Blut Aus Nord – 777:The Desanctification

L’assimilazione di simili contenuti musicali non è propriamente agevole, ma chi possiede una sufficiente dose di apertura mentale non si precluda l’opportunità di scoprire le sensazioni uniche regalate da questo gioiello sonoro fuori dagli schemi e dal tempo.

Devo ammettere che in passato band come i Deathspell Omega o gli stessi Blut Aus Nord, pur non essendomi affatto sgradite, non sono mai riuscite a far breccia nelle mie preferenze, forse perché quella particolare commistione tra black e industrial mi risultava in qualche indigesta.

Ma con questo 777 : The Desanctification i Blut Aus Nord mi fanno ampiamente ricredere proprio perché, pur mantenendo gli aspetti emozionali del black, se ne staccano quasi del tutto dal punto di vista compositivo per approdare a sonorità industrial arricchite da una personalissima impronta che spazia tra momenti ipnotici ed altri dalle sfumature rituali, per arrivare alle atmosfere claustrofobiche poste in chiusura del disco. Il risultato è un qualcosa che travalica la concezione stessa di genere musicale riuscendo nell’intento dichiarato di Vindsval (cantante, chitarrista e compositore) ovvero “ disumanizzare la nostra musica per non influenzare quello che ci auguriamo sia un viaggio occulto e mistico per l’ascoltatore”. A tal fine la band francese limita al massimo gli inserti vocali, lasciandoli spesso in secondo piano o filtrandoli, mettendo sempre in primo piano le proprie sonorità destabilizzanti che al primo impatto ti respingono per poi attrarti ed inghiottirti in maniera ineluttabile. Quest’album costituisce il secondo atto della trilogia iniziata con “777 : Sect(s)” (e che troverà il suo epilogo con l’uscita , probabilmente a fine 2012, di “777 : Cosmosophy”) che segna un progressivo distacco dal black metal nella sua accezione più tradizionale; ognuna di queste opere è costituita da brani intitolati “Epitome” contraddistinti da una numerazione progressiva. In The Desanctification ciascuna Epitome è una autentica opera d’arte, a partire dalle iniziali VII e VIII con le loro dissonanze graziate da improvvise aperture melodiche da considerarsi alla stregua di oasi nel bel mezzo di un’infinita distesa desertica, mentre IX è un breve intermezzo dagli inattesi riflessi orientaleggianti. Epitome X riprende impietosa con la sua incessante opera destrutturante ed è seguita da una XI che assume un andamento vagamente psichedelico, con influssi riconducibili ai Killing Joke, ma sono solo barlumi residui di quell’umanità che viene spazzata via senza alcuna misericordia. Epitome XII è un’esperienza sonora straordinaria, con una melodia che si ripete fino a portare l’ascoltatore in un piacevole stato di trance dal quale viene bruscamente ridestato con l’arrestarsi del brano per essere nuovamente scaraventato nei baratri della follia con la conclusiva XIII. Non sappiamo se a fine ascolto l’effetto catartico sia garantito, di certo i Blut Aus Nord con questo disco ci offrono un dono prezioso, quello di essere testimoni di un’opera che si colloca qualche anno-luce avanti rispetto alla quasi totalità delle uscite in ambito estremo. 777 : The Desanctification è un capolavoro che, se ascoltato al momento dell’uscita, avrebbe concorso con “The Book Of Kings” dei Mournful Congregation per la vetta del mio “best of 2011”; l’assimilazione di simili contenuti musicali non è propriamente agevole, ma chi possiede una sufficiente dose di apertura mentale non si precluda l’opportunità di scoprire le sensazioni uniche regalate da questo gioiello sonoro fuori dagli schemi e dal tempo.

