D.O.G. Disciples Of God – Unleashed

Un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare la miracolo, ma funziona.

Ancora ottimo metal in arrivo dagli Stati Uniti tramite l’attivissima Roxx Records, label specializzata in metal a sfondo cristiano.

Sempre poco conosciuto, il christian metal abbraccia non solo l’heavy metal tradizionale ed il power, ma sconfina molte volte in altri sottogeneri, l’importante è essere cristiani convinti e seguire la parola di Dio, il resto va da sé.
Questa scelta non inficia il valore dei prodotti, molto spesso di buon livello e noi, che per prima cosa siamo interessati alla musica, non possiamo che rallegrarcene avendo la possibilità di potervene parlare.
I D.O.G. (Disciples Of God) sono la nuova proposta della label statunitense, un super gruppo composto da vecchie volpi della scena come Terry Russell (Holy Soldier), Larry Farkas (Vengeance Rising) e Scott Strickland (Neon Cross): il bello viene quando, premendo il tasto play del vostro lettore, vi ritroverete al cospetto di un gruppo dal sound diretto, sporco, dal buon groove ma anche da ottime sferzate thrash metal vecchia scuola.
Motorhead vs primi Metallica, ci raccontano i tipi della Roxx, e non ci vanno poi molto distanti, specialmente riguardo ai quattro cavalieri di Frisco, quelli giovani, arrabbiati e senza compromessi.
Unleashed è un album che in meno di mezzora spara otto missili thrash, lambiti da un’anima rock’n’roll ed irrobustiti da potenti iniezioni groove metal alla Pantera, ed il tutto funziona, senza far gridare al miracolo, ma funziona: l’album così ci ricorda, per mezzo di bombe come No One Rides For Free, Seeking Your Face e l’irresistibile Armageddon, di come anche al Signore piace l’heavy metal, e di come suoi paladini armati di fede e strumenti sappiano suonarlo con ottimo feeling ed impatto.
Un’altra band da annoverare tra le migliori novità del rooster della Roxx Records, senza dubbio meritevole di un ascolto.

Tracklist
1. No One Rides For Free
2. Seeking Your Face
3. Pay The Piper
4. Into Thin Air
5. Aliens and Strangers
6. Armageddon
7. Life or Death
8. Hey You

Line-up
Terry Russell
Larry Farkas
Scott Strickland

D.O.G. – Facebook

Diablo Blvd – Zero Hour

I Diablo Blvd hanno un senso della melodia eccezionale e compongono canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile.

I belgi Diablo Blvd suonano un metal costruito attraverso immagini molto forti, come fosse un film, o ancora meglio un’opera teatrale.

La musica arriva potente, melodica e diretta, potenziata da un uso molto sapiente delle possibilità del gruppo che sono molto elevate. Non a caso la band è stata fondata da Alex Agnew, un attore famoso nel Benelux, e dal chitarrista Dave Hubrechts. Dopo due album di buon successo soprattutto nelle classifiche belghe e che li hanno portati ad esibirsi in numerosi festival estivi in patria, il gruppo firma per Sony e fa uscire il terzo disco che si intitola Follow The Deadlights: qui comincia la loro storia con la Nuclear Blast, impressionando molto uno dei boss dell’etichetta, Markus Steiger. E ora eccoci arrivati a Zero Hour, un disco molto bello e perfetto manifesto di cosa siano i Diablo Blvd, ovvero uno dei maggiori gruppi al mondo in fatto di metal melodico, grazie ad senso della melodia eccezionale e a canzoni molto godibili, sempre con la giusta dose di cattiveria e dolcezza: se ha senso parlare di metal moderno qui si può trovarne la migliore definizione possibile. Le influenze sono molte, ma la sintesi è tutta di questi belgi che riescono anche nella difficile impresa di non imitare gli americani o gli scandinavi, costruendosi invece un suono molto personale. Come detto poc’anzi il gruppo costruisce uno spettacolo grazie alla magnificenza di un sound che spesso parte in sordina per poi allargarsi come le ali di un’aquila, non tralasciando mai la dovuta durezza. Zero Hour è la summa del suono dei Diablo Blvd e al contempo il punto più alto di un gruppo che dal vivo rende molto bene, come si può intuire dall’ascolto del disco. Inoltre i testi sono molto acuti e mai banali, e sia ascoltando l’album che guardando i video è manifesto un disegno dietro a tutto questo, un messaggio molto importante che dovrete scoprire da soli.

Tracklist
1. Animal
2. Sing From The Gallows
3. Life Amounts To Nothing
4. God In The Machine
5. You Are All You Love
6. The Song Is Over
7. 00 00
8. Like Rats
9. Demonize
10. The Future Will Do What It’s Told
11. Summer Has Gone

Line-up
Alex Agnew – Andries Beckers –
Kris Martens – Tim Bekaert

DIABLO BLVD – Facebook

Dementia – Persona

Persona lo si ascolta e scivola addosso, pur essendo consapevoli che è il disco di un gruppo che potrebbe fare ben altro.

I Dementia sono un gruppo nato nella regione parigina nel 2009, con l’intento di fare un rock metal moderno.

