La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri.
Ad essere sincero, ho sempre pensato che il Tributo alla band icona di turno, dovesse per forza essere un omaggio a chi oggi non esiste più.
Un ossequioso dono sacrificale ad un’entità musicale del passato e che oggi esiste solo nei ricordi e nelle memorie dei fan. In realtà, continuo ad essere contraddetto e smentito, dalla valanga di album-tributo che escono ogni giorno, dedicati a compositori, strumentisti e band ancora molto attive, ai giorni nostri. Il Tributo spesso viene definito come l’atto che viene compiuto per adempiere ad un obbligo (in genere di carattere morale) verso qualcuno, a riconoscenza dei suoi meriti; forse sarebbe più azzeccato omaggiare il ricordo, di chi oggi non c’è più, o almeno non risulta essere più in attività…Vero è che la parola Tributo (dal latino “tributus”, derivazione di “tribus” – Tribù), spesso identifica anche l’appartenenza alla tribù. Oggi come tutti sappiamo, i Burzum non sono più in attività (l’ultima produzione risale al 2015, con il singolo Thulean Mysteries, dopodiché più nulla sino alla dichiarazione ufficiale di giugno di quest’anno di Mr. Varg Vikernes, nella quale ci informava che il progetto fosse giunto al termine, dopo ben 27 anni). In questo contesto, collocherei l’album, oggetto della recensione, ergendolo a simbolo di un’esigenza popolare, sicuramente maturata negli anni, di poter esprimere, sia tutta la devozione della tribù del Black Metal verso il loro idolo indiscusso, sia una sorta di necessità atta a sottolineare la “proprietà” (in senso ovviamente lato) dell’immensa opera che ci ha lasciato. Come a dire :”devoti alla nostra divinità e proprietari/custodi di ciò che ci ha lasciato in eredità”.
La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri. Dall’Olanda gli ottimi blacksters Yaotzin, ci propongono Hvis lyset tar oss, in una versione fedelissima della title-track del capolavoro datato 1994. I truci tedeschi Khald, band della nera regione di Baden-Württemberg, rileggono Jesus’ Tod (in lingua madre Jesu død) dall’album Filosofem (1996), uno dei più grandi lavori dell’artista norvegese in ambito Black e Dark Ambient, in maniera leggermente più sinfonica (l’iniziale tremolo di Vikernes viene qui principalmente sostituito dai synth), perdendo un po’ il Raw, ma ottenendo comunque un pezzo di uguale impatto. Balzo in avanti negli anni (siamo nel 2010) con gli ucraini Atra Mors e con Belus’ død, tratta ovviamente da Belus (2010), primo album pubblicato dopo la scarcerazione di Varg, e originariamente uscito con il titolo Den Hvite Guden (“Il Dio Bianco”, in lingua norvegese), e quindi ennesima revisione del riff già presente su Dauði Baldrs (per scelta, Vikernes decise qui di ripetere paro paro il riff della canzone del 1997). Molto Black classico e poco Burzum di quegli anni, ad onor del vero. Malinconia e ricordi nella cover degli americani Aetranok che dei 10 minuti ed oltre di A Lost Forgotten Sad Spirit (dall’ep Aske del 1993) fanno copia ed incolla (da notare la voce del singer Meretrix, davvero simile a Burzum) e meritano l’acquisto del loro nuovo album “Kingdoms of the Black Sepulcher” uscito per la Symbol of Domination. Prima song tratta dall’album eponimo del 1992 (Feeble Screams from Forests Unknown) per gli olandesi Myrkur Skógur, riletta in chiave più moderna; la cover risulta piacevole, ma il suono più pulito ne impoverisce un po’ la cupa atmosfera degli esordi del signore di Bergen. I terribili “chiodati” vichinghi Wan dalla vicina Svezia, giocano facile e rivivono Stemmen fra tårnet (Aske) “alla scandinava”; il risultato è un pezzo che pare fuoriuscito direttamente dal 1993. I sinfonici germano/norvegesi Dynasty of Darkness scelgono Dunkelheit (titolo originale “Burzum”, da Filosofem), ovviamente il brano più Ambient dell’album, senza però perdersi in troppo arzigogolate ruffiane armonie, mantenendo la terrificante desolazione, che il brano originale esprime in ogni sua singola nota. Chi ama il tremolo ama My Journey To The Stars (Burzum). Qui i bravissimi germanici Mournful Winter sciorinano una tecnica sopraffina, senza però far perdere alla song il pathos originale. Con curiosità e attenzione critica mi appropinquo all’ascolto della cover di Han Som Reiste (da Det som engang var – 1993) il capolavoro strumentale dell’artista con l”A” maiuscola. I Colotyphus (Ucraina) purtroppo ne rovinano l’arcano fascino medioevale, riducendo il pezzo ad un classico (e scontato) brano di Dark Ambient sinfonico. Il sapiente utilizzo del basso non come semplice base ritmica, ma come strumento portante di tutto l’eterno corpo della canzone (più di 11 minuti) e gloriosa anima di dimenticate epopee guerresche, fece la fortuna di Glemselens Elv (Belus) ergendola ad uno dei più fulgidi esempi di Viking Metal (molto Bathoriano ad onor del vero). Purtroppo il seppur bravissimo duo dell’Arizona (Unholy Baptism) cede alla tentazione, e dà risalto alle sole chitarre per riproporre il meravigliosamente ossessivo giro di basso, così in evidenza nel brano originale. Un peccato perché, davvero, gli autori di …On the Precipice of the Ancient Abyss, sono un ottimo gruppo da tenere d’occhio. I terrificanti Bestia si cimentano nel tentativo di ripetere il successo primevo di Beholding The Daughters Of The Firmament (Filosofem); il brano, sicuramente uno dei più funerei e doom di tutto l’album, appariva già da principio inadatto al quartetto estone, fautore di un Black Metal con influenze Brutal Death; il pezzo viene rivisitato, ritmato ed infarcito di synth, facendone un buon pezzo Black, ma che nulla c’entra con l’originale. Anche il cantato schizoide di Vikernes, viene qui sostituito da uno dei più classici scream. Peccato. La brevissima War (da Burzum), vero pezzo Bathoriano appartenente alla First Wave of Black Metal, è stato scelto dai bravissimi Chaoscraft. Qui i greci dimostrano di sapere il fatto loro e di conoscere molto bene le loro origini e le loro fonti ispiratrici. Resta un mistero conoscere il motivo per il quale, per il pezzo Vanvidd (Fallen – 2011), sia stata chiamata una band di Melodic Death, invece che scegliere una tra le miriadi di band Black provenienti dalla Colombia. Qui i Thy Unmasked di Bogotà, ce la mettono tutta, ed il risultato ovviamente non poteva che essere un mix di Black e Death; bello si, ma lontano dalle idee di Varg. Quando ho letto Uruk-Hai ho pensato (con piacere) immediatamente ai bravissimi corpsepaint blacksters spagnoli; in realtà di tratta di un’altra band, ossia i Medieval Dark Ambient austriaci. Scelta comunque azzeccata per il brano Hermoðr á Helferð (Dauði Baldrs – 1997), che si collocherebbe alla perfezione tra le fila delle produzioni della one-man band di Linz. Un lungo salto nel 2012, per ascoltare la cover di Valgaldr, da Umskiptar, uno degli album più folk viking metal del Nostro. Scelta azzeccata con gli ungheresi Eclipse of The Sun, band che propone un sound molto ricco e variegato, tra il Folk, il Gothic e il Doom. Eccellente. Il Bielorusso Darkus (alias Stanislaŭ Semeniaha), unico membro dei blackster Imšar, si cimenta con un brano tratto da Det som engang var, ossia En Ring Til Å Herske. Il brano si sa, è nero e funereo come la morte stessa, drammaticamente lento e angosciosamente ripetitivo, e fortunatamente Mr. Darkus non ne storpia troppo la lugubre natura mortuaria; forse un po’ meno andante e un po’ più adagio, e sarebbe stato perfetto. Special guest a chiusura della compilation, la pianista berlinese Katarina Gubanova che, grazie al magico utilizzo dei suoi polpastrelli, rilegge Ea, Lord of the Depths (da Burzum) in chiave sinfonica per pianoforte: brano curioso e ammaliante, chiude un devoto tributo al Re del Male, spesso non proprio centrato, ma nel complesso un buon prodotto per i fan dei Burzum e per chi vuole scoprire nuove realtà Black, sino ad oggi ancora poco conosciute.
Tracklist
1. Yaotzin (Netherlands) Hvis lyset tar oss
2. Kâhld (Germany) Jesus’ Tod
3. Atra Mors (Ukraine) Belus’ Dod
4. Aetranok (USA) A Lost Forgotten Sad Spirit
5. Myrkur Skógur (Netherlands) Feeble Screams from Forests Unknown
6. Wan (Sweden) Stemmen Fra Taarnet
7. Dynasty of Darkness (Germany / Norway) Dunkelheit
8. Mournful Winter (Germany) My Journey To The Stars
9. Colotyphus (Ukraine) Han Som Reiste
10. Unholy Baptism (USA) Glemselens Elv
11. Bestia (Estonia) Beholding The Daughters Of The Firmament
12. Chaoscraft (Greece) War
13. Thy Unmasked (Colombia) Vanvidd
14. Uruk-Hai (Austria) Hermodr A Helferd
15. Eclipse of The Sun (Hungary) Valgaldr (Song of the Fallen)
16. Imšar (Belarus) En Ring Til Å Herske
17. + special guest:
Katarina Gubanova (Germany) Ea, Lord of the Depths
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