Keys Of Orthanc – Dush agh Golnauk

Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria.

Keys Of Orthanc è il nome di questa nuova one man band che si affaccia sulla scena black metal.

Come fanno ampiamente intendere monicker e titolo dell’album è l’immaginario tolkeniano a dominare a livello lirico nel lavoro del musicista del Québec (che per eliminare ogni fraintendimento si presenta come Dorgul).
L’interpretazione che ne deriva non può che risentire di tutto questo, per cui sono atmosfere per lo più epiche a caratterizzare l’opera, anche se le pulsioni pagan folk sono meno accentuate a favore di un incedere più malinconico.
A livello compositivo Dorgul si fa valere ma la produzione non è nitida come dovrebbe, per cui purtroppo gli spunti melodici non emergono come dovrebbero, soffocando per esempio le buone intuizioni dei due brani centrali Witchking e Mor Gashnum.
Trattandosi di un esordio ci si potrebbe accontentare, anche se non sono pochissimi gli aspetti da migliorare, per evitare che le buone idee espresse da Dorgul vengano restituite in maniera oltremodo confusionaria; d’altro canto, considerati i mezzi che mette a disposizione l’odierna tecnologia, ignorare questo aspetto non dovrebbe essere così complicato.

Tracklist:
1. Satum
2. Ringwraiths
3. Witchking
4. Mor Gashnum
5. The White Wizard
6. Outro

Line up:
Dorgul – All instruments, Vocals

KEYS OF ORTHANC – Facebook

The Shiva Hypothesis – Ouroboros Stirs

Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.

La Wormholedeath non si smentisce con le sue uscite di ottima qualità e licenzia il primo album di questo notevole gruppo estremo, nato nei Paesi Bassi da diversi anni e chiamato The Shiva Hypothesis.

Il quartetto in questione suona un atmosferico mix di black e death metal, con molte sfumature dark ed una teatralità innata: il sound è valorizzato da un’anima progressiva, con strutture caratterizzate da furiosi cambi di tempo ritmici e dissonanze chitarristiche su una base estrema cupa e pregna di misticismo.
Ouroboros Stirs lascia ad un intro quasi impercettibile il compito di portarci all’attacco funesto di Ananda Tandava, primo squillo di questo misterioso lavoro; a tratti il sound dei nostri risulta intriso di quelle atmosfere dark/progressive care ai primi Arcturus, per poi lasciare spazio a violente tempeste death/black alla Behemoth, il cantato tra scream e growl interpreta i testi a sfondo religioso e filosofico in un clima di tregenda sonora, in parte smorzata dalle atmosfere oscure e pacate di cui la band è maestra.
Maze Of Delusion (uno dei brani, insieme a Caduceus e Praedormitium, che componevano il promo di cui vi avevamo parlato in passato) è uno splendido esempio di thrash/black metal che si sviluppa su tempi medi, per poi accelerare improvvisamente e tornare a calcare territori black metal puri, prima che un’intermezzo dark alla Fields Of The Nephilim incoroni il brano come il picco qualitativo di Ouroboros Stirs.
Un debutto davvero interessante, con la band che ci investe con una serie di tempeste estreme perfettamente bilanciate con momenti di epiche melodie oscure, un lavoro ritmico di prim’ordine e passaggi atmosferici che rendono giustizia al concept religioso e filosofico che sta dietro all’opera.
Ouroboros Stirs cresce con gli ascolti così da metabolizzare le varie sfumature di cui è composto: lasciatevi rapire dal suono creato dal gruppo olandese, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Enkindling
2.Ananda Tandava
3.Caduceus
4.Praedormitium
5.Build Your Cities on the Slopes of Mount Vesuvius
6.Maze of Delusion
7.Carrying off the Effigy
8.With Spirits Adrift

Line-up
ML – Bass, Keys, Electric & Accoustic Lead Guitar (track 5 & 8), Additional Vocals (track 3 to 7)
BN – Drums & Percussion, Additional Vocals (track 6)
JB – Electric & Accoustic Guitars, Additional Vocals (track 4)
MvS – Vocals

THE SHIVA HYPOTHESIS – Facebook

Skyborne Reveries – Winter Lights

Il buon gusto e il delicato incedere dei brani rendono assolutamente gradevole un’opera come Winter Lights, che consente di trascorrere un’ora in compagnia di musica di notevole intensità emotiva e decisamente scorrevole.

Dal sempre ricco e peculiare scrigno della Naturmacht ecco provenire questo secondo full length degli Skyborne Reveries, one man band australiana attiva da qualche anno per volontà del musicista australiano Nathan Churches.
Il sound qui offerto è un post black metal molto atmosferico, ben strutturato e sviluppato con uno spiccato senso melodico.

Il buon gusto e il delicato incedere dei brani rendono assolutamente gradevole un’opera come Winter Lights, che consente di trascorrere un’ora in compagnia di musica di notevole intensità emotiva e decisamente scorrevole. Va detto altresì che, nonostante qualche accelerazione ritmica e lo screaming di prammatica, le pulsioni metalliche rimangono decisamente sullo sfondo, relegatevi anche da una produzione che privilegia anche troppo le tastiere, strumento predominante nell’intero lavoro.
Così, una serie di brani dall’andamento sognante e carezzevole si snoda senza particolari variazioni sul tema, andando a comporre un lavoro sicuramente bello ma che, proprio per i piccoli difetti sopra enunciati, non consente agli Skyborne Reveries di raggiungere o avvicinare l’eccellenza assoluta.
Ciò che resta nelle orecchie è un qualcosa di piacevolmente carezzevole che posso definire, a grandi linee, una versione molto più edulcorata dei Coldworld e, anche per questo, Winter Lights è destinato a trovare estimatori in chi predilige anche la musica ambient più ariosa. Tra i brani direi che la miglior sintesi il buon Nathan la raggiunge in The Forgotten, sia per minutaggio che per struttura, laddove il black assume una parte più preponderante all’interno del sound, sposandosi al meglio ad una sempre ben presente vena atmosferica.
Ecco quindi un’ ideale base dalla quale ripartire per provare a fare un decisivo salto di qualità, oltre ad un fondamentale progresso auspicabile a livello di produzione proprio esaltare al meglio le caratteristiche di un sound che, essendo ben lontano dalle ruvidezze del black più canonico, necessità di una resa senz’altro più limpida.