Le loro influenze attraversano uno specchio molto ampio della musica veloce, dal metal più groove passando per cose più melodiche e radiofoniche, con uno spizzico di cadenza nu metal in alcuni momenti. Il suono dei francesi è il risultato di un accurata ricerca sonora, figlio di molti ascolti e di una capacità compositiva al di sopra della media. Il problema del disco è che pur essendo piacevole non decolla mai, non si ha mai l’impressione che si riesca ad andare oltre. Persona è un disco ben costruito e ben suonato, il gruppo ha qualità innegabili, eppure non si rimane colpiti da questo metal moderno un po’ freddo. Le tracce sono molto simili fra loro, nonostante i mezzi possano permettere ben altro, e il risultato è quello di rendere il disco un compitino bene fatto ma nulla più. La produzione di Francis Caste, già con Refused e Bukowski fra gli altri, è accurata ed appropriata, ma è proprio il peso specifico del disco che rimane basso: lo si ascolta e scivola addosso, pur essendo consapevoli che è opera di un gruppo che potrebbe fare ben altro. Il rammarico più grande è proprio questo, l’essere consapevoli che la band abbia grandi possibilità ma che sia preoccupata dal piacere ad un pubblico il più ampio possibile. Può darsi che questo disco piaccia al pubblico, il cui giudizio è sovrano, perché ognuno ha il proprio metro di giudizio, ma aspettiamo la prossima prova dei Dementia per poter cancellare quanto detto prima.

Tracklist
01 BLUR
02 SPEEDBALL
03 LIES
04 TOO LONG
05 DRIVE
06 RED PANDA
07 ENDGAME
08 HATE
09 ENTER PHOENIX
10 INTERLUDE
11 SCREENSAVER
12 LOVE TONIGHT
13 REASON TO CALL
14 LITTLE BOAT

Line-up
Chrisuke – VOCALS
Nicolas – Leade Guitar
Arnaud – Rhythm Guitar
Thierry – Bass

DEMENTIA – Facebook

Dope Out – Scars & Stripes

Un ottimo album underground e una band in cui rifugiarsi quando la voglia di rock è tanta così come quella di un nome nuovo da fare vostro.

Quello tra hard rock e groove è un binomio che negli ultimi tempi si è consolidato grazie ad una miriade di uscite, più o meno interessanti, ma sicuramente tutte pregne di grinta ed irriverenza rock’n’roll.

I Dope Out arrivano da Parigi, il loro sound è statunitense di origine controllata, un hard & heavy potenziato da tonnellate di groove ed attitudine rock’n’roll appunto, come una band street impossessata dal demone del groove o semplicemente un hard rock band che suona cool (almeno di questi tempi).
Scars & Stripes è il secondo lavoro che segue di tre anni l’ album d’esordio Bad Seeds: si può dire tutto su questo lavoro, ma è indubbio che il sound in esso contenuto riesca a catturare l’attenzione dell’ascoltatore, bombardato da cannonate senza soluzione di continuità, con la melodia che fa a spallate con la mastodontica potenza ritmica e la sei corde che piazza solos che sprizzano rock’n’roll da tutti i pori.
Ritmiche rocciose, riff debordanti e chorus che si attaccano alla pelle come sanguisughe, sono le virtù di queste dieci deflagrazioni hard rock, dall’iniziale title track, passando per Dive, Lady Misfits e Balls To The Wall.
Ci si fa del male con Scars & Stripers, d’altronde difficilmente si riesce a stare fermi, mentre il mobilio di casa salta, sollecitato dal rock’n’roll moderno e pregno di groove del combo francese, tarantolato dopo essere stato sottoposto alle radiazioni rock di Sixx A.M., Velvet Revolver, Black Stone Cherry ed Alter Bridge.
Un ottimo album underground e una band in cui rifugiarsi quando la voglia di rock è tanta così come quella di un nome nuovo da fare vostro.

TRACKLIST
1.Scars & Stripes
2.Dive
3.The Freakshow
4.Lady Misfits
5.Clan Of Bats
6.Shooting Gun
7.Nose White
8.Balls To The Wall
9.Again
10.Soulmate

LINE-UP
Stoner – Vocals, Guitar
Crash – Lead Guitar, Backing vocals
Doc – Bass, Backing vocals
Mad – Drums

DOPE OUT – Facebook

Decapitated – Anticult

Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.

Evoluzione, involuzione, tradimento o solo voglia di suonare qualcosa di diverso (anche perché non credo che con il metal estremo si possa parlare di soldi), fatto sta che quando una band storica lascia l’ormai abituale via per seguire altre strade, porta sempre malumore tra i fans e gli addetti ai lavori, poche volte bilanciato da commenti entusiastici.

