Padus – Diva Sporca

Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre.

Padus è il progetto molto particolare ed originale di Matteo Zanella, un abitante del delta del Po che suona il basso in un’orchestra di musica da ballo.

E proprio il basso come strumento è messo al centro di questa singolare opera, specialmente il basso distorto, che diventa in pratica un gruppo musicale a sé stante. Matteo Zanella è uno di quei musicisti totali e straripanti, ha la musica nel cervello e la crea in maniera ricercata ed originale. Scrive e suona tutto lui, e come genere siamo dalla parti di un doom che si incrocia con il dark ambient, ma molto forte è la connotazione teatrale del tutto, infatti le canzoni sono vere e proprie storie sceneggiate. Di solito gli strumenti impiegati sono il basso distorto per l’appunto, un organo a canne ed una batteria campionata, ma ci sono anche il vento, i tuoni ed incombe la figura del Po, questo fiume misterioso che attraversa terre antiche e difficili da decifrare. Matteo non si ferma però qui, e dato che ha anche la passione per la pittura, ha disegnato anche l’ermetica copertina del lavoro musicale. Diva Sporca è un viaggio nelle tenebre, nell’occulto e nella disperazione umana, nella vera e propria sporcizia del mistero umano, e anche in una natura che per noi è cattiva, ma semplicemente è se stessa, è l’uomo che inventa categorie di pensiero altrimenti inesistenti. Il disco è una continua sorpresa, il cantato è in italiano ed è molto incisivo, e contribuisce in maniera notevole a contribuire alla cifra stilistica del disco. La tecnica di Matteo è notevole, ma non è quella al centro del suo suono, bensì è al suo servizio. Diva Sporca è un disco che sa di antico, di qualcosa che si muove nelle nebbie, di sguardi impauriti al cielo verso la luna nera che sta sopra di noi da millenni, è anche ricerca musicale e passione che porta oltre. Ci sono anche brani sperimentali come Elocubrazione che fanno perdere le proprie attuali coordinate e conducono molto lontani, in quello stato particolare di trance leggera che solo certa musica può indurre. Si consiglia anche di seguire la pagina facebook di Padus, poiché Zanella vi posta i notevoli quadri ispirati ai pezzi del progetto.
Un disco unicamente tenebroso, un lavoro molto compiuto di un musicista che sa essere e dire molte cose differenti.

Tracklist
1 – Diva Sporca
2 – La luna nera
3 – Elocubrazione
4 – La peste
5 – La strada per l’oblio

PADUS – Facebook

Petrolio – L + Esistenze

Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself.

Il nuovo disco di Petrolio, aka Enrico Cerrato già bassista degli Infection Code, è un contenitore di vite musicali, esistenze terrene e viaggi onirici.

Petrolio ha esordito nel 2017 con il disco Di Cosa Si Nasce, l’inizio di un progetto ben preciso, una grande mappa di rumori ed emozioni, dove l’uomo è misura di tutte le cose che possono essere suonate. Da tempo mancava in Italia un produttore con questa cifra, un musicista che si mette in gioco prima fra le proprie mura domestiche e poi si mette insieme ad altri che la vedono come lui per continuare il viaggio. Questo disco presenta diverse visioni nate da diverse esistenze messe assieme, accomunate da un comune sentire della musica e da una totale originalità di ogni visione. Petrolio è il minimo comune denominatore, al quale si aggiungono molti ospiti tutti davvero d’eccezione e di grande resa, come Jochen Arbeit (Einstürzende Neubauten , Automat , AADK , Soundscapes ), Fabrizio Modonese Palumbo (( r ), Almagest !, Blind Cave Salamander , Coypu , Larsen , XXL ), Aidan Baker ( Nadja ), Sigillum S, MaiMaiMai e N Ran, veramente fra il meglio della scena noise elettronica. Praticamente inutile tentare di rinchiudere in qualche genere musicale ciò che viene fuori da questo lavoro, che è uno grande sforzo perfettamente compiuto, poiché riesce a coniugare diverse visioni e soprattutto da vita ad un grande disco, che si avvicina ai territori dark ambient, power electronics, ed elettronica altra ma va oltre, molto oltre. Il disco esce sia in vinile che in cassetta, e ha due tracklist differenti, in maniera che per avere il lavoro completo si devono avere entrambi i formati. Ogni pezzo ha un grande valore, ogni canzone suscita differenti emozioni, in un rimbalzo continuo fra cuore e cervello, reni e chakra, con continue vibrazioni di corpo e mente, perché tutto è collegato. Musica che si raccoglie in cristalli che mutano in continuazione, per un’opera che mancava da tempo nel panorama italiano, un qualcosa di grande profondità e ricerca musicale, fatta con tanti musicisti eccezionali e prodotta grazie ad una cospirazione do it yourself di diverse etichette.

Tracklist Vinyl/ Digital
1 Ne Tuez Pas Les Anges (Petrolio + Aidan Baker)
2 La Maladie Connue (Petrolio + Sigillum S)
Scindere 2 animes (Petrolio + Jochen Arbeit)
3 Fish Fet (Petrolio + MaiMaiMai)
4 L’eterno Non E’ Per Sempre (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
5 Ceralacca E Seta (Petrolio + Naresh Ran)

Tracklist Tape/Digital
1 Heilig Van Blut (Petrolio + Aidan Beker)
2 Peregrinos De Almas (Petrolio + Sigillum S)
3 Wood And The Leaf Rite (Petrolio + Jochen Arbeit)
4 Cut The Moon (Petrolio + MaiMaiMai)
5 Ojos Eyes And L’Ecoute (Petrolio + Fabrizio Modonese Palumbo)
6 Vuoto A Perdre (Petrolio + Naresh Ran)

Line-up
Enrico Cerrato: synth, chitarra, elettronica
Fabrizio Modonese Palumbo: viola elettrica, chitarra, ebow.
 (Registrato da Paul Beauchamp presso l’O.F.F. Studio Torino).
Aidan Baker: chitarra, basso, occult noises
Sigillum S: piano, synth, noises, fool rhithms
Jochen Arbeit: chitarra fx
MaiMaiMai: machines e distorsioni
Naresh Ran: voce, testi, noises

PETROLIO – Facebook

Mortiis – The Song Of A Long Forgotten Ghost

Nel 1993 questo demo era un unicum nel panorama musicale estremo ed ha folgorato più di una mente, tanto che ancora adesso se ne parla molto rivestendo una grande importanza per molti, musicisti e non.

Continua la riproposizione delle perle dimenticate della prima era della carriera di Mortiis, la mitica entità musicale norvegese che sta vivendo un intenso periodo dopo anni di bassa frequenza.