Tracklist:
1. Epitome VII
2. Epitome VIII
3. Epitome IX
4. Epitome X
5. Epitome XI
6. Epitome XII
7. Epitome XIII

Line-up: Vindsval – All instruments, Vocals, Songwriting

BLUT AUS NORD – Facebookl

Opera IX – Strix Maledictae In Aternum

Il giudizio finale è positivo anche perché la presenza di qualche passaggio meno convincente all’interno di “Strix Maledictae In Aeternum” viene ampiamente mitigata dall’atteso ritorno all’attività di questa influente band.

Ritornano dopo ben 7 anni gli Opera IX , una delle band storiche della scena black metal tricolore.

Diciamo subito che non ci dobbiamo attendere grandi novità da chi ha fatto della propria integrità stilistica una sorta di bandiera; la proposta risulta oscura e aggressiva, mentre le liriche vertono su tematiche care al gruppo quali stregoneria e occultismo. L’album presenta una serie di brani che colpiscono nel segno, a partire da 1313 , nella quale spiccano pregevoli parti di tastiera, proseguendo con l’altrettanto valida Dead Tree Ballad per arrivare al suo picco con Mandragora, contraddistinta da un impatto leggermente più immediato rispetto al resto del lavoro (e non è un caso che sia il pezzo prescelto per la realizzazione di un video, peraltro molto interessante sotto diversi aspetti …) e la successiva Eyes In The Well con il suo carattere epico. Da segnalare a livello lirico l’uso efficace dell’italiano negli ultimi due brani, abitudine che sta prendendo sempre più piede in ambito estremo, nonostante la nostra lingua ponga maggiori ostacoli dal punto di vista della metrica rispetto all’inglese. Nel suo complesso il platter della band piemontese viene in parte penalizzato sia dalla sua notevole durata sia dalla prevalenza dei mid –tempo che rendono alla lunga l’ascolto meno fluido . Ciò non impedisce agli Opera IX di riuscire nell’intento di condurci per mano nell’oscurità di epoche dominate dalla superstizione e da credenze arcaiche, nelle quali non occorreva molto affinché le maldicenze si trasformassero in accuse e le donne venissero additate come streghe e quindi responsabili di qualsiasi evento avverso. Il giudizio finale è dunque più che positivo anche perché la presenza di qualche passaggio meno convincente all’interno di Strix Maledictae In Aeternum viene ampiamente mitigata dall’atteso ritorno all’attività di questa influente band.

Tracklist:
1. Strix the Prologue (Intro)
2. 1313 (Eradicate the False Idols)
3. Dead Tree Ballad
4. Vox in Rama (Part 1)
5. Vox in Rama (Part 2)
6. Mandragora
7. Eyes in the Well
8. Earth and Fire
9. Ecate – The Ritual (Intro)
10. Ecate
11. Nemus Tempora Maleficarum
12. Historia Nocturna

Line-up: Ossian – Guitars
Vlad – Bass
Dalamar – Drums
M. – Vocals, Guitars (rhythm)

Drakkar – When Lightning Strikes

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Tornano i Drakkar con un concept album di epico power metal.

Nati nel 1995, i Drakkar hanno fatto uscire l’ultimo lp con la Dragonheart Records nell’ormai lontano 2002, per poi farsi risentire dai fan nel 2007 con l’ep “Classified”. I Drakkar tornano oggi alla grande, con un album di power metal melodico e potente, che coglie nel segno. Il songwriting è al servizio della storia che racconta di Hal Gardner, un pilota di caccia mandato a combattere gli alieni sbarcati nel centro di New York (mi vengono in mente i Kree e gli Skrull dell’universo Marvel) che, colpito da un raggio alieno, comincia a ricordare le sue reincarnazioni… Non vi voglio rovinare la sorpresa e il gusto di scoprire una storia epica: in questo disco è mirabilmente raccolto tutto ciò che ci si deve aspettare da un disco di power metal sopra alla media, ovvero potenza, melodia ed epicità. A volte il power metal è il miglior mezzo per far scoprire storie che richiedono un battito del cuore più forte del normale. Usando l’espediente delle reincarnazioni di Hal Gardner, il chitarrista Dario Beretta imbastisce un volo su vari momenti storici, che sono anche stati d’animo. Un ottimo ritorno per una delle band più importanti della scena power metal italiana e non solo: grazie a loro ho riscoperto qualcosa nel genere che non sentivo più da tempo.

