Led Green – God Is An Alien

Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica.

Industrial, elettronica e tanta ebm con una bellissima voce femminile per comunicarci che non siamo soli, e che qualcosa di più grande ci osserva.

Secondo disco per questa entità che ci mostra come noi siamo tutt’al più una curiosa formina da guardare. Led Green è un polistrumentista che nasce come batterista, per poi trasferirsi in Inghilterra dove continua a fare musica. Questo progetto è per ampliare ulteriormente lo spettro della sua musica. Lui fa tutta la parte strumentale, e la splendida e versatile voce di Vanessa Caracciolo fa il resto, congiungendosi benissimo con la sfera musicale. Il risultato è un riuscito connubio di elettronica in quota ebm, ma che non si esaurisce in questo, anzi è un qualcosa che diviene il mezzo per andare avanti. Ci sono moltissimi suoni dentro questo disco, e il suo incedere è molto elettronica anni novanta, epoca nella quale si narrava un qualcosa attraverso la musica puntando ad espandere la propria coscienza. La poetica di questo disco è la convinzione che gli alieni siano i nostri creatori e che continuino ad osservarci, quasi come un curioso esperimento. Tutto ciò riprende la teoria di Zecharia Sitchin e di altri, che teorizzavano che gli abitanti del pianeta scomparso Nibiru ci abbiano creato per lavorare nelle loro miniere, e poi ci abbiano mantenuto in vita per sfruttarci. Certamente in questo disco, grazie ad una sapiente composizione, è musicalmente tangibile l’oppressione che grava sul genere umano, ma soprattutto questo lavoro è un invito a guardare in su e non in giù. La batteria, vista anche la formazione musicale di Led Green, la fa da padrone e guida lo spettacolo che è molto buono. Mancava da tempo un disco di elettronica come questo che riesca a trasmettere qualcosa attraverso una musica molto ben composta ed organica, facendo dimenticare l’orrenda copertina. Se resisti, esisti.

Tracklist
01) Planet Earth Destiny
02) The Neverending Universe
03) They’re Checking Us
04) Misery Hate&Pain
05) One More Time
06) If You Resist You Exist (Betty)
07) Last Chance
08) Better World

Line-up
Led Green – Music, Drums, Bass, Synths
Vanessa Caracciolo – Vox, Lyrics

LED GREEN – Facebook

Aborym – Something for Nobody Vol​.​1

Un’uscita interessante, che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Dopo aver piazzato con Shfting.Negative un altro fondamentale tassello nel loro percorso artistico, gli Aborym tornano ad offrire musica inedita con questo lavoro intitolato Something for Nobody Vol​.​1.

Ovviamente non siamo di fronte ad un nuovo full length, perché in realtà l’album in questione è incentrato su una lunga traccia intitolata, appunto, Something for Nobody pt.1, la prima parte di una trilogia che Fabban sta scrivendo per farne una colonna sonora, commissionata dal regista Raffele Picchio per il suo cortometraggio Sakrifice.
Anche (ma non solo) per questo i venti minuti della traccia sono attraversati da molte delle pulsioni che animano la creatività del musicista pugliese; così, se per la maggior parte il contenuto è caratterizzato da una ambient a tratti alternativamente delicata ed inquieta, non mancano spunti jazzistici e altri di pungente elettronica senza che venga mai meno l’impronta del marchio Aborym, ormai riconoscibile indipendentemente dal genere musicale offerto.
Il resto del lavoro è completato da cinque remix che vedono un reciproco scambio di cortesie con Keith Hillebrandt (facente parte della cerchia dei Nine Inch Nails) con il sound producer che rimaneggia a modo suo For A Better Part e gli Aborym che fanno altrettanto con la sua Farwaysai, e i romani Deflore che industrializzano You Can’t handle The Truth ricevendo lo stesso favore per la loro Mastica Me; oltre a questi, Fabban cura anche il remix di Deathwish degli ottimi Angela Martyr.
Per mia indole fatico a ritenere i remix, chiunque ne sia l’autore e in qualsiasi ambito, un’operazione in grado di aggiungere o togliere qualcosa all’operato di un musicista o di una band, ma non per questo devono essere trascurate a prescindere, specialmente in questo caso: come detto, dipende molto anche dalla sensibilità e dalla ricettività dell’ascoltatore, resta il fatto che queste cinque tracce, alla fine, si rivelano un buonissimo contorno al brano principale, aumentando i motivi di potenziale interesse di un’opera che conferma il valore e la peculiarità di una delle eccellenze nazionali in ambito metal (e non solo).

Tracklist:
1.Aborym – Something for Nobody pt.1 (Sakrifice)
2.Keith Hillebrandt – For A Better Past (Deconstruction mix by Keith Hillebrandt)
3.Deflore – You Can’t handle the Truth (Evil dub deconstruction by Deflore)
4.Aborym – Deathwish (Ecstasy under duress remix by Aborym)
5.Keith Hillebrandt – Farwaysai (Inertia remix by Fabban, Aborym)
6.Aborym – Mastica Me (Digitalis Ambigua remix by Aborym)

ABORYM – Facebook

Satanath – Your Personal Copy

L’approccio all’ambient di Aleksey Korolyov non prevede lunghe reiterazioni di uno stesso tema. bensì è caratterizzata da un continuo cambio di scenario, e più che la colonna sonora di missioni spaziali o di documentari naturalistici, Your Personal Copy potrebbe essere l’ideale accompagnamento di qualche strambo cartone animato.