The Song of a Long Forgotten Ghost fu pubblicato come demo nel lontano 1993, formato da una traccia unica figlia di una visione e che si dipana per oltre cinquanta minuti di organo, percussioni e poco altro, un qualcosa di molto esoterico ed affascinante. Questa ristampa vede per la prima volta il demo rimasterizzato, che ci rende l’autentica atmosfera che voleva offrire Mortiis.
L’ipnosi che induce questa musica è qualcosa che viene da molto lontano, dai più profondi recessi del nostro cervello, quasi come voler ritornare a sensazione che pensavamo perdute. Questo lavoro è molto importante per il sottogenere chiamato dungeon synth, che è un prodotto della fascinazione per il medioevo ed è principalmente composto da linee di organo e tastiere. Questo strano codice musicale è molto di nicchia, ma è estremamente interessante, e qui Mortiis ne dà uno dei suoi esempi migliori. Il talento musicale del norvegese mostra la via a quelli che verranno dopo, ma produce anche un lavoro davvero valido e completo, non di facile fruizione ma da ascoltare attentamente.
The Song of a Long Forgotten Ghost è un sogno, un vedere oltre i nostri sensi, un lungo viaggio fra cripte impolverate e sepolcri, fra neve e sangue che cola da pietre che hanno visto mille battaglie. Lo scopo di questa musica è di trascinare l’ascoltatore in uno spazio tempo differente, connotato dalla fisica e dai suoni dell’antichità, ed è totalmente avulso da qualsivoglia concetto di modernità. Nel 1993 questo demo era un unicum nel panorama musicale estremo ed ha folgorato più di una mente, tanto che ancora adesso se ne parla molto rivestendo una grande importanza per molti, musicisti e non. E’ un piacere vederlo in una nuova veste, con il suono riportato alla luce e con la nuova copertina frutto del grande lavoro di David Thierree, che ha espanso il concetto iniziale di Mortiis. Un ascolto non per tutti, ma che lascerà estasiato chi ama certe atmosfere.

Tracklist
1 The Song Of A Long Forgotten Ghost

MORTIIS – Facebook

VV.AA. – A TRIBUTE TO BURZUM

La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri.

Ad essere sincero, ho sempre pensato che il Tributo alla band icona di turno, dovesse per forza essere un omaggio a chi oggi non esiste più.

Un ossequioso dono sacrificale ad un’entità musicale del passato e che oggi esiste solo nei ricordi e nelle memorie dei fan. In realtà, continuo ad essere contraddetto e smentito, dalla valanga di album-tributo che escono ogni giorno, dedicati a compositori, strumentisti e band ancora molto attive, ai giorni nostri. Il Tributo spesso viene definito come l’atto che viene compiuto per adempiere ad un obbligo (in genere di carattere morale) verso qualcuno, a riconoscenza dei suoi meriti; forse sarebbe più azzeccato omaggiare il ricordo, di chi oggi non c’è più, o almeno non risulta essere più in attività…Vero è che la parola Tributo (dal latino “tributus”, derivazione di “tribus” – Tribù), spesso identifica anche l’appartenenza alla tribù. Oggi come tutti sappiamo, i Burzum non sono più in attività (l’ultima produzione risale al 2015, con il singolo Thulean Mysteries, dopodiché più nulla sino alla dichiarazione ufficiale di giugno di quest’anno di Mr. Varg Vikernes, nella quale ci informava che il progetto fosse giunto al termine, dopo ben 27 anni). In questo contesto, collocherei l’album, oggetto della recensione, ergendolo a simbolo di un’esigenza popolare, sicuramente maturata negli anni, di poter esprimere, sia tutta la devozione della tribù del Black Metal verso il loro idolo indiscusso, sia una sorta di necessità atta a sottolineare la “proprietà” (in senso ovviamente lato) dell’immensa opera che ci ha lasciato. Come a dire :”devoti alla nostra divinità e proprietari/custodi di ciò che ci ha lasciato in eredità”.
La Compilation di cover della band di Vikernes – in uscita il 21 Novembre per il noto Antichrist Magazine – contiene ben 17 band provenienti da tutto il mondo (compresa una special guest d’eccezione: la bellissima e misteriosamente gotica pianista e compositrice berlinese, Katarina Gubanova). Ce n’è per tutti i gusti. Dai Burzum elementali e primevi dell’Omonimo e di Aske, passando poi per tutte le fasi di ispirazione Ambient, sino ad arrivare al periodo Folk/Viking dei giorni nostri. Dall’Olanda gli ottimi blacksters Yaotzin, ci propongono Hvis lyset tar oss, in una versione fedelissima della title-track del capolavoro datato 1994. I truci tedeschi Khald, band della nera regione di Baden-Württemberg, rileggono Jesus’ Tod (in lingua madre Jesu død) dall’album Filosofem (1996), uno dei più grandi lavori dell’artista norvegese in ambito Black e Dark Ambient, in maniera leggermente più sinfonica (l’iniziale tremolo di Vikernes viene qui principalmente sostituito dai synth), perdendo un po’ il Raw, ma ottenendo comunque un pezzo di uguale impatto. Balzo in avanti negli anni (siamo nel 2010) con gli ucraini Atra Mors e con Belus’ død, tratta ovviamente da Belus (2010), primo album pubblicato dopo la scarcerazione di Varg, e originariamente uscito con il titolo Den Hvite Guden (“Il Dio Bianco”, in lingua norvegese), e quindi ennesima revisione del riff già presente su Dauði Baldrs (per scelta, Vikernes decise qui di ripetere paro paro il riff della canzone del 1997). Molto Black classico e poco Burzum di quegli anni, ad onor del vero. Malinconia e ricordi nella cover degli americani Aetranok che dei 10 minuti ed oltre di A Lost Forgotten Sad Spirit (dall’ep Aske del 1993) fanno copia ed incolla (da notare la voce del singer Meretrix, davvero simile a Burzum) e meritano l’acquisto del loro nuovo album “Kingdoms of the Black Sepulcher” uscito per la Symbol of Domination. Prima song tratta dall’album eponimo del 1992 (Feeble Screams from Forests Unknown) per gli olandesi Myrkur Skógur, riletta in chiave più moderna; la cover risulta piacevole, ma il suono più pulito ne impoverisce un po’ la cupa atmosfera degli esordi del signore di Bergen. I terribili “chiodati” vichinghi Wan dalla vicina Svezia, giocano facile e rivivono Stemmen fra tårnet (Aske) “alla scandinava”; il risultato è un pezzo che pare fuoriuscito direttamente dal 1993. I sinfonici germano/norvegesi Dynasty of Darkness scelgono Dunkelheit (titolo originale “Burzum”, da Filosofem), ovviamente il brano più Ambient dell’album, senza però perdersi in troppo arzigogolate ruffiane armonie, mantenendo la terrificante desolazione, che il brano originale esprime in ogni sua singola nota. Chi ama il tremolo ama My Journey To The Stars (Burzum). Qui i bravissimi germanici Mournful Winter sciorinano una tecnica sopraffina, senza però far perdere alla song il pathos originale. Con curiosità e attenzione critica mi appropinquo all’ascolto della cover di Han Som Reiste (da Det som engang var – 1993) il capolavoro strumentale dell’artista con l”A” maiuscola. I Colotyphus (Ucraina) purtroppo ne rovinano l’arcano fascino medioevale, riducendo il pezzo ad un classico (e scontato) brano di Dark Ambient sinfonico. Il sapiente utilizzo del basso non come semplice base ritmica, ma come strumento portante di tutto l’eterno corpo della canzone (più di 11 minuti) e gloriosa anima di dimenticate epopee guerresche, fece la fortuna di Glemselens Elv (Belus) ergendola ad uno dei più fulgidi esempi di Viking Metal (molto Bathoriano ad onor del vero). Purtroppo il seppur bravissimo duo dell’Arizona (Unholy Baptism) cede alla tentazione, e dà risalto alle sole chitarre per riproporre il meravigliosamente ossessivo giro di basso, così in evidenza nel brano originale. Un peccato perché, davvero, gli autori di …On the Precipice of the Ancient Abyss, sono un ottimo gruppo da tenere d’occhio. I terrificanti Bestia si cimentano nel tentativo di ripetere il successo primevo di Beholding The Daughters Of The Firmament (Filosofem); il brano, sicuramente uno dei più funerei e doom di tutto l’album, appariva già da principio inadatto al quartetto estone, fautore di un Black Metal con influenze Brutal Death; il pezzo viene rivisitato, ritmato ed infarcito di synth, facendone un buon pezzo Black, ma che nulla c’entra con l’originale. Anche il cantato schizoide di Vikernes, viene qui sostituito da uno dei più classici scream. Peccato. La brevissima War (da Burzum), vero pezzo Bathoriano appartenente alla First Wave of Black Metal, è stato scelto dai bravissimi Chaoscraft. Qui i greci dimostrano di sapere il fatto loro e di conoscere molto bene le loro origini e le loro fonti ispiratrici. Resta un mistero conoscere il motivo per il quale, per il pezzo Vanvidd (Fallen – 2011), sia stata chiamata una band di Melodic Death, invece che scegliere una tra le miriadi di band Black provenienti dalla Colombia. Qui i Thy Unmasked di Bogotà, ce la mettono tutta, ed il risultato ovviamente non poteva che essere un mix di Black e Death; bello si, ma lontano dalle idee di Varg. Quando ho letto Uruk-Hai ho pensato (con piacere) immediatamente ai bravissimi corpsepaint blacksters spagnoli; in realtà di tratta di un’altra band, ossia i Medieval Dark Ambient austriaci. Scelta comunque azzeccata per il brano Hermoðr á Helferð (Dauði Baldrs – 1997), che si collocherebbe alla perfezione tra le fila delle produzioni della one-man band di Linz. Un lungo salto nel 2012, per ascoltare la cover di Valgaldr, da Umskiptar, uno degli album più folk viking metal del Nostro. Scelta azzeccata con gli ungheresi Eclipse of The Sun, band che propone un sound molto ricco e variegato, tra il Folk, il Gothic e il Doom. Eccellente. Il Bielorusso Darkus (alias Stanislaŭ Semeniaha), unico membro dei blackster Imšar, si cimenta con un brano tratto da Det som engang var, ossia En Ring Til Å Herske. Il brano si sa, è nero e funereo come la morte stessa, drammaticamente lento e angosciosamente ripetitivo, e fortunatamente Mr. Darkus non ne storpia troppo la lugubre natura mortuaria; forse un po’ meno andante e un po’ più adagio, e sarebbe stato perfetto. Special guest a chiusura della compilation, la pianista berlinese Katarina Gubanova che, grazie al magico utilizzo dei suoi polpastrelli, rilegge Ea, Lord of the Depths (da Burzum) in chiave sinfonica per pianoforte: brano curioso e ammaliante, chiude un devoto tributo al Re del Male, spesso non proprio centrato, ma nel complesso un buon prodotto per i fan dei Burzum e per chi vuole scoprire nuove realtà Black, sino ad oggi ancora poco conosciute.

