Versing – 10000

Questi tredici brani ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza.

Ci sono dischi che gridano, altri che sussurrano o che passano sopra le nostre teste senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

10000 dei Versing è un disco scritto e prodotto per corrodere la nostra malata quotidianità. Questo lavoro mostra quanto ancora di buono e valido ci possa essere in un lavoro genuinamente indie. I nostri si incontrano nell’ambito di una college radio di Tacoma, la KUPS, dove il cantante, chitarrista e scrittore dei testi Daniel Salas era direttore artistico per il comparto alternative. Lì incontra l’altro chitarrista Graham Baker, il batterista Max Keyes,e il bassista Kirby Lochner. Insieme danno vita ai Versing, un gruppo indie alternative che prende la mosse dalla tradizione americana per innovarla profondamente. I Versing avanzano in maniera apparentemente sbieca e ondivaga, invece vanno dritti al punto, con un indie rock minimale, melodico e distorto al contempo. Questa band possiede quella speciale levità che pochi gruppi hanno, quel gettarsi nella mischia con la consapevolezza di riuscire a giocare secondo le proprie regole. Non inventano nulla ma riescono ad offrire un qualcosa di efficace e soprattutto credibile. Per i parametri di vita americani sono certamente degli sfigati, ma sono ciò che vogliamo, perché per fare musica come la loro ci vuole coraggio in questa epoca di pose social, ed infatti i nostri fanno promozione su facebook con un logo con sopra il loro nome e… i Minions
La musica, che è quella poi l’unica cosa importante, è davvero buona e varia, i tredici pezzi ci offrono uno spaccato convinto e convincente di come possa essere l’indie pop rock fatto bene, grazie alla passione e alla competenza. Rispetto alla media degli altri gruppi i Versing fanno un uso mirabile della distorsione, il vero valore aggiuntivo al tutto.

Tracklist
1Entryism
2 Offering
3 Tethered
4 Violeta
5 By Design
6 Vestibule
7 In Mind
8 Long Chord
9 3D
10 Sated
11 Survivalist
12 Loving Myself
13 Renew

Line-up
Daniel Salas
Graham Baker
Kirby Lochner
Max Keyes

VERSING – Facebook

Virginiana Miller – The Unreal Mccoy

Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta.

Dopo sei anni di assenza tornano i livornesi Virginiana Miller, gruppo tra i padri fondatori dell’ indie in Italia che ha sempre fatto cose interessanti, anche se sono cambiate molte cose in sei anni.

Innanzitutto non hanno più nulla da dirci in italiano, come hanno affermato loro, e allora cantano in inglese. E nella lingua di oltremanica ci raccontano come immaginano l’America vista da Torino, senza muoversi da casa, usando testimonianze e quell’immenso immaginario che ha prodotto la terra americana in questi anni. In pratica si potrebbero considerare gli Stati Uniti come uno sconfinato produttore di sogni, incubi, racconti ed immagini. Tutti noi ci siamo abbeverati, e tuttora lo facciamo, ma i Virginiana Miller vanno oltre e lo raccontano attraverso nove tracce di bellissimo indie rock, con la voce di Simone Lenzi che in inglese è ancora più incisiva che in italiano, e non era facile. Il disco è un concentrato di pop rock composto e suonato ad un livello superiore, unendo musicalmente Inghilterra, Italia e Usa, in un qualcosa di molto originale, in linea con la produzione precedente e andando oltre, da grande gruppo. Se l’ascoltatore non lo sapesse, potrebbe pensare che questo disco sia di un gruppo americano, e ciò per le atmosfere, la languida sensualità dell’unione fra parole e musica, e quei racconti di polvere e merda che poi è l’America vera, quella che non si vede ma decisamente maggioritaria rispetto a quella che appare sui nostri schermi. Difficile sbarcare il lunario là, nonostante i tanti proclami di un’America che tornerà ancora grande, forse l’America è morta o forse è solo un luogo della mente, e l’unica maniera per raccontarla è quella dei Virginiana Miller. Tornando a loro, con questo lavoro dopo una lunga pausa, confermano d’essere uno dei migliori gruppi italiani, nel senso che riescono ad andare oltre le loro gloriosa storia per fare un qualcosa di dirompente e davvero nuovo. Ci sono momenti alla Calexico, cose più vicine a gente come King Dude, lo spirito di un Elvis nettamente sconfitto e purtroppo ancora in vita, aperture che ricordano il più tenebroso american gothic, insomma un grande disco davvero pieno di angoli e di chilometri da fare senza meta. I Virginiana Miller potevano fare un disco più confortevole e facile, mentre qui raccontano usando codici nuovi per loro, e dimostrando che possono fare ciò che vogliono sempre con ottimi risultati. Un grande ritorno, ma in realtà non se ne sono mai andati, siete voi che avete la fregola di avere un disco all’anno come minimo, questo è artigianato musicale.
” The sky is clear / We feel safe / In the fallout shelter / God is strong / No communists around ”