Prima di questo lavoro conoscevo Aleksey Korolyov solo come mente della Satanath Records (e delle sub label Symbol Of Domination e GrimmDistribution), per cui ragionando in maniera fin troppo lineare era lecito aspettarsi che un suo progetto solista potesse fare riferimento ai generi normalmente trattati dalla sua etichetta (black, death, thrash, in particolare).

Nulla di tutto questo: a confermare l’acutezza e l’imprevedibilità di questo progetto che porta lo stesso nome della label, Your Personal Copy è un qualcosa che sta a metà strada tra ambient e elettronica, ma con un approccio a suo modo unico nell’affrontare la materia.
L’album consta di una ventina di brani la cui gran parte è di durata convenzionale (2-3 minuti) ma con alcune eccezioni come Vigtio e la conclusiva Univraris che si spingono oltre gli 8-9 minuti; anche per questo l’ambient di Satanath è nervosa, cangiante e soprattutto fuori dagli schemi, saltabeccando da passaggi atmosferici a bizzarri inserti elettronici da video game del secolo scorso. Pertanto, a differenza dell’ambient più canonica e carezzevole, l’approccio di Aleksey non prevede lunghe reiterazioni di uno stesso tema bensì è caratterizzata da un continuo cambio di scenario, e più che la colonna sonora di missioni spaziali o di documentari naturalistici, Your Personal Copy potrebbe essere l’ideale accompagnamento di qualche strambo cartone animato.
La creatività del musicista russo è indubbia, e in fondo sembra che il tutto nasca in maniera più spontanea che calcolata, lasciando immaginare che il nostro forse abbia fatto per assurdo più fatica ad inventarsi i venti improbabili titoli rinvenibili nella tracklist.
Ma, aldilà della battute, Satanath in questo caso si fa portavoce di un linguaggio musicale differente, all’interno del quale possiamo dedurre una cultura musicale molto ampia che, attingendo dal krautrock e dall’elettronica (un background che è insito molto più spesso di quanto si pensi in chi si dedica poi alle forme di metal estremo), offre un risultato senz’altro anomalo, di ascolto oggettivamente complesso, ma dannatamente intrigante dalla prima all’ultima nota.

Tracklist:
01. Peitefuv
02. Masfois
03. Inratit
04. Nodaser
05. Movsak
06. Kiomlu
07. Gegnuz
08. Invotod
09. Erimop
10. Vigtio
11. Hegtaras
12. Briloam
13. Lartagik
14. Hetatro
15. Kehtatos
16. Opkito
17. Knurat
18. Farzmit
19. Onihmas
20. Univraris

Line-up:
Aleksey Korolyov – music and concept

SATANATH – Facebook

Priest – New Flesh

I Priest spaziano per tutto lo spettro dell’elettronica più cupa e marziale, possiedono grandi aperture melodiche e in alcuni frangenti sono autori di un pop eccezionale.

I Priest sono davvero una sorpresa perché ci si sarebbe aspettati una cosa molto differente, anche per il fatto che sono coinvolti personaggi che fino ad ora hanno fatto esperienze diverse rispetto a questo disco.

Sul gruppo in sé non è dato sapere molto, solo che sono svedesi, indossano maschere sadomaso e che fanno un synth pop con sconfinamenti nell’ebm e nella dance tout court. Il loro debutto è estremamente piacevole e coinvolgente, con un suono elettronico molto ritmato con fortissime influenze ebm, come si diceva prima, una voce molto particolare e una forte fisicità del suono. Gli amanti dell’ebm qui troveranno un suono che gli piacerà ma anche molta più varietà rispetto al solito. I Priest spaziano per tutto lo spettro dell’elettronica più cupa e marziale, possiedono grandi aperture melodiche e in alcuni frangenti sono autori di un pop eccezionale. Il disco è stato prodotto dall’ex Ghost Alha, e vede anche una partecipazione dell’altro ex Ghost Airghoul, e tutto il disco è pervaso da quel senso di satanica lussuria vittoriana che troviamo anche nei lavori del famoso gruppo svedese. New Flesh scorre benissimo, possiede un fascino ed una forza notevole, come un qualcosa del quale si sa che è male, ma anche terribilmente affascinante. Il disco ha uno scorrimento piacevole e quando si congiunge carnalmente con il pop sono davvero bei momenti. Si poterebbero prendere come punti cardinali i Depeche Mode, ma si passa anche da tutta la tradizione ebm, in special modo quella del Nord Europa, per arrivare ad una sintesi originale, lasciva e decadente. In questo album la sconfitta è data per sicura, ma si trova godimento nelle tenebre, e in musica come questa che è davvero di eccellente qualità.

Tracklist
1 – The Pit
2 – Vaudeville
3 – History in Black
4 – Populist
5 – The Cross
6 – Private Eye
7 – Nightmare Hotel
8 – Virus
9 – Call My Name
10 – Reloader

PRIEST – Facebook

Bullet Height – No Atonement

“E’ stato chiaro da subito che sarebbe diventato qualcosa più grande di come ce lo saremmo mai aspettati”, sono le parole usate per descrivere questo recente lavoro, un full-length album di debutto che apre le porte a questo nuovo duo di grande impatto.

I Bullet Height sono nati dall’idea di Sammi Doll (tastierista della band IAMX che ha militato anche in altri gruppi) e Jon Courtney (cantante, chitarrista e tastierista della band Pure Reason Revolution) di dare vita ad un nuovo progetto insieme: un duo rock elettronico che potesse unire le caratteristiche personali di entrambi per creare qualcosa di innovativo e nuovo, diverso.