Tracklist
1. Yaotzin (Netherlands) Hvis lyset tar oss
2. Kâhld (Germany) Jesus’ Tod
3. Atra Mors (Ukraine) Belus’ Dod
4. Aetranok (USA) A Lost Forgotten Sad Spirit
5. Myrkur Skógur (Netherlands) Feeble Screams from Forests Unknown
6. Wan (Sweden) Stemmen Fra Taarnet
7. Dynasty of Darkness (Germany / Norway) Dunkelheit
8. Mournful Winter (Germany) My Journey To The Stars
9. Colotyphus (Ukraine) Han Som Reiste
10. Unholy Baptism (USA) Glemselens Elv
11. Bestia (Estonia) Beholding The Daughters Of The Firmament
12. Chaoscraft (Greece) War
13. Thy Unmasked (Colombia) Vanvidd
14. Uruk-Hai (Austria) Hermodr A Helferd
15. Eclipse of The Sun (Hungary) Valgaldr (Song of the Fallen)
16. Imšar (Belarus) En Ring Til Å Herske
17. + special guest:
Katarina Gubanova (Germany) Ea, Lord of the Depths

ANTICHRIST MAGAZINE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=cHNZE0s4w_8

Reptilicus & Senking – Unison

Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi.

Questo disco è il frutto di un incontro, di una comunione di intenti e di una session in uno studio storico come il Grant Avenue Studio in Hamilton Ontario, usato ai tempi da Brian Eno e Daniel Lanois per la loro serie di dischi ambient.

Anche qui c’è un grandissimo uso di sintetizzatori, e l’atmosfera è davvero particolare, per un’elettronica che ha una traiettoria molto diversa dal normale. Tutto comincia nel novembre 2011, quando Reptilicus, Senking (Raster-Noton), Rúnar Magnússon e Orphx dividono il palco di un concerto organizzato da Praveer Baijal, fondatore dell’etichetta di Toronto Yatra – Arts. Il concerto era stato organizzato per celebrare la prima uscita di Reptilicus dopo anni, il 7” Initial Conditions, che conteneva un remix di Senking sul lato b. Inoltre a loro si aggiunge William Blakeney, produttore esecutivo del documentario sui sintetizzatori modulari Dreams Of Wire, che era in produzione in quel momento. La session prende quindi vita, e vengono messi a disposizione di questi sciamani elettronici vari sintetizzatori modulari di tutte le epoche, come l’ EMS Synthi A, ARP 2600 + sequencer, Moog 15, Minimoog, Roland System 100 + sequencer, e la P-synth, una macchina che fa droni costruita by Guðlaugur Kristinn Óttarsson dei Gopskrit. In mezzo a tutte queste elettroniche bellezze i nostri si sentono come in paradiso, e con Runar Magnusson come terzo membro producono questo Unison, che è una bellissima e straripante esplorazione di ciò che può essere l’elettronica alternativa a quella di massa. I suoni che potete sentire qui vengono da una ricerca musicale profonda e necessaria, che è in continua progressione e non si ferma mai. Le algide e bellissime note che escono fuori da queste macchine dipingono un mondo che è assai diverso da un qualcosa fatto esclusivamente per vendere, mentre qui c’è il cuore pulsante dell’elettronica intessa nel suo senso più ortodosso ed innovatore al tempo stesso. Reptilicus e Senking scrivono una pagina importante dell’elettronica più oscura e di avanguardia, ma che ha un nucleo molto classico. Sintetizzatori che vibrano formulando sogni per androidi che sono già qui fra noi, e anche musica tribale, la ripetitività di suoni antichi ormai andati persi. Un lavoro molto credibile e di grande sostanza, che vede l’importante tocco al mixer di Bob Doidge già con Crash Test Dummies e Cowboy Junkies. Il massimo per chi ama sintetizzatori di una certa età, ed un’elettronica senza compromessi.