E’ il caso dei polacchi Decapitated, una vita a suonare death metal tecnico e brutale, ora trasformatisi in una groove metal band, rabbiosa e melodica.
Potrà anche non piacere la svolta, ma rimane indubbio che Anticult sia un lavoro pesante e melodico, sicuramente rivolto ad un altro tipo di ascoltatori e non ai soliti fruitori della musica del gruppo di Vogg e compagni.
Ovviamente potete pure mettere la classica pietra sopra al vecchio sound proposto dai Decapitated, perché questo nuovo lavoro non è neppure avvicinabile ai deliri tecnici ed estremi dei passati album del gruppo, qui si fa death metal melodico e cool, con il groove ben in evidenza ed una spiccata propensione alla melodia che si evidenzia in molti passaggi, anche se manca ai brani quel quid per essere ricordati.
Anticult si può leggere come un ulteriore passo verso una camaleontica trasformazione iniziata con il precedente Blood Mantra, riuscita in parte, ancora da registrare ma che lascia buone sensazioni per il prosieguo della carriera del gruppo polacco.
In breve, i Decapitated non esistono più, o meglio stanno lasciando la vecchia pelle in una lenta mutazione che li sta portando, attraverso brani come la devastante opener Impulse, o la pesantissima Kill The Cult, verso lidi groove melodic death più vicini a gruppi come Arch Enemy, The Haunted e Darkane.
Se ne parlerà e tanto di questo lavoro, il sottoscritto consiglia l’ascolto prima di giudicare la scelta del gruppo che, a conti fatti, non risulta così male.

Tracklist
1. Impulse
2. Deathvaluation
3. Kill The Cult
4. One Eyed Nation
5. Anger Line
6. Earth Scar
7. Never
8. Amen

Line-up
Vogg – Guitars
Rafał Piotrowski – Vocals
Młody – Drums
Hubert Więcek – Bass

DECAPITATED – Facebook

Onryō – Oni

Di Oni rimane la voglia di ascoltarlo ancora per essere nuovamente catturati e tritati dentro la potenza e la follia di chitarre affilatissime e velocissime, di un batteria che insegue il caos, di una voce bellissima e di un basso che ammazza i gaijin.

Ep di quattro pezzi devastanti, quattro killer di silicio incandescente, tra Dillinger Escape Plan, Meshuggah e un massacro giapponese di samurai.

Onryō nel folclore giapponese è uno spirito solitamente di sesso femminile, che dopo aver sofferto in vita o essere stata uccisa dal proprio uomo o da un uomo in generale, torna dall’aldilà per perseguitare il carnefice. Ecco, questa descrizione copre in parte l’assalto sonoro di questo gruppo romano, demone inquieto tra John Zorn, futurismo sonoro e immane potenza controllata attraverso la matematica. La lunghezza dell’ep è perfetta per poter godere appieno della bellezza perversa di questo disco, dove non c’è mai un ritornello, o una cosa scontata in un continuo rimescolamento di carte, in un vortice di vera potenza, per potere scoprire fino a che punto si possa spingere il nostro orecchio. Oni è la testimonianza di come sia davvero alta la qualità del nostro sottobosco estremo, perché questo disco non è un’eccezione ma un’altra perla in una strada disseminata di ottimi dischi, che magari non sono sotto gli occhi di tutti ma dobbiamo giusto guardare più a fondo nell’occhio del male. Di Oni rimane la voglia di ascoltarlo ancora per essere nuovamente catturati e tritati dentro la potenza e la follia di chitarre affilatissime e velocissime, di un batteria che insegue il caos, di una voce bellissima e di un basso che ammazza i gaijin.

Tracklist :
1 Oni
2 The Pyromaniac -Anarchogrind
3 Humanphobia
4 Sickness And Aluminium Foil Helmets

ONRYO – Facebook

A Total Wall – Delivery

In un’epoca di notevole appiattimento musicale e non solo, anche e soprattutto in ambito metal, dischi come questo dei milanesi A Total Wall sono come una birra fresca in mezzo al deserto d’asfalto.

In un’epoca di notevole appiattimento musicale e non solo, anche e soprattutto in ambito metal, dischi come questo dei milanesi A Total Wall sono come una birra fresca in mezzo al deserto d’asfalto.

Nati nel 2009 hanno avuto una lenta e costante maturazione, dovendo gestire al loro interno molte e notevoli forze. Il suono degli A Total Wall è un prog metal potente, molto vicino al djent e con un grande groove. Per orientarsi meglio si potrebbe dire Meshuggah con più melodie e anche più idee differenti. In questo disco, il primo su lunga distanza, il gruppo milanese fa tutto bene, facendo risaltare la sua meticolosità compositiva e la particolare idea di potenza, ovvero di sfogo di energia con un controllo notevole, in maniera da trasformarsi dentro le orecchie dell’ascoltatore. La loro padronanza tecnica è notevole, viene supportata anche da una grande capacità compositiva e tutte le canzoni sono costruite in maniera da non annoiare mai l’ascoltatore. Come detto sopra si spazia in vari generi, e si arriva a costruire un qualcosa che può essere definito new progressive metal, sia per un potenza notevole, sia perché figli di gruppi che vanno oltre il prog metal classico. Le chitarre qui hanno molte più corde del normale, si esprimono in una dimensione difficilmente definibile ma che suona benissimo, e colpisce la tenacia e la coerenza del disegno musicale che hanno tracciato gli A Total Wall, per un disco che è molto strutturato e potente, un moderno labirinto dal quale uscire migliori.

Tracklist :
1. Reproaching methodologies
2. Evolve
3. Sudden
4. Maintenance
5. Lossy
6. The right question
7. Delivery
8. Pure band

Line Up :
Davide Bertolini – drums
Umberto Chiroli – guitars
Riccardo Maffioli – bass
Gabriele Giacosa – vocals

A TOTAL WALL – Facebook

Black Wings Of Destiny – The Storyteller Part Two

La musica è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court.