Tracklist
01. The Unreal McCoy
02. Lovesong
03. Old Baller
04. Motorhomes Of America
05. Christmas 1933
06. The End Of Innocence
07. Soldiers On Leave
08. Toast The Asteroid
09.Albuquerque

Line-up
Antonio Bardi: Electric and acoustic guitar
Daniele Catalucci: Bass, backing and harmony vocals
Giulio Pomponi: Acoustic and electric piano, synth, farfisa, keyboards
Matteo Pastorelli: Electric, acoustic and steel guitar, Synth, Mini theremin
Simone Lenzi: lead vocals
Valerio Griselli: drums

Ale Bavo: synth on The unreal McCoy
Ada Doria, Daniela Bulleri: harmony vocals on The unreal McCoy
Andrea “Ciro” Ferraro: harmony vocals on Soldiers on leave
Matteo Scarpettini: percussions on Old baller, Motorhomes of America, Christmas 1933, The end of innocence, Soldiers on leave, Toast the asteroid, Albuquerque

VIRGINIANA MILLER – Facebook

Former Friends – Late Blossom

In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione.

Freschezza, potenza e un gran bell’intuito per melodie e ritornelli irresistibili.

I Former Friends sono un giovane gruppo di Cosenza, non si inventano nulla di nuovo ma lo fanno a modo loro e ciò è già molto importante. I nostri hanno un inizio di carriera molto inusuale, dato che la loro prima uscita è Friends For A Week, un ep che ha marcato un confine netto fra ciò che erano e ciò che sono e saranno. A seguito di questo ep esce un disco di loro brani rivisti e suonati dal vivo in saletta per The Garage Session, Behind Closed Doors. I Former Friends vibrano, sono uno di quei gruppi che quando si allineano tutti come se fossero dei pianeti le cose esplodono e vanno benissimo. Questi ragazzi hanno un grandissimo intuito per fare musica e lo si sente subito, la materia indie nelle loro mani scorre molto bene. Il tiro è notevole, e i riferimenti li troviamo nella scuola inglese degli ultimi anni, con una spruzzata di suoni a stelle e strisce. In Late Blossom c’è tutto ciò che potrebbe essere l’indie alternative in Italia se fatto con umiltà e talento, con uno sguardo deciso oltre i nostri confini, tenendo ben presente cosa sia la nostra tradizione. Un disco come questo è difficile da ignorare, ci sono dei difetti, ma le potenzialità della band sono davvero tante e quello che si sente qui è qualcosa che non si ascolta con facilità, perché l’incedere è profondo, si cambia spesso registro e le cose non sono mai quello che sembrano. Un difetto è la produzione troppo piatta, in quanto con suoni più potenti questi ragazzi farebbero piangere i nostri amplificatori, ma è solo un particolare. Il passaggio più arduo per i Former Friends, dopo un disco come questo, sarà continuare andando avanti con gli anni, perché questo disco ha una forte spinta derivante dalla loro giovane età per cui vediamo come andrà. Nel frattempo, nel qui ed ora va molto bene.

Line-up
Andrea Alberti
Marco Pucci
Luca Parise
Lorenzo Gagliardi

FORMER FRIENDS – Facebook

God Of The Basement – God Of The Basement

I God Of The Basement fanno un disco che merita di essere ascoltato molte volte, perché ha una traiettoria che non è affatto usuale in Italia, dove rendiamo tutto o molto difficile o molto rassicurante, il che è molto peggio.