Tracklist
1.Steep Turns
2.Delivery
3.Inner Fish
4.Fog Frog
5.For Decades
6.Shiver
7.Independent Access to White Noise

?Alos – The Chaos Awakening

Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido.

Venti minuti di un antico rituale messo in musica, suggestioni, rumori e suoni che provengono da un’altra dimensione, da un tempo nel quale l’umanità aveva una composizione fisica che si legava direttamente agli elementi naturali e non al silicio o ad una scheda madre.

?Alos è una sciamana che opera e ha operato con OvO e con Allun, e ora sta continuando la sua avventura solista. Parlare di musica è davvero superfluo in questo caso perché si va molto oltre essa, si entra in un portale dove tutto è ciò che sembra solo se si decide di essere altro da sé, come ?Alos, che ha registrato questa performance dal vivo a Valico Terminus a Ramiseto, un’azienda agricola e casa rurale per artisti sita in un crocevia fra Emilia Romagna e Toscana, dove si incontrano molte forze, come ci insegnavano gli antichi.
?Alos dopo aver trattato la Terra e L’Aria, passa ora a descrivere l’Acqua ed il Fuoco, con questa traccia unica che esplora molti tipi di femminino diversi, perché la storia dell’uomo, e soprattutto della donna, non è andata come ce la raccontano, è molto più complessa e conflittuale, e molto probabilmente non la conosceremo mai. Il titolo The Chaos Awakening dice già moltissimo sulla struttura e sulle intenzioni di Stefania Pedretti, perché pur senza adorare il caos lo descrive come unica via possibile di vita, partendo dalla profonda convinzione che non siamo affatto perfetti, ma che dobbiamo saper rapportarci a forze molto più grandi di noi e che abbiamo lasciato sopite per troppo tempo, convinti che la conoscenza scientifica lo avrebbe fatto fuggire. Questo lavoro è l’esatto contrario di linearità, si avvicina per sommi capi a qualcosa che possiamo chiamare dark ambient, ci sono loop e droni ma tutto ciò è davvero oltre la musica, è come entrare in una foresta di notte in acido. L’ultimo disco di ?Alos è fortemente catartico perché risveglia qualcosa dentro di noi che è dormiente ma che è innato, e che è stato spezzato da questa supposta superiorità del moderno rispetto all’antico visto e vissuto come un’epoca oscura e disagiata, mentre il domani non è quasi mai esistito per l’uomo; la Signorina Alos è qui per ricordarci che siamo come sopra è sotto, e che il caos è sempre in agguato.

Tracklist
1. The Chaos Awakening

Line-up
?Alos – Vocals, flute, modular synthesizer,
The Chaos Scepter, bells and other vietnamese instruments –

?ALOS – Facebook

Die Sonne Satans – Metaphora

Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Dopo 25 anni dalla sua uscita torna il disco Metaphora del progetto dark ambient italiano Die Sonne Satans, manovrato dalle tenebre da Paolo Beltrame, deus ex machina del gruppo.

Metaphora era originariamente uscito nel 1993 come metà dello spilt con i Runes Order, per i tipi della mitica Old Europa Cafè, un’etichetta di ambient e industrial che ha tracciato una strada ancora molto futuristica tuttora. Su Die Sonne Satanas non si sa granché, solo che dietro al nom de plume c’è Paolo Beltrame, ma va benissimo così, perché ci sono le sue opere a parlare di e per lui. Il disco ha avuto un ottimo restauro sonoro da parte di Maurizio Pustinaz, il tutto avvallato da Beltrame stesso. L’opera in questione non è prettamente musica, né si avvicina minimamente alla sua concezione tradizionale ma va ben oltre: è un insieme di ambient e di spunti che hanno per oggetto il simbolismo religioso, come se si lavorasse sulla materia religiosa e la si facesse uscire in un’altra maniera. Centrale è il concetto espresso dal breve titolo Metaphora, che in greco significa trasportare oltre, per cui un termine viene usato per significare qualcosa di diverso dalla sua origine. Qui è esattamente così, nel senso che si prende un significato e lo si usa in contesti diversi, facendolo diventare altro. Ciò che stupisce maggiormente in un disco come questo è la capacità di penetrare dentro l’ascoltatore, e come fosse un rito sciamanico portarlo lontano, in un ambiente diverso dal suo. Alcuni stilemi della religione cristiana vengono qui lavorati a tal punto che diventano un qualcosa ora di liquido, ora di monolitico, come se fossero salmi che minimali salgono al cielo accompagnati da droni e loop. Metaphora era un disco gigantesco già all’epoca dell’uscita, in un momento magico per il movimento ambient industrial occultistico italiano. Ascoltare questo album è una vera esperienza sonora, e ognuno ci sentirà ciò che preferisce, non ci sono limitazioni qui od intrattenimento. In quei fantastici anni novanta in Italia si producevano autentiche chicche di questo genere, musica che era ben oltre la musica, poi è arrivata la risacca e si è affievolito tutto, anche se rimane qualcosa. L’etichetta Annapurna di Firenze, una delle migliori in Italia con un catalogo notevolissimo, ci dà la possibilità di ascoltare un disco che è bellissimo e che è meraviglioso nel senso che produce autentica meraviglia e bellezza. Ci si perde in questo tempo dilatato, in questi suoni altri, in questo austero tempo che non è il nostro, ed il tutto sarebbe immensamente piaciuto all’inquisitore Eymerich, a parte il monicker ovviamente.

Tracklist
1.The garden of Hydra
2.Body snatcher
3.Spiritwook (revised)
4.Source
5.Orbis
6.The Venerable
7.Advent
8.Pleurotomaria (revised)
9.Cheopys

ANNAPURNA – Facebook

Nortt – Endeligt

Sono passati dieci anni ma Nortt sembra ancora più convinto nell’esplorare oscuri e vuoti abissi, ove non risiedono speranza ma solo morte e desolazione.

Perfetta sound track per un viaggio nell’inquietudine e nella disperazione.

Dopo dieci anni di silenzio discografico, Nortt ritorna a raggelarci con la sua arte ricolma di note funeral, black e doom perfettamente miscelate a creare una dark ambient disturbante e lugubre.
Il musicista danese, dopo “Galgenfrist” del 2007, scarnifica ulteriormente il suo suono e con poche note e suoni minimalisti offre nove composizioni lente, profonde, strazianti, da sentire nel profondo del nostro io; è musica che ci porta a un confronto continuo con noi stessi, con le nostre paure, con le nostre vite senza punti di riferimento, con un vuoto interiore difficile se non impossibile da colmare.
Il senso di morte, di abbandono, di tragicità che permeano ogni nota vanno al di là di ogni descrizione su carta, ognuno ha dentro di sé la propria interpretazione di questo mondo, che nelle note di Nortt appare maledetto e in disfacimento morale e materiale.
Pochi suoni all’interno dei brani delineano scenari di sconfinata e lugubre tragicità che raggiungono vette emozionali laceranti: in Afdo un tocco epico aggiunge splendore e magnificenza.
Le atmosfere, già terrifiche fin dall’inizio, raggiungono picchi di gelo e desolazione con il passare dei minuti e gli ultimi tre brani rilasciano segnali di morte non comuni, inerpicandosi su suoni dark ambient che non hanno nulla di umano.
Nortt afferma che negli ultimi dieci anni non ha registrato alcunché in quanto ha vissuto in un mondo dove non aveva necessità di farlo; sono passati dieci anni ma la sua arte sembra ancora più convinta nell’esplorare oscuri e vuoti abissi, ove non risiedono speranza ma solo morte e desolazione. Un grande ritorno!