La sperimentazione musicale e l’attento songwrigting di Jon Courtney, affiancati alle doti canore di Sammi Doll, fanno dei Bullet Height un nuovo punto di svolta del rock, attingendo sia dal passato (band come i vecchi Garbage, Stabbing Westward o Snake River Conspiracy) che dal moderno e facendo del genere qualcosa di nuovo e proiettato nel futuro. L’album inizia con Fight Song, brano che già la dice lunga sul progetto in cui ci stiamo addentrando: una sferzata di chitarre e elettronica che sottolineano voci molto energiche, passando poi a Bastion, secondo brano, nel quale i Bullet Height fanno un piccolo “tributo” a Immigrant Song, portandola alle atmosfere del nuovo millennio. Di grande impatto il brano Fever, un duetto tra la splendida voce di Sammi Doll e la dolcezza del pianoforte che si trasforma in sonorità più dure affini al noise e all’industrial. “E’ stato chiaro da subito che sarebbe diventato qualcosa più grande di come ce lo saremmo mai aspettati“, sono le parole usate per descrivere questo recente lavoro, un full-length album di debutto che apre le porte a questo nuovo duo di grande impatto. Nel complesso il lavoro riesce ad unire molti elementi passando dal dark, al goth, all’avant-garde, all’hard rock e industrial con chitarre heavy, mescolando tutto alla perfezione e creando qualcosa di sperimentale e fortemente innovativo. Le voci della coppia si intrecciano perfettamente, creando a loro volta una melodia a sé stante e quasi ipnotica, che rende ogni brano una piccola perla. Un duo che ha buone basi per portare il rock elettronico in una nuova dimensione e sotto una nuova veste.

Tracklist
1. Fight Song
2. Bastion
3. Hold Together
4. Wild Words
5. Intravenous
6. Cadence
7. No Atonement
8. Break Our Hearts Down
9. Fever
10. Up to the Neck

Line-up
Sammi Doll – Keys, Vocals
Jon Courtney – Guitar, Vocals

BULLET HEIGHT

Paolo Spaccamonti/Paul Beauchamp – Torturatori

Beauchamp e Spaccamonti dipingono in gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini.

La musica è fatta anche di incontri, di scelte di condividere la propria sensibilità e le modalità possibili per fare ciò.

La imprescindibile e misteriosa Torino fa da sfondo a questo incontro di due musicisti che si sono conosciuti proprio lì e che in quella città hanno la loro congiunzione astrale favorevole. Paul Beauchamp è un chitarrista americano esploratore di toni diversi dal solito, più eterei e misteriosi utilizzando acustica ed elettronica, mentre Paolo Spaccamonti è un chitarrista che vive in cinematografiche distese di note e ha una passione che muove anche noi, quella del metal. Insieme hanno scritto composto e suonato due tracce che si completano e che sono come la nostra vita , una bianca e l’altra nera. L’ incontro di questi due chitarristi ha prodotto un luogo musicale sterminato e tutto da ascoltare, figlio di due DNA musicali differenti ma assolutamente affini, che hanno prodotto una musica che allarga spazi e si moltiplica nella testa di chi sente. Dolci droni ed elettronica che parla al cuore, per un paesaggio musicale immenso e lentamente rotante, con colori che cambiano come in un tramonto prima di un apocalisse, nella tenerezza del primo o dell’ultimo abbraccio. Beauchamp e Spaccamonti dipingono un gran bell’affresco con molti colori e con una bellissima vibrazione di fondo, per un disco che è molte cose e che è anche molto semplicemente grande musica fatta da due sensibilità affini. Per tutto ciò dobbiamo anche ringraziare forte l’Argo Laboratorium di Gianmaria Aprile di Fratto9/UnderTheSky e musicista nei Luminance Ratio, un produttore e conoscitore davvero profondo di musica mai ovvia.

TRACKLIST
A. White Side
B. Black Side

FRATTO9 – Facebook

Deflore – Spectrum Decentre Epicentre

La spina dorsale del progetto è il ritmo, soprattutto l’esplorazione e la manipolazione di quest’ultimo, la costante ricerca sonica più che sonora e l’incredibile varietà di vedute, e qui il pensiero laterale musicale diventa dominante.

Seppure uscito a marzo non è mai troppo tardi per parlare di questo disco.

I Deflore hanno pubblicato un disco totale, pieno di suoni e stili, ma soprattutto fedele alla linea del rumore. Spectrum Epicentre è un disco che affronta una tempesta durissima e duratura nell’oceano della musica di avanguardia, nel senso che questo gruppo sta proprio davanti. Industrial, techno, elettronica, accenni di metal, reminiscenze di Narcolexia e come substrato dei Cccp, i Deflore portano avanti un discorso musicale splendido e davvero unico. La spina dorsale del progetto è il ritmo, soprattutto l’esplorazione e la manipolazione di quest’ultimo, la costante ricerca sonica più che sonora, e la incredibile varietà di vedute, e qui il pensiero laterale musicale diventa dominante. Loro stessi definiscono la loro musica psichedelia industriale, ma è una definizione per difetto, perché qui c’è tantissimo d’altro. Nella stessa canzone ci sono Godflesh, una colonna sonora in stile Wipeout, e poi un’atmosfera da convento maledetto. L’elettronica rimbalza tra muri di chitarre, e i sintetizzatori si fanno un giro su autostrade desertiche, con i Kraftwerk dentro l’autoradio per poi esplodere gioiosamente. Sinceramente è un disco che è davvero difficile da descrivere, perché ha mille spigoli, angoli ciechi dove le sorprese sono sempre dietro l’angolo.
Continua l’avventura rumorista e avanguardistica di Christian Ceccarelli e Emiliano Di Lodovico.

