignorata.

Prendete per esempio questo debutto/capolavoro dei romani Noveria, aiutati dalla produzione e, questa volta, anche dalla chitarra (in Fallen from Grace) di quel genio musicale che di nome fa Simone e di cognome Mularoni, e dalle tastiere di Emanuele Casali, che ha da poco concluso le sue”fatiche” sul bellissimo album degli Astra e grande protagonista anch’egli nei DGM.
Risen è un meraviglioso esempio di come si deve suonare oggi il progmetal, indurito da iniezioni power/speed da antologia, da far rabbrividire i grossi nomi internazionali del genere; chiaro che se la popolarità dovesse andare sempre a braccetto con la qualità, non basterebbe il Maracanà per contenere tutti i fan di questi splendidi musicisti.
Un album che ha del clamoroso, con una manciata di brani che definire perfetti è il classico eufemismo, forse meglio sarebbe dire da pelle d’oca, che non andrà via neanche dopo vari ascolti perché le sfumature che, inevitabilmente, al primo ascolto avrete perso, vi travolgeranno e vi lasceranno senza fiato.
Dopo l’intro The New Age, la title-track vi esploderà nei timpani, con tempi serratissimi di una sezione ritmica da infarto (Omar Campitelli alle pelli e Andrea Arcangeli al basso), momenti di calma prima che i solos di Francesco Mattei, chitarrista assolutamente strabordante, vi porteranno ad un grado di esaltazione totale.
Neanche il tempo di riprendersi da cotanta meraviglia che Downfall continua il massacro, con la salita in cattedra delle superbe tastiere del buon Casali e ci lasciamo trasportare così, come in Paralysis, dal talento di Frank Corigliano, vocalist dall’ugola eccezionale e dalla forte personalità, che pur seguendo le orme di Russell Allen, riesce a non sfigurare al confronto con una prova maiuscola.
Bene ho rotto il ghiaccio e allora parliamo di “influenze”: Symphony X, sicuramente, per l’approccio al genere, sempre con quel tocco drammatico nella struttura dei brani e mi fermo qui perché una band del genere ha necessariamente molto di suo e allora sarebbe meglio parlare di affinità.
Risen mi ha ricordato un altro bellissimo debutto, dello scorso anno e sempre di una band italiana,”A Prelude into Emptiness” dei Chronos Zero, finito sulla mia playlist di fine anno, anche se il gruppo ferrarese ingloba nel proprio sound elementi più thrash oriented, mentre qui si viaggia sul pendolino speed/power.
Abbiamo ancora il tempo di farci stupire dalla bellissima Ashes, dalla magniloquente ed epica Through the Abyss e dalla più ariosa in apparenza, Waste, stupenda conclusione di un album magnifico e affascinante, che lancia i Noveria alla ribalta del mondo metallico, non solo a livello nazionale.
Fatemi e fate soprattutto a voi stessi il piacere di supportarli. Grazie

Tracklist:
1. The New Age
2. Risen
3. Downfall
4. Paralysis
5. Ashes
6. Fear
7. Fallen from Grace
8. Through the Abyss
9. Waste

Line-up:
Andrea Arcangeli – Bass
Omar Campitelli – Drums
Francesco Mattei – Guitars
Emanuele Casali – Keyboards
Francesco Corigliano – Vocals

NOVERIA – Facebook

Leviathan – Beholden To Nothing, Braver Since Then

I Leviathan strizzano l’occhio al progressive rock e piaceranno anche ai fan dei suoni dilatati degli anni settanta.

Nuovo album in questo inizio 2014 per la band americana dei Leviathan, non proprio dei novellini della scena, giunti al quinto album in studio: il loro primo vagito risale al 1991 con un Ep omonimo, per più di vent’anni all’insegna di un prog metal che ha nel dna quella manciata di gruppi che hanno fatto la fortuna del genere.