Tracklist:
1. Hyperspace – The Arrival
2. Day of the Gods
3. The Armageddon Machine
4. In the Belly of the Beast
5. Revenge Is Done
6. When Lightning Strikes
7. Winter Soldiers
8. Salvation
9. At the Flaming Shores of Heaven
10. We Ride
11. The Awakening
12. My Endless Flight
13. Aftermath – The Departure
14. Engage!
15. New Frontier

Line-up: Dario Beretta – Guitars
Simone Cappato – Bass
Davide Dell’Orto – Vocals
Corrado Solarino – Keyboards

DRAKKAR – Facebook

NunFuckRitual – In Bondage To The Serpent

Questo è il black metal, nella sua accezione più malsana e blasfema e senza alcuno spazio per aperture melodiche o pennellate di colore

I progetti paralleli dei musicisti norvegesi stanno fornendo frutti ben più prelibati rispetto alle band originarie.

Così come per i So Much For Nothing, qui trattati recentemente, pure in questa circostanza l’album si rivela un’autentica perla di arte nera. L’idea del polistrumentista e compositore Teloch (Nnidingr) e del vocalist Espen Hangard risale al 2006, ma è solo tre anni dopo che assume una struttura stabile con l’ingresso in formazione del drummer Andreas Jonsson e soprattutto di un autentico mito della scena estrema ovvero il bassista statunitense Dan Lilker, già nella prima incarnazione degli Anthrax, poi con i Nuclear Assault ed attualmente alle prese con i risorti Brutal Truth. Completata la line-up viene inciso il lavoro d’esordio che vede la luce però solo due anni dopo grazie alla lungimiranza della Debemur Morti. Insomma … “vede la luce” forse non è il modo più appropriato per descrivere l’uscita di questo disco, qui regna un’oscurità assoluta, originata da atmosfere plumbee sospese tra sonorità vicine al black old-school ed ai ritmi cadenzati che spesso confluiscono in una sorta di doom malato e perverso. I NunFuckRitual, fin dal monicker adottato, non si pongono certo scrupoli con i loro testi nel colpire i valori ed i postulati della cristianità, scelta sulla quale si può essere più o meno d’accordo, ma fedele a quelli che sono i dettami lirici del genere fin dalla sue origini. Non dimentichiamo che questa avversione verso le religioni monoteiste ha un fondamento storico che risale al X secolo d.c. quando, in Scandinavia, i templi pagani vennero abbattuti ed in loro vece vennero costruite chiese cristiane. Ma questo è il black metal, nella sua accezione più malsana e blasfema e senza alcuno spazio per aperture melodiche o pennellate di colore, contrassegnato da un mid-tempo strisciante che accomuna l’intera opera e che ci avvolge nelle sue spire come il serpente citato nel titolo. Fare una disamina dei singoli brani diviene un esercizio superfluo, dato che il disco scorre come se fosse un corpo unico concedendoci rari momenti di tregua sotto forma di passaggi ambient e fornendo l’illusoria sensazione di trovare finalmente dell’aria respirabile, prima di riscoprirci definitivamente immersi nei miasmi infernali creati da Teloch e co…

Tracklist:
1. Theotokos
2. Komodo Dragon, Mother Queen
3. Christotokos
4. Cursed Virgin, Pregnant Whore
5. Parthenogen
6. In Bondage to the Serpent

Line-up:
Dan Lilker – Bass Espen
T. Hangård – Vocals, Keyboards, Effects
Teloch – Guitars
Andreas Jonsson – Drums

Your Tomorrow Alone – Ordinary Lives

Ci troviamo certamente di fronte a un buon esordio che merita la dovuta considerazione da parte di chi predilige musica dai toni cupi e malinconici.

