Come ampiamente anticipato parlando del singolo Blackness in May qualche mese fa, non c’era davvero alcun dubbio che il nuovo album solista di Déhà (secondo del progetto che porta semplicemente il suo nome) sarebbe stato l’ennesimo lavoro di livello superiore alla media.
Cruel Words riprende quanto già ascoltato in 4 5 6 e nel citato singolo, amplificandone la durata e quindi il piacere dell’ascolto di un lavoro che rende quanto mai impattante, dal punto di vista emotivo, un genere che ogni tanto tende ad avvitarsi su se stesso come il post metal, in tutte le sue varianti.
Déhà conferma d’aver maturato competenze vocali che gli consentono di utilizzare un timbro pulito impeccabile, che viene comunque alternato alla disperata intonazione per lo più utilizzata nei suoi progetti più estremi, come ad esempio Imber Luminis.
Ed è proprio lì che, volendo, si può trovare la chiave della poetica presente in gran parte della produzione del musicista belga, in quanto al centro di essa nidifica un atteggiamento di rifiuto verso le convenzioni esistenziali e quello che cambia, a seconda del monicker utilizzato, è il veicolo musicale scelto per portare il tutto alle orecchie degli ascoltatori.
In tal senso, con le uscite a nome Déhà prendono forma le pulsioni più tenue e, solo apparentemente, meno abrasive ma non per queste meno coinvolgenti e toccanti nel loro incedere: esemplificativa al massimo al riguardo risulta Dead Butterflies, traccia di rara bellezza che, come spesso accade nella produzione di questo infaticabile artista, si sviluppa come un lungo ed inarrestabile crescendo che sfocia in un finale di parossistica emotività.
Detto delle splendide Blackness in May e I Am Mine to Break (quest’ultima però in una versione ancor più coinvolgente) già ascoltate nel singolo che anticipava l’album, troviamo una più cruda Pain is a Wasteland, traccia in cui il dolore appunto viene espresso senza alcuna mediazione a differenza di Butterflies, dove invece ogni sensazione appare più repressa ed ingabbiata in un dolente involucro melodico.
Chiude questa ennesima gemma partorita da Déhà la title track, altro brano grondante pena ed angoscia che supera i dieci minuti, sorta di quintessenza di quale impatto emotivo devastante possa produrre l’incontro tra il depressive ed il post black, quando viene composto da quello che non esito a definire uno dei maggiori artefici contemporanei dell’arte musicale nelle sue più dolorose sembianze: chi ormai ne conosce a menadito la produzione in tutte le sue diverse vesti continua ugualmente a stupirsi per la qualità costante di ogni uscita, mentre chi ancora non vi si fosse imbattuto può partire proprio da qui per intraprendere un periglioso ma impagabile viaggio musicale all’interno dei meandri più oscuri e reconditi della psiche umana.
Tracklist:
1. I am mine to break
2. Pain is a wasteland
3. Blackness in May
4. Butterflies
5. Dead butterflies
6. Cruel words