Tracklist
1. Andægtigt dødsfald
2. Lovsang til mørket
3. Kisteglad
4. Fra hæld til intet
5. Eftermæle
6. Afdø
7. Gravrøst
8. Støv for vinden
9. Endeligt

Line-up
Nortt Everything

NORTT – Facebook

La Tredicesima Luna – Il sentiero degli Dei

Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Proprio qualche giorno fa ho avuto occasione di parlare della riedizione dei due seminali lavori che Mortiis pubblicò ad inizio carriera sotto l’egida della Cold Meat Industry.

Infatti, Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent sono considerati unanimemente tra le opere che hanno favorito lo sviluppo della forma di ambient definita dungeon synth, che vede tra i suoi più brillanti esponenti in terra italiana il milanese Matteo Brusa.
Con questo suo nuovo progetto denominato La Tredicesima Luna, Brusa sposta il tiro su una forma di ambient che prende le mosse dai precursori del genere (su tutti Brian Eno, con puntate anche sulla Kosmische Musik degli anni ‘70) ma ammantandola di un’aura oscura che, rispetto alla produzione del genio inglese, rimanda soprattutto a un lavoro come Apollo.
In effetti, il tutto viene anche suffragato da un afflato cosmico che pervade la mezz’ora di musica di cui si compone Il Sentiero degli Dei; i due lunghi brani si rivelano così avvolgenti e senz’altro riusciti nella loro funzione evocatrice di scenari probabilmente solo immaginati dai migliori scrittori di fantascienza o da registi visionari come Kubrick: va detto che il senso di pace e di apparente armonia con l’universo viene contrastato da uno sgomento latente, derivante  dall’incapacità della mente umana di circoscrivere ciò che di fatto è illimitato.
Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Tracklist:
1.Parte I – Fuochi sotto le stelle / Tra due mondi
2.Parte II – Energie ancestrali / La luce dorata dell’aurora

Line-up:
Matteo Brusa

LA TREDICESIMA LUNA – Facebook

Mz.412 / Trepaneringsritualen – X Post Industriale / Rituals 2015 e.v.

Il disco cattura dal vivo i rituali al X Post Industriale, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica.

Split live tra due fra le maggiori realtà attuali dell’industrial dark ambient rituale svedese, gli Mz.412 ed i Trepaneringsritualen.

Il disco è stato registrato a Bologna al Club Kindergarten nell’ottobre, in occasione dell’evento X Post Industriale organizzato dalla storica etichetta Old Europa Cafe. Il disco cattura dal vivo i rituali, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica. Le tracce dello split sono quattro, due per ogni gruppo e sono di lunga durata, e sono dei veri e propri rituali per espandere la nostra coscienza. Questa musica, come si diceva prima, va ben oltre il canonico scambio di emozioni fra ascoltatore e musicista, e punta a creare porte per arrivare in altre dimensioni, cambiando di significato al rumore e alla musica stessa. Le due esperienze sonore che sono opera degli Mz.412 sono maggiormente cariche di rumori ed interferenze, infatti questo è sempre stato un prodotto industriale fatto con attitudine black metal, molto improntato a far scaturire reazioni nell’ascoltatore, e con un forte tocco di marzialità. Rumori, feedback e altro ancora disturbano l’ascoltatore, proiettandolo in una dimensione di assenza e morte, in un limbo dove la vita non possiede le inutili maschere che le diamo e si rivela per quello che è, una fastidiosa frequenza di fondo. In queste due tracce il rituale serve a rivelare ciò che non vediamo, svelando una terribile verità. Gli altri due pezzi di Trepaneringsritualen sono diversi rispetto ai precedenti, perché qui ci addentriamo maggiormente nel dark ambient, le atmosfere si fanno più rarefatte, al contempo sono venefiche e riescono a penetrare la nostra scatola cranica, arrivando dritte nel cervello. Ci sono mondi ed esseri di altre dimensioni che vengono fuori richiamati da questi suoni, che sono davvero profondi e continuano la grande tradizione della dark ambient legata all’industrial, che racchiude molte cose. Questo split dal vivo è un documento incredibile e forse irripetibile, nel senso che catturare in tempo reale queste due entità è cosa davvero notevole, che riporta al massimo la forza di questi rituali, un qualcosa che è legato al nostro ancestrale e che risveglia forze sopite. Un assaggio e una documentazione imperitura di ciò che è stato il X Post Industriale.

Tracklist
01 SIDE A Akt I
02 SIDE B Akt II
03 SIDE C Akt I
04 SIDE D Akt II

ANNAPURNA – Facebook

Omega – Eve

Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo.

Eve degli Omega è un disco che va ben oltre le emozioni che da un supporto fonografico, fa vedere orizzonti lontani.

Il disco è composto da vari livelli, quello più immediato può essere descrivibile come un tenebroso disco di black metal misto a doom ed un pizzico di death, con stacchi dark ambient. Un altro livello di lettura è chiudere gli occhi e sentire cosa fa veramente questa musica, cosa provoca nelle nostre sinapsi: in codesta maniera si potrà scoprire un mondo, una raccolta di emozioni e stati d’animo come in un’ipnosi, perché questo disco è concepito per farci viaggiare alla ricerca del nostro io, della nostra volontà su questo pianeta, ma anche e soprattutto oltre questo pianeta e questi limiti che ci imponiamo. Le tracce sono quattro, il disco va sentito come un continuum sonoro, una lunga suite di musica estrema. Eve è ispirato dal manoscritto Voynich, forse il libro più misterioso mai scritto, o forse soltanto un tentativo di oltrepassare la realtà andando oltre i sensi, in un flusso che lega tutto ciò che è stato, tutto ciò che è e tutto ciò che sarà. Lo stile musicale è pienamente narrativo, veniamo trasportati in una storia dall’architettura profonda con l’uomo al centro, ed intorno un universo che vortica. Il black metal qui è un punto di partenza, perché il suono di questo disco ne ha molti elementi, ma è un’opera nuova ed originale. Nel nuovo splendido libro Black Metal Compendium Volume II – Europa e Regno Unito – di Vavalà e Ottolenghi per i tipi della Tsunami Edizioni, gli autori spiegano molto bene cosa sia il black metal per noi mediterranei, ed in particolare per noi italiani, ovvero un codice da far evolvere, un punto di partenza per profonde esplorazioni, e Eve ne è la spiegazione perfetta: un manoscritto Voynich che ognuno deve decifrare, perché parla di noi stessi, della nostra storia, e della cosmogonia che abbiamo dentro. Un’esperienza, molto più di un disco.

Tracklist
1.Arboreis
2.Sidera
3.Mater
4.Laudanum

Line-up
Alexios Ciancio – Vocals
Mike Crinella – Guitars, Synths, Samples
Fabio Arcangeli – Bass
Marco Ceccarelli – Drums

DUSKTONE – Facebook

Shibalba – Psychostasis-Death Of Khat

L’operato dei Shibalba è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica delle discipline orientali.