Una nuova realtà si affaccia nella già prolifica scena gothic-doom italiana : gli Your Tomorrow Alone.

La band salernitana si forma nel 2009 per volere del chitarrista Marco Priore e del cantante Eugenio Mucio; assestata la line-up, dopo diversi avvicendamenti viene pubblicato nel 2010 un demo che ottiene immediati riscontri favorevoli.
Nel 2011 la My Kingdom aggiunge al suo roster i propri conterranei consentendo loro di presentarsi al debutto sulla lunga distanza con questo Ordinary Lives (in uscita in questi giorni).
Come riportato nella bio della band, le coordinate stilistiche vanno ricercate ovviamente nella sacra triade del genere, Paradise Lost , Anathema e My Dying Bride, con netta prevalenza per i primi, senza però dimenticare un nome rilevante in campo nazionale come i Novembre.
Il sestetto campano si muove pertanto in questo ambito esibendo la caratteristica contrapposizione tra armonie malinconiche e partiture più robuste sfruttando al meglio la presenza in line-up di due cantanti dal diverso timbro vocale.
Il risultato è un album di grande valore, contrassegnato da momenti di considerevole impatto come l’opener Renaissance e One Last Breath, nelle quali proprio l’ottimo bilanciamento tra il growl di Eugenio e la voce pulita di Giovanni ricorda un’opera sottovalutata come “Shades Of Sorrow” dei disciolti Whispering Gallery, il trittico Praise For Nothing, The Essence Of Gloom e Guilty, con il pregevole lavoro chitarristico ispirato da Greg Mackintosh da parte di Marco, nonché l’intensa Agony, dal mood più darkeggiante. Anche i brani dalle atmosfere più intimiste e cangianti come Bursting Hope e In Silence si mantengono su un buon livello anche se per le loro caratteristiche peculiari riescono ad essere assimilati pienamente solo dopo diversi ascolti .
E’ evidente che questo disco farà la gioia di coloro che sono cresciuti ascoltando autentiche pietre miliari quali “Shades Of God”, “Icon” o “Draconian Times”, senza che per questo la proposta degli Your Tomorrow Alone possa essere definita una calligrafica riproduzione delle sonorità prodotte dalla seminale band di Halifax, anche perché il tutto viene opportunamente miscelato con atmosfere più rarefatte, che sono il tratto caratteristico della scuola gothic-doom italiana, rendendo in questo modo il lavoro, se non originale, sicuramente dotato di una propria personalità.
Tirando le somme ci troviamo certamente di fronte a un buon esordio che merita la dovuta considerazione da parte di chi predilige musica dai toni cupi e malinconici.

Tracklist:
1. Renaissance
2. Praise for Nothing
3. The Essence of Gloom
4. Guilty
5. Bursting Hope
6. Far From the Sight
7. One Last Breath
8. Agony (praeludium)
9. In Silence

Line-up:
Gianpiero Sica – Bass
Daniele Ippolito – Drums
Marco Priore – Guitars (lead)
Giovanni Costabile – Keyboards
Giovanni Sorgente – Vocals (clean)
Eugenio Mucio – Vocals

Necrodeath – Idiosyncrasy

“Idiosyncrasy” è un disco che ci consegna una band in ottima forma e nel pieno della propria maturità.

E’ stato veramente desolante constatare che diverse persone abbiano storto il naso a priori alla notizia che il nuovo lavoro dei Necrodeath sarebbe stato costituito da una suite di 40 minuti, per di più con una copertina con i nostri abbigliati in stile “Le Iene”.