I Black Wings Of Destiny sono di Torino e mettono storie in musica, donandogli la vita con una buona dose di metal, declinato in vari sottogeneri, dallo stoner al southern, dal grove a qualche momento metal più ortodosso.

Il disco è la seconda parte di The Storyteller Part One uscito nel 2014, e che ha avuto una buona accoglienza di pubblico e critica. Il concetto che sta dietro questi lavori è quello di narrare storie usando il metal, o più largamente la musica per portare l’ascoltatore dentro le vicende raccontate. Lo stile è uno scattante e groovoso metal con molte influenze, dal southern al groove, da accenti stoner a parti metal tout court. Nessun sottogenere predomina sull’altro, ma tutti contribuiscono a fare un suono bene definito e abbastanza riconoscibile. La forza del gruppo risiede nel far scorrere piacevolmente il disco, tendendo sempre alto il livello del piacere per l’ascoltatore. Il groove è la spina dorsale del lavoro, ed è quello che porta avanti il tutto, rendendolo assai interessante. Una pecca è che la produzione è forse troppo edulcorata, e sarebbe bello sentire il gruppo a briglie maggiormente sciolte, perché le potenzialità ci sono. La melodia è un’altra protagonista del disco, ed è presente in un modo intelligente, accompagnandosi bene con questo concetto di metal moderno che hanno i Black Wings Of Destiny.
Un disco che ha dentro di sé ottime potenzialità che a volte sono portate a compimento, mentre in altri momenti rimangono solo nelle intenzioni.

TRACKLIST
1. Black Knife
2. Jane the Hunter
3. Venom
4. Dillinger Is Dead
5. Dust
6. From Day One
7. Masquerade

LINE-UP
Luca Catapano – guitars/vocals
Marco Mallamo – guitars
Emanuele Cacchioni – drums
Daniele Cogo – bass

BLACK WINGS OF DESTINY – Facebook

Dogmate – Dual

In questo lavoro l’ hard rock alternativo ha preso le redini del sound del gruppo, mettendo leggermente più in ombra le sfumature stoner del primo album.

Avevamo incontrato i romani Dogmate in occasione del primo lavoro sulla lunga distanza, uscito tre anni fa dal titolo Hate, una mazzata pesantissima di hard groove stoner.

Li ritroviamo con il nuovo album, Dual, licenziato questa volta dalla Murdher Records e con un nuovo cantante, Michele ‘197’ Allori, che sostituisce Massimiliano Curto.
Le novità non si fermano qui, il sound infatti pur mantenendo un forte impatto groove risulta più alternativo rispetto all’atmosfera generale che si respirava sul precedente lavoro, che appariva molto più desertica e diretta.
I brani attuali sono più vari a livello ritmico e il gruppo non fa venire meno la sua carica, mantenendo un approccio non dissimile, ma è fuor di dubbio che in Dual l’ hard rock alternativo abbia preso le redini del sound del gruppo, mettendo leggermente più in ombra le sfumature stoner del primo lavoro.
Non manca il gran lavoro alla sei corde di Stefano Nuccetelli, sempre vicino allo stile di Zakk Wilde, mentre la sezione ritmica si ritaglia una performance da applausi per varietà e potenza (Ivan Perres alle pelli e Roberto Fasciani al basso).
Il nuovo arrivato dietro al microfono rende giustizia al lavoro ritmico così vario e dinamico con una prestazione che passa agevolmente da toni melodici a rabbiose e potenti frustate, ed il risultato non può che essere apprezzato.
Un salto nell’hard rock moderno e groovy del nuovo millennio, con una dose di rock alternative a legare il tutto, ed un lotto di canzoni potenti e perfette per spezzare colli in sede live: questo è Dual, sostenuto da brani come Mules Of Society, Who Knew e l’alternativa, con echi di System of A Down, Disembodied Understanding.
Era buona la prima e si continua su un buon livello con la seconda, confermando i Dogmate come ottima realtà da scoprire per gli amanti del genere.

TRACKLIST

1.Dual Mind
2.Mules Of Society
3.The Way It Is
4.Who Knew
5.The Only Thing I Failed
6.(Un)firm Act
7.Disembodied Understanding
8.Story Told
9.Stygian
10.Xàpwv

LINE-UP

Michele ‘197’ Allori – Vocals
Stefano ‘Sk’ Nuccetelli – Guitars
Ivan ‘Ivn’ Perres – Drums
Roberto ‘Jeff’ Fasciani – Bass

DOGMATE – Facebook

Dirty Machine – Discord

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo.

Fare nu metal è una missione difficile al giorno d’oggi, e farlo bene è sempre stato difficoltoso, ma i californiani Dirty Machine riescono a centrare il bersaglio al primo tentativo.