Dunque parliamo dei Dream Theater ma anche degli Shadow Gallery, con un approccio seventies in grado di rendere il lavoro un buon connubio tra il nuovo prog, che strizza l’occhio a sonorità più dure e l’estetica del progressive rock, quello dei maestri settantiani
Settantacinque minuti di musica che, dall’inizio alla title-track, posta in chiusura, spazia tra varie atmosfere, cambi di tempo ed uno spirito vintage che aleggia per tutto il disco ed esce clamorosamente allo scoperto con la suite Religion ed i suoi sette movimenti: fulcro dell’album, i brani che compongono questo bellissimo puzzle musicale scomodano mostri sacri del suono progressivo, tra richiami che di volta in volta si fanno più marcati, tra suoni intimisti che si trasformano in cavalcate elettriche o ariose aperture melodiche, spezzate da improvvise puntate di tensione sonora dall’incedere emozionale come i nove minuti di If The Devil Doesn’t Exist.
Magical Pills Provided, altra perla del lavoro tra Pink Floyd ed il re cremisi, ci dimostra una volta di più che siamo al cospetto di una band che guarda più al passato che al presente, anche le tastiere in questo disco, diversamente dalle classiche band metal prog, sono relegate ad un lavoro di secondo piano rispetto alle chitarre, che sono invece protagoniste indiscusse sia nei suoni acustici che elettrici.
I Genesis (quelli veri, dei primi meravigliosi dischi con Peter Gabriel), sono chiamati in causa nella bellissima Misanthrope Exhumed, mentre Beholden To Nothing, Braver Since Then che chiude il lavoro, torna a calcare territori più moderni e metallici: a band accelera di quel tanto per regalarci ancora dei cambi di tempo mozzafiato, accomiatandosi con un brano dalle reminiscenze Shadow Gallery.
Complimenti a John Lutzow, chitarrista e tastierista e se non bastasse, compositore di musica e testi di questo ottimo lavoro, ed un plauso a tutti i musicisti coinvolti; non aspettatevi una classica produzione scintillante, in questo lavoro, non so quanto volutamente, i suoni sono piuttosto vintage e per alcuni questo potrebbe costituire un difetto: io non me ne curo e consiglio caldamente questo disco ai fan del progressive tout court.

Tracklist:
1. Ephemeral Cathexis
2. A Shepherd’s Work
3. Intrinsic Contentment
4. Overture of Exasperation
5. Creatures of Habit
Religion: Superstition, Imposed Tradition and The Spiritual Crutch of Human Crux (from 6. to 12.)
6. Solitude Begets Ignorance
7. A Testament for Non-Believers
8. If the Devil Doesn’t Exist…
9. Magical Pills Provided
10. Thumbing Your Nose at Those Who Oppose
11. Empty Vessel of Faith
12. Words Borrowed Wings
13. Bettering Darklighter
14. Misanthrope Exhumed
15. Beholden to Nothing, Braver Since Then 10:23

Line-up:
John Lutzow-Guitars,keyboards,B.vocals
Jeff Ward-Vocals
Dave Rumbold-Drums
Derek Blake-Bass,B.vocals

Stamina – Perseverance

Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini.

Gli Stamina, combo tutto italiano proveniente da Salerno, dopo due full length, “Permanent Damage” del 2008 e “Two Of A Kind” del 2010, firmano per la My Kingdom Music e rilasciano questo autentico gioiellino dal titolo Perseverance, nel quale il prog metal sposa l’Aor, sulla scia dei danesi Royal Hunt di “Moving Target” (1996).