TRACKLIST
1. MASTICA / ME
2.BETONIERA
3.APOLLO
4.RARE / FRACTO Phase I
5.KING DEAF
6.TREESONG

LINE-UP
Christian Ceccarelli – Bass, Grooves, Samples and Snyths.
Emiliano Di Lodovico – Guitar, Synths and Radio.

DEFLORE – Facebook

This Morn’Omina – Kundalini Rising

L’ascolto di un lavoro dalle simili caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con i This Morn’Omina.

Questa è musica che, probabilmente, con una webzine che si chiama MetalEyes dovrebbe entrarci poco o nulla, eppure resto fermamente dell’idea che gran parte del materiale sonoro che arriva dalla Dependent Records, sia esso riconducibile all’ebm, piuttosto che all’industrial o al synthpop, possa trovare orecchie disposte ad apprezzarlo anche sulle nostre metalliche sponde.

Questo è il caso di Kundalini Rising, ultimo parto discografico del prolifico duo belga This Morn’Omina: come il titolo lascia facilmente intuire, l’album trae linfa, non solo a livello tematico, dalla spiritualità induista ma continua l’opera di compenetrazione tra le sonorità elettro/industrial e quelle mistico/tribali tipicamente orientali.
L’ascolto di un lavoro dalle siffatte caratteristiche non è affatto semplice, ma chi apprezza il versante industrial e sperimentale della musica non farà fatica ad entrare in sintonia con Mika Goedrijk (ideatore del progetto) e Karolus Lerocq, i quali paiono a volte giocare con l’ascoltatore, spiazzandolo nel loro passare con disinvoltura da loop aspri e ossessivi a momenti quasi danzerecci (ovviamente tutt’altro che intesi in senso dispregiativo), avvolgendolo con la più disturbante dark ambient o soprendendolo con squarci di musica tradizionale indiana.
Il problema, ammesso che lo sia, di Kundalini Rising è quello d’essere un lavoro che sfiora le due ore complessive di durata (infatti il formato standard prevede il doppio cd), un fatturato tutt’altro che usuale o facile da digerire, specie quando i suoni inducono una senso di straniamento dalla realtà: a livello esemplificativo consiglio di dare un’occhiata qua sotto al video girato per Garuda Vimana, che nonostante sia uno dei brani più brevi devasta l’udito e la psiche come se si sviluppasse per mezz’ora.
Elettronica, strumenti tradizionali, ambient ed una voglia inarrestabile di abbattere schemi e muri sonori: questo è Kundalini Rising, questi sono i This Morn’Omina, e se qualche orfano di Godflesh e Ministry avesse voglia di valicare il confine tra l’industrial metal e quello elettronico non deve farsi sfuggire l’occasione.

Tracklist:
Disc 1
1. Ayahuasca (Lets Shift together)
2. Tir Na Nog
3. Hadji Hadja
4. Yugan (feat. Catastrophe Noise)
5. Garuda Vimana
6. (The) Waters Of Duat
7. Earthwalk
8. Maenad

Disc 2
1. God’s Zoo (Original)
2. The Apotheosis Of Eckhart
3. Graveheart
4. Mohenjo daro
5. Kachina Blue (The Watcher)
6. Kachina Red (The End Of The World)
7. Shakti
8. Moksha

Line up:
Mika Goedrijk
Karolus Lerocq

THIS MORN’OMINA – Facebook

D8 Dimension- ProGr 0

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Gli italiani D8 Dimension ne hanno parecchie di idee, e le hanno messe in musica con questo disco che è particolare ed ha la grande attrattiva di trasportarci in molti mondi diversi. Il loro suono è un felicissimo connubio di metal moderno, industrial, nu metal, un tocco di ebm qui e là, e tante ottime melodie metal originali. ProGr 0 ha ha avuto una gestazione di tre anni, e non è tanto per la quantità di tempo ma per la qualità, poiché nel concepire questo disco sono venuti fuori anche problemi fa i componenti del gruppo. Ciò è normalissimo se si considera che in un insieme di persone che fanno musica ci sono più probabilità che sorgano conflitti, ma se poi producono dischi così, evviva i conflitti fra musicisti, anticamera della fertilità musicale. Post apocalisse o prima dell’apocalisse, cioè oggi, il mondo descritto in maniera molto efficace dai D8 Dimension è un qualcosa che ci è molto vicino, tecnologia fuori controllo, vite allo sbando, e gli alieni che sarebbero molto contenti di passarci sopra. I D8 Dimension descrivono tutto ciò con naturalezza ed un suono che riconduce ai Nine Inch Nails meno noiosi (è difficilissimo ma loro ci riescono) e a quel bel misto di metal ed elettronica che aveva un sacco di potenzialità ma forse gli attori sbagliati, rendendo il meglio di questo genere. ProGr 0 arriva dopo un demo del 2010 e Octocura del 2013, ed è uno di quei dischi che viene difficile da descrivere e molto più facile e piacevole da ascoltare. Melodie altre in bilico fra elettronica e metal, tra estinzione e felice malinconia, per un lavoro notevole e davvero bello, che se venisse da oltreoceano sarebbe idolatrato, e qui invece abbiamo gruppi come i D8 Dimension che si autoproducono e sono bravissimi: aiutiamoli.