I God Of The Basement vengono da Firenze e fanno un indie rock di difficile classificazione, ma di grande resa.

Il gruppo toscano, nato nel 2016, tratta tematiche molto lontane da quelle in voga nella musica più commerciale ed è uno di quelli che, ad un ascolto distratto e nevrotico tipico del nostro tempo, può essere etichettato come leggerino e senza sostanza, mentre invece se si procede ad un ascolto più attento si riesce a cogliere la capacità di rendere corposo un suono che in mano ad altri sarebbe davvero poca cosa. I God Of The Basement stupiscono in ogni pezzo, perché prendono sempre la direzione meno ovvia, ed hanno un groove che non ti aspetti ma che è davvero magniloquente e molto bello. Prendete gli Spiritual Front ed aggiungete una maggiore ampiezza di vedute e la forza che avevano certi gruppi alternativi anni novanta, ovvero quella di esplorare e di fare musicalmente ciò che volevano, che poi sarebbe la cosa più naturale e giusta per chi fa musica. Il ritmo di questo disco non lascia differenti, perché è in continuo movimento, come un serpente sinuoso che non lascia tempo per stare fermi. Gli elementi in gioco sono molti e tutti molto validi, in quanto il suono dei God Of The Basement incorpora molte istanze, arrivando anche vicino all’hip-hop, come lo usavano i Fun Lovin’ Criminals, ovvero come elemento di un certo tipo di indie rock. Ascoltando questo debutto si possono ritrovare anche alcune istanze del brit rock inglese, anche se è tutto originale e quasi per nulla derivativo. I God Of The Basement fanno un disco che merita di essere ascoltato molte volte, perché ha una traiettoria che non è affatto usuale in Italia, dove rendiamo tutto o molto difficile o molto rassicurante, il che è molto peggio. Un bel pezzo di pop rock, che ci fa girare ad ascoltarlo quando passa.

Tracklist
1 Intro
2 Hell Boar
3 Monday Monkey
4 With The Lights Off
5 Intermission #1
6 We Do Know
7 Beaten Up
8 Kay
9 Bobby Bones
10 Intermission #2
11 Get Loose
12 The Saviour
13 The Sinner

Line-up
Tommaso Tiranno
Rebecca Lena
Enrico Giannini
Stefano Genero

GOD OF THE BASEMENT – Facebook

Ian Sweet – Crush Crusher

Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Ian Sweet è una donna che ha una musicalità innata, e riesce a trattare in maniera interessante ed originale generi diversi.

Con la sua voce nervosa e calda Ian Sweet ci guida in un mondo non sempre facile e gioioso, dove la luce gioca con le tenebre e spesso perde, dove la letizia si può presto trasformare in tormento, come e peggio che nel mondo reale. Il vero nome di Ian Sweet è Jilian Medford, compositrice e musicista di raro talento ed efficacia. Ascoltando il disco ci si rende conto della cura e della passione con il quale è stato concepito ed eseguito. Il tema centrale del disco, e forse delle nostre vite, sono le relazioni con i nostri amici ed i problemi che ne derivano. La soluzione di questi problemi è impossibile, e quindi Ian ce li descrive mettendoli molto bene in musica con melodie accattivanti, ma anche dissonanze e momenti che esprimono molto il disagio di fronte a certe situazioni. Il disco è un riuscito campionario di ciò che può essere dell’ottimo indie fatto con un talento superiore alla media, e con un gusto particolare per scelte non facili ma necessarie. Una delle peculiarità di Ian Sweet è quella di riuscire ad usare diversi codici musicali per comporre la propria poetica musicale che è sempre originale e valida. Non è un disco facile e non vuole esserlo, perché tratta di cose non facili, e ci mostra tutto il talento di una delle migliori menti musicali alternative americane, che darà ancora molto agli ascoltatori che sono in cerca della qualità.

Tracklist
1.Hiding
2.Spit
3.Holographic Jesus
4.Bug Museum
5.Question It
6.Crush Crusher
7.Falling Fruit
8.Borrowed Body
9.Ugly/Bored
10.Your Arms Are Water

IAN SWEET – Facebook