Il fatto di aver suonato di supporto durante il tour europeo della band di Andrè Andersen ha giovato e non poco al gruppo campano, che sfodera una prova sontuosa sia tecnicamente sia a livello di songwriting, aiutati da diversi ospiti, quali Maria McTurk, storica corista della band danese, Goran Edman, singer che ha all’attivo collaborazioni con Malmsteen e John Norum, e Nils Molin, vocalist degli svedesi Dynazty.
Higher, scelta come primo singolo, ci catapulta nel mondo Stamina, fatto di chitarrismo hard rock, tastiere prog metal, cori e controcanti che rendono la musica della band ariosa e piacevolmente melodica.
Breaking Another String, cantata da Edman, è una riuscita amalgama fra i Royal Hunt e i Dream Theater, con intro e stacco sinfonico da applausi, finché il basso di Lorenzo Zarone non ruba la scena, sostenuto da un Luca Sellitto in forma smagliante alla sei corde.
La prova di Giorgio Adamo dietro al microfono impreziosisce la aor song I’m Alive, mentre Just Before The Dawn, nuovamente con Edman alla voce, è una ballad nella quale la chitarra di Sellitto ci inchioda con un assolo clamoroso.
La title-track corre su strade già percorse da “Moving Target” e lo fa con classe, grazie all’interpretazione di Nils Molin e all’ennesimo grande assolo di Sellitto; hard rock scandinavo per Naked Eye, mentre in Umbreakable il sound si indurisce e si modernizza quel tanto che basta per farne la song più originale del lotto, cantata alla grande ancora una volta da Giorgio Adamo.
Jacopo Di Domenico prende il microfono nella conclusiva Winner For A Day, ottima prova di quello che è, di fatto, l’attuale singer della band, su una canzone dagli stupendi cori, dove le coordinate stilistiche tornano ad essere quelle dell’intero lavoro.
Gran salto di qualità quindi per gli Stamina che, con questo album molto ambizioso, dove tutto è professionalmente ineccepibile, raggiungono le vette conquistate dai maestri, meritandosi la doverosa attenzione anche fuori dai patri confini e regalando al metal nazionale un altra grande band della quale andare orgogliosi.

Tracklist:
1. Higher
2. Breaking Another String
3. I’m Alive
4. Just Before the Dawn
5. Perseverance
6. Naked Eye
7. Unbreakble
8. Wake Up the Gods
9. Winner for a Day

Line-up:
Luca Sellitto-Guitars
Andrea barone-Keyboards
Lorenzo Zarone-Bass
Jacopo Di Domenico-Vocals

Special Guests:
Vocals : Goran Edman, Giorgio Adamo, Nils Molin, Maria McTurk
Drums: Alessandro Beccati, Mirkko De Maio

STAMINA – Facebook

Lucid Dream – The Eleventh Illusion

Gran lavoro, maturo, per niente scontato, fruibile ma allo stesso tempo intenso, caldo e molto emozionale, suonato da bravissimi musicisti.

I Lucid Dream sono una band proveniente dalla mia provincia (Genova) capitanata dal chitarrista Simone Terigi e arrivano al secondo album dopo l’esordio del 2011 intitolato “Visions From Cosmos” e una parentesi solista di Simone del 2012 (“Rock Meditations”).

I quattro ragazzi liguri sfornano un album tecnicamente ineccepibile, dalla marcata personalità, un hard rock che si perde in digressioni prog ma tendendo più di una mano al blues, quello energico degli Zeppelin, ma sopratutto di Free e Bad Company, con un vocalist (Alessio Calandriello), in grado di far le veci di quello che, se non fosse mai esistito Robert Plant, sarebbe stato il più grande vocalist hard blues di sempre, Paul Rodgers.
L’album si apre con un intro ( The Way of 7M ) recitata da Beatrice Schiaffino, che sarà protagonista anche nell’outro, e lasciando poi che la chitarra di Simone ci introduca al mondo dei Lucid Dream, con un classico brano hard rock, dove il chitarrista mette subito a disposizione la sua tecnica impreziosendo la song di bellissimi assoli.
Come la precedente Evolution, Leave Me Alone mantiene le stesse coordinate, ma tra i solchi di questa song si riscontrano rimandi al blues che, nei brani a venire, sarà il quid in grado di rendere questo lavoro un must.
River Drained è una ballad dove appare un sax e ricorda la “Another Day” del capolavoro Images and Words” targato Dream Theater, e arriva prima di uno dei capolavori dell’album, The Lightseeker, introdotta da una chitarra prog: il brano si sviluppa su ritmiche intricate dove basso (Gianluca Eroico) e batteria (Paolo Raffo) sfoggiano una gran prova e la chitarra di Terigi, ispiratissima, ricama assoli settantiani con Calandriello che incanta con vocalizzi da cantante di razza.
Back To Cosmos 11, accenno al primo album, è ancora hard rock fluido, godibile già dal primo ascolto, mentre Two Suns In The Sunrise, ballad tutt’altro che scontata, porta con sè la leggera brezza del delta del Mississippi e fa scorrere brividi sull’ascoltatore di turno.
Ci sarebbe già da trastullarsi con quello che la band fin qui ha regalato, se non fosse che mancano all’appello due song splendide: Black, apice del lavoro, dove Il prog metal moderno rincorre l’hard rock settantiano, con tutta la band sugli scudi, un songwriting eccelso e il vocalist che si supera dando vita ad una prova sontuosa e drammatica, con picchi vocali degni di un signore inglese perso nel profondo porpora.
La title-track viaggia ancora su queste strade, più veloce, meno varia strutturalmente, ma altrettanto bella ed essendo praticamente l’ultimo brano (Pulse of Infinity è uno strumentale atmosferico, seguito dal brano recitato) i Lucid Dream mettono in tavola tutte le loro carte e da band scafata si congedano con una prova maiuscola.
Gran lavoro, maturo, per niente scontato, fruibile ma allo stesso tempo intenso, caldo e molto emozionale, suonato da bravissimi musicisti tra i quali spicca il talento di un vocalist che permette alla musica della band di penetrare l’animo dell’ascoltatore.
La musica dei Lucid Dream fa bene all’anima.