Questi ragazzi americani hanno trovato la propria via per fare un genere fin troppo bistrattato e che invece riesce ancora a regalare buoni dischi come questo. Il nu metal è un linguaggio che dovrebbe portare far buttare fuori il disagio, usando codici solo all’apparenza diversi fra loro, come il metal e qualcosa vicino al rap. Nel caso specifico dei Dirty Machine ci troviamo di fronte ad un disco molto ben prodotto, dove le chitarre graffiano belle ribassate, con molti riferimenti ai grandi classici attraverso rielaborazioni personali e ben riuscite. Discord non ha un incedere velocissimo, ma scava molto bene i suoi solchi sul terreno, alternando melodia e pezzi più pesanti. Le parti vocali sono incastonate tutte molto bene, con molte aperture melodiche che funzioneranno egregiamente nelle radio americane che magari le avessimo qui, avremmo una migliore cultura rock. Discord è la rumorosa testimonianza che un certo modo di fare nu metal non è ancora (o mai) morto, e se si prende la band giusta con dj annesso si riescono ancora a sentire cose egregie; certo ora che, ormai da anni e anni, è passata la grande marea bisogna avere idee chiare e capacità di produrre dischi più che buoni. Discord è tutto ciò, ed è soprattutto un disco molto divertente, che fa saltare e che garantisce molti ascolti senza morire dentro allo stereo, e alla fine questa è la cosa più importante, qualunque sia il genere.

TRACKLIST
1. Seeds
2. Discord
3. Self Made Hero
4. Social Recoil
5. Ecusa’s Nightmare
6. Built
7. C4
8. Wonka

LINE-UP
Dave Leach – Vocals
Darren Davis – Vocals/Guitar
Arnold Quezada – Guitar
NIGHTMARE – Drums
DJ Ecusa – Turntable
Youngblood – Bass

DIRTY MACHINE – Facebook

03 mag 2017 – Caricato da Zombie Shark Records

Malkavian – Annihilating the Shades

Le influenze sono riscontrabili nei gruppi estremi thrash/death metal statunitensi, ma i Malkavian ci mettono del loro, d’altronde l’ esperienza è secolare e la fame di sangue inesauribile…

Una bomba sonora questo ultimo lavoro dei vampiri di Nantes che, sotto il monicker Malkavian, ci aggrediscono con il loro thrash/groove metal assolutamente devastante.

Difficile trovare un gruppo che, con un nome e un concept vampiresco, distrugga tutto con la forza del thrash moderno, invece di ipnotizzarci con languide melodie gotiche, ma si sa, la cattiveria dei vampiri dipende dal ceppo e dagli anni in cui la loro stirpe comanda e il 2017 è l’anno dei Malkavian.
Annihilating the Shades è dunque un devastante e violentissimo esempio di metal moderno dai rimandi thrash e dal groove che sprizza come sangue dalle vene e dalle arterie: qui i vampiri sono quelli di Underworld e non del classico Dracula (tanto per intenderci), guerrieri della notte in lattice ed automatiche, un esercito di super uomini in una battaglia che dura dalla notte dei tempi e dalla colonna sonora estrema ed esaltante, pura follia omicida rappresentata da inni al male come Alter Of The Damned, Ruins, l’annichilente, oscura e maligna The Great Overset e il muro di creature della notte pronti a colpire al segnale di Encryption Process.
Romaric “Riko” Lamare è un non morto che sputa odio dal microfono, la sezione ritmica un massacro di innocenti (Florian Pesset al basso ed Alex Jadi alle pelli), le chitarre armi micidiali tra ventate di morte e melodie allucinate che, invece di smorzare la tensione, rendono ancora più terrificante e violento il sound (Nicolas Bell e Mathieu Deicke).
Le influenze sono riscontrabili nei gruppi estremi thrash/death metal statunitensi, ma i Malkavian ci mettono del loro, d’altronde l’ esperienza è secolare e la fame di sangue inesauribile…

TRACKLIST
1.Resurgence
2.Altar of the Damned
3.Spit Away
4.Ruins
5.Annihilating the Shades
6.The Great Overset
7.Encryption Process
8.Kba
9.Void of a Thousand Eyes

LINE-UP
Florian Pesset – Bass
Nicolas Bel – Guitars & Backing Vocals
Romaric Lamare – Vocals
Alex Jadi – Drums
Mathieu Deicke – Guitars

MALKAVIAN – Facebook

Primal Age – A Silent Wound ep

I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni.

Provenienti dalla cittadina francese di Evreux, i Primal Age sono attivi dal 1993, sono uno dei primi gruppi europei ad aver fuso insieme hardcore e metal, dando vita a qualcosa di molto simile al metalcore, ma con maggiore groove.

Nello svilupparsi di questa lunga carriera i Primal Age non hanno perso un briciolo della loro potenza, anzi sono diventati più cattivi e sono alla guida del corteo del meglio metalcore che potete trovare in giro.
Questo ep arriva dopo due album ed uno split, e soprattutto dopo tantissima attività dal vivo che li ha portati in tutto il mondo, dal Messico al Brasile passando per il Giappone. A Silent Wound è un ottimo disco di hardcore e metalcore, spingendosi fino al groove metal, e coinvolge molto l’ascoltatore. I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni. Il suono dei Primal Age è davvero avviluppante e potente, porta pericolosamente all’headbanging e ci fa ricordare che fare musica così non è facile, oltre ad un certa tecnica ci vuole vera attitudine e qui ce n’è tantissima. Non sono rimasti in molti a fare questo suono che vive superando spesso i confini, e la quarta traccia dell’ep ne rende nota la paternità, essendo un medley di canzoni degli Slayer in omaggio a uno dei più grandi, Jeff Hannemann, tanto per far capire da dove vengono i Primal Age, e anche da dove veniamo tutti noi amanti di questo suono, perché gli Slayer sono una cosa megalitica. Un ottimo ep per un gruppo sempre molto interessante.