Può stupire il fatto che un’opera come questo Psychostasis-Death Of Khat dei Shibalba sia stata pubblicata da una label come la Agonia Records che, normalmente, è dedita a generi estremi come black o death, visto che qui siamo in presenza invece di un’ambient dark trance, meditativa e sciamanica (citando letteralmente la scheda di presentazione).

L’apparente scollamento trova una sua spiegazione nel dato che due dei tre musicisti coinvolti nel progetto sono attivi da anni nell’ambito del black metal, trattandosi di Acherontas V.Priest, leader degli ellenici Acherontas, e Karl NE/Nachzehrer, che ha guidato fino allo scorso anno gli ormai disciolti svedesi Nåstrond; ai due si aggiunge il meno conosciuto Aldra-Al-Melekh.
Del resto non è neppure così infrequente l’incursione di musicisti dal background estremo in territori sperimentali, così come abbastanza spesso i risultati sono più che soddisfacenti; quella degli Shibalba è una proposta ovviamente rivolta ad un’audience differente da quella canonicamente dedita al metal o comunque, dotata di una grande disponibilità ad accogliere istanze sperimentali.
Psychostasis-Death Of Khat è fondamentalmente un prolungato (forse troppo) flusso sonoro nel quale rumore dronico, campane tibetane e invocazioni assortite si sovrappongono, offrendo a tratti momenti notevoli (l’acustica Reanimation of Akh che va a lambire la forma canzone e la minacciosa Opening the Shadow Box) ma restando quasi costantemente nell’alveo di un’ambient pesantemente ammantata di un’aura meditativa, strettamente connessa con la visione del mondo tipica delle filosofie orientali.
L’operato dei Shibalba, pertanto, è strettamente consigliato a chi condivide con i tre musicisti la fascinazione esercitata dall’aura mistica di tali discipline.

Tracklist:
1. Phychostasis-Death of Khat
2. Ihag Mthong
3. Kaoshikii Mahayana
4. Aether Ananda Aiwass
5. Naljorpa
6. Reanimation of Akh
7. Five Points of Desire
8. Orgasmic Inebriation
9. Opening the Shadow Box
10. Svarna Khecari Mudra

Line-up:
Acherontas V.Priest
Aldra-Al-Melekh
Karl NE/Nachzehrer

SHIBALBA – Facebook

Empty Chalice – Emerging is Submerging – The Evil

Le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Nello scorso dicembre avevamo parlato di Music For Primitive, album uscito a nome Gopota, creatura musicale che vede coinvolti Antonio Airoldi e e Vitaly Maklakov.

Il primo (che qui si firma come A.) si ripropone oggi alla nostra attenzione con il secondo atto di questo progetto denominato Empty Chalice, con il quale continua imperterrito l’opera di disturbo sonoro brillantemente proposta in quell’occasione.
Emerging is Submerging – The Evil mostra tratti più inquietanti che minacciosi e qui l’ambient opprime stendendosi come un velo di cenere sulle nostre percezioni sensoriali, proiettando nella mente un immaginario grigio ed opalescente.
Le vibrazioni sonore creano un flusso che potrebbe essere la riproduzione dell’ansito di un pianeta entrato nei suoi ultimi millenni (se non secoli) di vita, ma anche quello di chi sta rannicchiato nel proprio guscio, rifiutando di confrontarsi con un’umanità che precipita inconsapevole verso la sua estinzione; dico potrebbe, perché il bello di un espressione musicale così ermetica è proprio la sua capacità di offrire diverse chiavi di lettura che possono differire non poco a seconda della sensibilità di chi ascolta.
L’album, che esce per l’etichetta Industrial Ölocaust Records, si snoda lungo un’ora di ambient che vive di un rumorismo meno accentuato, specialmente nelle prime due tracce Look Into My Eyes e Muffled Scream, arrivando persino ad offrire dei barlumi melodici sotto forma di parti corali disturbate da campionamenti ed effetti nella magnifica Sidereal, episodio più breve del lotto.
Molto più caratterizzate da pulsioni death industrial sono invece Emerging Is Submerging e Stolen Breaths and Destroyed Hope, titoli che restituiscono in maniera piuttosto evidente quel senso di soffocamento che paradossalmente aumenta a dismisura, allorché si cerca appunto di emergere venendo ricacciati verso il basso da una realtà divenuta insostenibile.
Emerging is Submerging – The Evil è un esempio eloquente di quanto una musica che si muove nel solco degli album della mai abbastanza rimpianta Cold Meat Industry possa essere ben più annichilente e, a suo modo violenta, di molti dischi di metal estremo; le sonorità offerte da A. lavorano ai fianchi, costringono a pensare e lasciano un retrogusto amaro, rivelandone la grande profondità e la capacità di incidere sullo stato d’animo dell’ascoltatore.

Tracklist:
1.Look into my eyes
2.Muffled Scream
3.Sidereal
4.Emerging is submerging
5.Stolen breaths and destroyed hope

Line-up:
A.

EMPTY CHALICE – Facebook

Sándor Vály – Young Dionysos

Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore.

Come giustamente afferma lo stesso multi strumentista, Young Dionysus non è un disco concepito per intrattenere, chi cerca divertimento può recarsi altrove.

Vály è uno sciamano che porta la sua musica nel cosmo attraverso l’atto di suonare tutto ciò che incontra con piglio metal e punk. Urgenza, sangue, ansia e paura, ma anche un immenso immaginario che come in un rito orfico sprigiona la sua forza primordiale per far espandere il suono nell’etere. Con questa musica si torna all’origine catartica della musica, quale musa ispiratrice per l’uomo, essendo in grado di agire sulla totalità psichica dell’essere umano. Suono come logos creatore, immanente e fuoriuscito da una volontà di potenza di un musicista davvero capace e totale in grado di fare, se vogliamo ridurlo a qualche genere, un ambient drone molto potente e magniloquente, un magma che entra sottoterra e poi fuoriesce da qualche altra parte, ancora più potente e devastatore. Dentro Young Dionysus possiamo trovare una scrittura musicale di altissimo livello, senza confini e senza limiti, e uno dei pregi maggiori di Vály è di riuscire a tessere un discorso coerente nonostante l’immensità della materia, e il pericolo di debordare grazie al suo talento. Accade invece che il disco sia molto coerente con il suo enunciato, e si dipani davanti agli occhi, ma soprattutto dentro al cervello di chi è disposto ad accogliere un cosmos più che un’opera musicale. Stupisce anche la grande accessibilità del linguaggio musicale di Vály, che come un medium riesce a farsi tra sé stesso e il suo sterminato universo musicale, scrivendo un disco davvero bello ed originale. Si viene rapiti dalla bravura e dall’attitudine metal del musicista, e capita che a volte durante i concerti spacchi il pianoforte a colpi di ascia, nella stessa maniera nella quale rompe le convenzioni musicali.

