A ben cinque anni di distanza dal precedente album, un vuoto riempito solo dallo split album con i Rorcal, i Process Of Guilt tornano a riversare il loro carico di negatività espresso tramite un post metal / sludge che non fa sconti.
In occasione della recensione di Faemin mi azzardai ad affermare che il problema vero per la band portoghese sarebbe stato quello di spingersi ancora oltre un simile livello qualitativo e di intensità: in qualche modo credo d’aver colto nel segno, perché effettivamente Black Earth non supera il suo predecessore, che appariva leggermente meno monolitico, però in un certo senso la band lusitana alza ulteriormente l’asticella portando alle estreme conseguenze il proprio livello di incomunicabilità.
In Black Earth non c’è spazio alcuno per aperture melodiche o per abbozzi di forma canzone: l’interpretazione vocale di Hugo Santos è divenuta ormai il doloroso risentimento di chi esprime il proprio furioso e disperato disperato disgusto, e se prima questo stato d’animo si stemperava in fugaci attini di tregua, oggi è un dolore ottundente che nulla può lenire e men che meno cancellare.
L’ossessiva ripetitività dei riff, portata alle estreme conseguenze in Feral Ground, crea un effetto asfissiante che si attenua un minimo solo nella conclusiva Hoax, non fosse altro che per i suoi ritmi più rallentati; Black Earth è un album che non ha nulla di accattivante, eppure dopo ogni ascolto cresce la voglia di ripartire daccapo: del resto non c’è nulla di più catartico della rabbia per sopportare quella che ogni volta appare un’inutile ed impari lotta dell’uomo con il proprio destino, e i Process Of Guilt sono oggi tra i più credibili ed efficaci cantori di questo stato d’animo.
Tracklist:
1. (No) Shelters
2. Feral Ground
3. Servant
4. Black Earth
5. Hoax
Line up:
Custódio Rato – Bass
Gonçalo Correia – Drums
Nuno David – Guitars
Hugo Santos – Vocals, Guitars