Eppure dovrebbe essere noto a tutti, addetti ai lavori e non, che stiamo parlando di una band che per la propria storia, la perizia tecnica e le capacità compositive dei musicisti coinvolti, non ha certo bisogno di alcun beneplacito per discostarsi dalle consuetudini del metal estremo (al riguardo inviterei i più smemorati a ridare un ascolto ai due “Crimson” degli Edge Of Sanity…)
Del resto, fin dal magnifico album della rinascita “Mater Of All Evil”, edito nel 1999, Peso e compagni hanno avuto il merito di cercare ad ogni uscita nuove forme espressive pur senza snaturare la naturale componente black/thrash della loro proposta; va detto, onestamente, che non sempre i risultati sono stati all’altezza delle aspettative ma non è certo questo il caso di Idiosyncrasy , disco che ci consegna una band in ottima forma e nel pieno della propria maturità.
Come è facilmente intuibile, la scelta di presentare il disco sotto forma di un unico brano nasce dall’esigenza di fornire una struttura musicale adeguata ad un concept, che, in questo caso, verte sull’eterna dicotomia tra bene e male e sulla strada irta di difficoltà che deve percorrere ogni individuo alla ricerca della pace interiore; musicalmente ci troviamo dinnanzi ad una scrittura caratterizzata da una violenza disturbante, di sicuro nulla di noioso o di ridondante come magari temevano (o auspicavano…) le solite cassandre.
La caratteristica voce di Flegias, ideatore del concept, la terremotante base ritmica formata da Peso e G.L. e la riconosciuta tecnica chitarristica di Pier Gonella, sono messe al servizio di un album che necessita di diversi ascolti prima di far breccia nell’ascoltatore.
Forse sta proprio in questo aspetto la sola controindicazione riscontrabile nella scelta dei Necrodeath: non tanto a causa della sua limitata immediatezza o della conseguente assenza del caratteristico brano trainante quanto per la necessità di un ascolto integrale dell’intera opera per poterne cogliere in modo esauriente ogni sfumatura.
Ma, al di là questo inconveniente che è del tutto ascrivibile ad una scelta decisamente anti-commerciale, l’esperimento della band genovese può dirsi totalmente riuscito e non sono certo il solo a pensarla così a giudicare da questa recente dichiarazione rilasciata sul suo blog dal noto giornalista inglese Dom Lawson : “Ascoltate Idiosyncrasy, bevete grandi quantità di birra e fate finta che la collaborazione fra i Metallica e Lou Reed non sia mai esistita!”

Tracklist:
1. Part I
2. Part II
3. Part III
4. Part IV
5. Part V
6. Part VI
7. Part VII

Line-up:
Peso – Drums, Lyrics
GL – Bass
Pier Gonella – Guitars
Flegias – Vocals, Lyrics

NECRODEATH – Facebook

Black Propaganda – Black Propaganda

L’antidoto ideale da assumere per contrastare l’ipocrisia che ci ammorba puntualmente ogni anno durante il periodo natalizio ha un nome : Black Propaganda.

L’antidoto ideale da assumere per contrastare l’ipocrisia che ci ammorba puntualmente ogni anno durante il periodo natalizio ha un nome : Black Propaganda.