TRACKLIST
01 – -39°C
02 – My Feast
03 – Matryoshka
04 – X: Bigger Boat
05 – Rollformer Gospel
06 – Astrokiller
07 – Anamnesis
08 – Industrial II
09 – Les Fleurs
10 – Y: Salt On Carthage

LINE-UP
Tepe – Voce
Alu.X – Synth/Samples + Basso
Tyo Crayon – Chitarra
Mik – Chitarra
Michael Mammoli – Batteria

DO DIMENSION – Facebook

Lethe – The First Corpse On The Moon

Non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Close your eyes, open your mind, and let the music take you on a musical journey through different moods … è senz’altro il caso di seguire il consiglio della My Kingdom, attiva etichetta italiana che ha il merito d’aver acquisito i servigi, tra gli altri, di questi meravigliosi Lethe, progetto musicale che vede una sorta di alleanza tra musicisti norvegesi e svizzeri.

Infatti, attorno ai due protagonisti principali, lo scandinavo Tor-Helge Skei (Manes e Manii) e l’elvetica elvetica Anna Murphy (Eluveitie, Nucleus Torn), ruotano musicisti per lo più provenienti dalle loro rispettive band e troviamo, quindi, da una parte Eivind Fjøseide (chitarra), Tor Arne Helgesen e Rune Hoemsnes (batteria) e Asgeir Hatlen (voce), tutti gravitanti attorno al nucleo dei Manes, e dall’altra Fredy Schnyder (piano, Nucleus Torn) e Ivo Henzi (chitarra, ex Eluveitie).
Questo particolare connubio dà vita ad un lavoro di spessore non comune come The First Corpse On The Moon (il secondo nella discografia dei Lethe), difficile da inquadrare in un genere specifico anche perché il sound fluttua liberamente tra le intuizioni di Skei e la voce splendida della Murphy: tale presupposto consente di passare senza controindicazioni dagli accenni rap di Down Into The Sun (con l’ospite K-Rip) all’opprimente oscurità di My Doom, dalle melodie cristalline della title track all’incalzante crescendo di Snow, per arrivare ad altre due gemme di incommensurabile bellezza come Wind To Fire e With You.
L’intreccio tra le voci di Asgeir Hatlen e Anna Murphy rasenta la perfezione, con il caldo timbro del cantante norvegese che supporta la particolare voce della sirena svizzera, una sorta di Bjork meno estrema nei suoi vocalizzi ma ugualmente coinvolgente e, a tratti, commovente (in With You la sua interpretazione raggiunge un’intensità emotiva spasmodica).
Il senso di smarrimento che si fonde alla visionarietà, nell’artwork creato dall’ormai onnipresente Costin Chioreanu, ben rappresenta gli umori che l’album esprime, e che vanno forse anche oltre le attese degli ascoltatori più esigenti.
E’ proprio l’imprevedibilità che non impedisce, però, lo snodarsi di un filo conduttore melodico sempre definito, il tratto distintivo che eleva quest’opera al rango degli ascolti irrinunciabili per chi ricerca nella musica bellezza e talento fusi in maniera mirabile. Nessun esorcismo, neppure quello evocato dal titolo della traccia conclusiva, ci impedirà d’essere letteralmente posseduti dalla voce di Anna e dall’estro di Tor-Helge: davvero, non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Tracklist:
1. Night
2. Inexorbitant Future
3. Down Into The Sun
4. My Doom
5. Teaching Birds How To Fly
6. The First Corpse On The Moon
7. Snow
8. Wind To Fire
9. With You
10. Exorcism

Line up:
Line Up: Tor-Helge Skei: guitars, bass, sampling, programming, synths, lyrics
Anna Murphy: vocals, hurdy-gurdy, programming, synths, lyrics

Guest musicians:
Eivind Fjøseide: guitars;
Tor Arne Helgesen: drums;
Rune Hoemsnes: drums;
Asgeir Hatlen: vocals;
Tom Christian Engelsøy: additional vocals;
Richard Spooner: spoken voice;
K-Rip: rap;
Fredy Schnyder: piano;
Shir-Ran Yinon: violin ensemble;
Ivo Henzi: additional guitars;
Mark Cunningham: trumpets;
P Emerson Williams: sounds & vocal effects;
Rune Folgerø: vocal effects;
Andi Dobler: lyrics;
Torstein Parelius: additional lyrics

LETHE – Facebook

2nd Face – Nemesis

L’opera prima di 2nd Face dimostra come non sia necessario imbracciare delle chitarre e dotarsi di un aspetto truce per proporre musica ugualmente minacciosa e rumorosa.

Notevole esordio per il progetto 2nd Face guidato dal giovane tedesco Thorn.

Prendendo le mosse (tenendo parzialmente fede a quanto dichiarato in sede di presentazione) dalla scuola canadese dei primi anni ottanta, il musicista di Mainz mette in scena un’interpretazione dell’elettro industrial in grado di metter d’accordo fasce di ascoltatori confluenti da svariati generi, partendo dall’ebm per spingersi fino al metal alternativo.
Il marchio di garanzia applicato su Nemesis dalla Dependent Records si rivela fondamentale per schiudere i contenuti musicali di 2nd Face a chi tende a non prestare attenzione a nomi che non siano già affermati: l’album si rivela un’ottimo compendio di elettronica disturbante, mai banale e con tutte le caratteristiche per risultare gradito anche a chi apprezza sonorità più aspre.
Sono dodici i brani che vanno a comporre l’intrigante puzzle sonoro formato da Nemesis, uno sforzo compositivo che supera abbondantemente l’ora di durata ma non stanca, in virtù della brillante alternanza tra ritmi incalzanti e melodie (Instinct, Brother), cupe aperture atmosferiche (la magnifica Mindlapse, nella quale ho rinvenuto richiami agli Ultravox di Lament,  e la solenne Nemesis), spunti ossessivi (Deathspread) e momenti più robusti, dall’indole metal pur senza usarne la strumentazione canonica (Punisher).
Non va neppure dimenticato che Thorn (al secolo Vincent Uhlig) è ancora giovanissimo, ma questo dato diviene un valore aggiunto, in quanto la palese maturità compositiva viene esaltata dalla freschezza nell’interpretare un genere in cui il pericolo dell’adagiarsi al manierismo si annida dietro ogni angolo.
L’opera prima di 2nd Face dimostra come non sia necessario imbracciare delle chitarre e dotarsi di un aspetto truce per proporre musica ugualmente minacciosa e rumorosa: davvero una bella sorpresa, il cui ascolto è vivamente consigliato ai frequentatori della nostra webzine dotati di mentalità aperta (che mia auguro siano il 100% …).

Tracklist:
1.Instinct
2.Movement
3.Divine
4.Mindlapse
5.Deathspread
6.Weapon
8.Brother
9.1st Of His Name
10.Now You Can See
11.Punisher
12.Insanity

2ND FACE – Facebook

Alec Empire – Volt (Original Soundtrack)

L’operazione si rivela indubbiamente di notevole interesse, sia per i contenuti della pellicola, che racconta il dramma palestinese da un punto di vista particolare, sia per l’approccio di Alec Empire, che cerca di assecondarne le tematiche offrendo una ambient elettronica ora soffusa, ora nervosa.

Alec Empire non ha certo bisogno di presentazioni, basti solo ricordare ai più distratti che è stato uno dei principali agitatori della scena hardcore elettronica degli anni novanta con i suoi Atari Teenage Riot.

Come spesso succede, la fase di innovazione e l’impulso ribellistico impresso nei primi anni della propria attività ha progressivamente lasciato posto ad un ammorbidimento che, nel recente passato, ha prodotto lavori di buono spessore (sia solisti che con la sua ricostituita band) ma privi, appunto, di quella carica, cosa a mio avviso comprensibile, sebbene a molti degli estimatori degli Atari Teenage Riot la cosa non sIA andata giù.
Questo nuovo lavoro del musicista tedesco ce lo propone su un piano differente, trattandosi della soundtrack del film Volt, girato dal regista tedesco/palestinese Tarek Ehlail.
L’operazione si rivela indubbiamente di notevole interesse, sia per i contenuti della pellicola, che racconta il dramma palestinese da un punto di vista particolare, sia per l’approccio di Alec Empire, che cerca di assecondarne le tematiche offrendo una ambient elettronica ora soffusa, ora nervosa.
La storia raccontata da Ehlail vede quale suo fulcro la contrapposizione delle parti, in una rappresentazione allegorica nella quale, poi, la dualità diviene il concetto cardine del racconto cinematografico.
Empire sostiene d’aver composto la musica guardando il film e ciò spiega l’alternanza di umori e di ritmi: la base è sempre comunque costituita da un’elettronica asservita all’ambient (il musicista berlienese ha citato esplicitamente il Carpenter di Fuga da New York quale sua fonte di ispirazione), per un risultato finale decisamente valido, anche se, ancor più di altri casi, proprio per il suo particolare metodo compositivo, l’opera privata delle immagini perde sicuramente qualcosa a livello di impatto.
Indubbiamente questa prima esperienza di Alec Empire quale compositore di colonne sonore appare riuscita, e su questo non era lecito nutrire dubbi visto lo spessore dell’artista, ma l’ideale, ancor più dell’ascolto della soundtrack, sarebbe riuscire a vedere direttamente il film, anche se immagino che ciò ben difficilmente possa passare nelle sale cinematografiche italiane, sebbene si stia parlando di un’opera che in Germania ha ottenuto diversi riconoscimenti.
Chi ci riuscisse, ne trarrebbe probabilmente una duplice soddisfazione …

Tracklist:
1.”Now it’s between you and G-d” (Volt Theme Track)
2.Now It’s Between You And G-d
3.Victims Of Authority
4.Love While Death Is Watching
5.Shadow Boxing Pt.2
6.Meeting Her
7.Following Her, Torturing The Witness
8.The Confession
9.Changes Are Coming / The Raid
10.Getting Ready/ Wind/ Riotzone/ Out Of Control
11.Keep Quiet For Now
12.Shadow Boxing Pt.1
13.Shadow Boxing Pt.3
14.The Wall Screams Murder
15.Running Away/ Get It Right/ They Are Coming

Projekt Mensch – Herzblut

Chi apprezza il sound dei Rammstein può trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato

Il meritato successo planetario conseguito dai Rammstein ha indubbiamente aperto le porte ad una forma di metal imbastardito dall’elettronica e contraddistinto da una discreta base danzereccia che, ovviamente, trova la sua sublimazione in terra tedesca, visto che a mio avviso proprio l’utilizzo della lingua madre ne è un elemento fondante ed essenziale.

Questo ha ovviamente sdoganato diverse realtà che portano a muoversi in questo solco, tra i quali annoveriamo i Projekt Mensch, in circolazione già da diversi anni e con all’attivo un album nel 2011.
Tutto sommato, rifarsi vivi in questo momento di prolungata vacanza discografica di Lindemann e soci si rivela una mossa azzeccata: gli estimatori di quel tipo di sound possono trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato, anche se rispetto ai Rammstein manca, e non poco, la potenza del muro sonoro eretto dai riff di Kruspe e Landers.
Herzblut scorre via comunque molto lineare ed orecchiabile, con più di un brano killer che mieterà diverse vittime (Der Schmerz, Dunkelheit, Mach mich fromm e Segne mich), anche se ha il piccolo difetto di vederli racchiusi tutti nella sua prima metà, con una seconda parte che presta il fianco sia ad una certa ripetitività, sia ad una minore incisività a livello prettamente compositivo.
Nulla di trascendentale, ma decisamente appetibile per quelli che, come me, hanno sempre avuto un debole per questa “tamarra” commistione tra metal ed elettronica in salsa teutonica.

