Ravenscry – The Attraction Of Opposites

“The Attraction of Opposites” è un ottimo lavoro che conferma le enormi potenzialità dei Ravenscry.

Tornano alla ribalta con questo nuovo album i Ravenscry, band milanese salita alla ribalta con il precedente “One Way Out”, nel non troppo lontano 2011.

Registrato al Ravenstudio e mixato al Bohus Sound Recordings in Svezia da Roberto Laghi e Dragan Tanaskovic, il nuovo disco conferma le buone impressioni suscitate dal primo episodio della saga Ravenscry, rivelandosi un lavoro originalissimo nel quale viene manipolata la materia gothic con assoluta maturità, e dove viene impressa al sound un’impronta che si allontana dalle facili catalogazioni mostrando un approccio vario, dalle mille sfumature e sfruttando al meglio ogni opportunità per rilasciare un prodotto distinguibile, tra le tante uscite discografiche in questo ambito.
Protagonista assoluta è la cantante Giulia Stefani, dotata di una voce che, usata in modo originale (talvolta pare di essere al cospetto di una cantante jazz), travolge per bellezza e personalità.
Il gruppo, da par suo, non si fa pregare nel picchiare il giusto sui propri strumenti, mantenendo viva una forte impronta metallica, e lo ricorda agli ascoltatori con una sezione ritmica tosta che non risparmia soluzioni progressive e sviluppi sonori che ricordano generi lontani dal mondo propriamente metal e gothic, sempre alla costante ricerca di una soluzione originale e mai scontata.
Luxury Of A Distraction apre il disco ed il mondo dei Ravenscry comincia a girare vorticosamente intorno a noi, con luci e ombre, tensione e pacatezza, esplosioni elettriche e divagazioni swing che ci sommergono dal primo all’ultimo minuto, all’inseguimento della sirena Giulia che, con la sua voce, ci sorprende ad ogni passaggio.
La band compatta sciorina riff e ritmiche tra gothic e metal moderno, inserendo armonie di fiati, dalla tromba (Living Today) al sax (Alive), alimentando atmosfere che passano dal progressive ai ritmi jazzati con facilità disarmante, non risparmiandosi e lasciando l’ascoltatore in attesa del prossimo, stupefacente, cambio di registro con il quale i Ravenscry andranno incontro a soluzioni più canoniche, oppure travolgeranno con soluzioni musicali e canore originalissime (The Big Trick).
Produzione ad altissimi livelli, artwork semplicemente fantastico e combo ai nastri di partenza per la definitiva consacrazione: difficile oggi trovare una band così peculiare nel genere e con questi elevati livelli di espressività.
Chapeau!

Tracklist:
01. Luxury Of A Distraction
02. The Witness
03. Missing Words (il video)
04. Alive
05. The Big Trick
06. Touching The Rain
07. Cynic
08. Living Today (il video)
09. Third Millennium Man
10. Noir Desire
11. Ink
12. Your Way
13. ReaLies

Line-up:
Giulia Stefani – Vocals
Mauro Paganelli – Guitars
Paolo Raimondi – Guitars
Andrea Fagiuoli – Bass
Simone Carminati – Drums

RAVENSCRY – Facebook

Selfmachine – Broadcast Your Identity

Una quindicina di anni fa i Selfmachine con un album del genere avrebbero fatto il botto, di questi tempi si dovranno accontentare di piacere e non è comunque poco …

Debuttano per la sempre attenta WormHoleDeath gli olandesi Selfmachine con questo Broadcast Your Identity, buon album di quello che una decina di anni fa veniva definito nu metal, per essere poi aggiornato in metalcore, con un’occhiata all’alternative, chiamato in causa parzialmente per via dell’uso della voce pulita e di ritmiche che si fanno più ragionate in molte parti del disco.