TRACKLIST
1.The Whistleblowers VS World Health Organization
2.A Silent Wound (ft Felipe Chehuan – CONFRONTO)
3.Counterfeiters of the Science
4.To Jeff (SLAYER medley – ft Julien Truchan/ BENIGHTED & Koba/ LOYAL TO THE GRAVE)

LINE-UP
Benoit: Guitar
Florian: Guitar
Mehdi: Drums
Dimitri: Bass & Vocals
Didier: Vocals

PRIMAL AGE – Facebook

Methane – The Devil’s Own

Southern metal ad alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

Esordio sulla lunga distanza al fulmicotone per questo gruppo svedese devoto al southern metal e al metallo pulsante in generale.

Devil’s Own è un trionfo di chitarre distorte alla Pantera, incedere metallico e gran divertimento. Non parlo di Black Label Society ma di cose molto più divertenti e coinvolgenti. Nulla è statico in questo disco e tutto gira intorno al suono del diavolo. La voce è abrasiva e ci introduce in un girone infernale di sbronze cattive e sonno discinte che ci portano ancora più in basso nella scala della nostra perdizione. Il metal dei Methane è davvero notevole, con un groove dall’uncino notevole e il disco resiste molto bene ad ascolti ripetuti, anzi più lo si ascolta e maggiore è il piacere. Era da tempo che non usciva un disco così bello e ben prodotto di southern metal. Questo sottogenere del metal è una bestia che è sempre più difficile da gustare selvatica, ci sono alcuni esemplari in cattività ma non valgono nulla. Invece i Methane sono selvatici e vanno ad alta velocità senza risparmiare nulla, e la loro intensità e passione metallica è di gran livello. Gli svedesi riescono a creare un disco potente e mai ripetitivo, giocando molto bene con i codici e gli stilemi del southern metal. Alto volume, alcool e perdizione, cosa volere di più ?

TRACKLIST
1. The Devil’s Own
2. Scars and Bars
3. Blood Sweat and Beer
4. Pray for Death
5. Stone Garden
6. Spit on Your Grave
7. 72
8. Peel Off the Skin
9. Hang Me High

LINE-UP
Tim Scott – Bass, Vocals
Jimi Masterbo – Lead Guitar
Dylan Campbell – Guitar
Andreas Strom – Drums

http://www.facebook.com/methaneband

The Helldozers – Carnival

Non sono eleganti e raffinati gli The Helldozers, anzi sono brutti, sporchi e cattivi ma a noi piacciono proprio per questo, quattro teppisti persi tra la bruma tedesca giocando a fare i cowboy, divertendosi e facendoci divertire.

Tedeschi, ma dal sound e dall’impatto che più americano di così non si potrebbe, tornano i The Helldozers con il secondo lavoro sulla lunga distanza  a base di groove southern metal.

La band originaria di Colonia è attiva dal 2010 e dopo aver dato alle stampe due mini cd ed il primo album (Hate Sweet Hate) ci sconquassa con Carnival, nuovo lavoro che conferma la belligeranza metal’n’roll con cui infiammano i palchi del centro Europa.
Una serie di cannonate che lasciano una scia di fumo, mentre le vittime sono finite a colpi di machete dal teschio sudista che, con sguardo pericolosamente ironico, fa bella mostra di sè sulla cover del cd.
Le foreste tedesche divengono il deserto statunitense, ed è un attimo tramutare la rigogliosa e umida natura delle terre germaniche in sabbia del deserto, che maligna si fa spazio in ogni poro mentre il gruppo comincia il suo macello sonoro con Burning Like A Flame, opener di questo assalto southern metal, tutto groove e whiskey.
I The Helldozers rompono gli indugi e fin dalle prime avvisaglie veniamo travolti dall’impatto del quartetto, i brani si susseguono violenti e colmi di groove,  grazie un metal-rock di matrice live, un carro armato che non si ferma e travolge tutto a colpi di Pantera, Motorhead (che tributano con la traccia We Love Motorhead), ed un pizzico di Metallica, ma quel tanto per rendere l’assalto sonoro leggermente più melodico.
Non sono eleganti e raffinati gli The Helldozers, anzi sono brutti, sporchi e cattivi ma a noi piacciono proprio per questo, quattro teppisti persi tra la bruma tedesca giocando a fare i cowboy, divertendosi e facendoci divertire.

TRACKLIST
1.Burning like a Flame
2.Not My Way
3.Carnival
4.Dead or Alive ’16
5.Hell
6.Fuck the King
7.Dark Water
8.Bullet in a Gun
9.Revolution ’16
10.Life Is a Fucking Game ’16
11.We Love Motörhead ’16
12.Don’t Be like Me

LINE-UP
Atha Vassiliadis – Guitars
Philipp Reissfelder – Guitars, Vocals, Bass
Tony Rynskiy – Vocals
Alex Müller – Drums

THE HELLDOZERS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Inire – Cauchemar

Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

Gli Inire sono una band proveniente dal Quebec e licenziano il secondo album, dopo aver dato alle stampe il debutto Born the Wicked, the Fallen, the Damned ormai sette anni.