Tracklist:
1. The Gates of Shadow
2. Evolution
3. Leave Me Alone
4. River Drained
5. The Lightseeker
6. Back to Cosmos11
7. Connections
8. Two Suns in the Sunrise
9. The Song of the Beyond
10. Black
11. The Eleventh Illusion
12. The Pulse of Infinity
13. The Way of 7M

Line-up:
Gianluca Eroico – Bass
Paolo Raffo – Drums
Alessio Calandriello – Vocals
Simone Terigi – Guitars

LUCID DREAM – Facebook

Amaze Knight – The Key

Tra momenti più intimisti, fughe strumentali, cambi di tempo, cavalcate metal, la band torinese ci dona una cinquantina di minuti di grande musica.

Non mi stancherò mai di scriverlo: la musica non va assolutamente giudicata dal genere proposto o valutando se in quel preciso momento sia più o meno trendy, altrimenti si perde completamente l’obiettività.

Prendete per esempio, visto che di prog metal si parla in questa recensione, il capolavoro dei Dream Theater “Images And Words”: se fosse uscito in questi ultimi due anni non avrebbe fatto sicuramente il clamore di una ventina di anni fa e, per contro, negli anni di maggior successo del genere, molti dei lavori descritti come meraviglie sonore sarebbero stati giudicati per quello che erano, ovvero buoni dischi e nulla più.
E, allora, l’album dei torinesi Amaze Knight, all’esordio con questo lavoro autoprodotto, uscito in questo 2013 che ha visto un ritorno in pompa magna del metal in tutti i suoi generi ad una qualità altissima nella nostra penisola, giudicandolo senza alcun pregiudizio è un grandissimo disco.
La band nasce nel 2010 dall’incontro tra Christian Dimasi (chitarra) e Michele Scotti(batteria),a cui poco tempo dopo si uniscono il cantante Fabrizio Aseglio e Matteo Cerantola al basso; aiutati dalle tastiere di Max Tempia e dalla produzione di Roberto Maccagno, gli Amaze Knight ci regalano un album di prog metal veramente ottimo che, partendo dall’influenza base che si percepisce ad un primo ascolto (Dream Theater), svaria da assolute gemme di progressive moderno ad atmosfere più orientate verso gli anni settanta, riuscendo a mantenere l’ascoltatore di turno, concentratissimo sugli eventi musicali che si susseguono senza un minimo di cedimento.
Il primo brano, Imprisoned (Shadow Past), è forse il più vicino al teatro del sogno, classica song dove la band ci mostra subito le proprie elevate doti tecniche ma, a mio parere, il meglio arriva da Restless Soul in poi quando, entrando nel cuore del lavoro, verremo travolti da un mare di emozioni diverse in un crescendo musicale straordinario, laddove le molteplici influenze, invece di fornire un sapore di già sentito, riescono a regalare momenti di assoluta originalità.
Bravo il cantante Fabrizio Aseglio che, pur avendo una tonalità molto simile a James LaBrie, spicca per personalità e, senza strafare, è perfetto in tutto il lavoro che scorre, così, tra momenti più intimisti, fughe strumentali, cambi di tempo, cavalcate metal, con il combo torinese che ci dona quasi una cinquantina di minuti di grande musica.
Al prossimo giro vorrei vedere questi ragazzi accasati presso un’etichetta che abbia voglia di credere in loro, direi proprio che se lo meritano.

