Trovarci tra le mani l’album che segna il ritorno, dopo molti anni, di una della band italiane più influenti degli ultimi vent’anni provoca sensazioni contrastanti: da una parte c’è il desiderio di ascoltare nuovo materiale inedito controbilanciato dal timore che una pausa così lunga possa averne, in qualche modo, annacquato la vis compositiva.
Australis, brano d’apertura di URSA (che, oltre al suo più immediato significato in latino è, soprattutto, l’acronimo di Union des Républiques Socialistes Animales, richiamando così l’orwelliana “La Fattoria degli Animali”), riparte da dove il discorso si era interrotto: i Novembre sono di nuovo tra noi, con il loro magistrale incontro tra doom, death, dark e post rock (sotto genere questo, dei quali i nostri sono degli antesignani suonandolo già quando nessuno si era ancora sognato di definirlo in tale maniera). Rispetto al passato forse l’elemento di discontinuità maggiore non è musicale bensì a livello di organico, perché non si può fare a meno di notare la “rumorosa” assenza di Giuseppe Orlando (ormai in pianta stabile nei The Foreshadowing): la band oggi è, quindi, più che mai nelle mani del solo Carmelo Orlando, appoggiato dalla stabile e fondamentale presenza di Massimiliano Pagliuso alla chitarra; a completare una line-up di tutto rispetto troviamo altri due ottimi musicisti della scena romana come Fabio Fraschini (Degenerhate) al basso e David Folchitto (Stormlord e Nerodia, tra le altre) alla batteria.
URSA sciorina con una continuità impressionante brani fluidi, ispirati, nel quale il tipico incedere vocale, all’apparenza indolente, di Orlando si alterna con il growl, stile al quale i corrispettivi scandinavi hanno da tempo rinunciato: a mio parere, l’innesto di vocals più aspre, se dosato sapientemente come avviene in questo caso, aumenta non poco l’impatto del sound, fornendo un sbocco drammatico al senso di soffusa malinconia che viene invece evocato dalle clean vocals.
A livello lirico URSA fornisce uno spaccato dell’umanità che non lascia presagire nulla di buono per il futuro del pianeta, laddove la specie dominante piega alle proprie esigenze, sfruttandola, qualsiasi altra forma di vita senza farsi sfiorare da alcun dubbio di natura etica; il tema trova, peraltro, una sua magnifica rappresentazione grafica grazie alla copertina creata dal celeberrimo Travis Smith.
L’umore dell’album ne risente, pur senza toccare le vette tragiche del doom più estremo, scegliendo di comunicare tali sensazioni tramite un sound che, come da trademark dei nostri, si ammanta di tonalità per lo più autunnali, screziate però da frequenti accelerazioni.
Nell’ora abbondante in cui si sviluppa, URSA non mostra alcun cedimento qualitativo, a dimostrazione del fatto che i Novembre non sono tornati solo per uniformarsi alla moda delle reunion o della rievocazione di ciò che è stato: Orlando in tutti questi anni ha continuato a comporre e, nel 2016, ha messo sul piatto l’album che chiarisce quali siano i ruoli di leader e followers della scena, non solo italiana; la scelta di affidare la produzione a Dan Swanö costituisce la consueta garanzia di successo, anche perché è ben difficile trovare un lavoro prodotto dal genio svedese che non sia all’altezza della situazione e, tutto sommato, sembra quasi che i Novembre, con il singolo Annoluce, intendano in qualche modo omaggiarlo, visto che il brano ricorda per umori gli Edge of Sanity di Crimson (da segnalare, qui, la partecipazione di Anders Nyström dei Katatonia).
URSA si muove come un flusso unico, nonostante ogni traccia possieda una sua peculiarità: ad esempio la citata Annoluce sfuma in Agathae , splendido e lunghissimo episodio pressoché strumentale di matrice folk, nel quale Pagliuso rievoca brillantemente gli umori e la tradizione di quella Sicilia che ai nostri ha dato i natali: il brano si trasforma via via in un caleidoscopio di emozioni e sfumature musicali, passando fluidamente per il progressive, il death ed il black, il tutto rivestito da un’eleganza e da un talento compositivo non comune.
Altre due canzoni che impressionano per il loro impatto melodico ed evocativo sono Umana, forse il momento maggiormente accostabile al death/doom dell’intero album, ed Oceans Of Afternoons, sei minuti di pathos in costante crescendo progressivo, sigillati dall’intervento finale di un sax.
Più melodici degli Opeth e meno algidi degli ultimi Katatonia, i Novembre dimostrano in maniera chiara quale sia la fonte alla quale si sono abbeverati molti dei più recenti campioni emersi all’interno di questo segmento stilistico; rispetto a questi, però, la seminale band italiana possiede quel background estremo che, pur se esplicitato in maniera ridotta, rappresenta l’ingrediente capace di donare ulteriore profondità al sound rendendolo, infine, qualcosa di unico.
Tracklist:
1. Australis
2. The Rose
3. Umana
4. Easter
5. URSA
6. Oceans of Afternoons
7. Annoluce
8. Agathae
9. Bremen
10. Fin
Line-up:
Carmelo Orlando Guitars, Vocals, Keyboards
Massimiliano Pagliuso Guitars
Fabio Fraschini – Bass
David Folchitto Drums
Guest/Session
Tatiana Ronchetti – Vocals (additional) on 6.
Paolo Sapia – Saxophone
Anders Nyström – Guitars (lead) on 7.