Tracklist:
1. Winter Lights
2. Ascending Beyond That August Firmament
3. Song of the Rin
4. I Must Return
5. The Forgotten
6. When Stars Sing
7. Of Mountains and Tranquil Skies

Line up:
Nathan Churches – All instruments, Vocals, Programming

SKYBORNE REVERIES – Facebook

Kosmogyr – Eviternity

Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Un disco scritto fra due continenti, prodotto viaggiando attraverso i bytes delle connessioni internet, ma dal cuore antico e totalmente black metal.

I componenti del gruppo sono l’americano Ivan Belcic alla voce e alla batteria elettronica e il cinese Xander Cheng alla chitarra ed al basso. I due si sono incontrati a Shangai e hanno deciso di fare un disco assieme, anche se poi Belcic ha lasciato la Cina alla volta della Repubblica Ceca. Ciò non ha impedito ai due di continuare ad elaborare il disco scrivendosi per posta elettronica, usando i vari software di produzione per mandarsi le parti sonore e continuare a progredire con il lavoro. Ne è sicuramente valsa la pena, poiché è un buon disco di black metal che guarda al passato, agli anni novanta del genere, ma ha moltissime contaminazioni, dal prog all’atmospheric, passando per momenti anche quasi ambient. La coppia a distanza funziona, le canzoni sono composte molto bene, hanno una forte componente di malinconia e lasciano un ottimo retrogusto. Forse il rapporto a distanza di questi due musicisti ha permesso alla materia di decantare il giusto tempo necessario per capire e sentire cosa fosse meglio fare. Il cuore dell’opera sono le connessioni che il black metal ha con le profondità del nostro essere, dove i muscoli ed il cuore si fondono con il nero metallo e ne nasce qualcosa di molto vicino alla vita reale. Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Tracklist
1.Sui Generis
2.The Wane
3.Quiescent
4.Eviternity
5.Frailty
6.Refulgence
7.Iridescent
8.Vision
9.Thalassic Lunacy

Line-up
Xander Cheng
Ivan Belcic

KOSMOGYR – Facebook

Arkveid – Arkveid

Un’offerta decisamente valida nel suo esibire un umore oscuro distribuito tra i diversi generi che confluiscono nel sound, a partire dal doom metal, per arrivare al black passando per il folk.

Arkveid è il nome di questa band russa, della quale le poche notizie che si hanno raccontano di una storia iniziata a metà dello stesso decennio come duo, ma realizzatasi alla fine sotto forma di album di debutto con la configurazione di one man band.

Al di là di questo resta solo la musica, e non è poco, perché siamo in presenza di decisamente valida nel suo esibire un umore oscuro distribuito tra i diversi generi che confluiscono nel sound, a partire dal doom metal, per arrivare al black passando per il folk.
Questa descrizione ci potrebbe portare, a livello di indizi, nei pressi di un nome come gli Agalloch, citato in effetti nelle note di presentazione ma con il quale, di fatto, ci sono in comune solo gli ingredienti che vanno a confluire in ricette senz’altro diverse.
Inevitabilmente, l’interpretazione della materia da parte di musicisti russi non potrà mai essere simile a quella di una band nordamericana, perché troppo diversi appaiono il background musicale ed anche la sensibilità compositiva, da un lato più propensa a fornire al sound una patina di epica solennità, dall’altra invece più ripiegata verso un intimismo folk compensato da una matrice fondamentalmente black.
Detto questo, Arkveid è un buon album, strutturato su una sola lunga traccia di quasi quaranta minuti ma sufficientemente varia per non tediare l’ascoltatore; del resto, ad un lavoro di questo tipo si richiede quale caratteristica proprio quella di scorrere piacevolmente, con eccellenti intuizioni melodiche e mantenendo un costante equilibrio tra tutte le componenti che entrano a farne parte.

Tracklist:
1. I

Vyre – Weltformel

Chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Ritroviamo i Vyre a quattro anni dall’ottimo The Initial Frontier pt 2.

La band tedesca è formata in buona parte da musicisti che hanno fatto parte dei Geist (poi Eis) e questo è senz’altro un elemento che depone a favore della loro competenza in materia.
I Vyre possono essere assimilati alla scena black soprattutto per il background perché, in sostanza, fin dagli inizi la loro offerta è orientata ad un metal atmosferico e progressivo, con l’aggiunta questa volta di connotazioni cosmiche a livello concettuale che vanno poi a ripercuotersi anche nel sound.
Certo, quando arrivano le sfuriate che tengono fede alle origini della band, Weltformel si rivela come da pronostico un buonissimo lavoro anche se, rispetto al predecessore, mancano forse quei picchi emozionali che avevano fatto la differenza in tale frangente.
Questo non vuol dire che l’album sia deludente, tutt’altro, perché l’offerta dei Vyre è sempre a suo modo preziosa, spingendoci ad approdare in un’area musicale nella quale il black metal incontra il progressive, in qualche modo simile a quella dove operano oggi nomi come Arcturus o Ihsahn, e dopo una lunga intro atmosferica (Alles Auf Ende), Shadow Biosphere testimonia ampiamente quanto appena detto, anche se un brano splendido come A Life Decoded riporta a spunti più evocativi e impattanti emotivamente, nel suo alternare sfuriate in blast beat a delicati arpeggi chitarristici.
Tardigrade Empire spezza quel mood che si era creato nel brano precedete, con il suo incedere prevalentemente cervellotico, mentre nella strumentale The Hitch predomina un’elettronica che prelude ad una finale notevole, tra fughe di chitarra solista e riff squadrati e davvero pesanti.
Chiudono Weltformel un altro episodio sostanzialmente melodico come We are the Endless Black e una lunga ed incalzante Away Team Alpha, brani che confermano d’essere al cospetto di una band di grande livello tecnico e compositivo, forse un po’ meno ispirata che in passato in virtù di sonorità che appaiono meno spontanee sebbene ottimamente costruite.
Ribadisco che la mia è una sensazione, perché chi vuole ascoltare un metal avanguardista, atmosferico e progressivo con reminiscenze black, qualora si imbatta nei Vyre non ha sicuramente sbagliato strada, anzi …