Tracklist
1. Young Dionysus
2. Drumwork
3. Overture
4. Vine Song
5. Bacchanale

EKTRO RECORDS – Facebook

Les Chants du Hasard – Les Chants du Hasard

Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

Ancora oggi, a più di vent’anni dalla loro uscita, i primi due album degli Elend (Leçons de Ténèbres nel 1994 e Les Ténèbres du Dehors due anni dopo), sono considerati come dei capolavori di musica dark ambient e classica, nei quali l’attitudine estrema era assolutamente concettuale e la musica manteneva una sua perfetta connotazione fuori dagli schemi del metal.

Allora qualcuno parlava più di nuova musica classica che di sottogenere metal e non a torto, vista la totale mancanza di strumenti tradizionalmente rock.
Questo nuovo progetto, anch’esso di provenienza transalpina, si avvicina non poco allo stile del magico gruppo franco/austriaco, una one man band che vede il compositore Hazard alle prese con un’affascinate musica orchestrale, profondamente dark e dall’animo black metal, che si evince dall’uso dello scream, nei passaggi vocali, mentre le tastiere disegnano arabeschi sinfonici e drammatici.
Leggermente meno mistica ed occulta rispetto a quella degli Elend, la musica di Hazard è sicuramente più teatrale, creando un’opera che, chiudendo gli occhi, prende forma nella mente come trasposizione artistica sul palco di un teatro dell’orrore.
I sei capitoli seguono un percorso metaforico su dilemmi esistenziali, dunque lasciando ad altri sterili colonne sonore di film fantasy, mentre piano piano la musica di Hazard si fa spazio tra i meandri dell’inconscio, facendosi ad ogni ascolto sempre più profonda, oscura e a suo modo estrema.
Un ascolto che diventa un’esperienza originale, per un album che sicuramente affascina e divide; quindi o lo si ama alla follia o lo si odia, ma sicuramente non va ignorato, almeno per chi ha il coraggio di confrontarsi con qualcosa di diverso senza pregiudizi.

TRACKLIST
1. Chant I – Le Théâtre
2. Chant II – Le Soleil
3. Chant III – L’Homme
4. Chant IV – L’Enfant
5. Chant V – Le Die
6. Chant VI – Le Vieillesse

LINE-UP
Hazard – Orchestrations

LES CHANTS DU HASARD – Facebook

Neige Et Noirceur – Verglapolis

Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

La tempesta di ghiaccio del 1998 in Quebec durò una settimana, e lasciò gran parte del territorio senza elettricità per oltre un mese.

Questa incredibile tempesta è ricordata ancora molto bene dagli abitanti della parte francofona del Canada, e secondo alcuni studi, avrebbe lasciato impresso un segno nel dna dei bambini ancora in gestazione, a causa dello stress vissuto dalle madri.
Tutto ciò è narrato mirabilmente in questo disco di Neige Et Noirceur, il progetto solista di Spiritus nato nel 2002 e che ha una nutrita discografia. Il black metal di Neige Et Noirceur è profondamente influenzato dall’ambiente di provenienza, e la bravura particolare di Spiritus è quella di riuscire a rendere davvero il gelo e la pesantezza dell’ambiente quebecois, grazie alle chitarre distorte e all’uso sapiente e tenebroso di droni e tastiere. Tutto ciò che è ascoltabile nel disco concorre a creare un’ambientazione davvero glaciale e senza vita, se non quella di spiriti maligni, che sottolineano ancora una volta che su questa terra l’uomo è davvero ospite e nemmeno troppo gradito. In Verglapolis, questa città composta di blocchi di ghiacci, si possono sentire le note droniche di Neige Et Noirceur, un requiem della vita e della speranza, un suono affascinante e debitore nella sua poetica a H.P. Lovecraft, perché queste innominabili visioni sono figlie sue. Verglapolis è un disco di grande bellezza, da gustare con le cuffie, travalicando i generi per costruire una narrazione che è un mito moderno, un’opera sopra un evento ben più grande di noi, e che non possiamo capire fino in fondo, ma possiamo sentirlo.

TRACKLIST
1.Le monde est une foret noire
2.L’hiver de force
3.Nordet – Les premieres neiges
4.Pluie verglacante et brouillard de glace
5.Energie noire
6.Ruines electriques

LINE-UP
Spiritus: music and winter’s poems, guitars, Juno60 – synth yamaha, drums, drum machines, voices and howls
Schimaera: voice, noise

NEIGE ET NOIRCEUR – Facebook

Rebirth of Nefast – Tabernaculum

Un opus magnum di arte nera intricato, aggressivo ma carico di antiche e sinistre suggestioni.

Una oscura perla fuoriesce, senza alcun preavviso, dalla infinita scena black metal underground: i Rebirth of Nefast, in realtà one man band di Stephen Lockart, in arte Wann, esistono dal 2006 ma fino ad ora avevano prodotto solo un demo (Only Death 2006) e uno split con Slidhr nel 2008, poi il nulla.

Wann ha continuato a suonare insieme a musicisti di altre splendide realtà musicali islandesi, vedi Sinmara e Wormlust, e irlandesi come Myrkr senza però riesumare la sua principale creatura; da una terra, l’Islanda, che sta proponendo molti tra i migliori artisti del genere, tipo Svartidaudi, Almirkvi, Myspyrming, solo per citarne alcuni, appare questo opus magnum di majestic and magnificent black metal.
Registrato agli studio Emissary di Reykjavik di proprietà dello stesso Wann e prodotto dalla Norma Evangelium Diavoli, l’opera nella sua lunga durata, un’ora abbondante, presenta sei brani in cui sono elaborati con grande cura black metal, doom, ambient, prog a formare una esperienza uditiva atmosferica monumentale ed eclettica: Wann ha una forza compositiva unica, è abile a variare all’interno di ogni brano le varie componenti creando dei portali che si dischiudono su arcaiche dimensioni.
Tempeste sferzanti si alternano a presenze oscure, culminanti in magnifiche atmosfere sorrette da suoni di tastiera e violini (il suggestivo ultimo brano) che racchiudono misteri esoterici ed occulti; fin dal primo brano The lifting of the veil tutte queste coordinate sono presenti, un inizio lento, maestoso, inquietante evolve lentamente verso una sfuriata black incompromissoria per poi sfumare in dolenti note di maestose tastiere. Tutti i rimanenti cinque brani propongono variazioni e sfumature riconducibili a un suono dark, intricato, aggressivo, inquietante.
Da ascoltare nel giusto mood e necessariamente da centellinare perché, come tutte le grandi opere, si apre lentamente lasciando sensazioni che ogni adoratore delle nere arti non può non apprezzare: insieme all’esordio dei Digir Gidim, una delle rivelazioni di questo inizio anno!

TRACKLIST
1. The Lifting of the Veil
2. The First Born of the Dead
3. Alignment Divine
4. Carrion Is a Golden Throne
5. Magna – Mater – Menses
6. Dead the Age of Hollow Vessels

LINE-UP
Wann – All instruments, Vocals

REBIRTH OF NEFAST – Facebook

daRKRam – Stone And Death

Il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga.