Tracklist:
01. Der Schmerz
02. Dunkelheit
03. Mach mich fromm
04. Ich bringe dich Heim
05. Segne mich
06. Spieglein Spieglein
07. Schuld und Sühne
08. Das Kind
09. Vergeltung
10. Mein Herz

Line-up:
Deutscher W
Caligula
Stalin
Dark
Wolfenstein

PROJEKT MENSCH – Facebook

Insil3nzio – Insil3nzio

La marcia in più che si rinviene in questo lavoro, rispetto a molti altri tentativi analoghi, la fa proprio lo spessore stilistico derivante da una maturità che impedisce di scivolare nei luoghi comuni, sia a livello lirico che compositivo.

Si dirà: ma non è il tuo genere, uno impelagato di norma nel doom più oscuro e funereo come può occuparsi di una band che propone un crossover di stili che, spesso, si spingono fin nei territori del famigerato rap ?

Faccio mio il motto di un bel disturbatore musicale dei nostri tempi, il mascherato Red Sky: “la musica è una” e, aggiungo io, la suddivisione per generi è più una necessità di incasellare ed ordinare le cose che è comprensibile nella logica di un un supermercato, un po’ meno se si parla di arte musicale
Così è molto bello scapocciare su brani che non disdegnano riff metallici perfettamente intersecati con pulsioni elettroniche sulle quali, poi, si stagliano le due voci, una rappata dalla timbrica non dissimile a Caparezza ed una più tradizionale. Una formula, questa, che non è in assoluto una novità, ma che di rado viene proposta così ben focalizzata e, sostanzialmente, priva di forzature nella (non facile) convivenza tra le sue varie anime.
Gli autori di tutto ciò sono i fermani Insil3nzio, una band composta da musicisti esperti che stanno cercando di imporsi in maniera graduale, senza fare passi più lunghi della gamba e cercando di ottenere la giusta visibilità tramite la partecipazione a vari contest, il che ha già consentito loro non solo di fregiarsi di diversi premi (sempre e comunque ambiti) ma soprattutto di condividere il palco con band di grande nome come Lacuna Coil e Deep Purple, sfruttando così al meglio l’occasione di mettersi in mostra di fronte a platee vaste.
Una bella differenza, anche a livello strategico, rispetto a gruppi di giovincelli che, presi dall’entusiasmo, sfornano musica magari in maniera compulsiva disperdendo le proprie idee ed ottenendo un’attenzione inversamente proporzionale rispetto alla quantità di materiale immesso sul mercato.
Questo ep autoprodotto comprende cinque brani emblematici del potenziale del gruppo marchigiano, con un picco rappresentato dal singolo Minotauro, brano per il quale è stato girato anche un video al quale partecipa l’attore Giorgio Montanini: qui troviamo ben rappresentate tutte le anime degli Insil3nzio che, partendo da una forma di rap anomala, inseriscono nervosi passaggi che vanno dal nu metal, al noise fino all’elettronica, il tutto senza mai perdere di vista l’idea di forma canzone.
Una formula che viene mantenuta sempre con una certa brillantezza anche nelle restanti tracce, con menzione d’obbligo per la composita e dirompente Ruggine, brano che possiede il miglior testo, peraltro in un contesto complessivo corrosivo e mai banale.
La marcia in più che si rinviene in questo lavoro, rispetto a molti altri tentativi analoghi, la fa proprio lo spessore stilistico derivante da una maturità che impedisce di scivolare nei luoghi comuni, sia a livello lirico che compositivo.
Per gli Insil3nzio, quindi, potrebbe essere molto vicino il momento di compiere il passo dell’album su lunga distanza, per provare a fare il colpo grosso a livello commerciale, visto che il loro sound sembrerebbe capace di accontentare ed attrarre fasce di ascoltatori trasversali ai diversi generi; insomma, non è poca la curiosità nei confronti delle mosse future di questo interessante combo marchigiano.

Tracklist:
1.Ruggine
2.Lou Reed
3.Minotauro
4.Fiore Violanet
5.Imbanditi

Line-up:
Marco Bagalini – batteria
Samuele Spalletti – basso / synth
Luca Detto – chitarra
Mirko Montecchia – voce
Andrea Braconi – voce

INSIL3NZIO – Facebook

Recitations – The First Of The Listeners

Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

The First Of The Listeners è un disco di sperimentazione metallica e non solo. Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

Pensate al seminale Perdition City degli Ulver, un disco davvero innovatore che ha rotto diversi muri, ecco, siamo in quella direzione, ma con molta più pazzia ed attitudine black metal. Il suono è malato e completo, possente e paranoico, con un’ottima produzione. Questo disco è la dimostrazione che l’elettronica può implementare molto il metal, diventando un altro codice per gridare il disagio. Quattro pezzi sono una giusta durata per questo disco sperimentale che porta il death black ad un altro livello. I componenti di questo gruppo sono tutti noti cospiratori della scena death black underground, che hanno voluto riunirsi in questo progetto per mette a fuoco territori musicali parzialmente inesplorati. Un grande lavoro è dietro questo disco, che è composto molto bene, con una scelta di strumentazione assai adeguata, e conferma che molti musicisti estremi hanno una capacità compositiva eccezionale. A suo modo questo disco è un rito moderno per richiamare antiche divinità, perché vi è un qualcosa di tribale qui dentro, ed questa è la sua essenza più vera. Un gran bel disco di avanguardia.