Tracklist:
1. Alles Auf Ende
2. Shadow Biosphere
3. A Life Decoded
4. Tardigrade Empire
5. The Hitch (We Are Not Small)
6. We are the Endless Black
7. Away Team Alpha

Line-up:
Cypher – VOCALS KG
Hedrykk F. Gausenatt – GUITARS & BASS
Zyan – GUITARS
Priebot – GUITARS
Android – DRUMS
Doc Faruk – SYNTH, SOUNDS
Akku Volta – VIOLINE
Nostarion – CELLO

VYRE – Facebook

Angor Animi – Cyclothymia

Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.

Kjiel è una delle musiciste più attive nonché tra le interpreti di spicco all’interno della scena nazionale gravitante attorno al depressive black, in virtù della sua militanza negli ottimi Eyelessight e di diverse collaborazioni con band italiane e non.

Angor Animi è il monicker del suo progetto solista che vede la luce con questo magnifico Cyclothymia, lavoro con il quale la musicista abruzzese può dare ancor più liberamente sfogo alla sua sensibilità artistica volta ad esplorare gli anfratti più bui dell’animo umano.
Per fare tutto ciò Kjiel si avvale della presenza in qualità di ospite di Déhà, un nome che è una sorta di marchio di qualità non solo per tutti i suoi innumerevoli progetti personali (tra i quali ricordiamo per affinità agli Angor Animi quelli denominati Yhdarl e Imber Luminis), ma anche per quelli altrui ai quali si trova a fornire il suo personale contributo.
Va detto per amor di precisione che in Cyclothymia il musicista belga si occupa dell’intera parte ritmica e di alcune parti di chitarra in qualità di ospite, lasciando a Kjiel l’intero il peso compositivo oltre alla possibilità di esprimersi al meglio con la sei corde e con la sua lancinante interpretazione, integrata anche dall’apporto della voce maschile di HK (Eyelessight), dell’altra femminile di Tenebra (Dreariness) e dal piano di Maylord (Dark Haunters).
Il risultato di tutte queste componenti è un album di un’intensità portata alle estreme conseguenze, che dal DSBM mutua soprattutto l’impostazione vocale, mentre a livello strettamente musicale siamo sul piano di un black/post metal atmosferico e dall’enorme impatto emotivo.
Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.
Kjiel, con questo suo personale progetto, si conferma come una delle interpreti migliori e più credibili di questo particolare sottogenere, rivolto sicuramente ad una nicchia di appassionati che non hanno il timore di essere sopraffatti dal disagio e dalla sofferenza che si fanno musica.

Tracklist:
01 – Quantum
02 – Matter
03 – Hyle
04 – Cosmi
05 – Lumis
06 – Ifene
07 – Fractals
08 – Divide
09 – Entropia

Line-up:
1. Prelude to an End;
2. Everlasting Lethargy
3. After Years of Broken Dreams
4. Melanchomania
5. Cleithrophobia
6. Longing My Life Away
7. Cyclothymia
8. Self-Deception
9. No Way Out(ro)

Line-up:
Kjiel – Vocals, Guitars

Guests:
HK – Vocals
Déhà – Guitars, Bass, Drums
Maylord – Piano
Tenebra – Vocals

ANGOR ANIMI – Facebook

Veiled – Black Celestial Orbs

Uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.

Con Black Celestial Orbs facciamo la conoscenza con questa nuova band statunitense capace di offrire un black atmosferico in grado di attrarre senz’altro l’attenzione degli appassionati più attenti.

A ben vedere, peraltro, proprio di nuova band non si tratterebbe perché i Veiled sono la nuova denominazione dei Gnosis Of The Witch, progetto che vedeva il fondatore Niðafjöll accompagnato alla batteria da Swartadauþaz, rimpiazzato poi nella nuova configurazione Dimman, drummer che fa parte della line-up dei magnifici When Nothing Remains.
Ciò che conta è che questo full length d’esordio offre uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.
Tutto ciò accade dal primo secondo di Luminous all’ultimo di Omnipotent, lasciando alle due parti che compongono la title track a l’offerta di qualche variazione sul tema, con la prima che vede un break strumentale piuttosto rarefatto e la seconda che è di fatto un episodio di matrice totalmente ambient.
Se in Portal si mostrano rallentamenti ai confini del doom uniti a sentori depressive, in Enshrouded qualche pausa più liquida spezza la tensione di un brano incessante per intensità: la provenienza statunitense della band, inoltre, comporta sfumature cascadiane che sono percepibili all’interno di un sound austero, solenne ed avvolgente.
Forse a qualcuno il tutto potrà apparire un po’ ripetitivo, ma questo è black atmosferico nella sua essenza più pura e già così, per quanto mi riguarda, merita un incondizionato apprezzamento, nonostante i margini per fare ancora meglio vi siano tutti.