Cauchemar risulta un buon lavoro, senza picchi elevatissimi ci viene proposto un hard rock moderno con le più svariate influenze che passano dal groove metal, al nu metal per passare ad atmosfere southern.
L’album così lascia che le varie tracce ci prendano per mano e ci accompagnino negli ultimi decenni in cui l’hard rock americano ha flirtato con il metal, dando alla luce suoni ibridi colmi sia di tradizione che sfumature alla moda, tenuti assieme da tonnellate di groove.
Quindi se apprezzate ritmiche pesanti e sincopate, chorus che flirtano con il nu metal, ripartenze in stile Pantera e pesantezza southern (dove i Black Label Society sono i maestri), gli Inire sono il gruppo che fa per voi, tra brani ispiratissimi come la devastante hard rock Crash, la nu metal Wide Awake, la panteriana Hell Is Us e la fiammeggiante (in tutti i sensi) Burn.
I primi Soil (quelli dell’irripetibile Scars) sono forse il termine di paragone più calzante e definitivo per il sound del gruppo di Dre Versailles, cantante che non si risparmia e fa correre la sua abrasiva ugola tra le strade impervie che l’album prende a sorpresa ad ogni incrocio, ora con lunghi rettilinei verso l’hard rock, ora con salite e discese ritmiche che portano al metal moderno di matrice, ovviamente, americana.
Un album che piace e che ha in un songwriting frizzante la sua maggiore virtù, mettendo da parte le ovvie similitudini con band già note, concentrato solo sull’impatto e l’ottima carica sprigionata dagli Inire.

TRACKLIST
1.Avidya
2.Wide Awake
3.Next of Kin
4.Endless
5.Crash
6.Hell Is Us
7.Far from Anything
8.Let It Die
9.Lord of the Flies
10.Burn
11.Into the Labyrinth
12.Cauchemar
13.Just a Halo Away

LINE-UP
Wrench – Bass
Memphis – Drums
Action – Guitars
Brody – Guitars, Vocals
Dre – Vocals

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Sakem – New War Disorder

New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto.

I milanesi Sakem arrivano con un primo album fatto di un metal che gira benissimo, granitico, distorto e marcio, che descrive il nostro mondo, che è molto più marcio di questo suono.

Formati nel 2014, dopo l’uscita del vocalist Lexx dai death metallers Kenos, gli altri componenti vengono da gruppi con le più disparate influenze, e tutto ciò si sente nel suono dei Sakem. La forza di questo notevole disco è quella di declinare in molti modi una monoliticità del suono che li porta ad assomigliare, almeno in parte, a dei Pantera senza tregua, macinando metal ed ossa. Il disco analizza le macerie di quella che noi chiamiamo società, ma che in realtà è una guerra quotidiana. Il suono dei Sakem è anche una sana alternativa a tutte le schifezze che si sentono quotidianamente quando andiamo in giro. New War Disorder è un disco molto al di sopra della media, solidissimo, di metal moderno eppure con un gusto antico, di quando il metal era usato per dire qualcosa, non come ora che troppo spesso è vuoto. L’album cresce ad ogni ascolto e le canzoni sono sempre potenti, piene di belle melodie, composte e suonate da musicisti che sanno molto bene cosa sia e come vada suonato il metal. Dischi come questo riempono il vostro stereo e non c’è molto da dire, ma più da ascoltare. È incredibile anche come si vedano in giro band molto meno capaci dei Sakem ricevere lodi e magari anche vivere del proprio operato, cosa assai difficile al giorno d’oggi. Notevole anche la produzione e la copertina ed il libretto del disco, e il tutto arriva a comporre un ottimo disco di metal con un bel groove e brillanti idee.

TRACKLIST
01. Hangman
02. Red Spirit Dust
03. Tatanka
04. Revolver
05. New War Disorder
06. Mentality
07. Sakem
08. Fire Maker
09. Subliminal Wattage
10. Arising the Dawn
11. Golden Omega

SAKEM – Facebook

Sepultura – Machine Messiah

Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato.

Nuovo disco per i Sepultura, ed è decisamente un’ottima prova. Potremmo stare a discutere ore addirittura soltanto sulla legittimità dell’usare il marchio di fabbrica Sepultura da parte di Andreas Kisser e Paulo Jr., ma qui non siamo in un aula di tribunale.