TRACKLIST
01 The First of the Listeners
02 Tongueskull Sacrament
03 Godspeak Halilu Lija
04 To Voice the Unutterable

SIGNAL REX – Facebook

C​:​\​>CHKDSK /F

Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco.

Il dibattito sull’intelligenza artificiale non è noto al grande pubblico, e qualcosa che molto probabilmente ci comanderà tra qualche umano, vive tra noi.

La progressiva deumanizzazione che ci avvolge ha partorito un disco che è il sogno ad orecchie aperte di ogni metallaro appassionato di colonne sonore dei videogiochi o dell’ 8 bit. Questo sottogenere di un sottogenere è qualcosa di orgogliosamente nerd, ma questo disco è meraviglioso, suona benissimo, con uno spirito punk synth metal davvero notevole. Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco, e Masterboot Record sarà presto autore della colonna sonora di un videogioco cyberpunk della Theta Division Games, software house che regalerà parecchie gioie. La cura musicale messa in questa opera è notevole, e tocca diversi stili come il cyberpunk, ed il new retrowave, rimanendo sempre nell’ambito delle colonne sonore dei videogiochi. Dentro c’è anche tanto metal, quel metal elettronico che rene certi massacri su schermo così speciali, e rilassanti. Questo suono ci porta contemporaneamente nel passato e nel futuro, con quel retrogusto anni ottanta, che soltanto chi ha giocato con un floppy disk può capire. Questo è il futuro passato, un’ombra sul nostro futuro, ed un microchip emozionale dal passato. Ma soprattutto è un disco forte e potente, importante nella sua chiarezza e nella sua tremenda alterità.

TRACKLIST
1.O.SYS
2.MSDOS.SYS
3.XCOPY.EXE
4.CONFIG.SYS
5.AUTOEXEC.BAT
6.COMMAND.COM
7.FORMAT.EXE
8.NWOSHM.TXT
9.BAYAREA.BMP
10.VIRTUAVERSE.GIF

MASTER BOOT RECORD – Facebook

Gandalf’s Owl – Winterfell

Decisamente apprezzabile questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità,

In ambito metal, i musicisti provenienti dal power o dall’heavy metal più classico non sono certo noti per le loro propensioni sperimentali, che spesso si ritrovano maggiormente nei colleghi dediti ai generi più estremi.

Sorprende piacevolmente, quindi, ritrovare Gandolfo Ferro, vocalist degli Heimdall nel loro ultimo lavoro Eneid, alle prese con un ep di musica strumentale di matrice dark ambient.
Parafrasando il nome di battesimo del musicista siciliano, Gandalf’s Owl è un progetto che si mette in luce presentando un quarto d’ora di musica davvero interessante e per nulla tediosa; l’impressione è che Ferro, con questo primo assaggio, intenda esplorare varie sfaccettature della musica ambient, quasi a voler trovare una direzione ideale in occasione di un possibile lavoro su lunga distanza.
Così, ci imbattiamo nell’accattivante e ritmata The Wall, pervasa da pulsioni elettroniche che ritroviamo in maniera più soffusa anche in Winterfell, il brano a mio avviso meglio riuscito del trittico, in virtù anche del prezioso lavoro chitarristico offerto da Gaetano Fontanazza. Chiude questo quarto d’ora di pregevole fattura una White Arbour (…The North Remembers) che, tra passaggi recitati ed campionamenti a sfondo naturalistico, fa approdare l’ascoltatore in un più avvolgente e confortevole sound ambient dai tratti evocativi e paesaggistici.
Decisamente apprezzabile, in definitiva, questo esperimento, proprio perché Gandolfo Ferro, rivolgendosi ad una fascia di ascoltatori sostanzialmente diversa da quella degli Heimdall, si mette coraggiosamente a nudo rinunciando alle sue più riconosciute peculiarità, dimostrandosi raffinato compositore a 360 gradi. Restiamo quindi in curiosa attesa del prossimo volo del gufo di Gandalf …

Tracklist:
1. The Wall
2. Winterfell
3. White Arbour (…The North Remembers)

Line-up:
Gandolfo Ferro: all instruments

Guitar ambient on “Winterfell” by Gaetano Fontanazza

GANDALF’S OWL – Facebook

War Anyway – War For Peace

Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi

I francesi War Anyway, formazione a due di cui è stato impossibile trovare i nomi, debuttano sulla breve distanza con i cinque brani del controverso ep War For Peace. Il disco, incentrato sul tema della guerra come portatrice di pace (?), insiste su ritmi marziali abbinati a riusciti mix di melodia e ruvidezza.

Le isolate pulsazioni di Crossing The Rubicon, si sviluppano ben presto in un trascinante rock industriale incentrato su batteria, chitarra e synth (ottimi i ritornelli), mentre l’alternarsi di energia e (relativa) quiete di We Are The Army, risultando sempre coinvolgente e deciso, lascia che a seguire sia il breve e spigliato procedere di Actions Have Consequences.
Il torbido svilupparsi dell’elettrica e incisiva The Rise Of A Tyrant, invece, cede spazio al più ragionato svilupparsi (non meno determinato) della conclusiva e intensa The System Is Down.

I cinque brani proposti dai War Anyway, tralasciando le tematiche del concetto di guerra e di pace (e di come raggiungere quest’ultima), vanno dritti al punto in maniera diretta ed efficace, convincendo fin dal primo ascolto. Un lavoro industrial/metal/rock su cui vale la pena soffermarsi.

TRACKLIST
01. Crossing The Rubicon
02. We Are The Army
03. Actions Have Consequences
04. The Rise Of A Tyrant
05. The System Is Down

WAR ANYWAY – Facebook