Tracklist:
1. Luminous
2. Portal
3. Enshrouded
4. Omnipotent
5. Black Celestial Orbs I
6. Black Celestial Orbs II

Line-up:
Niðafjöll – Vocals, Guitars, Bass, Ambiance
Dimman – Drums

VEILED – Facebook

Onirism – Falling Moon

Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge le auspicate vette di assoluta eccellenza.

Ritroviamo la one man band francese Onirism, alle prese con il suo black metal atmosferico, con un primo full length dopo l’ep Sun, trattato su queste pagine l’anno scorso.

Rispetto a quell’uscita, che aveva convinto solo in parte, si denota indubbiamente quel progresso auspicato per quanto riguarda i suoni di tastiera, mentre il resto appare sempre di buon livello senza raggiungere però particolari picchi.
Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge vette di assoluta eccellenza a mio avviso per alcuni motivi : intanto si manifesta una convivenza un po’ forzata tra un’anima atmosferica ed un altra più spiccatamente sinfonica, con la prima senz’altro più efficace ma con la seconda che, più o meno a metà della tracklist la scalza, lasciando del tutto il proscenio ad un tastierismo piuttosto insistente a discapito di quello  misurato e prossimo al significato del monicker mostrato in precedenza; inoltre, tutto ciò finisce per offrire una sensazione di diffusa leggerezza, o comunque di poca profondità che diviene palpabile man mano che l’album si dipana nella sua ora abbondante di durata.
In sintesi, ritengo che un brano come la title track sia sufficientemente esemplificativo di quello che mi sarebbe piaciuto ascoltare con maggiore continuità dal bravo Vrath in questa occasione ma, visto che Falling Moon è un’opera che lascia aperte diverse soluzioni stilistiche, non è detto che ciò debba necessariamente accadere in futuro.
L’album resta comunque un ascolto pregevole soprattutto per chi apprezza il symphonic black.

Tracklist:
1. Night Sky Above the Desert (intro)
2. See the End of the Worlds
3. Falling Moon
4. Under the Stars
5. I’m Dying Again
6. The Endless Ride of Heavens
7. Summoned by the Astral Side (Interlude)
8. When Titans Awake
9. The Cosmic Whale
10. Meteor Shower (Interlude)
11. The Celestial Calling

Line-up:
Vrath – Everything

ONIRISM – Facebook

Âqen – Méditation Astrale

Il black metal di Âqen è un qualcosa che va oltre il genere, ci si muove nelle vicinanze dell’atmospheric, ma ci sono anche intarsi di folk, perché la poetica del francese deve molto all’occulto, al mondo che sta oltre e dentro di noi.

Seconda prova per questa one man band francese da Cambrai, Nord – Pas -De Calais. Dopo la prima convincente uscita del 2015, L’Etrange Chemin vers l’Univers Occulte, arriva l’attesa seconda prova, ed è una sicura conferma di quanto espresso in nuce nella prima.

Il black metal di Âqen  è un qualcosa che va oltre il genere, ci si muove nelle vicinanze dell’atmospheric, ma ci sono anche intarsi di folk, perché la poetica del francese deve molto all’occulto, al mondo che sta oltre e dentro di noi. I brani sono delle composizioni che vivono una vita lunga e hanno diversi livelli, partono in una maniera e si concludono in un’altra, praticamente senza ritornello, in una maniera che potrebbe essete definita progressive, ma è più un consapevole flusso di coscienza. Il lavoro di  che sta dietro a tutti gli strumenti è davvero notevole, e la composizione raggiunge livelli orchestrali, ogni singolo momento di canzone è un risvolto importante di una storia che non è cominciata né qui né ora, ma in qualche eone lontano, o solo un secondo fa a due centimetri da noi. Il suono è molto ricco, il disco è quello che vuole essere fin dal titolo, ovvero una meditazione che ha come scopo quello di trascendere il corpo nella sua dimensione astrale e viaggiare lontano. Chiunque abbia raggiunto anche solo per un secondo questo stato lo ricorda come una beatitudine, e questo viaggio forgiato nel black metal lo rammenta molto bene. Il disco è da sentire tutto più e più volte, anche perché ha momenti davvero notevoli ed è un’opera che si degusta meglio se ascoltata attraverso le cuffie. La produzione è eccellente e permette a questa musica di esprimersi al meglio. Addirittura in alcuni passaggi è grande l’influenza di un gruppo come i Behemoth, perché vi sono dei momenti altamente epici che si possono ricondurre allo stile dei polacchi. Magnificenza mai fine a se stessa, perché qui la peculiarità maggiore è quella di progredire sempre attraverso la conoscenza occulta e la meditazione, appunto. Black metal come strumento di meditazione, può sembrare strano, ma per chi ama questo genere sa che non lo è affatto, e questo disco lo dimostra in ogni suo secondo.

Tracklist
1. L’oubli
2. Sinistre cauchemar
3. Terreur intérieure
4. La tempête
5. Dialogue sidéral
6. Abandon
7. Souvenirs perdus

Line-up
Â: Guitars, Vocals, Synth
Kain: Bass
Dévoreur: Drums

AQEN – Facebook

Taiga – Cosmos

Da questa interpretazione del genere ciò che si richiede ai musicisti è la capacità di trasformare il senso di disperazione e tragedia incombente in sonorità intense ed in grado di scuotere ed emozionare: l’operazione ai Taiga riesce alla perfezione, dando alle stampe uno dei migliori album ascoltati nel settore negli ultimi anni.

Taiga è un duo russo dedito ad un atmospheric depressive black metal di ottima fattura.