Il lavoro risulta vario e non stanca, anche per questo avvicendarsi di atmosfere, tra tensione a mille, con sfuriate che rasentano in certi momenti la violenza del death, e parti melodiche dove la fanno da padrone certi richiami al post grunge di band come i Creed: Becoming the Lie ne è l’esempio più lampante, dove solo un accenno di growl posto nel finale del pezzo ci ricorda che siamo al cospetto di una band che fa del metalcore il suo credo. Il resto dell’album è un sali e scendi sulle montagne russe di un songwriting molto vario, aiutato da vocals che passano dal classico screaming di genere al growl cavernoso di chiara matrice death, fino ad una voce pulita che tra l’altro è anche molto bella. Partendo da Breathe To Aspire, brano nu metal con tanto di cantato dall’accenno rappato, alla più cadenzata Miles Away con tanto di assolo riuscito a metà del pezzo, si passa ad Incorporated dove per la prima volta si intrecciano svariate voci a rendere la song molto varia. L’uso delle voci è appunto il trademark del disco, non ci si annoia con i Selfmachine e si arriva alla fine dell’album senza fatica, anche per l’ottima produzione; c’è ancora tempo per le ottime Void, Out of Depth e la lunghissima (11 minuti, per il genere un record) Closing Statement, bellissimo pezzo dove la band sorprende con un brano dallo spirito progressivo. Una quindicina di anni fa i Selfmachine con un album del genere avrebbero fatto il botto, di questi tempi si dovranno accontentare di piacere e non è comunque poco …

Track list:
1.Breathe to Aspire
2.Miles Away
3.Incorporated
4.Massive Luxury Overdose
5.Void
6.Out of Depth
7.Caught in a Loop
8.Smother the Sun
9.Becoming the Lie
10.Isybian
11.Closing Statement

Line-up:
Steven Leijen – L.vocals
Mark Brekelmans – Bass,vocals
Michael Hansen – Guitars,vocals
John Brok – L.guitars,vocals
Ben Schepers – Drums

SELFMACHINE – Facebook

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Avelion – Liquid Breathing

Tutto sommato i brani scorrono lo stesso piuttosto bene, grazie a una serie di brillanti intuizioni disseminate qua e là ma, in previsione di un prossimo full-length, la missione per la band emiliana sarà quella di riuscire a mantenere intatta la propria carica innovativa rendendo più omogenea la struttura delle canzoni.

Procedendo alla disamina del contenuto di Liquid Breathing non si può prescindere dal tenere nella dovuta considerazione il passato degli Avelion.

Difficile immaginare, infatti, che la band alle prese in questo Ep con un metal dai tratti moderni, tra alternative, prog, djent ed elettronica, sia la stessa che cinque anni or sono aveva pubblicato un disco come “Cold Embrace”, all’insegna di un ben più canonico power metal. In effetti, benché il marchio sia lo stesso, lo stravolgimento della line-up ha sicuramente contribuito alla scelta di intraprendere questo nuovo corso stilistico; è fuor di dubbio che uno spostamento così repentino, da un metal ancorato alla tradizione verso una sua veste decisamente futuristica, potrà risultare spiazzante per chi aveva apprezzato i primi passi dei ragazzi parmensi. Personalmente ritengo che optare per l’abbandono di un genere come il power sia una mossa azzeccata, non tanto perché io non sia un estimatore del genere quanto per l’affollamento e la concorrenza esistente in quel contesto, che rende davvero arduo emergere per chi non abbia a disposizione numeri fuori dal comune (e non è detto che ciò basti ugualmente) . I tre brani contenuti nell’Ep, registrati in maniera impeccabile negli studi di un “top producer” come Jens Bogren, hanno in comune un’eterogeneità stilistica che, inevitabilmente, ne rende frammentaria la fruizione, benché non manchino spunti melodici interessanti; le cose funzionano bene quando il sound assume le sembianze di un prog metal evoluto e dai tratti futuristici, sulla scia degli Empyrios di “Zion”, un po’ meno allorché emergono sentori del nu metal più commerciale, il tutto all’interno di pulsioni elettroniche che talvolta intervengono a spezzare senza alcun preavviso trame ancora in divenire. Metaforicamente parlando, Liquid Breathing è assimilabile a una piccola valigia nella quale gli Avelion hanno cercato di stipare una quantità sovrabbondante di indumenti dalle fogge diverse, riservandosi di eliminare il superfluo solo in un secondo tempo. Tutto sommato i brani scorrono lo stesso piuttosto bene, grazie a una serie di brillanti intuizioni disseminate qua e là ma, in previsione di un prossimo full-length, la missione per la band emiliana sarà quella di riuscire a mantenere intatta la propria carica innovativa rendendo più omogenea la struttura delle canzoni.