Sono sempre più numerosi gli album definibili, più o meno a buon titolo, di musica ambient che ci vengono sottoposti, sia direttamente dai loro autori sia da etichette lungimiranti come, in questo caso, la Club Inferno, sub label della più metallica My Kingdom.

daRKRam è il progetto solista di Ramon Moro, musicista torinese le cui radici vanno ricercate nel jazz e già questo, in partenza, costituisce per forza di cose un elemento distintivo: in Stone And Death infatti, troviamo più di un passaggio in cui a prendere la scena è la tromba, strumento d’elezione del nostro, che va a creare un inconsueto connubio con il sottofondo dronico di fondo.
Inutile dire che l’ambient di daRKRam è quanto di meno rassicurante sia dato ascoltare: dimentichiamo quindi le soluzioni cristalline e magari sorrette da valide intuizioni melodiche ed andiamo invece ad immergerci senza timore, ma con il doveroso rispetto, in questo caliginoso e terrificante territorio musicale.
Un approccio, quello di Moro, che si spinge lontano dalla music for “something” di Eno, per approdare ad un qualcosa di più avvicinabile alle uscite della Cold Meat Industry del secolo scorso: il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga. Senza neppure rendersene conto, infatti, dopo una decina di minuti ci si trova inermi e privi di difese nei confronti del flusso ronzante che scava incessantemente la nostra psiche e che, alla lunga produce danni meno visibili ma più profondi di qualsiasi espressione musicale che definiremmo convenzionalmente “pesante”.
Per oltre un’ora si viene annichiliti dall’ossessivo sgocciolio di suoni resi in maniera perfetta, solo sporadicamente screziati da improvvisi soprassalti prodotti dagli strumenti a fiato (in Connection, soprattutto), un altro elemento che innalza Stone And Death ad un livello superiore alla media degli ascolti ricadenti in quest’ambito: la speranza è che tale mirabile esempio di dark ambient riesca a raggiungere non solo chi si ritrova “obbligato” ad ascoltarlo (per fortuna aggiungerei, nel mio caso), trovando invece un’audience adeguata e, inutile dirlo, più che mai open minded.
In buona sostanza, trattasi di un lavoro a suo modo magnifico, che necessita ovviamente dell’ausilio di una ricettività all’ascolto superiore alla media o, quanto meno, della ferrea volontà di provare a farne propria la reale essenza.

Tracklist:
1. VIII [Inner Need]
2. XXII [Equilibrium]
3. VI [Male Role]
4. II [Reaction to Conflict]
5. X [Connection]
6. XII [Conflict]
7. III [Evolution]
8. XVI [Work]
9. V [Inner Essence]

Line up:
daRKRam: trumpet, flugelhorn, music, ambience

daRKRam – Facebook

Cripta Oculta – Lost Memories

Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

Tornano con il loro quarto album i portoghesi Cripta Oculta, uno dei gruppi principali della scena black metal portoghese. Il duo pubblica, con la label di riferimento portoghese Signal Rex, un altro grande disco di black metal classico, intriso di misticismo e di ricerca di qualcosa che va molto oltre gli schemi di questa società.

Il Portogallo è una terra antica ed inquieta, che da moltissimo tempo vive di inquietudine e di uno strano modo di sentire le cose, che ha portato il suo popolo a sviluppare una sensibilità molto particolare, con uno sguardo melanconico verso la vita. Tutto ciò si è spesso tradotto in svariati capolavori nelle più disparate discipline, e Lost Memories si inserisce a pieno titolo in questa casistica. I Cripta Oculta sono difensori e diffusori delle tradizioni lusitane, e in questo disco ci conducono per antichi sentieri grazie al loro black metal selvaggio, lo fi e classicheggiante, di grande impatto. Qui la musica è un mezzo per comunicare empaticamente qualcosa che non potrebbe essere comunicato qualcosa, e chi apprezza il black metal conosce benissimo questo processo. La narrazione ci porta in boschi, sentieri e nel cuore del Portogallo, e il black metal dei Cripta Oculta ci fa vedere cose celate allo sguardo dell’uomo moderno. Si torna indietro in un’esperienza davvero coinvolgente, grazie ad un gruppo assolutamente fuori dal comune per capacità di comunicare e per la sua potenza di fuoco. Si cambia spesso registro in questo disco, passando da cavalcate black metal a momenti di dark ambient con strumenti tradizionali lusitani, andando a ricercare un passato che non è solo nostalgia, ma riproposizione di una tradizione che era e che ora non è più. Lost Memories è un viaggio dentro un passato che riposa dentro di noi e che non aspetta altro che risvegliarsi, ed è anche un ottimo disco di black metal selvaggio e fatto con passione.

TRACKLIST
1.Mistérios do Sangue
2.Uma Noite de Trevas
3.Para o reavivar das Tradições
4.Batalha Nocturna
5.A Dança do Fado Negro
6.A Mão de Ferro que Esmaga Sião

SIGNAL REX – Facebook

Dark Awake – Anunnaki

Impressionano non poco le soluzioni adottate da Shelmerdine, specie quando riesce a far convivere partiture di stampo classico con spunti industrial ambient.

Dark Awake è un progetto dark ambient attivo da circa un decennio per volontà del musicista greco Shelmerdine VI°, e Anunnaki è il quarto full length, uscito originariamente nel 2014 e riedito in vinile, alla fine del 2016, dalla label ellenica Sleaszy Records in edizione limitata a 500 copie.

Il disco in questione mostra un approccio piuttosto lontano dalla più consueta riproposizione ad oltranza di limitati spunti sonori o rumoristici: per una volta, la dichiarazione di intenti di un’artista corrisponde pienamente alla realtà e così, quando sul bandcamp dei Dark Awake ne leggiamo la definizione di progetto dedito a musica neoclassica, marziale, dark ambient e neo folk, non si può che essere del tutto d’accordo.
Impressionano non poco le soluzioni adottate da Shelmerdine, specie quando riesce a far convivere partiture di stampo classico con spunti industrial ambient, come avviene magistralmente in Die Nibelungen, ma l’effetto straniante non è da meno nella greve litania con voce femminile Decay o nelle pulsioni liturgiche di Towards The Nine Angles, deviate da un percussionismo ritmato e da rumorismi assortiti.
Euphoria (Of The Flesh) è un esempio di musica classica dai tratti inquietanti e malevoli, mentre la dark ambient più riconoscibile della title track schiude la strada alla notevole Sacrarium, traccia che riporta alla già battuta strada classico-liturgica.
Chiaramente si tratta di un lavoro per intenditori audaci e pervasi anche da una discreta dose di masochismo: va detto però, ad onor del vero, che la forma di ambient perseguita dai Dark Awake è più movimentata, grazie alle numerose variazioni sul tema e ad una parvenza melodica presente in quasi tutti i brani, benché qui venga meno ogni effetto cullante e rassicurante, catapultando invece l’ascoltatore in un’atmosfera sovente da incubo.
Un album molto convincente, che il formato in vinile dovrebbe ancor più valorizzare rendendolo appetibile agli estimatori del genere, oltre a costituire una buona base di partenza per esplorare il resto della discografia firmata Dark Awake.

Tracklist:
1. Blut Ist Feuer
2. Die Nibelungen
3. Decay
4. Towards The Nine Angles
5. Virgo Lucifera
6. Euphoria (Of The Flesh)
7. Thy Satyr
8. Anunnaki
9. Sacrorum

Line-up:
Shelmerdine VI° – All Instrumentats, Orchestration
Sekte – Vocals

DARK AWAKE – Facebook