Scorrendo i nomi della coppia di musicisti coinvolti nel progetto, non si può fare a meno di notare come entrambi siano già noti alle cronache trattandosi di Nikolaj Seredov, mastermind degli ottimi Funeral Tears ed Alexey Korolev, boss della Sathanath Records (che tramite la sub label Symbol Of Domination dà alle stampe il lavoro).
Se era lecito, quindi, attendersi qualcosa in più rispetto al solito si viene senza dubbio accontentati da questo Cosmos, album con il quale Seredov abbandona il funeral per lasciarsi andare ad una forma di disperazione musicale più esplicita com’è il DBSM. La voce quindi diviene il classico screaming straziato, con Alexey che dal canto suo tesse melodie tastieristiche di ampio respiro, andando a creare quel contrasto tra i due elementi che del sub-genere è caratteristica peculiare.
Da questa interpretazione del genere ciò che si richiede ai musicisti è la capacità di trasformare il senso di disperazione e tragedia incombente in sonorità intense ed in grado di scuotere ed emozionare: l’operazione ai Taiga riesce alla perfezione, dando alle stampe uno dei migliori album ascoltati nel settore negli ultimi anni.
Cosmos (che è il quarto full length pubblicato in quattro anni, a partire dal 2014) si ammanta di quelle melodie dolenti che sono nel bagaglio di chi si cimenta anche con il funeral, ma asservite alle ritmiche più incalzanti del DBSM: per chi ama il genere il disco è un qualcosa di irrinunciabile, in quanto si tratta di un espressione musicale in grado di evocare un turbinio di sensazioni, rappresentando via via vergogna, sgomento, smarrimento, rabbia, ribellione e infine abbandono.
Le liriche in russo sono solo un parziale ostacolo alla fruizione di testi dotati una notevole profondità, vista la comunque scarsa intelligibilità di questo tipo di screaming e il fatto che con un buon traduttore anche l’alfabeto cirillico cessa d’essere un ostacolo insormontabile: viene così meno anche l’ultimo motivo per privarsi dell’ascolto di un lavoro di grande sensibilità.

Tracklist:
1. Стыд
2. Жить
3. Космос
4. Ты
5. Всё позади
6. Религия мёртвых
7. Слова потеряют значение
8. Прах к праху
9. Своими руками

Line-up:
Nikolay Seredov – Vocals, Lyrics, Guitars, Drums, Bass
Alexey Korolev – Keyboards

TAIGA – Facebook

Eschatos – Mære

Ascoltare questo ep per chi apprezza il post black/metal è un passo fondamentale, in attesa che giunga auspicabilmente quanto prima un nuovo full length che potrebbe definitivamente far brillare come una supernova il nome degli Eschatos.

Mi sto sempre più convincendo che, alla fine, la quantità di grande musica che ci perdiamo sarà infinitamente superiore a quella che riusciamo ad intercettare.

Allora diventa una questione di mera fortuna imbattersi in un lavoro come questo ep dei lettoni Eschatos, band con due full length all’attivo che a occhio e croce sembrano essere passati del tutto inosservati dalle nostre parti.
Quindi siamo costretti a cominciare, volenti o nolenti, dal fondo, con Mære e le sue due lunghe tracce che squarciano ogni velo su una band dal talento enorme.
Intanto revisioniamo l’etichetta affibbiata agli Eschatos: progressive black metal vuol dire tutto e niente, perché in realtà del genere nato tra fiordi e le foreste della Norvegia troviamo prevalentemente l’attitudine, alcune sfuriate ritmiche e lo screaming che la stupefacente Kristiana Karklina esibisce all’interno di un’ interpretazione teatrale e a tratti spasmodica.
Mære consta di due soli brani per un fatturato complessivo di poco superiore ai venti minuti ma dal peso specifico notevole: Luminary Eye Against the Sky è un lento crescendo che può ricordare per impostazione gli olandesi Dool, benché con caratteristiche di base più metal e con un parossismo vocale che culmina con il disperato ripetuto urlo “is my death”.
The Night of the White Devil è una traccia divisa in tre parti, con la prima che pare ripartire da dove era terminato il precedente brano con l’isterica reiterazione della frase “I step into the sun with face covered in blood“, preludio ad un incedere più atmosferico e melodico che asseconda uno sviluppo ritmico che con il trascorrere dei minuti si increspa e si placa senza soluzione di continuità: gli Eschatos manipolano la materia con la spiccata personalità della band di livello superiore, esaltata dall’apporto di una vocalist fuori dal comune alla quale offre talvolta un valido supporto il più profondo growl del tastierista Marko Rass (anche se quello di Kristina non è affatto da meno per ferocia).
La band lettone proviene come detto da due lavori di buona fattura che non le è valsa ancora la fama che pare meritare incondizionatamente, fosse solo in base a quanto offerto in Mære; ascoltare questo ep per chi apprezza il post black/metal è un passo fondamentale, in attesa che giunga auspicabilmente quanto prima un nuovo full length che potrebbe definitivamente far brillare come una supernova il nome degli Eschatos.

Tracklist:
1. Luminary Eye Against the Sky
2. The Night of the White Devil (part I, II and III)

Line-up:
Kristiana Karklina — vocals
Edgars Gultnieks — guitars
Martinš Platais – guitars, bass, keyboards
Tomass Bekeris — bass,
Edvards Percevs — drums,
Marko Rass — keyboards, organ, effects, vocals.

ESCHATOS – Facebook

Abigor – Höllenzwang (Chronicles of Perdition)

Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione.

Violento ritorno degli Abigor, uno dei gruppi di punta della scena black metal austriaca e non solo.

Il gruppo è attivo dal 1993, e ha sempre avuto forte peculiarità all’interno della già variegata scena del metallo nero. Höllenzwang (Chronicles of Perdition) è un disco che ribadisce in maniera molto chiara cosa sia la materia per loro. Le chitarre, che sono sempre state uno dei punti di forza del gruppo, dettano le linee melodiche davvero prepotenti ed inusuali. Il duo austriaco disegna un black metal potente e mai conforme, cercando sempre la soluzione migliore e che possa far avanzare l’ascoltatore nella comprensione del black metal. Le vie del black metal possono e devono essere molteplici, e questa è una delle migliori. Le uscite della Avantgarde Muisic non sono mai banali, riescono sempre a cogliere nel segno. Gli Abigor pubblicano un lavoro molto ben composto e musicalmente vario, con canzoni dalla struttura vicina alle composizioni jazz, dove non si sa mai cosa ci sia dopo la prossima nota, ed è quello che piace a chi vuole che la musica sia scoperta e non assuefazione. Rimane molto poderosa la parte oscura, perché questa è musica pesante, figlia delle tenebre e per menti tenebrose, però non per menti ottenebrate che ascoltano ogni cosa venga loro propinata. In definitiva questo lavoro tiene strettamente fede a ciò che afferma a partire dal titolo, questa è la cronaca della perdizione, ed è dolce perdersi in questo pandemonio sonoro, debitore della scena black metal austriaca, per certi versi molto innovatrice e garanzia di qualità. I pezzi sono complessivamente di ampio respiro e la produzione fa rendere al meglio il tutto.

Tracklist
1. All Hail Darkness And Evil
2. Sword Of Silence
3. Our Lord´s Arrival – Black Death Sathanas
4. None Before Him
5. The Cold Breath Of Satan
6. Olden Days
7. Hymn To The Flaming Void
8. Christ´s Descent Into Hell
9. Ancient Fog Of Evil

Line-up
TT.
PK.

ABIGOR – Facebook

The Negative Bias – Lamentation of the Chaos Omega

Il black metal può risultare efficace sia nella sua forma più scarna e primitiva sia in quelle più trasversali ed inquiete, come lo è questa, quando a fare la differenza sono la credibilità e la competenza dei suoi interpreti.

A conferma di quanto il black metal possa offrire una quantità pressoché infinita di interpretazioni, ecco giungere l’esordio degli austriaci The Negative Bias.

Fin dalle prime note appare evidente come da questo Lamentation of the Chaos Omega ci sia da attendersi grande musica offerta con cura dei particolari e una mirabile misura nel dosaggio dei diversi elementi che ne vanno a comporre il sound.
The Golden Key To A Pandemonium Kingdom è infatti un brano magnifico con il quale il trio viennese di lancia a perdifiato in un’esibizione di odio cosmico che in questo case gode di ottime linee melodiche, così come la successiva traccia Journey Into The Defleshed Paradise (se possibile ancora più bella dell’opener) e che, in seguito, andrà a spaziare anche su territori ambient/avanguardisti senza mai perdere il filo del discorso.
Come si diceva pocanzi, il black può risultare efficace sia nella sua forma più scarna e primitiva sia in quelle più trasversali ed inquiete, come lo è questa, quando a fare la differenza sono la credibilità e la competenza dei suoi interpreti.
I The Negative Bias danno ampie garanzie in tal senso ed offrono un album di raro spessore in ogni frangente, sia quando spingono al massimo i motori (Tormented By Endless Delusions) sia quando arrestano la loro corsa in una sorta di distaccata contemplazione del caos (Cryptic Echoes From Beyond Dimensions).
Lamentation of the Chaos Omega è un album pressoché perfetto, un altro di quelli che avrebbe meritato a posteriori una posiziono di rilievo nelle nostre classifiche di fine anno: I.F.S. ha costruito un progetto destinato a lasciare il segno, perché non è così consueto ascoltare una prima uscita, per quanto ad opera di musicisti di comprovata esperienza, così ben focalizzato in ogni suo aspetto (esecuzione, concept e produzione).

Tracklist:
1 The Golden Key To A Pandemonium Kingdom
2 Journey Into The Defleshed Paradise
3 Tormented By Endless Delusions
4 The Undisclosed Universe Of Atrocities
5 Cryptic Echoes From Beyond Dimensions
6 And Darkness Should Be The End Of Cosmic Faith

Line-up:
I.F.S – Vocals, Lyrics, Concept,
S.T – Studio Strings
Florian Musil – Studio Drums

THE NEGATIVE BIAS – Facebook

Wending Tide – The Painter

The Painter ha il solo difetto d’essere un ep, perché, al termine dell’ascolto, permane forte il desiderio di ascoltare quanto prima del nuovo materiale proveniente da questo bravissimo musicista neozelandese.

Sempre dalla ricca faretra della Naturmacht ecco arrivarci questo notevole prodotto proveniente dell’emisfero australe.

Wending Tide è il nome di una delle non così frequenti realtà musicali provenienti dalla Nuova Zelanda portate alla nostra attenzione: le note biografiche al riguardo sono pressoché nulle per cui altro non dato sapere, se non il fatto che siamo al cospetto di una one man band.
Non resta quindi che parlare della musica offerta, che è un ottimo black metal atmosferico dalla forte impronta nordamericana, cosa che viene esplicitata senza troppi giri di parole fin dai titoli dei due brani centrali Cascading Auburn I e II; uno spiccato senso melodico pervade ognuna delle quattro tracce nelle quali viene offerto uno spaccato esemplare di quel black metal dai tratti sognanti che va talvolta a sconfinare nello shoegaze.
In questi venti minuti scarsi gli Wending Tide offrono splendidi squarci melodici che non possono lasciare indifferenti, anche perché d’altro canto non viene sacrificata la struttura di base del genere, senza rinunciare né allo screaming né alle consuete sfuriate ritmiche atte a sostenere il flusso armonico creato dal tremolo della chitarra.
The Painter ha il solo difetto d’essere un ep, perché giunti alla fine di Pastel Light permane un forte desiderio di ascoltare quanto prima del nuovo materiale proveniente da questo bravissimo musicista neozelandese.