Tracklist:
1. Liquid Breath
2. Ain’t No Down
3. Mechanical Faces

Line-up :
William Verderi – Lead Vocals
Gianmarco Soldi – Guitars and Backing Vocals
Oreste Giacomini – Keyboards
Mark “Satir” Reggiani – Bass
Damiano Gualtieri – Drums

AVELION – Facebook

ArtemisiA – Stati Alterati Di Coscienza

Il terzo album degli ArtemisiA ci porta sui territori del rock cantato in italiano ma dalle energiche venature metal, rendendosi potenzialmente appetibile a diverse fasce di ascoltatori.

Il terzo album degli ArtemisiA ci porta sui territori del rock cantato in italiano ma dalle energiche venature metal, rendendosi potenzialmente appetibile a diverse fasce di ascoltatori.

Dopo diversi ascolti è difficile non scorgere alcune similitudini con quella che, a mio parere, nella prima metà degli anni ’90 è stata per distacco la miglior rock band italiana, ovvero i Timoria; a questo nobile influsso gli ArtemisiA uniscono una propensione a sonorità maggiormente cupe che spesso sconfinano in territori stoner-doom.
La cura nella stesura dei testi, un sound che riesce a mantenere una certa pulizia nonostante la sua connotazione retrò, la varietà e l’incisività della maggior parte dei brani, ci consegnano un lavoro assolutamente degno della massima considerazione.
Brani dalla differente impronta come la delicata Insana Apatia, la potente Nel Dipinto, la cangiante Mistica e l’inquietante, conclusiva Presenza, testimoniano la riuscita di un album ambizioso che si porta appresso un solo piccolo difetto che, magari per molti non sarà affatto tale, ma che per me costituisce un aspetto da limare per quanto possibile in futuro: la bravissima Anna Ballarin, dotata di una voce versatile e potente (anche se la preferisco nei momenti più soffusi, nei quali la sua espressività raggiunge il culmine) ricorre sovente al bizzarro accorgimento di troncare una parola in corrispondenza dell’ultima sillaba per poi riprenderla unendola a quella successiva (“rapi / ta e corrotta”), una soluzione che, anche se funzionale al rispetto di una certa metrica, rende piuttosto farraginosa la fruizione dei testi.
Al di là questo particolare Stati Alterati Di Coscienza è un disco che merita il supporto incondizionato degli appassionati, oltre che per la sua indubbia qualità, anche in virtù di uno stile che di questi tempi non trova molti corrispettivi: un motivo in più approvare l’operato degli ArtemisiA.

Tracklist:
1.La Strega Di Port Alba (Maria La Rossa)
2. Il Bivio
3.Insana Apatia
4.Il Pianeta X
5.Nel Dipinto (Artemisia Gentileschi)
6.Mistica
7.Corpi Di Pietra
8.Vanità
9.Il Libro Di Katul
10.Presenza

Line-up:
Anna Ballarin – voce
Vito Flebus – chitarra
Ivano Bello – basso
Gabriele Gustin – batteria

ARTEMISIA – Facebook

PTSD – A Sense Of Decay

I PTSD con A Sense Of Decay forniscono una prova decisamente buona, anche se ho la sensazione che la loro proposta possa attecchire più oltreoceano che non all’interno dei nostri confini

I PTSD (acronimo di lingua inglese che sta per Post Traumatic Stress Disorder) sono una band marchigiana attiva dal 2005 e A Sense Of Decay è il loro secondo full-length dopo l’esordio “Burepolom” risalente a cinque anni fa.