Nell’ambiente dei media viene così definita quel tipo di informazione falsa e diffamatoria che si professa proveniente da una fonte amica, ma che in realtà giunge dallo schieramento opposto; tale stratagemma venne attuato in particolare al termine della 2° guerra mondiale da quelle nazioni che avrebbero poi finito per soccombere (Italia e Germania in primis…)
Questa premessa è utile per poter meglio comprendere da dove tragga linfa la rabbia distruttiva che pervade l’intero lavoro dei Black Propaganda nei suoi 51 minuti, ma se ciò non dovesse essere sufficiente ci viene in soccorso la band stessa con la seguente dichiarazione d’intenti riportata nella propria “bio” :….brani ossessionati dal rancore sociale, dall’instabilità e dalla falsità psichica dell’essere umano…
Ciò che ne scaturisce è un grande album di thrash-death, inevitabilmente influenzato dalle migliori produzioni di Slayer, Pantera, The Haunted, Entombed, ma lo fa rifuggendo gli stilemi del genere e rimodellando in maniera del tutto personale un sound terremotante che spazza via svariati epigoni delle suddette band nonché la maggior parte delle uscite metal-core che hanno inflazionato il mercato discografico negli ultimi anni .
Da Hit The Mass, che come promette il titolo scuote l’ascoltatore dal suo torpore immergendolo all’istante nella violenza sonora che sarà il filo conduttore dell’album, passando per Craving, No Prejudice, la magnifica About Me (inserita lo scorso anno nel cd-compilation di Rock Hard) fino alle conclusive Livid Taste e Black Propaganda/The Prophet Of The Gore, la band torinese non si concede tentennamenti o divagazioni di alcun tipo e sfodera un lavoro che merita il supporto incondizionato di chi ha realmente a cuore la salute della scena metal tricolore.
Nulla da eccepire sulla produzione che valorizza al massimo l’eccellente lavoro chitarristico di Ian Binetti, le vocals efferate di Jacopo Battuello e la puntuale base ritmica fornita dalla batteria di Eric Di Donato.
Un plauso va infine anche alla Nadir Music per aver arricchito ulteriormente il proprio roster con una band dal potenziale esplosivo come i Black Propaganda.

Tracklist:
1. Punishers of No One Sin
2. Hit the Mass
3. Craving
4. No Prejudice
5. Cynic Apnea
6. I Clean My Mind Imploring for Coma
7. About Me
8. Destroy to Survive
9. Livid Taste
10. Black Propaganda / The Prophet of the Gore

Line-up:
Eric Di Donato – Drums
Ian Binetti – Guitars
Jacopo Battuello – Vocals
Federico Tinivella – Bass

Mournful Congregation – The Book Of Kings

I Mournful Congregation con The Book Of Kings si confermano tra le realtà più importanti della scena funeral doom, sfoderando uno dei migliori lavori dell’anno assieme a quelli di Colosseum , Esoteric e Comatose Vigil.

Attivi dal 1993, gli australiani Mournful Congregation appartengono alla ristretta cerchia degli eredi legittimi dei Thergothon , ovvero i “padri” del funeral doom; nonostante la band sia sulla scena ormai da quasi due decenni, The Book Of Kings è solo il quarto full-length in una discografia comunque ricca di diverse uscite , sotto forma di compilation o split, tutte contraddistinte da un’elevata qualità compositiva.

Il brano iniziale The Catechism Of Depression già dal titolo appare come una dichiarazione d’intenti nei confronti dell’ascoltatore che si trova risucchiato in un vortice di atmosfere plumbee che di tanto in tanto vengono squarciate da emozionanti aperture melodiche.
Il successivo The Waterless Streams si mantiene sui livelli eccelsi del brano precedente ma è con The Bitter Veils Of Solemnity che si raggiunge uno dei picchi emotivi, grazie ai suoi dodici minuti di arpeggi acustici che in qualche modo ricordano gli Agalloch di “The White”, sebbene privati della loro componente folk.
Tre quarti d’ora di musica di simile fattura sarebbero più che sufficienti per chiunque ma gli australiani dimostrano di non soffrire di alcuna crisi compositiva chiudendo il disco con i trentatré minuti della title-track, un brano che, nonostante il suo lento incedere, non annoia mai grazie ai frequenti mutamenti di atmosfera ed i sapienti inserti di chitarra solista .
I Mournful Congregation con The Book Of Kings si confermano tra le realtà più importanti della scena funeral doom, sfoderando uno dei migliori lavori dell’anno assieme a quelli di Colosseum , Esoteric e Comatose Vigil.

Tracklist:
1. The Catechism of Depression
2. The Waterless Streams
3. The Bitter Veils of Solemnity
4. The Book of Kings

Line-up:
Adrian Bickle – Drums
Ben Newsome – Bass
Damon Good – Vocals, Bass, Guitars
Justin Hartwig – Guitars

MOURNFUL CONGREGATION – Facebook

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