Tracklist:
1. The Painter
2. Cascading Auburn I
3. Cascading Auburn II
4. Pastel Light

Almyrkvi – Umbra

L’operato di Jónsson colpisce per maturità e qualità e, laddove l’aggettivo atmosferico rischia d’essere utilizzato a sproposito, sicuramente l’interpretazione del genere targata Almyrkvi è molto lontana da quella tradizionale.

Il black metal proveniente dall’Islanda continua ad assumere sempre più importanza di pari passo alle varie sfaccettature che ogni band o progetto solista finisce per esibire.

Almyrkvi è uno degli ultimi frutti di una terra apparentemente arida ed ostile, ma terribilmente ricca dal punto di vista artistico: la band nasce da una costola dei già noti Sinamara, il cui chitarrista Garðar S. Jónsson si fa carico di tutto il comparto compositivo e strumentale, con l’eccezione dalla batteria affidata al già collaudato compagno d’avventura Bjarni Einarsson.
Anche la definizione black metal sta assumendo via via significati differenti a seconda dell’angolazione da cui lo si guardi e, forse, talvolta finisce per apparire addirittura riduttiva: in Umbra, infatti, si rinvengono pulsioni cosmiche e sperimentali che possono rimandare ai Blut Aus Nord ma anche ai più recenti Monolithe (che sicuramente black metal non suonano), il tutto però fatto in maniera così avvincente e personale da raccomandare chi legge a prendere queste citazioni solo come un’indicazione di massima del tipo di sonorità contenute nel lavoro.
L’operato di Jónsson colpisce per maturità e qualità e, laddove l’aggettivo atmosferico rischia d’essere utilizzato a sproposito, sicuramente l’interpretazione del genere targata Almyrkvi è molto lontana da quella tradizionale: qui aleggia costantemente un sentore di gelida minaccia che, quando pare acquietarsi, improvvisamente prorompe in esplosioni repentine, quasi il flusso sonoro corrispondesse a quelle meravigliose anomalie naturalistiche che sono i geyser così diffusi lungo l’irrequieto suolo vulcanico dell’isola.
Parlare delle singole tracce è un esercizio al quale mi sottraggo, ritenendo che Umbra sia un lavoro da ascoltare come se fosse un unico lunghissimo brano; mi limiterò a dire che l’opener Vaporous Flame è forse il momento più morbido e accessibile di un album che, a partire dalla successiva Forlorn Astral Ruins, si trasforma in una terrificante colata di nera lava, alla quale contribuisce il notevole growl di Jónsson, musicista sopraffino al quale il buon Einarsson non fa certo mancare un decisivo supporto ritmico.
Una delle più belle sorprese dell’anno, peccato solo l’aver ascoltato quest’album a classifiche già stilate, perché, per quel che può valere, avrebbe trovato posto davvero molto in alto.

Tracklist:
1. Vaporous Flame
2. Forlorn Astral Ruins
3. Severed Pillars of Life
4. Stellar Wind of the Dying Star
5. Cimmerian Flame
6. Fading Hearts of Umbral Nebulas

Line-up:
Garðar S. Jónsson – All compositions & instruments
Bjarni Einarsson – Drums

ALMYRKVI – Facebook

Cold Cell – Those

Un’opera intensa, gelida carica di odio verso il genere umano dove…the lowliness of man is inviolable.

Band svizzera di Basilea, relativamente conosciuta, i Cold Cell giungono in quattro anni di attività al loro terzo full length e suonano, con sempre maggiore convinzione, un black metal molto dark, atmosferico e moderno.

Sono cinque musicisti che, pur non avendo una grande storia, tranne il batterista attivo nei Schammasch, splendida entità con un suo personale suono, hanno le idee chiare e ci propongono un’opera intensa, ben composta e ben suonata dispiegando un sound gelido, carico di malsane atmosfere e sferzato da taglienti chitarre molto ispirate. Il suono dei Cold Cell evolve in atmosfere plumbee, grigie, rimembranti desolati paesaggi metropolitani derivanti, secondo me, anche da alcuni oscuri aromi darkwave. Le vocals in scream sono molte, decise, cariche di odio e accompagnano perfettamente il suono di piccole perle come la lunga Tainted Thoughts dove toni incompromissori rappresentano la base per una violenta cavalcata piena di furore e ferocia; i brevi momenti in cui le chitarre si calmano sono carichi di tensione e lasciano l’ascoltatore atterrito di fronte a tanta cattiveria. La faccia moderna del black si nutre di concetti, come la perdita della coscienza, la morte della spiritualità, la disumana ferocia dell’ uomo e colpisce in modo profondo con un sound freddo che lacera e taglia con lame gelide ciò che rimane dell’animo umano; un brano disturbante come Sleep of Reason lascia una cupa disperazione e un mondo senza speranza alcuna di redenzione. L’angosciante Drought in the Heart annichilisce con una tangibile disperazione e ci fa apprezzare lo sforzo compositivo di questi musicisti provenienti da una stato che tanto ha dato e dà ancora alla musica estrema.

Tracklist
1. Growing Girth
2. Entity I
3. Seize the Whole
4. Tainted Thoughts
5. Sleep of Reason
6. Entity II
7. Drought in the Heart
8. Heritage

Line-up
In Bass, Vocals (backing), Keyboards
aW Drums
Ath Guitars
S Vocals
W4 Guitars

COLD CELL – Facebook

Ah Ciliz / Chiral – Origins

Uno split album che merita di finire stabilmente tra gli ascolti di chi ama le forme di black metal più oblique e meno scontate.