La musica proposta in questo lavoro è un discreto mix di influenze che, dopo un’opportuna frullata, si può definire in maniera alquanto vaga alternative metal; le band di riferimento citate in sede di presentazione sono 30 Secconds To Mars, Alice In Chains, Sistem Of A Down e Breaking Benjamin: sinceramente non conosco in maniera così approfondita i primi e gli ultimi per poter fare una verifica attendibile ma, a naso, direi che i PTSD sono senz’altro meno commerciali di entrambi, mentre l’accostamento ai più noti mostri sacri della scena, se può valere con la band di Seattle in qualche armonia vocale e nell’utilizzo di melodie dal retrogusto malinconico, con il combo armeno-americano non riesco a trovare alcuna affinità evidente se non l’attitudine al crossover tra generi diversi.
Detto questo. il disco è senz’altro valido e, pur collocandosi a una certa distanza da quelli che sono i miei ascolti abituali, l’ora di musica contenuta in A Sense Of Decay mi ha piacevolmente colpito, poiché presenta diversi momenti di livello piuttosto elevato, come nell’opener Event Horizon e, in particolare, nell’intensa Solar Matter Loss. Azzeccata e molto ben eseguita la cover del brano di Anastacia Heavy On My Heart e molto interessante anche il remix del già citato brano d’apertura; del resto la crescita di questa band appare evidente anche esaminando i particolari: la produzione a cura di un nome pesante come Jim Caruana e il contributo in sala d’incisone da parte di uno dei batteristi più quotati della scena, quel Marco Minnemmann , attualmente impegnato anche con gli Ephel Duath.
Henry Guy possiede un bel timbro vocale, sporcato sporadicamente dal un growl avente la sola funzione di supporto, attorno al quale vengono costruiti brani dalla fruizione piuttosto immediata ma non per questo scontati.
In sintesi, i PTSD con A Sense Of Decay forniscono una prova decisamente buona, anche se ho la sensazione che la loro proposta possa attecchire più oltreoceano che non all’interno dei nostri confini ma, vista la notevole differenza dei due mercati, non è detto che questo per i nostri sia una cattiva notizia, anzi …

Tracklist:
1. Event Horizon
2. A Reason To Die
3. Parasomnia
4. Staring The Stormwall
5. Suicide Attitude
6. A Sense Of Decay
7. Breathless
8. Solar Matter Loss
9. By A Thread
10. Heavy On My Heart (Anastacia cover)
11. ……If?
12. Event Horizon (Forgotten Sunrise rmx)

Line-up :
Henry Guy – Vocals
Yorga – Lead Guitars
Jason – Rhythm Guitars
Rob Star – Bass
Marco Minemann – Drums

PTSD – pagina facebook

The Way Of Purity – Equate

Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata.

Come si può facilmente intuire da queste note presenti all’interno del booklet, i The Way Of Purity non fanno nulla per essere ammiccanti o tranquillizzanti:
Sole, Fuoco, Vento, Acqua, Terra, Demoni, Natura, Fasi Lunari, Anime dei Primi Umani e Malattie si uniranno per riequilibrare il mondo con un unico scopo: Animali e Natura governeranno nuovamente il pianeta con la loro integrità, la razza umana sarà brutalmente sterminata, le menzogne antropocentriche avranno fine e gli umani vedranno la terrificante immagine dell’orrore che hanno inflitto agli animali per anni.
L’umanità è malata, contaminata dal peggior morbo chiamato Specismo

Abbigliati come gli attivisti dell’Animal Liberation Front (del quale in pratica sono il braccio musicale) , i componenti della band predicano e auspicano la rivincita degli animali e della natura sugli uomini fino al definitivo annientamento di questi ultimi e neppure l’ingresso in formazione di una splendida ragazza come Tiril Skaardal (unica a volto scoperto) ne migliorerà più di tanto l’appeal sul pubblico, dato che appena l’angelica creatura inizierà a vomitare il suo impressionante growl, ogni possibile intento rassicurante verrà vanificato.
Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in realtà reagiscono meccanicamente ad una stimolazione materiale come quando toccando una molla dell’orologio le sue lancette si muovono” : questa teoria di Cartesio ha dato il via libera a quattro secoli di sevizie di ogni genere perpetrate a danno degli animali in nome di una pseudo-ricerca scientifica e i nostri gli “dedicano”, non a caso, il brano più violento del disco, recante un titolo eloquente come Eternal Damnation to Renè Descartes.
Chiaramente tutto ciò che sta dietro i The Way Of Purity, l’estremismo ideologico, un ideale religioso che identifica Dio con una natura pronta alla rivalsa sull’umanità che la violenta, la provocazione attraverso immagini crude come quelle che li ha visti protagonisti nel cortometraggio diretto da Susy Medusa Gottardi, non riesce certo a farli passare inosservati suscitando, come sempre avviene in questi casi, sentimenti contrastanti da parte del pubblico e della critica.
Noi non siamo la band che loro vorrebbero che fossimo, non siamo puliti e belli come tutti i musicisti là fuori: lo abbiamo detto sin dall’inizio. Stiamo solo lavorando per distruggere la malattia peggiore dell’umanità, che si chiama specismo, che riteniamo pari al nazismo”.
Ovviamente, chi ama gli animali e la musica metal, non può che schierarsi istintivamente dalla parte della band, sia se si ritiene che lo sterminio indiscriminato di migliaia di esseri viventi sia un crimine a tutti gli effetti perpetrato dalla specie che si è arrogata il diritto di monopolizzare e, probabilmente, di distruggere il pianeta, sia perché l’impatto della proposta musicale non può e non deve essere ignorato.
Qui troviamo un deathcore/black che spesso lascia spazio a interi brani dal sapore gothic, in un’alternanza di stili che, come per il loro modo d’essere, espone i The Way Of Purity, a critiche provenienti da schieramenti opposti tra loro, risultando inevitabilmente troppo violenti per chi si nutre del metalcore più zuccheroso e troppo morbidi per i deathsters/blacksters più intransigenti .
Eppure proprio nell’apparente schizofrenia della loro proposta risiede il vero valore aggiunto, quando per esempio, nell’opener Artwork Of Nature, tra le vocals efferate di Tiril e un blast beat furioso si fa largo una splendida melodia di tastiera, oppure quando nella track-list, tra due autentiche mazzate deathcore come Death Abound Everywhere e la già citata Eternal Damnation to René Descartes viene piazzata Eleven, traccia degna dei migliori Lacuna Coil (grazie anche all’ottima performance vocale di Giulia dei nostri Ravenscry). Il lavoro chitarristico in Keep Dreaming è da urlo e in For All Who Trieved Unheard la singer norvegese mostra prima il suo lato angelico per poi ritornare nelle sue consuete vesti di alter ego di Angela Gossow.
Anche The Last Darkest Night potrebbe apparire un innocuo e orecchiabile brano gothic-pop se non fosse letteralmente brutalizzato nella sua parte centrale, mentre A Time To Be Small, splendida cover del brano degli Interpol, pur mantenendosi abbastanza allineata alla melodia originale, viene ugualmente screziato da parti in growl.
Lijty Cristy chiude in maniera piuttosto cruda, così com’era iniziato, un album dai molti contenuti compressi nei suoi trentasette minuti scarsi.
Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata; questo è un vero peccato perché l’aspetto che come recensori ci deve interessare maggiormente, cioè quello musicale, è di primissimo piano risultando di gran lunga superiore a band molto più reclamizzate ma dall’impatto visivo e ideologico rassicurante.
You wear my skin as a monument of wealth”.

Tracklist :
1. Artwork Of Nature
2. Death Abound Everywhere
3. Eleven
4. Eternal Damnation To René Descartes
5. Keep Dreaming
6. For All Who Thrive Unheard
7. The Mighty Fall
8. The Last Darkest Night
9. A Time To Be So Small
10. Lijti Crjsty

Line-up :
Tiril Skardal – Vocals
Without Name – Bass
Jeffrey – Guitar
Wod – Drums
Deathwish – Guitar, Keyboards

THE WAY OF PURITY – Facebook