Tracklist:
1. Imprisoned (Shadows Past)
2. Restless Soul
3. Heartless
4. Liberation (The Reflection)
5. Liberation (A New Day)

Line-up:
Fabrizio Aseglio – Vocals
Christian Dimasi – Guitars / Vocals
Matteo Cerantola – Bass
Michele Scotti – Drums
Max Tempia – Keyboards (session member)

Avelion – Liquid Breathing

Tutto sommato i brani scorrono lo stesso piuttosto bene, grazie a una serie di brillanti intuizioni disseminate qua e là ma, in previsione di un prossimo full-length, la missione per la band emiliana sarà quella di riuscire a mantenere intatta la propria carica innovativa rendendo più omogenea la struttura delle canzoni.

Procedendo alla disamina del contenuto di Liquid Breathing non si può prescindere dal tenere nella dovuta considerazione il passato degli Avelion.

Difficile immaginare, infatti, che la band alle prese in questo Ep con un metal dai tratti moderni, tra alternative, prog, djent ed elettronica, sia la stessa che cinque anni or sono aveva pubblicato un disco come “Cold Embrace”, all’insegna di un ben più canonico power metal. In effetti, benché il marchio sia lo stesso, lo stravolgimento della line-up ha sicuramente contribuito alla scelta di intraprendere questo nuovo corso stilistico; è fuor di dubbio che uno spostamento così repentino, da un metal ancorato alla tradizione verso una sua veste decisamente futuristica, potrà risultare spiazzante per chi aveva apprezzato i primi passi dei ragazzi parmensi. Personalmente ritengo che optare per l’abbandono di un genere come il power sia una mossa azzeccata, non tanto perché io non sia un estimatore del genere quanto per l’affollamento e la concorrenza esistente in quel contesto, che rende davvero arduo emergere per chi non abbia a disposizione numeri fuori dal comune (e non è detto che ciò basti ugualmente) . I tre brani contenuti nell’Ep, registrati in maniera impeccabile negli studi di un “top producer” come Jens Bogren, hanno in comune un’eterogeneità stilistica che, inevitabilmente, ne rende frammentaria la fruizione, benché non manchino spunti melodici interessanti; le cose funzionano bene quando il sound assume le sembianze di un prog metal evoluto e dai tratti futuristici, sulla scia degli Empyrios di “Zion”, un po’ meno allorché emergono sentori del nu metal più commerciale, il tutto all’interno di pulsioni elettroniche che talvolta intervengono a spezzare senza alcun preavviso trame ancora in divenire. Metaforicamente parlando, Liquid Breathing è assimilabile a una piccola valigia nella quale gli Avelion hanno cercato di stipare una quantità sovrabbondante di indumenti dalle fogge diverse, riservandosi di eliminare il superfluo solo in un secondo tempo. Tutto sommato i brani scorrono lo stesso piuttosto bene, grazie a una serie di brillanti intuizioni disseminate qua e là ma, in previsione di un prossimo full-length, la missione per la band emiliana sarà quella di riuscire a mantenere intatta la propria carica innovativa rendendo più omogenea la struttura delle canzoni.

Tracklist:
1. Liquid Breath
2. Ain’t No Down
3. Mechanical Faces

Line-up :
William Verderi – Lead Vocals
Gianmarco Soldi – Guitars and Backing Vocals
Oreste Giacomini – Keyboards
Mark “Satir” Reggiani – Bass
Damiano Gualtieri – Drums

AVELION – Facebook