Devo ammettere che c’è stato un momento, in passato, in cui ritenevo che gli split album fossero uno spreco di risorse, soprattutto per le band già attive da tempo, ritenendoli eventualmente un mezzo utile per far conoscere realtà emergenti.

La qualità crescente di questo tipo di uscite, la frequente cura immessa nei formati e l’abilità delle label coinvolte nell’abbinare le band, mi ha fatto da diverso tempo ricredere ed è quindi con enorme piacere che mi ritrovo a parlare di questo Origins.
Lo split in oggetto vede all’opera Ah Ciliz e Chiral, due realtà simili per approccio al black metal ma differenti a livello di approdo.
Ah Ciliz è un progetto dell’omonimo musicista di Seattle che ha già alle spalle diversi lavori su lunga distanza di grande spessore, in virtù di una proposta che mette in mostra un black metal atmosferico e dalle naturali venature cascadiane, non solo per il titolo del primo brano. La novità in quest’occasione è la consegna del ruolo di lead vocalist ad un altra persona, nello specifico Boris Iolis, che gli appassionati di doom conoscono quale bassista degli ottimi Marche Funebre.
Il musicista belga si rivela un bel valore aggiunto con il suo buonissimo screaming lasciando al mastermind il solo compito di tessere le proprie trame,  prima incalzanti in Cascadia, poi quasi carezzevoli nello splendido strumentale Moonlight in Night Season e infine melodicamente irresistibile (il lavoro chitarristico nel finale è davvero notevole) in People of The Stars, brano che più di tante parole riesce a descrivere pienamente quali siano le qualità compositive di Ah Ciliz.
Di Chiral abbiamo già parlato diverse volte in passato, trattandosi di un progetto italiano con il quale l’omonimo musicista piacentino sta dimostrando ormai da diversi anni il proprio spessore artistico, confermandolo con questi due brani, il breve ma intenso A Feeble Glare of Autumn ed il lungo (oltre un quarto d’ora di durata) Queen of The Setting Sun, che prende le mosse da un liquido post black per incresparsi con forza nella fase centrale, lasciando che la seconda meta ritorni a quelle atmosfere evocative che sappiamo essere naturalmente nelle corde di questa sempre più convincente realtà.
Ecco spiegato perché questo split album, dietro al quale c’è un’etichetta che propone lavori sempre di grande qualità come la Hypnotic Dirge (qui in collaborazione con la Throats Productions), merita di finire stabilmente tra gli ascolti di chi ama le forme di black metal più oblique e meno scontate.

Tracklist:
Ah Ciliz
1. Cascadia
2. Moonlight in Night Season
3. People of The Stars
Chiral:
4. A Feeble Glare of Autumn
5. Queen of The Setting Sun

Line-up
AH CILIZ
Ah Ciliz – Guitars, Bass, Vocals, Lyrics
Boris Iolis – Lead Vocals

CHIRAL
Chiral – Everything

AH CILIZ – Facebook

CHIRAL – Facebook

L’Infinito Abisso Dell’Anima – In Viva Morte Morta Vita Vivo

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano, e con un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.

L’Infinito Abisso Dell’Anima è un duo bergamasco formato da Ivan Bonomi e Vito Burini, al passo d’esordio con questo ottimo In Viva Morte Morta Vita Vivo.

Ciò che viene offerto dalla coppia di musicisti è un black atmosferico e depressivo dalla notevole intensità, cantato in italiano e quindi dai testi più facilmente comprensibili nonostante siano declamati per lo più tramite uno screaming in linea con il genere, alternato sovente ad un declamatoria voce pulita.
Se a livello lirico il lavoro talvolta tende ad eccedere in enfasi, nel tentativo di descrivere in maniera quanto mai esplicita un male di vivere che sfocia infine in una morte dai connotati liberatori, l’aspetto musicale è oltremodo convincente perché vengono superati brillantemente certi minimalismi del depressive black, pur mantenendone le linee guida essenziali.
E’ appunto grazie a questo che l’operato dei due spicca sulla concorrenza, proprio perché la tensione nel lavoro è costantemente alta, grazie al contributo di un senso melodico sempre ben presente anche quando i ritmi si fanno più incalzanti.
L’aforisma di Giordano Bruno che dà il titolo all’album ben inquadra gli intenti ed il sentire che vengono riversati senza pausa nel lavoro e, alla fine, i cinque brani attestati su nove minuti medi di durata coinvolgono adeguatamente, restituendo tutto il disagio che viene espresso tramite il suo genere musicale d’elezione, del quale vengono esaltate, come detto, le caratteristiche salienti, incluso il ricorso ad una produzione non limpidissima.
A livello personale ritengo che il lavoro offra il meglio all’inizio ed alla fine, con l’apertura di grande impatto affidata a Condannato All’Oblio e la chiusura improntata sul cupo e più rallentato incedere di Vertigini, dove l’intensità creata dal connubio tra le due voci raggiunge picchi notevoli, ma gli episodi centrali si rivelano tutt’altro che marginali od inferiori, essendo ovviamente fondamentali per comprensione e la condivisone della poetica che pervade l’intero album.
Chi ama questo tipo di approccio e di sonorità si può avvicinare, quindi, senza indugi a questa prima opera firmata L’Infinito Abisso Dell’Anima.

Tracklist:
1. Condannato All’Oblio
2. Spiragli D’Ombra
3. Quello Che Resta
4. Nenia
5. Vertigini

Line-up:
Ivan Bonomi: vocals, desperation, keyboards and lyrics
Vito Burini: guitars, bass, vocals and lyrics

L’INFINITO ABISSO DELL’ANIMA – Facebook