Qui diamo suggerimenti e condividiamo i nostri ascolti, e questo è un grande ascolto. Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato. Fin dalla prima canzone si capisce che questo è forse il disco più incisivo dei nuovi Sepultura, con Derrick Green in forma strepitosa, con una voce molto aggressiva e potente, che graffia ferocemente sul tappeto sonoro. Andreas Kisser è un grande compositore metal e non solo, lo si capisce molto bene con Machine Messiah e, se vi capita, andate a cercarvi le sue colonne sonore e capirete ancora meglio.
L’ intelaiatura delle canzoni è notevole, basterebbe ascoltare Iceberg Dances che da una fuga di organo diviene un esercizio flamenguero per poi andare verso un prog metal spaziale. La produzione è grandiosa, i suoni sono precisissimi e molto potenti, e non manca una bilanciatura più che adeguata, con l’uso delle tastiere che rende ancora più magniloquente il tutto.
Ci sono tantissime cose dentro questo disco, e vale la pena esplorarle tutte. Per divertirsi qui viene richiesta solo un po’ di apertura mentale e l’apertura di una linea di credito verso la nuova incarnazione dei Sepultura, e ne verrete soddisfatti grandemente. Machine Messsiah è un disco potentissimo e notevole che saprà soddisfare molti gusti metallici, soprattutto di chi ha fame e voglia di musica diversa e progressiva nella sua direzione.
Si deve ascoltare la musica e non parlare di un nome, e i Sepultura ci sono, eccome se ci sono.
Intanto, da più di trent’anni la storia continua.

TRACKLIST
01. Machine Messiah
02. I Am The Enemy
03. Phantom Self
04. Alethea
05. Iceberg Dances
06. Sworn Oath
07. Resistant Parasites
08. Silent Violence
09. Vandals Nest
10. Cyber God

LINE-UP
Andreas Kisser – Guitars
Derrick Green – Vocals
Eloy Casagrande – Drums
Paulo Jr. – Bass

SEPULTURA – Facebook

Unexpectance – Metastasis De La Esperanza

Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro.

Gruppo metal proveniente dalle Asturie, e più precisamente da Oviedo, gli Unexpectance sono alla prima prova su lunga distanza.

Il loro suono è un misto di groove metal, metalcore e death metal per un disco che non manca di potenza e passione, ma difetta in originalità. Ciò non è però un problema perché gli asturiani fanno una mezcla molto buona, il suono esce potente e preciso, e forse con una produzione più complessa il loro suono risalterebbe maggiormente. Il disco è un concept album sulla metastasi della speranza, preso atto di come va il nostro mondo. Gli Unexpectance confermano che il metal può essere uno dei mezzi migliori per spiegare il mondo, per esprimere ciò che portiamo dentro, gridando nel dilaniamento provocato per la distanza da ciò che siamo e da ciò che vorremmo essere. Il cantato in spagnolo a due voci del gruppo è notevole ed è sicuramente uno dei loro pregi maggiori. In quasi tutti i pezzi c’è poi una ricerca graduale e bene gestita della melodia, che non fa assolutamente degli Unexpectance un gruppo commerciale, bensì un gruppo dalle molte armi e dalle molte possibilità. Il loro suono è molto moderno ed in linea con tutto ciò che è venuto dai Gojira in poi, ma la loro è una sintesi originale. Un disco, ma soprattutto un gruppo, da scoprire.

TRACKLIST
1.La Caída (Intro)
2.Entropía
3.El Fin De Los Días
4.Liberate Me Ex Inferis
5.Abismo
6.Ante Las Puertas
7.La Metástasis De La Desesperanza
8.Incepción
9.Lágrimas En La Tormenta
10.Quiasma
11.Sinestesia

LINE UP
Dani L. – Growl Vocals
Salvador G. “Poyo” – Drums
Aitor G. “Mike Stamper” – Bass, Clean Vocals
Nacho P. “Nacho Another” – Guitars, Backoìing Vocals
Fran P. – Guitars

UNEXPECTANCE – Facebook

Broken Key – Face In The Dust

Un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

Si continua a suonare metal moderno in giro per il mondo, magari meno influenzato dall’ormai abusato metalcore, e più genuinamente groove.

Niente di originale, e abusato anche questo, ma forse più puro ed underground rispetto alla finta rabbia delle boy band ispirate all’ormai obsoleto ed ennesimo sogno americano.
I Broken Key, per esempio, sono una giovane band tedesca, proveniente da Halle Saale, hanno un solo ep alle spalle e per la STF licenziano il loro primo album, questo calcio nei denti che di nome intitolato Face In The Dust e che piacerà agli amanti dei suoni moderni, sempre in bilico tra hardcore e groove metal.
Una quarantina di minuti alle corde, messi all’angolo dal nostro avversario che non ne vuol sapere di rallentare la sua letale scarica di pugni che spezzano ossa in ogni parte del corpo, più o meno è questo che risulta l’album, non male per il combo tedesco.
Mid tempo pesantissimi, dove il groove metal prende il sopravvento, si alternano con ripartenze hardcore secche come un diretto in pieno volto inaspettato e devastante.
Il vocione rabbioso, il muro sonoro dalla buona potenza non fanno che rincarare la dose massiccia di violenza, mentre scorrono le note di brani, alla lunga un po troppo simili (questo è il genere, prendere o lasciare), ma per i metal fans dal berrettino con visiera, Black Hole, Runaway e Members Of Old School saranno graditi muri sonori.
In conclusione, un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

TRACKLIST
1.Brick
2.Black Hole
3.All The Fucking Sluts
4.Runaway
5.Face In The Dust
6.Sick Soldiers
7.Skull Behind Your Face
8.Enemy
9.Members Of Old School
10.Never Say No

LINE-UP
Rene Richter – Vocals
Marcus Griebel – Guitar
Tommy Kogut – Guitar
Robin Schuchardt – Bass
Carlo Hagedorn – Drums

BROKEN KEY – Facebook

Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook