Circa un anno e mezzo fa chiudevo la recensione dell’ep Hold definendolo “l’auspicabile antipasto di un prossimo lavoro che potrebbe fare definitivamente esplodere il talento dei Perihelion”.
Mai profezia fu più facile: quando una band dimostra una progressione così esaltante nel corso di pochi anni e riesce nel breve spazio di tempo concesso dalla lunghezza di un ep ad inserire una tale densità qualitativa, appare evidente che ci si trova di fronte ad un qualcosa che può illuminarsi come una supernova in qualsiasi momento.
Eccolo allora, il momento: Örvény è la finalizzazione del lavoro svolto dai ragazzi di Debrecen fin dal momento del loro cambio di monicker (e conseguentemente di stile) da Neokrome a Perihelion; quello che Zeng faceva intravvedere e Hold cominciava a svelare in ampie porzioni, con Örvény si mostra in tutto il suo abbacinante splendore.
La band ungherese suona qualcosa definibile per comodità post metal o post rock ma che, in realtà, è una forma altamente evoluta di musica dall’enorme impatto emotivo che, delle pulsioni estreme che pervadevano nei primi anni del secolo le idee di Gyula Vasvári e Barna Katonka non mostra più alcuna traccia.
Stranamente, l’opener Kihalt égi Folyosók non rappresenta appieno quella che sarà la vera essenza del lavoro, rivelandosi un buon viatico ma all’insegna di un orecchiabile post black venato di folk, privo dell’intensità emotiva che verrà evocata dalle successive tracce, a partire dalle splendide Bolyongó e Fényt!, oscure, sognanti e prepotentemente melodiche allo stesso tempo, per arrivare al culmine costituito dalla title track, picco compositivo di un’intera carriera che può davvero regalare ancora moltissimo: il brano vive di una tensione palpabile, compressa fino all’apertura centrale che presenta un riff micidiale sul quale si va ad innestare una potente ventata di psichedelia.
La bellezza di questo lavoro risiede anche nelle riuscite parti di collegamento di matrice ambient tra i diversi brani, il che conferisce al tutto il senso di un’opera completa e soprattutto compatta, nella quale spicca senz’altro l’interpretazione vocale di Vasvári, evocatica per lo più ma grintosa ed espressiva quando serve.
Romokon è un’altra splendida canzone, stavolta in odore di Alcest nonché traccia ideale per essere abbinata ad un video: qui sbucano anche degli umori che riportano agli Amorphis, mentre in Ébredő Táj i toni si ammorbidiscono, anche se screziati da repentine accelerazioni, prima di tornare ancora eterei ma sempre sorretti da una base ritmica importante nella conclusiva Bardó.
L’utilizzo della lingua madre, che in passato ritenevo limitante, questa volta mi ha convinto del tutto, e se del resto siamo abituati ad ascoltare album cantati in finlandese, dobbiamo essere pronti ad assorbire anche l’ungherese che come si sa appartiene al medesimo ceppo linguistico.
Örvény è un album magnifico, di quelli che inducono ad un ascolto destinato ad andare in loop a tempo indeterminato: merito di una band, come quella magiara, che si è dimostrata capace di rileggere la materia post metal/rock piegandola ad un gusto melodico superiore.
Tracklist:
1. Kihalt égi Folyosók
2. Bolyongó
3. Fényt!
4. Örvény
5. Romokon
6. Ébredő Táj
7. Bardó
Line-up
Gyula Vasvári : Vocals, guitars
Barna Katonka : Drums
Balázs Hubicska : Guitars
Tamás Várkoly : Bass